La muratura del caminetto garantiva che il calore di qualunque fuocherello, anche piccolo come quello che si ritrovava a fissare in quel momento, non andasse sprecato. Allungò le mani bagnate verso la fiammella, accucciandosi sulla moquette: quanto tempo prima era successo qualcosa di simile? Gli sembrava passata un'eternità: allora erano una famiglia, e adesso cos'era cambiato?
Girò lo sguardo su di lei. Sorrideva, in un modo dolce e materno che non le riconosceva, ed era talmente bella, nonostante le occhiaie profonde e la carnagione pallida e tirata, che offuscava tutto il resto, talmente radiosa che gli mancò il fiato per un momento, e al suo ritorno si ritrovò sommerso da un miscuglio di rabbia, di delusione, di rimpianto e persino di invidia.

Il fagotto morbido che Ziva reggeva protettiva e cauta tra le braccia si agitò piano, e ne uscì una manina minuscola, olivastra e paffuta: fu il capo a protendersi per primo ad accarezzarla, la sicurezza dell'esperienza a guidare il suo gesto affatto meccanico. Tony glielo leggeva in faccia, Gibbs vibrava d'orgoglio: per come la sua squadra e i suoi insegnamenti avevano riplasmato il carattere di quella giovane donna di ritorno da Israele, per quella nuova vita, che lo faceva ben sperare nel futuro, e per il suo Primo Pivello, che forse ora non meritava più quell'appellativo.

Non c'erano state regole inventate lì per lì nè di vecchia data a stroncare sul nascere quella relazione. E lui non aveva impedito che la facesse sentire speciale, che le ricordasse che aveva trovato qualcuno su cui poteva finalmente appoggiarsi e cedere al gusto agrodolce della fragilità femminile. Non aveva saputo riempirla d'attenzioni come aveva fatto il suo nuovo rivale. Non l'aveva fatta sentire speciale, o comunque non allo stesso modo.
E Gibbs aveva dato la sua approvazione...di più, la sua benedizione al nuovo arrivato, dimostrando addirittura una fiducia nei suoi confronti maggiore di quella che era sempre stata alla base del suo rapporto con DiNozzo. Faceva male sapere di aver smesso di essere al centro del suo universo, scoprire di esserlo stato per un certo periodo di tempo e non averne neanche saputo godere per tenersi stretta quella libertà che si rivelava per quello che era: una maledizione, un'inutile gabbia dorata, fatta di sbarre come qualunque altra auto-imposizione. Non aveva voluto rischiare di farle del male, perchè aveva intuito che le prove che aveva dovuto sostenere nella sua vita erano già state abbastanza dure da sostenere, ma di fronte a quella meravigliosa ricompensa che sarebbe stata sua per sempre, quanto gli apparivano vacue e prive di fondamento le sue paure...Doveva sapere che, prima o poi, lei si sarebbe stufata di provare ad attirare la sua attenzione, di dimostrargli che loro due erano anime gemelle.
Aveva rinunciato a lei senza nemmeno combattere.

L'aveva persa, e che diritto aveva di dimostrarsi pentito, di dirle a cuore aperto che si considerava un idiota, e rischiare di rovinare la felicità che Ziva aveva faticosamente raggiunto?
L'Ncis non sarebbe mai più stato lo stesso, e forse lui stesso si sarebbe sentito molto più solo da quel momento in poi. Se solo avesse potuto tirare indietro le lancette dell'orologio, sarebbe stato tutto diverso.