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Autore: DarknessIBecame    21/10/2013    4 recensioni
"Non c’era nessuno che sarebbe arrivato a salvarla, perché non era utile a nessuno in quel momento.
Nessuno le chiedeva di rimanere lì e salvare la sua vita; per questo decise di tentare il tutto per tutto da sola, come sempre da quando aveva perso i genitori. Se l’era sempre cavata, escogitando geniali stratagemmi per tirarsi fuori dai guai con le sue sole forze. Certo, i guai di cui parlava erano proporzionati alla tediosa vita da tecnica informatica, ma ogni volta si ripeteva che SE avesse voluto, SE avesse ceduto, SE avesse accettato, ora sarebbe a New York con ben diverso incarico.
Un altro dei piccoli segreti che Felicity Smoak teneva nel cuore, celati ai più, probabilmente a tutti anzi, tranne che a se stessa."
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chap 5 End

Oliver? Oliver sapeva essere estremamente cocciuto, ma solo ora capiva quanto.
La notte era passata ed aveva portato il sonno prima di quanto effettivamente si aspettasse o osasse sperare.
Senza sogni, era riuscita a tirare dritto fino a ben più dell’orario di sveglia di una persona normale: quando aveva aperto gli occhi pregando che tutto quello che era successo la notte prima fosse solo una proiezione della sua fervida – a quanto pareva – immaginazione, presa da qualche improvviso desiderio represso di chiusura nei confronti di Oliver, aveva notato che l’orologio accanto al letto segnava allegramente le 11:30. Tanto allegramente che sembrava quasi volerla prendere in giro, prendere in giro la sua risolutezza nel non voler avere più niente a che fare col Vigilante di Starling City o, come lo chiamavano ora, Green Arrow.
Ancora una volta sentì una fitta di curiosità colpirla alla bocca dello stomaco, perché non era più nel giro e perché non poteva – non voleva, si sbrigò a correggersi – sapere cosa significasse quel nuovo soprannome.
Non era poi colpa sua se la mente fervida che i genitori le avevano donato era sempre proiettata verso nuovi misteri e quello era uno che la infastidiva particolarmente.
Uscì dal letto con una compostezza che non era sua, toccando i capelli ormai rossi e pensando che qualcosa di diverso poteva succedere, quella mattina.
Tirò dritta verso la doccia, fermandosi solo quando si accorse che il cellulare sul comò non smetteva di emettere quella lucina che significava guai. Qualcuno l’aveva chiamata, probabilmente qualcuno preoccupato dall’ufficio oppure altri che non l’avevano vista passare per la città a piedi, come ogni giorno.
Sorrise, avvicinandosi ad uno degli ultimi mezzi ipertecnologici che ancora simboleggiavano la sua vita precedente ed accarezzò lo schermo per sbloccarlo, già certa di avere diversi messaggi buffi nella casella vocale: aveva ragione alla fine, l’avevano riempita di messaggi e chiamate e solo dio sapeva quant’altro, ma ciò che più spiccava nel gruppo di nomi a cui ormai si era abituata fu un unico mittente sconosciuto, che per quanto avesse cercato di cancellare dalla memoria, era ancora lì, impresso nella sua mente.
Il numero di Oliver, quello che aveva cancellato sia fisicamente che mentalmente dalla sua vita, brillava sopra tutti e sembrava anche lui volerla prendere in giro.

Vengo a trovarti più tardi. Vino o ciambelle? O entrambi?
-O.

-Ignoralo, Felicity.-

Ah! Ed ecco che ancora una volta Oliver Queen entrava nella sua vita e le portava via la terra da sotto i piedi. Era stata molto attenta a dimenticare anche il suo precedente nome, evitando di dirlo ad alta voce in uno dei suoi piccoli momenti in cui doveva buttare fuori parole a caso, come faceva quando si trovava a S.C.
Una notte con lui, o almeno un’ora con lui nella sua camera e già si sentiva mancare la solida base creata in quei mesi.
Non gliel’avrebbe data comunque vinta, sarebbe andata avanti senza degnarlo di alcuna attenzione e lui si sarebbe stancato. Sarebbe tornato al suo solito lavoro, alla solita vita importantissima ed a qualche nuova fiamma che sicuramente l’avrebbero interessato più di un’amicizia perduta tanto tempo prima.

