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Autore: Deb    18/10/2013    6 recensioni
Katniss non era la sola ad avere gli incubi durante la notte; anche lui, non appena chiudeva gli occhi, rivedeva ciò che aveva passato.
Al contrario di Katniss, però, riusciva a contenersi. Sembrava quasi che gli bastasse poco per ritrovare la ragione.
Delle volte conficcava le unghie nei polsi, come se ancora indossasse le manette, o nei palmi delle mani. Doveva sentire il dolore fisico. Altre volte, invece, gli bastava sentirla vicina e odorare la sua pelle.
"Un ibrido non profuma, non dona calore corporeo".
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Feelings After-war ~ Katniss/Peeta'
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Sensi di colpa

Si rigirò nel letto e, automaticamente, accarezzò il fianco di Katniss che dormiva lì con lui.
Come tutte le notti.
L'abbracciò ed appoggiò il viso nell'incavo nel collo di lei, inalò il suo odore e questo gli bastò per calmarsi.
Katniss non era la sola ad avere gli incubi durante la notte; anche lui, non appena chiudeva gli occhi, rivedeva ciò che aveva passato.
Al contrario di Katniss, però, riusciva a contenersi. Sembrava quasi che gli bastasse poco per ritrovare la ragione.
Delle volte conficcava le unghie nei polsi, come se ancora indossasse le manette, o nei palmi delle mani. Doveva sentire il dolore fisico. Altre volte, invece, gli bastava sentirla vicina e odorare la sua pelle.
Un ibrido non profuma, non dona calore corporeo.
Peeta la tirò a sé con uno strattone, quasi con violenza, con forza. La strinse maggiormente e la baciò tra i capelli. Lei era la sua Katniss, era la donna che amava.
Delle volte, Peeta aveva sentito Katniss ripetere sempre determinate frasi: «Mi chiamo Katniss Everdeen. Sono viva. La rivoluzione è finita. Peeta è con me».
Inizialmente non comprendeva perché lo facesse, ma poi glielo spiegò. Lo faceva quando credeva di stare per crollare.
Così, senza nemmeno farlo davvero apposta, aveva cominciato a farlo anche lui, quando i flashback erano troppo invasivi, quando la realtà si sovrapponeva all'illusione, quando cominciava a nutrire il dubbio che Katniss volesse soltanto ucciderlo.
Mi chiamo Peeta Mellark. Sono stato depistato da Capitol City. Katniss non è un ibrido. Katniss profuma. Katniss non vuole uccidermi. Katniss vuole proteggermi. Io amo Katniss. Sono l'uomo più fortunato del mondo nell'averla tutti i giorni al mio fianco.
Era un mantra, quello. Serviva per ritrovare la calma, la ragione. E ci riusciva. Quando cominciava a nutrire qualsiasi dubbio, prima che questi diventassero una realtà per lui, cominciava ad elencare tutte le cose che sapeva essere realmente vere.
Peeta non comprendeva perché il dottore non avesse detto anche a lui di fare questa sorta di gioco, forse credeva che sarebbe stato inutile vista la sua condizione? Eppure, una volta capito il meccanismo, grazie a Katniss, era stato semplice farlo diventare parte di sé. Come se non potesse fare altro.
Così, tra percepire il profumo della pelle di Katniss, sentire il dolore fisico delle sue stesse unghie sulla pelle e ripetersi infinite volte quelle frasi, la ragione tornava in lui e riprendeva ad essere il solito Peeta.
Ed era contento di aver trovato un modo per non farle pesare tutta la sua confusione ed il suo dolore. Anche lei ne aveva passate troppe e Peeta doveva essere forte. Per lei. Perché non aveva più nessuno. Erano rimasti da soli. Non potevano fare altro se non sorreggersi a vicenda, pronti a proteggersi l'uno con l'altro, ma se Peeta poteva evitare di farla preoccupare, allora lo faceva e cercava di tenere per sé gli incubi.
Peeta non voleva che i suoi incubi si andassero ad aggiungere a quelli che Katniss già aveva.
Lui lo sapeva che l'avrebbe fatto, che si sarebbe data la colpa per i suoi problemi.
