Spring – Lo smeraldo dei tuoi occhi
Con
la sua silenziosa venuta, la primavera aveva fatto capolino alle
porte della Soul Society.
Verde e rigogliosa, forte e fiera, essa
spiccava da ogni angolo di quel pianeta opposto e allo stesso tempo
incredibilmente simile alla Terra.
La vita sbocciava, nei boschi
e nei prati. Gli alberi festosi si coprivano di gemme, talvolta già
mutate in fiori, e si potevano vedere i primi cuccioli di ogni specie
saltellare in giro alla scoperta della nuova casa.
I
capitani del Gotei 13 avevano organizzato una grande festa. O meglio,
solo in pochi l'avevano organizzata, e i restanti erano stati più o
meno costretti a parteciparvi.
Era mattina, nel Seireitei. Il
sole era sorto da poco, timidamente, superando le colline e le alture
degli edifici. Era un sole già caldo, un sole pieno di tepore e di
speranza per un nuovo inizio.
In lontananza, si potevano già
avvertire gli schiamazzi dei capitani più irrequieti e festaioli,
che invitavano gli altri a lasciarsi andare, rompendo la maschera di
formalità, almeno per una volta.
Una festa organizzata per vedere
sorgere il sole, brindare alla nuova giornata di vita e bellezza, e
divertirsi senza un motivo preciso. Del resto, ogni scusa era buona
per ritrovarsi e bere un po'.
In mezzo a tutto quel danzare di
colori, risate e fiori, c'era però lei, rannicchiata sul tetto della
propria “casa”, intenta ad osservare il cielo con le ginocchia
strette al petto, il mento appoggiato su di esse.
Era più che
altro un alloggio di fortuna, offertogli gentilmente da Kenpachi,
dopo averla presa in simpatia. Il capo dell'11esima compagnia non era
poi così cattivo, se lo si conosceva per bene.
Aspetterai qui i
tuoi amici, le aveva detto il grande uomo dai capelli neri, non ci
metteranno troppo a tornare. Tuttavia, ogni momento che passava
trovava sempre più stupida la risposta che aveva dato. Andando con
loro si sarebbe distratta, svagata. Stando lì, con tutto il tempo
libero che aveva a disposizione, non avrebbe fatto altre che pensare
all'unica cosa dalla quale cercava di scappare.
«Orihime....noi
andiamo nel mondo umano, vieni...?»
«No, Kurosaki-kun. Vorrei,
ma non me la sento.»
«Come vuoi. Staremo via un paio di giorni,
non sentire la nostra mancanza!»
Aveva accompagnato la frase
con un sorriso, la giovane ragazza dai capelli rossastri. Eppure
Ichigo non aveva notato il suo sguardo, colmo di dolore e di
nostalgia.
Da
poco era stata risolta la faccenda di Aizen. Da poco era sembrata
tornare quella quiete piacevole che avrebbe dovuto permeare in quel
pianeta di spiriti. Ma a Inoue, nonostante la primavera le sorridesse
serena e florida, il sorriso, quello vero, non era ancora tornato.
E
la colpa era semplicemente sua.
Sospirò,
Orihime, stringendosi ancora di più contro alle proprie ginocchia.
Il vociare alle sue spalle s'era fatto più intenso, ma non sprecò
tempo a guardare cosa stava succedendo. Probabilmente, si disse,
avranno già iniziato a bere il Saké.
Il sole si alzava veloce,
contro all'orizzonte. Era un bambino giovane e giocoso, che aveva
tutta la vita davanti e che era impaziente di viverla. Anche lei
sarebbe dovuta esserlo, ma in quel momento, per sua sfortuna, le cose
avevano preso una piega differente.
E i suoi occhi grigi non
poterono fare a meno di diventare umidi al ricordo quei
momenti.
L'Hueco Mundo, letteralmente “Mondo vuoto”,
poteva assolutamente andar fiero del proprio nome.
