Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Kim WinterNight    18/10/2013    5 recensioni
Una semplice one-shot romantica dove la musica reggae è la chiave di un ringraziamento e di un incontro che potrebbe cambiare la vita di un giovane cantante e di una ragazza che lo osserva dal pubblico.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il ragazzo baciò la sua fidanzata sulle labbra prima di salire sul palco.

Quel giorno sentiva di amarla più del solito, ogni volta che lei presenziava ai suoi concerti avvertiva quella familiare e rinfrancante sensazione.

Seguì i suoi amici e compagni di band e salutò il pubblico, scuotendo con fare teatrale i lunghi e scarmigliati dreadlocks corvini.

Era vestito di bianco, come sempre accadeva nelle sue performance con il gruppo. I suoi colleghi non erano da meno, il loro era una specie di costume di scena che li rendeva particolari e quasi eterei, come qualcuno si era divertito a scrivergli sulla sua pagina facebook.

Il giovane cantante si accostò al bordo del palco e cominciò a parlare, mentre i musicisti suonavano le prime note di un pezzo inedito che la band aveva deciso di presentare per la prima volta quella sera. Avrebbe fatto parte del loro prossimo album e lui ne era particolarmente orgoglioso: l’aveva composta in gran parte da sé, utilizzando il patois giamaicano che tanto amava. Aveva un talento naturale, riusciva ad esprimersi in quel linguaggio che lo aveva da sempre affascinato, arrivando al punto di preferirlo all’italiano.

Così cominciò a cantare e ad esprimere tutto se stesso attraverso quelle parole, quel testo che era tutto una protesta contro un sistema che stava stretto a lui e a milioni di persone nel mondo.

Il suo pubblico gridava e ballava al ritmo della calda e trascinante musica reggae che i suoi amici suonavano alla perfezione, rendendo il tutto proprio come lui lo avrebbe voluto.

Si sarebbe complimentato con loro, dopo. Glielo doveva.

Quella era una delle sue canzoni, la adorava, non poteva farci niente.

La musica cessò con un magistrale assolo di batteria e il ragazzo sorrise, soddisfatto. Allargò le braccia e rivolse per la prima volta una lunga occhiata al pubblico. Li amava, tutti, era grazie a loro che trovava la forza per andare avanti ogni giorno.

Erano tantissimi. Inizialmente non se n’era accorto, eppure di fronte a sé si estendeva una marea interminabile di gente.

Regalò ancora un sorriso alla folla e lasciò il posto agli altri due cantanti.

 

 

 

 

Lei non poteva crederci.

Finalmente, dopo due anni che ascoltava quel meraviglioso gruppo reggae, era riuscita a realizzare il suo più grande sogno: andare ad un loro concerto.

E conquistare la prima fila, ovviamente.

Si reggeva con forza alla transenna, come se temesse che qualcuno gliela strappasse dalle mani.

In effetti, non aveva tutti i torti: la gente era impazzita, i musicisti e cantanti riuscivano a trascinare la folla in maniera così naturale e fuori dal comune che la ragazza stentava a credere che potessero davvero farlo.

Un sorriso ebete le si era stampato sul viso e non riusciva ad abbandonarla, nonostante la sua amica le lanciasse occhiate interrogative e scoppiasse spesso a ridere nell’osservarla.

Dopo un po’, tuttavia, smise di far caso a lei e si lanciò a ballare al ritmo di musica, infischiandosene delle spinte e i colpi che ogni tanto regalava ai suoi vicini.

La ragazza credette di svenire quando lui si avvicninò a bordo palco.

Era bellissimo, non riuscì a trovare altri termini adatti a descriverlo. Il bianco gli donava, contrastava con i suoi occhi scuri e i capelli corvini.

Era stato fin da subito il suo preferito. Quella voce, dolce e allo stesso tempo graffiante, l’aveva stregata in quel lontano giorno in cui la udì, quasi per caso.

Da allora non aveva smesso di ascoltarla, mai, quella voce. Lui rappresentava per lei il reggae, in tutte le sue sfumature.

Nonostante fosse un artista locale, a lei non era mai importato. Queste cose l’avevano sempre lasciata indifferente, ciò che contava era la sostanza, ciò che lui da sempre era riuscito a comunicarle.

Cercò il suo sguardo ma lui cantava tenendo gli occhi chiusi, come se si trovasse in una fase di trance, in cui si fondeva completamente con la musica.

La ragazza non conosceva il pezzo che lui stava interpretando e già lo amava.