Delle volte, però, non poteva fare a meno di pensare che fosse solo ed esclusivamente colpa sua, di Katniss, se aveva perso così tanto, se era diventato ciò che non avrebbe mai voluto diventare. Questi pensieri lo divoravano dall'interno perché non era colpa del depistaggio se lo credeva.
Inizialmente era convinto che fosse dovuto tutto al lavaggio del cervello, ma con il tempo aveva notato che erano sempre presenti, non riusciva a scacciarli con il mantra o facendosi male. Rimanevano lì, nascosti nella sua mente, e lui cercava solo d'ignorarli.

Peeta entrò nell'abitazione e si diresse immediatamente in cucina, mise sul fuoco l'acqua per la pasta ed il sugo.
Era ora di pranzo ed odiava dover mangiare da solo, così, visto che Katniss aveva deciso di andare a caccia, si era recato a casa del suo ex mentore che dormiva bellamente sulla poltrona con ancora tra le mani una bottiglia vuota.
Aveva la bocca aperta e, di tanto in tanto, russava. Aveva persino degli spasmi muscolari dovuti, con tutta probabilità, agli incubi che affollavano anche la sua mente. Perché anche lui li aveva. Tutti loro avrebbero dovuto convivere per sempre con tutto il dolore che avevano dovuto sopportare per colpa di Capitol City.
L'alcool lo aiutava ad andare avanti, era per lui come un sedativo, alleviava temporaneamente il suo dolore.
Peeta girò il sugo affinché non si attaccasse ai bordi della pentola e gettò la pasta dentro l'acqua bollente e si ricordò che tra qualche mese sarebbe arrivata anche lei.
Una volta all'anno, per l'anniversario della caduta di Snow, Effie si recava nel Distretto 12 e trascorrevano insieme la festa. Come se ci fosse stato davvero qualcosa per cui festeggiare. Si sedevano tutti e quattro intorno al tavolo, mangiavano, bevevano ed Effie cercava sempre di alzare l'umore del gruppo, senza grandi risultati.
Lei non era cambiata poi così tanto, si ritrovò a pensare Peeta, spegnendo il fuoco del sugo. Non indossava più le sue solite parrucche che la facevano sembrare un pagliaccio ed i suoi capelli biondi le cadevano sulle spalle, lisci e curati. Persino il trucco era meno evidente, anche se non del tutto scomparso, ma anche lei non era più la Effie di una volta. Era meno esuberante, anche se la voce acuta non gliel'avrebbe tolta mai nessuno.
Si ricordò di quando Katniss, con il suo solito tatto, aveva chiesto perché ci tenesse tanto a quel pranzo. Effie aveva sgranato gli occhi a quella domanda e, per un momento, aveva perso il suo sorriso – che era più spento di quello di un tempo –, poi era tornata a sorridere, come se niente fosse, come se Katniss non l'avesse ferita, e aveva risposto, alzando la voce di qualche ottava: «Ma mi sembra ovvio, Katniss cara! Perché siete miei amici e vi voglio bene!»
In quel momento, Peeta aveva pensato che probabilmente loro erano i suoi unici amici e non aveva potuto fare a meno di non sentirsi triste per lei.
Tutti loro avevano perso qualcuno durante la rivoluzione. La guerra non aveva risparmiato nessuno.
Quando il pranzo fu pronto, Peeta si avvicinò a Haymitch, gli tolse la bottiglia dalla mano e lo scrollò, tentando di svegliarlo.
Haymitch provò a colpirlo con un pugno che Peeta riuscì facilmente ad evitare, ormai abituato alle sue moine affettuose da appena sveglio.
«Ragazzo, non hai alcun ritegno per le persone che dormono», affermò, alzandosi in piedi e pulendosi i lati della bocca con la mano. Si trascinò in sala da pranzo e, quando sentì il profumo del cibo, si sedette per cominciare a mangiare.
Ogni volta che si svegliava dopo una sbornia, aveva una fame da lupi. Avrebbe potuto mangiare di tutto, l'importante era riempirsi lo stomaco.
Pranzarono prettamente in silenzio, Haymitch non aveva nulla da dire ed ancora doveva svegliarsi del tutto.