Distese brulle
e desolanti di sabbia bianca lo percorrevano in lungo e in largo,
facendolo sembrare un oceano di silenzio e morte.
Il cielo finto
creato su Las Noches era patetico e assolutamente falso. Si sarebbe
messa a ridere di fronte ad esso, la rossa, se solo non fosse stata
atterrita dalla paura. Cos'era quel posto, quel luogo di falsi
sorrisi e gentilezza ostentata?
Viveva in una cella, una cella
spoglia e per niente simile alla sua stanza di sempre. Detestava quel
posto, con le pareti vuote. Tutto in quel mondo era vuoto, e perfino
lei stessa lo stava diventando.
Ogni notte aveva paura di
risvegliarsi pazza, di cadere a sua volta nella disperazione di quel
silenzio, di quel nulla. Fu grata ad Aizen, sebbene una parte di lei
continuasse a disprezzarlo, quando iniziò ad inviargli più
frequentemente visite. Visite che la rendevano più felice di
qualsiasi altra cosa.
Si chiamava Ulquiorra. Non sorrideva mai, ne
pareva lasciar trasparire dal suo viso marmoreo alcuna espressione.
La prima volta che l'aveva visto aveva avuto paura, Orihime. Gli era
sembrato come tutti gli altri, in quel posto. Più tardi nel tempo,
però, si era resa conto che lui era l'unica persona che poteva
tenerla in vita, che poteva permettere alla sua mente di rimanere
umana. Lui era l'anima priva di cuore che salvava il suo.
Si
ricordava, però, di una cosa in particolare. La ragazza rimembrava
alla perfezione quei due occhi, tristi e opachi. Hanno lo stesso
colore della primavera, aveva pensato, non dovrebbero essere così
mogi e spenti.
Quella sera di tanto tempo prima non era stata
tanto differente dalle altre. Le aveva portato del mangiare,
sedendosi sul divano a fissarla. Non aveva aperto bocca, come al
solito, limitandosi a distogliere lo sguardo quando lei cercava di
sorprenderlo a guardarla.
Se li sentiva addosso, i suoi occhi.
Forse erano vuoti, ma avevano un potere incredibile e magnetico. I
suoi occhi vivevano. Vivevano
come lui, probabilmente, non sapeva fare. Non poteva che sorridere,
quando lo sentiva parlare di quanto fossero strani e patetici gli
umani. Non poteva che pensare che in una remota parte della sua anima,
forse, anche lui era uno di loro.
Dopo aver bevuto il suo tè gli
si era seduta a fianco, sulla pelle chiara del mobile. Lui continuava
ostinatamente a fissare un punto immobile davanti a sé, mentre lei
scrutava il suo viso, un'espressione curiosa sulla faccia. Sarebbe
stato un bel ragazzo, Ulquiorra, se solo gli fosse interessato
qualcosa. I lineamenti erano delicati e decisi allo stesso tempo. Era
proporzionato, fine, in alcuni punti perfino tagliente.
Venne
però interrotta dalle proprie contemplazioni, e sobbalzò con un
versetto di sorpresa al sentire la voce del ragazzo rivolgersi a lei.
«Perchè
mi fissi, femmina?»
Si rilassò nuovamente contro al divano,
udendo che non era nulla di preoccupante, quello che aveva da dirle.
Lo guardò, incrociando le braccia sotto al seno, cercando di
accennare un sorriso nonostante fosse leggermente a disagio. Le stava
parlando, ma non la guardava.
«Orihime.
Mi chiamo Orihime, Ulquiorra-kun.»
Finalmente
si voltò verso di lei, guardandola completamente privo di qualsiasi
espressione. La fissò dritta negli occhi, ed ebbe paura, la rossa,
di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Quando parli con me, mi
devi chiamare “Ulquiorra”. Non riferirti a me come faresti con un
umano.»
Oh, ecco qual'era il problema, pensò la giovane,
lasciandosi scappare un piccolo sorriso. Fece scivolare la propria
mano su quella del ragazzo, osservando, mentre tratteneva una
risatina, lo sguardo perplesso che rivolse a quell'intreccio delle
loro dita. Era fredda, la sua pelle, ma era morbida.
