Shrewd
Heart
Shrewd
Heart
Non
credevo potesse essere
possibile…
Eppure
quel giorno, per la prima
volta, odiai Nana.
La
odiai con tutta me stessa.
Un tempo avrei
affermato di non
saperlo, o quanto meno,
lo avrei finto.
Calcolatore: scaltro,
astuto, furbo.
In qualsiasi modo lo
si metta, ha qualcosa di sbagliato.
E’ finto; come un fascio
di fiori di plastica.
Possono riprodurre il
colore, perfino la consistenza, dei fiori veri;
ma non potranno mai
replicarne il profumo, o le sensazioni che instillano.
Di non poter sfiorire,
e quindi perdere la bellezza e la vitalità;
ma di non possedere
alcun profumo.
***
Era una giornata luminosa, come non lo era da giorni.
Il sole splendeva, radioso, come per allontanare con i propri
raggi, le nuvole che lo minacciavano.
Eppure non
vi era sole
in quell’appartamento. Non quel giorno. Non per me.
La chiamai sussurrando, poi con
maggiore insistenza, non intuendo
nulla di quello che sarebbe accaduto da lì a poco.
Avevo trovato lavoro, l’ennesimo, in una libreria.
Fortunatamente, nonostante il mostruoso ritardo, il Signor
Hattori aveva accettato di farmi un colloquio.
Perché ero arrivata in ritardo?
Per lui. Anche se avrei dovuto dire per me stessa.
Ma non era
il caso di
mentire; non a me. Sarebbe stato stupido, fuggire da me stessa.
Ero stata bene, tuttavia…c’era qualcosa che mi
tratteneva,
mi percuoteva.
E sapevo esattamente di cosa si trattava.
Nobu era lì.
Ancora una volta aveva voluto scortarmi a casa e sulla via
che costeggiava il fiume abbiamo incontrato Takumi.
Nell’attimo in cui i suoi occhi avevano incrociato i miei,
avevo compreso: mi cercava; inseguiva il mio corpo, non me.
Non lo ero con Asano, tanto da diventarne l’amante
consapevole;
non lo sono stata con Shoji, il quale ha cercato di meglio.
Ai tempi in cui
credevo mi piacesse Yasu, finsi di essere una donna tradita, inerte;
E già ora con Nobu,
cercavo consolazione per Takumi.
Nonostante lui non mi
avesse affatto “lasciata”, né costretta
con la forza a seguirlo.
potevo fingere che non fosse vero.
Costringere lo specchio a riflettere un’altra persona,
Perché mi sbatté contro una realtà a
cui non ero pronta, che
non volevo vedere.
Quante volte la chiamai? Ma in fondo-
ora lo so- speravo non
mi rispondesse perché non fosse in casa.
Invece era lì. In camera mia, sul mio letto.
Di solito ero io l’intrigante; sempre a toccare le sue cose,
sempre ad invaderle lo spazio…
Come se questo la rendesse più mia, e non le permettesse di
abbandonarmi.
Perché
ero- mi
mostravo- debole e fragile.
E sperai con tutte le
mie forze, affliggendomi la carne con le unghie, che fosse un sogno.
E non un incubo.
Non fui io, fu lei.
Mi chiamò Nana, mi fissò con alcuna traccia di
amore negli
occhi, solo rancore.
Eppure Nana, non si era mossa di un millimetro.
Chissà
perché, mi
venne in mente questa tua frase.
Innocua, buttata lì
per caso, ma che feriva come olio bollente sulla pelle.
La pronunciasti in una
notte nevata.
Quando, al freddo,
aspettavamo il mio principe azzurro di ritorno dal lavoro.
Attimi prima che
scoprissi di Shoji e Sachiko.
Che io, col mio
aspetto angelico e la mia anima nera, mi sentivo piccola rispetto ai
tuoi modi
di fare rozzi, ma che non celavano nulla.
Eri tu. Né più, né
meno.
Ma non avresti
pronunciato nuovamente quelle parole, vero Nana?
Fissai la cicca, scintillante come una stella cadente,
precipitare dalla finestra della mia camera.
Ed ebbi paura. Di un tuo abbandono.
Argentee, copiose, sgorgavano dai profondi occhi color
nocciola.
Versavi lacrime per
me, per ciò che ero.
Tu non meriti lui.”
La guardai, senza in realtà vederla.
Le lacrime premevano per uscire, ma non le lasciai fare: non
meritavo di piangere.
E anche Nana aveva
sofferto.
Ora lo so: era amareggiata
perché non mi aveva aiutata a cambiare, ad essere migliore.
Tutti coloro che hanno
avuto a che fare con me, hanno sofferto.
Ed io?
Dolore di pochi
giorni, massimo settimane.
Le mie lacrime non
sono come quelle di Nana, o Ren, o Nobuo, o Yasu.
seppur dolorosamente
bellissime,
conservano intatto il
sapore amaro del mare tranquillo, nonostante la tempesta che sconvolge
il mondo
circostante.
Eppure sapevo che-
come al solito- le lacrime sarebbero finite, il sole avrebbe nuovamente
fatto
capolino dietro la coltre di nuvole ed io sarei sopravvissuta.