Peeta sospirò, involontariamente, ripensando alla notte trascorsa, ritrovando il pensiero che lo divorava.
Haymitch smise di mangiare per osservarlo, come se si stesse concentrando per leggergli nella mente.
«Allora, che cos'hai?» Sbuffò, infine.
Peeta incontrò il suo sguardo e tentò di sorridere, «nulla», rispose senza enfasi.
«Non è vero che non hai niente. Ti conosco bene, lo sai?»
Ed era vero, Haymitch lo conosceva. Lo capiva e forse non avrebbe giudicato. Forse, con lui, con il suo mentore e amico, avrebbe potuto parlare.
«È tutta colpa di Katniss», sentenziò alla fine, volendosi andare a nascondere subito dopo. Probabilmente Katniss lo aveva plagiato con la storia del nascondersi negli anfratti perduti della loro casa, quando si sentiva crollare.
«Oh, il depistaggio», dichiarò tranquillo, ricominciando a mangiare la pasta.
«No, Haymitch, è proprio questo. Non è il depistaggio».
Con quelle poche parole ritrovò la sua attenzione e lo vide inarcare un sopracciglio.
«Ti sei per caso disinnamorato della tardona? Proprio ora che sembrerebbe abbia capito di voler stare con te?»
«No. Amo Katniss, non è questo...»
«Allora cosa? Non te la dà e sei frustrato?» Lo interruppe, brusco come suo solito.
«Haymitch!» Lo rimproverò, alzando di poco la voce, ormai era abituato alle frecciatine a sfondo sessuale che gli lanciava e non ci faceva poi più tanto caso, ma quel giorno gli davano fastidio.
Haymitch sbuffò, «d'accordo, d'accordo. Ti ascolto, ragazzo»
Peeta deglutì, come se improvvisamente avesse perso il coraggio di parlare, come se non riuscisse a mettere più in fila due parole di senso compiuto. Probabilmente Katniss l'aveva plagiato anche sotto quell'aspetto. Lui non era quello che sapeva sempre cosa dire?
«Lo sai che io e Katniss abbiamo parlato prima dei settantaquattresimi Hunger Games?»
Haymitch fece finta di essere interessato, «oh, beh, sì. Parlavate, lei faceva la rustica e tu il povero ragazzo innamorato. Quindi?»
Peeta sorrise involontariamente pensando a Katniss la rustica, non che poi fosse cambiata tantissimo.
«Siamo andati in terrazzo e le ho detto che non volevo che mi cambiassero. Non volevo essere una loro pedina...», e invece l'avevano fatto. L'avevano torturato, l'avevano reso ciò che non voleva assolutamente diventare.
Haymitch non parlò, attese che Peeta continuasse, che finisse il discorso.
«Haymitch, non riesco a fare a meno di pensare che io sia diventato una pedina proprio per colpa di Katniss e questo pensiero mi sta distruggendo».
Lui si alzò e cominciò ad avviarsi in sala.
«Peeta, ma è così», affermò dandogli le spalle, «ti hanno depistato proprio per far crollare lei e ci sono riusciti. Lei è crollata».
«Quindi è davvero colpa sua», Peeta lo raggiunse e prese posto sul divano.
«Involontaria. Una colpa involontaria, ragazzo. E lo sai com'è fatta. Lei si sente male per questo, si incolpa davvero, come se fosse stata lei a dire a Snow: depistatelo», fece una pausa ed appoggiò i gomiti sulle sue gambe, «lei non deve sapere che pensi che sia colpa sua».
Peeta si portò una mano tra i capelli, alcuni vennero strappati dalla sua stessa mano, ma non gli dispiacque, né sentì dolore.
«No. Non lo farei mai, ma mi sta uccidendo questa consapevolezza. Non vorrei e dovrei nemmeno pensarlo».
Haymitch lo osservò e per un po' rimasero in silenzio. Peeta pensava a tutto ciò che gli era accaduto, a tutto quello a cui aveva dovuto assistere, alla morte dei senza-voce, alle torture che gli avevano inflitto. Tutto quello per far spezzare lei, Katniss.