«Sei molto
più umano di quanto sembri, Ulquiorra. E un giorno te ne renderai
davvero conto. E potrai essere felice.»
Aveva cercato di essere
convincente, pronunciando quelle parole, fintanto che le pensava
davvero. In un primo impatto, ricevette solo uno sguardo penetrante e
silenzioso, prima che il moro si congedasse a passo svelto, le mani
affondate nelle tasche. Non aveva voluto ascoltare le sue proteste,
le sue richieste di rimanere ancora un momento con lei. Non aveva
voglia di stare ancora da sola, ma c'era una cosa che la rallegrava,
una frase che non aveva fatto che confermare quello che aveva
pensato. L'aveva pronunciata quasi in un sussurro, arrestandosi un
istante sulla porta prima di uscire definitivamente.
«Sei
strana, Orihime.»
Rimembrare quel
momento in particolare fu triste e doloroso. Si accorse troppo tardi
di avere il viso bagnato da qualche lacrima silenziosa, e si affrettò
ad asciugarle, anche se sapeva che nessuno la poteva vedere.
Aveva avuto ragione,
alla fine. Ulquiorra, pur essendo un Espada, aveva trovato il suo
cuore, la sua umanità. Per sua sfortuna, però, quella sua vera
essenza, quell'essere nascosto sotto alla sua espressione gelida, si
era esposto soltanto nell'ora della sua fine. Ulquiorra era diventato
un uomo, e, se avesse avuto la forza di scherzare per davvero sul suo
triste epilogo, l'avrebbe chiamata “Terza Resurrezione”. La
disperazione che s'evolve a nuova vita, diventando gioia e amore,
fiorendo come la primavera.
Guardò l'orizzonte, Orihime, passando
lo sguardo sui boschi verdi ai limiti della città. L'aveva capito
fin dall'inizio, che quel moro era qualcosa ti diverso. Forse anche
gli altri Espada lo erano stati, ma non aveva avuto il tempo per
poterlo anche solo pensare.
Ulquiorra non si era meritato il suo
destino. Nella sua lotta contro Kurosaki aveva messo in gioco tutto,
finendo però ridotto in cenere. Non poteva crederci, che la
primavera nei suoi occhi si fosse ridotta in polvere. I fiori non
potevano diventare polvere, il verde rigoglioso non poteva diventare
grigio.
Chiuse gli occhi, la giovane donna, ripensando ai momenti
passati con lui. Che fosse amore, quel sentimento che provava nel
cuore?
Difficile da dire, ma faceva abbastanza male perchè fosse
come pensava.
S'alzo in piedi, una mano appoggiata contro al
petto, lo sguardo d'argento poggiato sul cielo. Aveva preso una
decisione.
Senza avvisare verbalmente nessuno, s'era limitata
a lasciare un biglietto, congedandosi per andare nel mondo umano.
Ed
eccola lì, a camminare fra le strade di Karakura Town, sentendosi
quasi fuori posto a bazzicare per quel mondo che era suo, ma che dopo
tanto tempo di lontananza gli sembrava estraneo.
Fissò i
passanti, notando con un leggero sorriso che anche lì era arrivata
la primavera. Le era mancata, l'aria fresca di casa, le spensierate
risate dei bambini. Le era mancato vedere i petali chiari dei peschi
e dei ciliegi volteggiare nell'aria, mossi dalla brezza.
Fu mentre seguiva la
danza della vita, il ballare sinuoso della nuova stagione
verdeggiante, che lo vide. Era in mezzo ai passanti, e camminava con
lo sguardo fisso su un libro. Leggeva con interesse, preso da ogni
parola. Sembrava un bambino bramoso di conoscenza.