Decise di serrare le palpebre, voleva concentrarsi soltanto sulla sua voce, voleva provare a sentirsi come lui, almeno per un istante.

Un miscuglio di emozioni indefinite si impossessò di lei, così prese a ballare senza neanche accorgersene, senza rendersi conto di niente e di nessuno.

Tutti erano scomparsi, esistevano soltanto loro due.

In quel momento comprese appieno il significato del perché la musica servisse ad unire, non a dividere.

 

 

 

 

Il ragazzo scosse i capelli e tornò ad impadronirsi del palco, insieme ad uno degli altri due cantanti.

Si stava divertendo un mondo e il calore del pubblico lo stava mandando su di giri, misto alle reggae vibes.

Avrebbe voluto rimanere lì per sempre.

Si accovacciò a bordo palco e fece mostra di tutte le sue capacità canore, interpretando uno dei pezzi più famosi della band con il cuore e l’anima.

Fu allora che la vide.

Stringeva la transenna e ballava a ritmo, senza mai staccare gli occhi da lui.

Incrociò il suo sguardo e si sentì morire. quegli occhi gli trasmisero un’ammirazione, una devozione e un rispetto che non aveva mai scovato altrove.

Neanche in quelli della sua fidanzata.

Sostenne quello sguardo carico di significato per qualche istante, poi non ne fu più in grado e fu costretto ad abbandonarlo, puntandolo altrove.

Si rese conto che stava sudando freddo e che il cuore aveva accelerato i battiti.

Si raddrizzò e decise di passeggiare un po’ sulla piattaforma, mentre continuava a cantare come se niente fosse successo.

Dentro sé, però, non poteva ignorare il vortice di emozioni che gli si agitava nello stomaco.

Quella ragazza lo aveva letteralmente spiazzato.

Non riusciva a capire cosa ci fosse di diverso in lei o cosa quegli occhi color cioccolato gli avessero realmente voluto dire.

Fu certo soltanto di un fatto, in quell’istante: voleva saperne di più.

 

 

 

 

Lui l’aveva guardata.

Non poteva essere vero, doveva esserselo immaginato, non c’erano altre spiegazioni.

Si bloccò di colpo in mezzo alla folla, cercando di riprendere fiato.

Dovette accettare che lui aveva incrociato il suo sguardo.

E doveva rendersi conto di ciò che vi aveva letto: confusione, sorpresa e un pizzico di panico.

Non aveva idea di quale espressione avesse dipinta in viso, eppure era certa che gli avesse rivelato più di quanto in realtà avrebbe voluto.

Era sempre la solita, non riusciva mai a tenersi niente per sé. Non aveva bisogno di proferire parola per esternare i suoi pensieri e i suoi sentimenti: i suoi occhi avevano sempre parlato troppo.

Si riscosse dai suoi pensieri e tornò a muoversi, decidendo che ormai il peggio era passato e che poteva deliberatamente osservarlo, ne aveva tutto il diritto.

Insomma, era andata là appositamente per vederlo, perché mentire a se stessa? Non gli avrebbe mai parlato e probabilmente non lo avrebbe mai più potuto osservare così da vicino, perciò non aveva motivo di vergognarsi.

Lui era bello, era anche colpa sua se la ragazza sorrideva e imprimeva ogni suo movimento nella sua memoria.

 

 

 

 

Quello sguardo cominciava ad imbarazzarlo.

Aveva deciso: voleva saperne di più.

Non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto evitare la sua fidanzata dopo il live, però doveva trovare un modo.

Cosa gli stava succedendo? Perché gli importava così tanto di quella sconosciuta che lo fissava sfacciatamente, come fosse una stalker?

Doveva essere una delle solite fanatiche, sicuramente lo era.

Tuttavia, il giovane cantante non riusciva a credere alle sue stesse elucubrazioni: stava pensando ad un sacco di sciocchezze, mentre tutto ciò che voleva era placare la curiosità che si insinuava sempre più in lui.

Ad un certo punto, decise di ricambiare quello sguardo: cos’aveva da perdere? E poi, se lei era così spudorata, perché lui non poteva esserlo?

Tentò debolmente di ricordare a se stesso che era impegnato, che quel comportamento non era accettabile da parte di una persona innamorata della propria compagna.

Ma quelle proteste furoni tanto deboli quanto inutili, così si arrese e diede il via ad un gioco di sguardi fuori da ogni aspettativa.

 

 

 

 

Non si era sbagliata.

Finalmente lui prese a guardarla e lei decise di giocarsi tutte le carte.