E l'avevano deciso soltanto perché credevano che lei fosse realmente innamorata di lui, ma non era così. Lei non lo amava, non ancora. Era tutta una recita, eppure era riuscita a convincerli del suo amore e l'unico che ne aveva pagato il prezzo era lui che, a differenza di Katniss, l'amava davvero, con tutto se stesso.
«Perché si è spezzata?» Domandò senza pensarci, «lei non provava nulla per me. Perché avrebbe dovuto spezzarsi?»
«Siete due sciocchi», sentenziò Haymitch, alzandosi per versarsi qualcosa di alcoolico nel bicchiere, «state sempre a sentirvi in colpa per qualcosa che era al di sopra delle vostre possibilità. Si è spezzata perché ti amava, anche allora, ma non se ne rendeva conto, non voleva ammetterlo. In fondo è pur sempre una tardona. Sai, ti vedevano come un traditore. Lei ha contrattato per farti avere la grazia. Ti ha salvato la vita. Ti ha salvato la vita nei primi Hunger Games, e nei secondi eri la sua priorità! È venuta da me col dire che dovevamo proteggerti, io e lei! O quando ha avuto quella crisi isterica quando sei andato contro il campo di forza e stavi per lasciarci le penne. E dovevi vederla come mi ha conciato quando ha scoperto che avevamo salvato lei dall'arena e non te. Ero pieno di graffi. Ti sembra un comportamento di una ragazza non innamorata?»
Peeta rimase in silenzio ad ascoltarlo, con lo stupore nell'appurare quanto Katniss tenesse a lui. E Peeta non se ne era mai reso conto. Non servivano i baci o le parole per sapere che lei provasse qualcosa. Bastavano i fatti e, a quanto pareva, la lista era davvero lunga.
Ascoltare Haymitch elencare tutte le cose che Katniss aveva fatto per lui era stata come una doccia fredda, gelata. Che poi lei ci avesse messo una vita a rendersi effettivamente conto di provare qualcosa per il ragazzo del pane era un altro discorso.
Katniss l'amava e, ormai ne era certo, lo faceva anche prima di avere la necessità di averlo sempre affianco.
L'avevano usato per colpire lei perché, come lui, anche lei era la ragazza innamorata e nemmeno se ne rendeva conto. Peeta era diventato tutto quello che non voleva essere per colpa di Katniss, anzi per colpa dell'amore che lei nutriva nei suoi confronti.
Peeta non l'aveva mai pensata in questo modo, aveva sempre creduto che non l'amasse, che fingesse per le telecamere, come durante i primi Hunger Games. Non poteva immaginare che, invece, avesse cominciato a nutrire quei sentimenti per lui. Per non parlare della sua confusione nei confronti di Gale. Insomma, come poteva lontanamente immaginare che Katniss lo amasse senza rendersene davvero conto?
«Sei caduto in catalessi?» Domandò Haymitch sventolandogli malamente una mano davanti al viso.
«Scusa, ero assorto nei miei pensieri», rispose, sentendosi un po' scombussolato. Poi pensò a Haymitch, così menefreghista soltanto in apparenza. Lui non aveva mai smesso di far loro da mentore, da amico. Haymitch era diventato il suo consigliere, pronto ad ascoltarlo e a dargli consigli ogni qualvolta ne avesse bisogno. Certo, lo faceva tra un insulto ed un altro, ma era un buon amico e non chiedeva nulla in cambio. Soffriva anche lui, ma non mancava mai di trovare una buona parola per tirarlo su di morale.
«Grazie, Haymitch», dichiarò alzandosi in piedi e strusciando i palmi delle mani sui pantaloni.
«Non me ne faccio nulla dei tuoi ringraziamenti, ragazzo. Portami una bottiglia di vino bianco, allora forse potrei prenderli in considerazione».
Peeta ridacchiò, «la prossima volta non mancherò di portartela».
«Perfetto. Però le tue pare mentali lasciale a casa che mi sono rotto di sentirti lamentare. Ho già tanti pensieri di mio», brontolò scostando la tenda, «credo che sia ora di andare a casa tua a farti la tua donna, ragazzo. Sembra che abbia un palo su...»
«Haymitch!» Lo interruppe bruscamente.
«Oh, andiamo. Lo sai che è vero, ma l'ami così com'è, no?! E sicuramente sai che non è colpa sua ciò che ti è successo, vero?»
«Vero», rispose aprendo la porta così da poter tornare a casa sua e sapeva che avrebbe abbracciato e baciato la donna che amava con una nuova consapevolezza. Riconoscere che la colpa non era sua o di Katniss per ciò che Capitol City gli aveva fatto, era colpa del loro amore, di ciò che provavano l'uno per l'altro.
«Ciao», lo salutò Katniss, vedendolo rientrare. Stava pulendo le sue prede: due scoiattoli.
Peeta la raggiunse e l'abbracciò. Solitamente, soprattutto quando era colto dai flashback, era lui quello che sussultava per un contatto e non lei.
«Che c'è?» Domandò stringendolo a sua volta.
«Nulla. Volevo abbracciarti».
«Ah, d'accordo», rispose con poca enfasi, come suo solito, e Peeta non poté fare a meno se non sorridere, baciandole la fronte. Lei era fatta così, non era proprio capace ad esternare i suoi sentimenti. Non sempre, almeno.
Così, Peeta cominciò a baciarle le guance, il naso, l'incavo del collo, accarezzandole nel frattempo i fianchi e la schiena, delicatamente, provocandole la pelle d'oca.
Quando si ritenne soddisfatto, unì le sue labbra con quelle di lei, che contraccambiò il bacio, schiudendo poi la bocca. Gli portò le mani tra i riccioli biondi e cominciò e giocare con essi, scompigliandoli ed intrecciandoli, ma a lui non importava.
Si allontanò di poco dalle sue labbra e sorrise, «Tu mi ami, vero o falso?»
Katniss sussultò nuovamente ed abbassò subito lo sguardo, rossa in volto, molto probabilmente.
Peeta, per un momento, ebbe paura che volesse scappare, andare a nascondersi da qualche parte pur di non rispondere a quella domanda che mai, sino ad allora, le aveva posto, forse anche per paura della risposta.
«Vero», quasi non la sentì per quanto piano aveva parlato, ma sorrise ed appoggiò la sua fronte contro quella di lei.
«Ti amo anche io, Katniss», la voce gli tremò per l'emozione, prima di stringerla più forte e di ritornare sulla sua bocca.
Lei lo amava ora come l'aveva amato in passato, la differenza era che oggi era palese e non più nascosto nel punto più nascosto della testa e del cuore.

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Indovinate un po' quando mi è nata l'idea per questa fanfiction. Sì, esatto, di notte, come al solito. Ho pensato a Peeta, a quanto bello, buono, bravo sia, ma poi ho anche pensato "Ehy, ma è una persona, possibile che non pensi mai che la colpa per tutto ciò che gli è accaduto sia di Katniss?"
Così, dentro la mia testa i criceti hanno cominciato a girare la ruota ed ho visto Peeta, con i sensi di colpa perché dà la colpa a Katniss (è tutto un giro di colpe xD) per essere diventato la pedina di Capitol City quando comunque l'ama da morire. E poi ho immaginato Haymitch, quel grande uomo (lo amo), che, tra un insulto ed un altro, consola e fa da psicologo ai suoi due bambini. Poi, subito prima di addormentarmi, ho visto l'immagine di Peeta e Haymitch baciarsi con passione e non chiedetemi il perché visto che non lo so nemmeno io. xD Ma questa cosa non credo che avrei mai potuto inserirla nella fanfiction. LOL
Ad ogni modo, non appena ho avuto il tempo mi sono messa a scrivere e sappiate che questo finale non era previsto. Insomma, io volevo parlare di Peeta che pensa che sia tutta colpa di Katniss e di Haymitch che gli fa da consigliere con i suoi soliti modi gentili, non avrei mai pensato che, per la fine della fanfiction, avrei descritto la scena della dichiarazione e, vi assicuro, che è venuta fuori da sé. xD
Spero che la fic vi sia piaciuta e, come al solito, ringrazio tantissimo Ili91 per il betaggio e per avermi fatto da consulente per il titolo :3 Grazie mille, cara!
Baci
Deb
   
 
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