Così tanto
che si sentì un poco in colpa a correre nella sua direzione. Gli
picchiettò un dito sulla pagina, sorridendo dolcemente quando lo
vide sbattere più volte le palpebre, come se fosse stato riscosso da
un sogno. Non ci sperava, Orihime. Sapeva di poter essere caduta in
errore.
Fu quando sollevò
lo sguardo su di lei che vide, per la prima volta in tutta la sua
esistenza, che la vita era davvero fiorita. Fu quando vide i suoi
occhi di smeraldo, verdi come la primavera, preziosi come gioielli,
che tutto le sembrò luminoso e chiaro, che tutto riacquistò un
senso e un colore.
Le luccicarono le iridi, un velo sottile di
lacrime le appannò appena la vista. Ma cercò di non mostrarlo,
mentre si schiariva la voce, il sorriso che s'allargava sulle sue
gote.
«Ciao. Mi chiamo Orihime.» - Azzardò, senza nemmeno
sapere bene come incominciare.
Lo
guardò, speranzosa di una risposta. Avrebbe potuto andarsene
tranquillamente, snobbandola con un'occhiata di scherno. Avrebbe
potuto reimmergersi nella lettura, senza degnarla di ascolto. Il suo
cuore prese a galoppare, veloce come un puledro, quando si accorse di
una scintilla di interesse nel suo sguardo. Una scintilla di
primavera in quegli smeraldi rari e bellissimi.
«Ciao. Io sono
Ulquiorra. Ci conosciamo?»
Fu tentata di rimanere in silenzio.
All'inizio le parole non le trovò per davvero, il respiro che le
mancava nei polmoni. Non aveva abbastanza aria per far vibrare le
corde vocali, non aveva abbastanza lucidità per pensare a cosa dire,
tanto forte era la sorpresa. Ma cosa avrebbe potuto rispondere, in
quel momento? Era lui, e non lo era. Non era l'uomo che incarnava la
disperazione, e che dalla disperazione stessa l'aveva salvata. Era
soltanto...
«Oh, non importa.» - sentì infine pronunciare,
riscuotendosi dai propri pensieri. Lo guardò interrogativa,
rischiando di scoppiare a piangere quando vide sulle sue labbra
dipingersi un minuscolo sorriso.
«Possiamo in ogni caso
conoscerci. Hai mai letto questo libro?»
Glielo chiese, alzando
la copertina verso di lei, di modo che potesse leggerne in titolo. Ma
non era troppo attenta, Orihime, impegnata com'era a trattenere le
lacrime e tutta la gioia che provava.
Fu in quel mattino a
Karakura che la vide, la vera forza della rinascita. Vide la
disperazione diventare umana, la vide piegarsi alla vita splendente e
forte della rinascita.
Fu in quella primavera verde, che mai prima
le era sembrata tanto colorata e pulsante, che vide quei due smeraldi
cupi e silenziosi brillare della luce di un sorriso, rischiarando
tutto ciò che li circondava. Fu in quell'assolata giornata di marzo
che per la prima volta, camminando al fianco della primavera stessa,
si accorse di non essere mai vissuta, fintanto che non aveva visto
quel viso pallido e apparentemente morto illuminarsi di un sorriso
colmo di gioia, di vita, e d'amore.
Angolo dell'autrice
Buongiorno a tutti,
miei cari lettori.
Torno in un breve lasso ti tempo con un'altra
fic, scritta in un momento di profonda ispirazione.
Spero come
sempre che gradiate questo piccolo scempio, e ringrazio tutti, anche
i lettori silenziosi, di essere arrivati in fondo al mio
racconto.
Vi comunico quindi che questa storia, così come
l'altra, “Autumn – L'oro dei tuoi occhi”, va parte di una serie
nella quale ogni coppia è associata ad un colore, o ad una stagione.
In quelle fin'ora pubblicate ho associato il colore servendomi anche
degli occhi, nelle prossime due storie lo assocerò servendomi....dei
capelli.
Ci si vede quindi presto con l'Estate e l'Inverno!
Alla
prossima, miei cari ♥
Dream
Catcher