NOTA DA
LEGGERE: questa
fanfiction è una sorta di
esperimento di scrittura scritta parecchio tempo fa. Più che
un racconto è una
lunga metafora…perciò anche se
all’inizio vi potrà sembrare un po’
strana alla
fine tutto si chiarirà…o almeno spero!
Comunque
fatemi sapere cosa ne
pensate….Baci.
CONQUISTA
di Natsu
La debole
luminescenza diffusa dalla candela per metà consumata
riusciva a
malapena
a rischiarare l’ambiente.
Non che vi
fosse
qualcosa di notevole nell’arredamento spartano,
impersonale e
freddo
che si trovava all’interno della tenda: tra i bauli
spiccava
però un
largo tavolo in legno massiccio
completamente
coperto da carte rappresentanti
oggetto
dell’intensa
contemplazione di una figura di cui, a causa della penombra, non si
potevano
scorgere i tratti.
Vestito di
un’uniforme nivea ornata di passamanerie color
dell’oceano, il comandante
in capo di
quell’esercito si preparava a dare battaglia
programmando
attentamente la mossa successiva.
Le trattative
diplomatiche si erano interrotte
ma lui non
aveva
intenzione di rinunciare.
La voleva.
Voleva quella terra prospera,
assolata e viva.
Non tollerava
più i
ghiacci della sua patria natia.
Per questo si
era
avvicinato a quella città che, nella luce del
tramonto,sembrava ardere
avvolta dalle lingue di
fuoco del sole
morente.
Si era
avvicinato
con cautela
- andando in
avanscoperta –
per avere
l’occasione di penetrare quelle barriere.
Come la volpe
che studia da
lontano la sua preda,
pronta a
scattare al
momento opportuno per catturarla quando incautamente si avvicina.
Ma si sa,
anche le
volpi più
astute
possono
finire nella
tagliola.
Così,
anche lui, si
era lasciato catturare.
Aveva
lottato,
cercando di liberarsi dai legacci della trappola.
Non aveva
risparmiato calci, pugni e insulti.
Ma era stato
tutto
inutile,
era
impossibile
sottrarsi a quella trama di sensazioni di cui era prigioniero.
E allora
aveva
cambiato tattica.
L’aveva
“annusata”
quella sua preda
Aveva
cominciato a
muoversi, sinuosamente, intorno
a lei.
Ammaliandola
Avvincendola
Costringendola
a
rendersi conto della sua esistenza
…a
guardarlo,
…a
vederlo.
E le porte di
quella
città
si erano
socchiuse.
Poi…l’imprevisto,
come in ogni
strategia militare.
Un intruso.
Aveva cercato
di
aprirsi un varco per quella città
Ma come la
volpe
allontana dal suo territorio di caccia l’odiato porcospino,
così
lui aveva avuto
ragione del terzo incomodo.
Ed
ora…si apprestava
a compiere
la mossa
finale,
…l’assalto alla
cittadella…
Quelle mura
bronzee,
bagnate dal sole,
erano
assolutamente
perfette
levigate e
compatte,
apparentemente
invalicabili.
Le feritoie
che si
aprivano lungo il perimetro
erano come
occhi,
di cui non si
poteva
scorgere il colore dell’iride
ma che
splendevano
di un luce brillante di sfida.
Lui osservava
lo
slancio con cui quella struttura si ergeva sull’orizzonte,
ma non
cercava
imperfezioni -perché non ve n’erano -
semplicemente
si
godeva quella visione che a stento credeva realizzata da mano mortale.
Lui osservava
la
possanza di quella struttura
ma non
cercava
scorciatoie – perché non gli piacevano –
lui sarebbe
entrato
dalla porta principale,
giungendo
dritto al
CUORE dell’avversario.
I portali,
anch’essi
color del bronzo, non condividevano
con il
materiale
omonimo solo la tonalità dorata
ma anche la
forza e
la resistenza,
lì
collocati a
proteggere il tesoro
tanto ambito
ad ostacolare
il suo
passaggio
ma lui osava,
si avvicinava
fieramente.
L’ariete
candido,
liberato
dalle sue
costrizioni era stato esposto
ed era ormai
pronto.
Tum…il
primo colpo,
i portali,
indifferenti.
Tum…il
secondo
colpo,
solo un lieve
sussulto.
Tum.
Tum.
Tum.
I colpi di
quell’ariete, possente
compatto e
duro
si
susseguivano in
un ritmo sempre più frenetico.
Le spinte si
moltiplicavano
a distanza
sempre
più breve,
intensi
potenti
…profondi.
Le porte
sussultavano,
gemevano
sempre
più forte
la resistenza
sempre
più fiacca
di fronte a
quell’incalzante,
continuo
ritmo a
pistone.
Colpiva,
spingendosi
in avanti
e le porte,
ormai
scalfite,
si
modellavano sulla
sua forma
accogliendolo
sempre
più in profondità.
Il sudore
scorreva
copioso,
sfiancava
quel ritmo
ossessivo
ma brividi di
euforia restituivano le forza:
la
consapevolezza
che i gemiti provenienti dalla città
preludevano
alla
vittoria.
Ancora tre
colpi…Tum
finalmente uno
spiraglio tra i battenti
Ancora due
colpi…Tum
l’occhio indovinava una
luca calda al di là di questi
Ancora un
colpo…l’ultimo decisivo affondo…Tum
Le porte si spalancavano.
E la luce lo avvolse
completamente, accecandolo.
La
cittadella,
inviolata, era caduta.
Il tesoro era
suo.
“La
mia cittadella” mormorò rocamente Kaede,
scivolando
sfinito ma appagato sul corpo del compagno sotto di lui.
I respiri di
entrambi erano spezzati ed affannosi, il
cuore batteva furiosamente mentre l’euforia e il piacere
dell’orgasmo ancora li
faceva galleggiare in un limbo ovattato.
“Cosa
?” domandò ancora confuso Hanamichi, cercando di
comprendere le parole del suo amore.
“Tu
sei il mio tesoro…ti ho conquistato” gli
sussurrò il
moro, sottolineano la sua dichiarazione con un abbraccio possessivo, le
braccia
avvolte intorno alla vita del rossino a bloccarlo in quella posizione.
“Tu sei
mio…” mormorò per l’ultima
volta, cadendo poi addormentato.
Un lieve
sorriso increspò le labbra di Hanamichi, che nel
sonno che lo stava conquistando ebbe solo la forza di soffiare
nell’orecchio
del suo amore una conferma: “Sì…sono
tuo…mi hai conquistato”.
OWARI
NOTA
CONCLUSIVA: allora avete
capito? Proprio così, un modo un po’ insolito
per raccontare come Ru ha conquistato il nostro Hana.