Non stava facendo niente di male, del resto. C’erano centinaia di ragazze che ballavano e non si reggevano quasi in piedi, vinte da alcol e droghe varie.

Se lui aveva scelto di rivolgere la sua attenzione proprio a lei, meglio! Cos’avrebbe potuto desiderare di più?

Sollevò il mento, fiera, e cominciò ad ancheggiare e agitare il corpo nella maniera più sensuale possibile, lanciandogli occhiate languide e piene di significato.

Stava impazzendo, era certa che il giorno seguente se ne sarebbe pentita e si sarebbe maledetta per il resto della settimana e dell’anno.

Ma in quel momento no, non riusciva proprio a pentirsene.

Oh, quanto adorava sentire il suo sguardo addosso! Non le era mai capitato di provare sensazioni così elettrizzanti; il suo corpo, ormai, si muoveva in maniera quasi autonoma e prendeva fuoco ogniqualvolta che lui posava gli occhi su di lei.

Voleva provocarlo, voleva fargli capire cosa lui significasse nella sua vita.

Era solo per quel giorno, solo per un paio d’ore, solo per quella notte.

Il fumo era denso, l’aroma di marijuana le inondava le narici e, probabilmente, anche il cervello.

Stava diventando matta.

 

 

 

 

Il ragazzo non ne poteva più.

Cominciò a contare i pezzi, sperando che il concerto finisse il prima possibile.

I suoi colleghi sembravano non essersi resi conto di nulla. Meglio così.

Ma lui voleva scendere da quel palco e andare a parlarle.

Doveva farlo.

Si stava comportando in una maniera che contrastava nettamente con ciò che lui aveva percepito, incrociando per la prima volta i suoi occhi.

Ballava come una matta, mettendo ampiamente in mostra le sue forme e facendogli intendere gran parte delle sue grazie.

Stava morendo di caldo.

Erano i fari, sì, sicuramente era quello il motivo del calore intenso che gli avvolgeva il corpo.

Ed era anche lui, che si muoveva continuamente e si emozionava a cantare i pezzi che aveva composto.

Sì, doveva essere così.

Chi voleva prendere in giro?

Era quella ragazza, quella dannata ragazza che lo stava mandando su di giri e lui ancora non riusciva a spiegarsi il perché.

Il concerto, intanto, volgeva al termine e lui era stranamente felice.

 

 

 

 

Lo spettacolo finì.

Le voci degli spettatori lasciavano intendere che non erano entusiasti di ciò, perciò incitavano i musicisti a riprendere.

Ma ormai era tardi e lei, senza curarsi della sua amica, lanciò un ultimo sguardo al ragazzo dai lunghi dreadlocks corvini: doveva salutarlo, se fosse rimasta ancora là sentiva che non avrebbe retto e che le lacrime sarebbero sgorgate dai suoi occhi.

I giochi erano finiti. Aveva scherzato e si era divertita, ma era giunto il momento di andarsene.

Facendosi spazio tra la folla, si avviò verso l’uscita dello spiazzo in cui era stato organizzato il concerto.

Aveva freddo, ora, moriva dal freddo e sentiva la pelle d’oca.

Quello che era successo doveva essere stato soltanto un sogno, altrimenti non si sarebbe sentita così vuota e sola in mezzo a centinaia di persone.

 

 

 

 

Lui la vide scappare e approfittò della confusione per seguirla.

Perché se ne andava?

Più quella storia andava avanti, più si sentiva confuso: per prima cosa gli aveva comunicato sentimenti profondi, poi si era lasciata andare sulla pista e lo aveva provocato, ora fuggiva via come se lo temesse.

Non ci capiva più niente.

Scese dal palco e si avviò di corsa, perdendosi nell’oscurità.

Gli parve di udire qualcuno che pronunciava il suo nome ma lo ignorò.

Corse lontano dalla folla, non voleva essere visto né fermato da quella marmaglia informe che ancora sollecitava la band a suonare qualche altro pezzo.

Lui non ne aveva più voglia.

La cercò con lo sguardo, domandandosi da che parte si fosse diretta. Non poteva averla persa.

Intravide in lontananza una figura che camminava a passo lento.

Era lei, senza dubbio. La riconobbe dal modo aggraziato di muoversi.

Non gli fu difficile raggiungerla.

“Ehi, aspetta, fermati!” si ritrovò a gridare, correndo come un pazzo.

La ragazza si fermò, irrigidendosi e lui fu quasi sul punto di schiantarsi contro il suo corpo.

 

 

 

 

Si bloccò di scatto, allarmata.