Raddrizzando la postura, quel giorno aveva deciso di riprendere a lavorare dopo pranzo, usando la scusa di una leggera influenza intestinale sofferta la notte per schiarirsi le idee e non rientrare in ufficio fin dopo l’orario in cui tutti avrebbero smesso di chiedere di lei. Di sicuro Janet aveva sparso la voce ed ora avrebbe trovato solo cioccolata, qualcosa di caldo e magari biscotti sulla sua scrivania, in segno della preoccupazione della città.
Non voleva sentirsi tanto egoista, ma trasferirsi lì le aveva fatto bene. Aveva fatto bene al suo ego ferito ed alla sua anima sempre così sofferente a causa di anni ed anni di bullismo ed invisibilità agli occhi degli altri.
Lì non si sentiva più invisibile, lì per una volta poteva essere eroina e non era pronta a lasciar andare quella sensazione.
Ironico vedere come, proprio mentre pensava ad Oliver e si chiedeva se era quella la sensazione che provava anche lui quando calava il cappuccio ed incoccava una freccia, i suoi pensieri le si materializzassero davanti agli occhi.
Seduto, con una gamba a terra ed una penzoloni sulla sua scrivania, Mr Queen in persona l’aspettava con un sorriso smagliante. Unico punto a suo favore, la perdita di quest’ultimo quando vide lo sguardo serio ed esasperato di lei posarsi sul suo volto, prima di accorgersi che non era solo nella stanza ma che stava intrattenendo il Sindaco, niente di meno.

-Quindi sei amica di Oliver Queen, Megan. Potevi avvertirci, l’avremmo accolto a dovere nella nostra piccola cittadina, no? Prenoti dove vuole e porti a cena la nostra piccola Finch, ha bisogno di essere distratta…vi lascio alla vostra bottiglia di vino, per oggi farò a meno del tuo aiuto, Meg.-

L’espressione del magnate di Starling City fu impagabile, non appena si rese conto di cosa le stava portando via solo nello starle vicino, ancora una volta.

-Lasciami imparare dai miei errori. Non ho fatto apposta, Lis. Ti pre…-

-Ti ho detto già due settimane fa di non chiamarmi Lis. Non voglio che tu faccia saltare la mia copertura e poi non hai alcun diritto di affibbiarmi un soprannome, ok? Vattene Oliver, davvero, mi sta tornando mal di testa.-

Sulla strada verso casa, come sempre dopo il lavoro Oliver la stava seguendo e cercava di farsi ascoltare, mantenendo con una facilità incredibile il suo passo veloce che sarebbe dovuto servire a seminare l’uomo in questione.
Per una volta maledisse i tacchi e sentì l’estrema mancanza della sua Mini Cooper, e poi canalizzò la sua frustrazione su Oliver che le stava ancora una volta facendo ricordare la sua vita da Miss Smoak.
Fermandosi bruscamente, per poco non rischiò di venir presa sotto dalla figura massiccia dell’uomo, che si bloccò appena in tempo ad un palmo di naso, occhi spalancati per la paura di farle male e di quello che stava per succedere.
In due settimane di pedinamento, non una volta si era fermata per guardarlo negli occhi; avevano parlato solo camminando velocemente e neanche uno di fianco all’altro.
Cominciavano ad attirare più attenzione del dovuto ma lui ci era sicuramente abituato e lei non gli avrebbe dato soddisfazione: non avrebbe ceduto facilmente a quella specie di ricatto, anche se ogni giorno lo vedeva presentarsi con un sorriso da cucciolo, jeans e maglione, qualcosa per lei in mano; solitamente la cena, perché sembrava che si fosse accorto di quanto fosse dimagrita o di quanto evitasse di fare più di un pasto al giorno.

-Stammi a sentire, Mr. Non-So-Incassare-Un-No! Non hai alcun diritto di essere qui, di invadere ogni singolo momento libero della mia vita. Sono davvero stufa Oliver, non puoi capire quanto sia difficile per me mantenere la facciata ogni giorno, quando tu continui a ricordarmi chi fossi prima di arrivare qui. Sono solo…stanca.-

-E allora smettila di respingermi. Smettila di combattere tutto e torna da me. Torna a casa con me, Li…Meg. Torna indietro con me.-

Gliel’aveva sussurrato sulla pelle, senza realmente toccarla, ma lei se lo sentiva intorno come se la stesse abbracciando ed inglobando nella sua figura imponente. Non poteva guardarlo negli occhi perché era troppo vicino e lei doveva ricordarsi anche solo come respirare, dopo aver sentito l’agonia che quelle parole suscitavano nell’uomo di fronte a lei.
Davvero sentiva la sua mancanza.
Ma lei, lei cosa avrebbe dovuto fare?
Buttargli le braccia al collo e dimenticare? Fingere che la sua ritirata strategica fosse solo un capriccio da bambina?
No, lei stava ancora guarendo. E se per caso la guarigione fosse stata accelerata grazie alla presenza confortante di Oliver, di nuovo in ogni sua giornata, non l’avrebbe ammesso neanche a se stessa.

Aveva accettato di uscire a cena con lui.
Due sere prima le aveva confessato, appeso fuori dalla sua finestra mentre lei cercava bellamente di ignorarlo e sistemava le cose per andare a letto, che non aveva fatto altro che pensare di portarla da qualche parte e parlare, come due persone adulte.
Aveva detto che glielo doveva, dopo quasi due mesi di corteggiamento.
Certo, lui aveva scherzato ma lei si era ritrovata ad arrossire violentemente e gli aveva tirato la maglietta del pigiama, che lui aveva preso al volo ed aveva delicatamente tirato verso il letto, così che potesse effettivamente indossarla per la notte.
Era rimasto lì a guardarla entrare sotto il lenzuolo, seduto sul suo davanzale, raccontandogli delle notti e delle uscite con Diggle: di come non fosse la stessa cosa senza di lei ad aiutarli, a risollevare i loro spiriti feriti o semplicemente a far sentire loro che non erano soli e che potevano ancora proteggere qualcosa di buono, bello, senza dover sempre ricorrere alla violenza.
Le aveva detto, mentre si addormentava, che l’aveva sempre vista come un essere estremamente delicato e che aveva sbagliato a dare per scontato che mostrandosi più vicino a lei l’avrebbe ferita. Aveva capito perfettamente di averla spezzata, semplicemente perché voleva proteggerla ed ora avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di poter fare nuovamente affidamento su di lei.
In un ultimo, inutile tentativo di trattenere uno sbadiglio, aveva accettato di uscire con lui a cena ed aveva catturato il suo sospiro sollevato proprio prima di cadere in un sonno tranquillo.

 
Ci erano volute altre tre settimane prima che ammettesse di aver acconsentito a quell’uscita ed ora, mentre sospirava e controllava il suo riflesso allo specchio, sapeva che stava per avvicinarsi l’inevitabile.
Più lasciava spazio ad Oliver nella sua vita, più si aspettava di vederlo arrivare in città; diventava sempre più impaziente di trovarlo all’angolo che portava dal suo ufficio alla sua caffetteria preferita e le piaceva –segretamente – starlo ad osservare quei 10 minuti che passavano insieme lì dentro, da sopra una tazza fumante di caffè che lui si premurava sempre di accompagnare con dei biscotti aromatizzati alla vaniglia.
Maledetto.
Ed ora, davanti allo specchio col suo vestito rosso scuro che svolazzava intorno alle ginocchia - come se non abbracciasse perfettamente le sue curve fin sotto al sedere - e gli orecchini poco appariscenti ma perfetti per dar luce al volto morbido sotto una cascata di boccoli rossi, sapeva che avrebbe ceduto. Presto.
Non le importava più cosa reputasse giusto o sbagliato, come potesse giustificarsi con una cittadina che le aveva dato tanto.
Lei apparteneva a Starling City ed alle sue strade, che venissero vissute di giorno o di notte non faceva quasi più differenza; sapeva solo che andavano vissute e che per quanto amasse quel posto, lei ricominciava a sentire il pressante bisogno di tecnologia, di velocità, di negozi aperti 24 ore su 24 e di uno scopo.
Lo scopo che solo accanto ad Oliver poteva trovare.
Non c’era niente di più bello, divertente, emozionante che avesse mai provato in vita sua ed ora, con Queen di nuovo a ricordarglielo, era sempre più difficile mandare giù il rospo.
Per questo aveva ceduto, per questo stava scendendo le scale di casa sua col cuore che batteva un po’ più forte, per questo aveva preso la sua mano quando finalmente l’aveva visto nel suo splendido completo di chissà quale stilista.
Erano passati quasi 3 mesi da quando l’aveva abbracciata, quella notte ed ogni giorno di più avrebbe voluto accettare quei piccoli gesti di Oliver che l’avrebbero spinta ancora tra le sue braccia.
Gli sorrise timidamente, alzando lo sguardo e nel giro di un secondo seppe di aver sbagliato.
Quando si riavvicinava a quell’uomo finiva solo per spezzare il cuore di entrambi e, se il sangue che le scaldava le mani ora che l’aveva completamente addosso e lei lo sosteneva con il suo piccolo corpo era un’indicazione, non avrebbe dovuto riavvicinarsi mai più.


Uhm...ecco...non è che dopo questo vi ritrovo sotto casa, pronte ad uccidermi? Non sarebbe carino, vero? *faccino da cucciola triste*
Non posso dirvi niente, se non assicurarvi che il sesto (ed ultimo) capitolo è pronto e solo da betare, in pratica. Quindi boh, se arrivate presto a 4 recensioni pubblico, altrimenti aspetto la mia solita settimanina e lo avrete tranquillamente.
Vi voglio bene, ricordatelo. 
Se cercaste spoiler dall'ultimo capitolo, cercate QUA, vediamo cosa posso darvi. <3

Dark/Vevve

   
 
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