Non poteva essere lui, sicuramente era la sua amica che la cercava.

Si voltò lentamente, cercando di non perdere la calma e la padronanza di sé.

Due occhi nero pece incontrarono i suoi e la ragazza rabbrividì profondamente, riconoscendoli all’istante.

Indietreggiò, portandosi le mani al viso.

Era impossibile, lui non poteva essere lì, non era concepibile che le fosse andato dietro.

Il ragazzo sorrideva debolmente, senza muoversi.

Lei deglutì, pensando che forse avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Come poteva spiegargli ciò che aveva combinato? Si sentì improvvisamente sporca e si vergognò di tutto quello che aveva fatto, della sua spudoratezza e sfacciataggine. Aveva sbagliato tutto.

Abbassò lo sguardo, arrossendo violentemente.

“Scusa” sentì mormorare al ragazzo. “Non so perché ti ho seguito.”

Sollevò di scattò il mento.

Lui scosse il capo e fece per andarsene.

“No, aspetta” lo implorò.

 

 

 

 

Si sentiva stupido e ridicolo ad esserle corso dietro.

Doveva andarsene e farla finita con queste stupidaggini.

Cambiò idea nell’esatto istante in cui la dolce e calda voce della ragazza lo implorò di restare.

Cercò di respirare regolarmente, tutte quelle emozioni lo stavano destabilizzando in maniera irrimediabile.

“Sono io che devo scusarmi, sono stata sfacciata” disse lei, regalandogli un debole sorriso.

“Non importa. Mi è piaciuto il tuo essere sfacciata.”

Ma cosa cazzo stava dicendo?

Lei parve impallidire, poi avvampò di colpo. “Da-davvero?” balbettò.

I due si scambiarono uno sguardo eloquente.

“Sarò sincera con te. Mi piaci, da sempre. Ero consapevole che tu fossi bello, ma diciamo che le foto non ti rendono giustizia.” Non riusciva a smettere di sorridergli e fece un passo avanti.

Anche lui si sentì di colpo rilassato, come se la conoscesse da sempre, come se sapesse di potersi fidare di lei.

“Quanti complimenti” sussurrò, rivolgendole un sorriso malizioso.

“Li meriti tutti. Grazie di tutto, era questo che volevo dirti.”

“Sei venuta qui, stasera, solo per ringrazirmi?”

“In realtà speravo di poter parlare con te” ammise lei, allungando una mano.

Lui, di slancio, la strinse. “Mi fa piacere.”

La ragazza distolse lo sguardo e scoppiò a piangere, cercando di divincolarsi dalla sua presa.

Lui rimase immobile, non sapendo cosa fare.

 

 

 

 

“Perché piangi?” si sentì domandare lei, mentre lui rafforzava la stretta sulla sua mano.

Io… io non lo so” balbettò.

D’improvviso, due braccia la avvolsero e credette di svenire per la milionesima volta nel giro di due ore.

Si lasciò andare contro la sua spalla, tremando senza sapere se per il freddo o per l’eccitazione.

Lui non era tanto più alto di lei e la corporatura minuta contrastava nettamente con il calore e il conforto che lei trovò stretta al suo corpo.

Si aggrappò a lui, non le importava che lui fosse sudato, dopo l’estenuante concerto, non le importava di niente ormai.

Con le guance rigate di lacrime, sollevò il viso e sfiorò il suo viso con la punta delle dita, stentando a credere che lui fosse reale.

Poi, si accostò a lui e carezzò per un istante le sue labbra, senza staccare gli occhi dai suoi.

“Soltanto per questa sera” mormorò la ragazza.

“Soltanto per questa sera” ripeté lui.

Stretti in quell’abbracciò, si persero in quella notte infinita e senza stelle.

 

 

 

 

 

 

­­­

Salve a chiunque sia arrivato alla fine di quest’esperimento.

L’ho scritto di getto e mi è venuto dal cuore, pensando ad una persona che con la sua voce e la sua musica cambia continuamente la mia vita, ogni giorno mi è accanto, nonostante lui non lo sappia.

Vorrei ringraziarlo, anche se probabilmente non leggerà mai queste ridicole parole e, seppur ciò dovesse accadere, non saprà mai chi è questa folle da cui sono state prodotte.

Bene, vi ringrazio per avermi sopportato, un saluto e un grazie a tutti coloro che leggeranno/recensiranno.

A presto,

Kim =)eraanto per questa nottequella notte infinita e senza stelle.a staccare gli occhi dai suoi.

entando a credere che lui fosse rea

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight