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Autore: giambo    22/10/2013    2 recensioni
Nessuno l'aveva prima d'ora capita.
Nessuno l'aveva prima d'ora amata.
Poi era arrivata lei.
Che l'aveva amata ed ospitata.
Ma che l'aveva anche illusa.
P.S: la storia è scritta da me, il titolo è frutto di quella grande scrittrice che corrisponde al nome di Nede
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: 18, Marion | Coppie: 18/Marion
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Hana

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Gli uomini ripetono i propri errori con una facilità disarmante. Il guaio è che anche certe donne lo fanno.

 

Le labbra della cyborg accolsero con avidità la sigaretta, aspirandone l'acre sapore ed incanalandolo verso i polmoni con un guizzo rapido della gola. Era la quinta sigaretta che fumava quel giorno, ma non gliene fregava nulla. Del resto, era un androide. Difficilmente si sarebbe ammalata di cancro, no?

Seduta sul muretto che recintava la proprietà, C18 osservava con sguardo spento l'erba verde del vicino, invariabilmente messa meglio della loro. Erano mesi che si ripromettevano di darle una sistemata, ma poi rimandavano sempre. In quegli istanti trovò buffo come avessero trascurato una cosa così futile sentendosi in colpa, per poi accorgersi che non sarebbe servito a niente farlo.

Fumò. Fumò con una velocità allarmante. Alla disperata ricerca di fare qualcosa, di ingannare il tempo. Perché lei aveva bisogno di fare qualcosa. Che fosse fumare o picchiare a sangue qualcuno, lei non riusciva a stare ferma in quegli istanti. Sarebbe stata la sua fine.

Non era facile cercare di comprendere cosa le stava accadendo. Non era mai stata pienamente convinta di poter comprendere appieno l'enorme libertà di scelte che la sua nuova vita le conferiva. Dopo anni passati nel sottosuolo a subire un'angheria dietro l'altra da parte di quel bastardo di Gero, C18 si era trovata davanti una vita intera da dover vivere dopo il Cell-Game. Una vita in cui, disabituata all'idea di normalità, si era sentita subito fuori posto. Sbagliata.

La bionda sospirò, portandosi la testa alle ginocchia. Cosa c'era che non andava in quello che stava accadendo? Tutto e niente. Era tutto come doveva andare, ma allo stesso tempo era tutto sbagliato. La sua vita era sbagliata. Lei era sbagliata.

La sigaretta finì. Lasciandole una sensazione di vuoto dentro di sé. Quello stronzo di tabacco finiva sempre troppo presto per i suoi gusti. Con un gesto stizzito, la cyborg prese il mozzicone dalle labbra e lo buttò di malagrazia dietro di sé. Quello stronzetto l'avrebbe raccolto il giorno dopo. Lui aveva sempre il vizio maniacale della pulizia.

Non si capiva più. Era nato tutto come una sfida, una specie di gioco con quella persona che l'aveva stuzzicata e provocata. Ed ora perché si sentiva male all'idea che tutto finisse? Perché quel dannato muscolo che aveva dentro il petto le doleva così tanto quando batteva? Cosa cazzo le stava accadendo?

Davvero si era affezionata a lei? Davvero aveva pensato, in un angolo remoto della sua mente, ad un possibile futuro, una vita insieme a quella donna?

Doveva essere stata pazza. Sapeva che il gioco prima o poi sarebbe finito. Che la realtà a cui lei e Marion avevano sbattuto in faccia la porta di quella casa con prepotenza sarebbe tornata con più forza e cattiveria di prima.

Eppure ci aveva creduto. Non consciamente, non visibilmente ma ci aveva creduto.

Ed ora stava finendo tutto.

Cominciò a battere la testa in maniera ossessiva contro le proprie ginocchia. Ora come ora, stare ferma le era impossibile. Almeno muovendosi non sarebbe sprofondata totalmente nel magma impazzito dei suoi pensieri.

“Che cosa cazzo ci faccio io qui?” si domandò.

 

 

Sei sempre stata strana lo sai?” le sussurrò Marion accarezzandole con dolcezza il solco dei seni, un tocco che la cyborg apprezzò con un roco gemito di piacere.

Stai zitta...” le borbottò di risposta quest'ultima baciandola sul morbido collo. Le sue labbra avide le lasciarono sulla pelle liscia un segno rossastro.

Come lo spiegherai questo a quel cornuto?” le sussurrò maligna la bionda mentre con un movimento brusco del bacino faceva gemere la donna che giaceva sotto di lei.

Marion sorrise birichina. Le sue unghie curate e laccate di rosso solleticarono i chiari capezzoli dell'androide, creando nuovi spasmi di piacere in quest'ultima.

Qualcosa mi inventerò. Lo sai che una scusa la trovo sempre.”

Puttana.”

La tua puttana però.”

Sei una puttana bugiarda.” replicò sorniona C18 mentre i loro sessi a contatto sprigionavano ondate di puro piacere in entrambe.

Davanti a quella affermazione, Marion le cinse il collo con le braccia, baciandola nel momento in cui l'orgasmo l'afferrò.

E allora perché tu stai con me?” le sussurrò ad occhi chiusi.

 

 

Una porta che sbatteva ebbe l'effetto di riscuoterla dal torpore in cui versava, facendole alzare la testa verso l'alto, ad osservare il cielo sporco dalle scie degli aerei.

Sentì i suoi passi leggeri sull'erba. Si stava avvicinando a lei. Sperò con tutta sé stessa che non avesse voglia di mettersi a discutere. Francamente, non aveva nulla da dirle.

Con un saltello, Marion si arrampicò sul muretto di cinta, sedendosi affianco alla cyborg. C18 non disse niente. Si limitò a continuare ad osservare il vuoto, mentre l'odore forte del profumo di lei le solleticava le narici. Si odiò quando comprese che trovava quella fragranza ancora buona. La sua mente poteva detestarla, ma la realtà era che il suo corpo la desiderava ancora.

“Ciao.” la voce dolce e leggermente infantile di lei ruppe il silenzio che, per qualche minuto, era aleggiato in maniera imbarazzante tra loro due.

C18 non rispose. Tutto quello che l'androide fece fu di frugare nel pacchetto di sigarette, solo per ricordarsi che le aveva appena finite. Si morse la lingua per non mettersi ad urlare dall'irritazione. Quelle dannate sigarette non c'erano mai quando ne aveva bisogno.

“Senti... lo so che sono tre giorni che non mi parli e non entri in casa che per dormire. Io...io...vorrei parlare con te...spiegare...”

Spiegare. Lei voleva spiegare. C18 non reagì esteriormente a quell'affermazione, ma dentro di sé la bionda avvertì fortissimo l'impulso di stringere le mani attorno a quel collo morbido e delicato per urlarle in faccia la sua rabbia ed il suo disprezzo. Cosa c'era da spiegare in una situazione come quella? Cosa potevano mai dirsi dopo quello che era accaduto tre giorni prima?

 

 

John mi ha chiesto di sposarlo.”

Le parole uscirono dalle labbra di lei con la pesantezza di lingotti di piombo, cadendo nel silenzio della piccola cucina con il fragore di una cascata.

C18 l'aveva guardata con uno sguardo totalmente diverso dal suo solito. Non era più freddo e sprezzante, e neanche astuto e passionale. Ciò che vide l'azzurra negli occhi della sua donna era solo un bruciante dolore. Comprese che lei aveva già capito la sua risposta a tale domanda.

Capisco.” aveva solo sussurrato la bionda con tono freddo. Non c'erano state accuse, né pianti o grida di rabbia. Tutto quello che l'androide aveva fatto era stata una semplice domanda.

Tu cosa gli hai risposto?”

Marion non ebbe la forza di guardarla in faccia. Rivolgendo gli occhi verso terra, con le labbra pallide che le tremavano, la ragazza aveva solamente sussurrato una tiepida frase. La peggiore che potesse dire.

Non c'è l'ho fatta...mi dispiace.”

C18 si era alzata dal tavolo. Le si era avvicinata con lentezza studiata, arrivando davanti a lei che, codarda, non riusciva ad alzare lo sguardo per fissarla negli occhi.

Lo schiaffo era risuonato con forza nel silenzio del locale.

Lacrime di dolore cominciarono a sgorgare dagli occhi dell'azzurra. Le aveva fatto male, molto. Ma più che il dolore fisico ciò che l'aveva ferita era stato il disprezzo che lei aveva messo in quel gesto.

C18...”

Non parlarmi.” era stata la fredda risposta di lei. Una frase pronunciata con un'indifferenza tale da annientarla. “Non voglio sentirti.”

Poi, sempre con esasperata lentezza, la cyborg era uscita dalla stanza. Lasciando Marion a singhiozzare silenziosamente da sola.

 

 

Marion sopportò pazientemente il più possibile il silenzio della compagna, dentro di lei la ragazza soffriva nel vederla in quello stato. Le sembrava di essere tornata all'inizio della loro conoscenza, quando lei era solo una ragazza musona che aveva incontrato per caso.

“Ti prego C18, parlami! Non sopporto più questo silenzio! Urlami in faccia, picchiami come l'altra sera se ciò ti farà stare meglio, ma dimmi qualcosa, dannazione!”

“Non c'è niente da dire.” rispose con un sussurro freddo l'androide. “Hai fatto la tua scelta, e presto farò anch'io la mia. Non devi vergognarti di aver scelto lui. Evidentemente, io non ero abbastanza importante per te.”

“Sì che lo sei! Non cominciare a fare discorsi melensi da film da strapazzo! Non è da te!”

C18 socchiuse gli occhi mentre si conficcava le unghie nei palmi delle mani. Possibile che lei non capisse? Possibile che non comprendesse appieno cosa aveva creato in lei quella sua decisione? Dopo mesi allo sbaraglio, impegnata a comprendere quel mondo che avrebbe dovuto distruggere, era riuscita a trovare un equilibrio con lei, ad avere come tutte le persone normali una vita. Ed ora, dopo appena un anno, per pura codardia, lei le distruggeva ogni certezza. Distruggendo con un semplice soffio quel fragile castello di carte che lei era convinta fosse di pietra. Come poteva anche solo pensare che potesse stare lì a sentirla spiegare quel suo gesto? Possibile che non la conoscesse?

“Se lo fossi stata gli avresti detto di no.”

“Sai bene che non potevo.” replicò l'altra con voce lamentosa. “C18...non...non è detto che tutto cambi. Potremmo stare ancora insieme. Vederci quando lui non c'è...”

Davanti a quella marea di stupidaggini, la cyborg scoppiò in una risata fredda e sprezzante.

“Un conto è fingere di essere la tua coinquilina e fargli le corna ogni sera. Un conto è vivere nell'ombra per poi scopare nel letto dove lui dorme con te. No, non accetterò questa farsa. Se volevi me mi avresti scelto.”

“Tu non capisci...”

“Capisco molto più di quello che credi. Cos'è, avevi paura che in giro si dicesse che venivi scopata da un'assassina sanguinaria? Dopo non avresti più potuto andare in giro a provocare quelle orde di segaioli dei tuoi amici.”

“Smettila!” urlò l'altra fissandola confusa. C18 si zittì di colpo, comprendendo solo in quell'istante la profondità con cui le sue parole taglienti l'avevano ferita.

Per la prima volta da quando avevano cominciato quella discussione si girò a fissarla. Rimase sorpresa nel constatare che aveva le lacrime agli occhi.

“C18...ti prego...io ho bisogno di te. Non rendermi più difficile tutto questo con il tuo disprezzo.” Marion provò a prenderle la mano ma la bionda si ritrasse.

Un sorriso smunto andò a formarsi sulle morbide labbra della donna. Mentre le lacrime scorrevano silenziosamente sulle sue guance.

“Dunque è così...alla fine, nonostante tutti gli anni che sono passati, ho commesso lo stesso errore di quella volta...”

C18 ritornò a fissare il vuoto davanti a sé. Non le interessava quello che stava borbottando Marion. Desiderava solo che la lasciasse di nuovo sola il più presto possibile. Non avevano nient'altro da dirsi.

“Non avrei mai dovuto lasciarlo...Crilin...aveva ragione...su tutto.” il nome che uscì dalle labbra dell'azzurra ebbe il potere di riscuotere dall'apatia l'androide.

“Che cosa hai detto?” domandò girando di scatto la testa. Nel compiere tale gesto i suoi capelli dorati crearono per qualche istante un'aureola dorata intorno al suo viso.

Marion la fissò sorpresa. Non si aspettava che anche lei conoscesse Crilin.

“Tu lo conosci?”

“In un certo senso...” borbottò la bionda tornando a rivolgere il suo sguardo ceruleo al prato curatissimo del loro vicino. Aveva sempre odiato quel prato, almeno tra poco non l'avrebbe più dovuto vedere.

“E' stato con me per qualche mese alcuni anni fa...non sapevo che lo conoscessi.” mormorò la donna.

Un sorriso misto tra l'ironico e il macabro comparve sulle labbra di C18. Buffo come fosse piccolo il mondo. Crilin. Non lo vedeva da quando l'aveva offeso nel cortile di quello strano palazzo sospeso in cielo. Onestamente, non ci aveva più pensato a lui. Chissà cosa stava facendo in quell'istante.

“Sicuramente si sarà dimenticato di me.” pensò. Stranamente quel pensiero ebbe l'effetto di deprimerla ancora di più.

Decise di alzarsi. Con un agile balzo atterrò sul prato, dirigendosi verso la porta di casa. Il tutto sotto lo sguardo triste di Marion.

“C18...”

L'androide si fermò. Rimase per qualche secondo immobile, rimembrando tutti i momenti piacevoli che aveva passato dentro quelle mura. Ogni giorno le pareva splendido dentro i suoi ricordi. I pasticci di Marion, le litigate per chi dovesse cucinare, i pomeriggi interi passati a fare shopping, le continue insistenze dell'azzurra perché uscisse la sera con lei. E mille altri momenti che, sapeva, non sarebbe mai più avvenuti.

“Stasera prendo la mia roba e me ne vado. Del resto, la mia presenza qui non sarebbe più gradita.”

Marion non rispose. Tutto ciò che fece fu quello di fissarla in silenzio, singhiozzando sommessamente. C18 si girò a guardarla. Per un attimo l'azzurra fu convinta di aver visto in quegli occhi glaciali una scintilla di dolore. Un dolore che dilaniava la bella bionda e che rendeva anche per lei dura da accettare tutto quello che stava accadendo. In quell'attimo, le due si sentirono di nuovo unite come non capitava da tanto tempo. Anche se ora ad unirle non era più la passione ma il dolore.

Poi l'attimo scomparve, e C18 e Marion tornarono ad essere due persone diverse ed in procinto di dirsi addio. Quando la cyborg si girò per entrare in casa, per quella che doveva essere la sua ultima volta, Marion comprese di aver distrutto tutto con le sue stesse mani.

Ed era la seconda volta che accadeva.

 

 

Marion si fissò allo specchio. Era molto bella in quell'abito bianco che metteva in risalto la carnagione della sua pelle e il suo seno prosperoso. Ma sapere a quale prezzo aveva acquistato quell'abito glielo faceva odiare.

Gli ultimi mesi erano volati via. Era come se quell'anno passato insieme a C18 fosse stato un anno di limbo, in cui non era accaduto assolutamente nulla, e che invece, accettando di sposare John, fosse stata catapultata in un mondo che viaggiava a velocità doppia. Era stato tutto organizzato in modo frenetico: i preparativi, l'acquisto dell'abito, la scelta del posto, le prove della cerimonia. Marion non si era resa pienamente conto di quanto fosse stato determinante quel sì detto a John fino a quel giorno. Aveva rinunciato per la seconda volta all'amore ed alla felicità per la sua rispettabilità e la sua reputazione. Un prezzo salatissimo e che rimpiangeva ogni notte quando sdraiandosi a letto non vedeva gli occhi glaciali e sprezzanti di lei ma quelli scuri e affettuosi di lui.

“Che cosa ho fatto?” si domandò mentre si sistemava con un dito tremante una ciocca i capelli celesti sfuggita all'elegante chignon. Tra un'ora sarebbe iniziata la cerimonia, e non era sicura di essere pronta ad accettare fino in fondo le conseguenze della sua codardia.

In quell'istante, il rumore di alcuni passi rimbombarono nella stanza. Quando Marion si girò, spalancò i suoi splendidi occhi. Stupefatta dello spettacolo che le si parava davanti.

C18 avanzava con lentezza verso di lei. La cyborg indossava un paio di pantaloni scuri da uomo, una camicia bianca con una cravatta nera e sopra una giacca dal taglio elegante, il tutto portando ai piedi un paio di eleganti ballerine nere. A Marion vennero le lacrime agli occhi nel vederla vestita in quel modo. Le faceva venire alla mente ricordi estremamente piacevoli.

 

 

Tu vuoi che io compri sta schifezza?!”

Perché no? Ti starebbe bene! A te tutto sta bene.”

C18 roteò gli occhi, infastidita da quei complimenti sdolcinati atti al solo scopo di addolcirla.

Se non te ne fossi accorta, io non sono un uomo.”

Però almeno così possiamo capire chi delle due è 'l'uomo' della coppia.” rispose con un sorriso malizioso sulle labbra l'altra.

C18 sbuffò esasperata. Tuttavia, con uno scatto della mano, prese un completo e si infilò dentro un camerino. Il tutto sotto lo sguardo raggiante della sua’ ragazza’.

 

Già. Erano passati alcuni mesi, ma sembrava che fossero passati anni.

Quando la cyborg le fu arrivata davanti, Marion rimase imbambolata per alcuni secondi. Gli occhi di lei la stregavano. Vedere l'ovale perfetto del suo viso fece aumentare il suo rimpianto, creandole nuove lacrime agli occhi. Quando infine fece per aprire bocca C18 la bloccò poggiandole due dita sulle labbra.

“Non dire nulla.” le sussurrò mentre spostava la mano dalla bocca al petto di lei. Il tocco morbido e freddo della bionda sulla pelle era bellissimo da sentire. La donna non poté fare altro che ammettere che quelle dita, quel tocco le erano terribilmente mancati. In quell'istante, Marion decise di mandare tutto a puttane e di seguire C18. Non gliene fregava nulla di John e della sua reputazione. Non poteva permettersi di perdere anche lei. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Le labbra della cyborg si piegarono in un ghigno. Marion comprese che le aveva letto negli occhi i suoi pensieri.

“Non lo farai.” dichiarò l'androide mentre cominciava ad accarezzarle le guance bagnate dalle lacrime. “John ti vuole bene. Sarà un buon marito, ed un buon padre.”

L'azzurra era convinta di non aver sentito bene. Spalancò sorpresa i suoi splendidi occhi celesti. Quando provò a chiederle il perché di tale scelta, C18 la precedette ancora.

“Lo sai anche tu il motivo.” rispose continuando ad accarezzarla con delicatezza sul volto. “La nostra è stata una follia. Una lunga follia di cui non mi pento. Ma dobbiamo accettare come stanno le cose. Tu hai una tua vita qua, pronta per te. Io devo trovare la mia.”

“C18...” prima che Marion potesse pronunciare altro, la bionda la baciò.

Fu un bacio lungo e passionale. Le loro lingue si unirono in una danza erotica, mentre le loro mani si intrecciarono in una stretta forte e decisa, quasi volessero rimarcare ancora una volta il legame che esisteva tra di loro. Fu un bacio lungo, lunghissimo, ma che, come tutte le cose, ebbe anche lui una fine.

“Consideralo un regalo...di matrimonio.” le sussurrò la bionda una volta staccatasi da lei. Quando la cyborg fece per andarsene l'azzurra la trattenne per una mano.

“Non venire alla cerimonia.” la pregò disperata.

Per tutta risposta l'androide sorrise, ma il suo era un sorriso macabro.

“Non sono un'imbucata. Lo sai che non mi abbasso a certe cose.”

Poi, detto questo, la bionda si liberò dalla debole stretta di Marion, uscendo dalla stanza e dalla sua vita.

 

 

Gli anni passarono.

La vita coniugale con John era l'esatto opposto di quello che aveva vissuto con C18. John era abitudinario, dolce e noioso. Per lui l'importante era che le cose andassero come dovevano andare. Marion passava le giornate ad annoiarsi a morte. Chiusa nella prigione dorata che il marito le aveva donato.

Il tempo passava, ma il rimpianto rimaneva. La donna non l'aveva più vista, ed era convinta che non sarebbe mai più successo. Senza di lei, tutto le pareva grigio e vuoto. La vita le pareva grigia. Era come se, sposandosi, avesse definitivamente abbandonato i folli anni giovanili, entrando di fatto nella gabbia delle responsabilità adulte che da una donna sposata ci si attendeva.

Marion non comprendeva come aveva potuto perderla con così tanta facilità. Si accorse di essere cambiata. La ragazza allegra ed ingenua che pensava solo a divertirsi non esisteva più. Ora c’era solo una splendida donna con una luce triste nei suoi meravigliosi occhi azzurri. Una luce che tentava però di nascondere a tutti.

Ogni giorno il primo pensiero che aveva era rivolto a lei. Non ce la faceva ad accettare quella perdita. Quell’anno passato insieme era stato unico per lei. Un periodo meraviglioso in cui ogni giorno era un’avventura. Che si trattasse di tentare di fare il pane, o di andare in disco a ballare, per la ragazza il bello di quegli istanti era che li passava con lei. Con la sua scontrosità, il suo caratteraccio e le sue battute acide. Più il tempo passava, e più la donna diventava ossessionata da quei ricordi. Ricordi che le rammentavano come era stata stupida e codarda nel buttare via tutto per la semplice paura di mostrare al mondo che il suo cuore era in mano ad una donna e non ad un uomo.

Il tempo passava, passava leggero e veloce. Coprendo di rimpianti e di triste solitudine i suoi momenti migliori. Lasciandola sempre più scavata nel cuore e nella mente.

Poi, un giorno, ebbe il colpo finale.

 

 

Era una mattina come tante altre. Il sole illuminava le vetrine del centro cittadino, creando riflessi che abbagliavano i possibili clienti che passeggiavano sul marciapiede. Il rumore delle auto, dei mezzi pubblici e del chiacchiericcio dei passanti si miscelavano a creare un cocktail perfetto di rumore indistinto.

Marion passeggiava a braccetto con il marito, osservando con noncuranza le vetrine. Un tempo, da buona ragazza fanatica dello shopping qual era, sicuramente si sarebbe fiondata in ogni negozio che aveva sottomano per spulciarlo alla ricerca di qualche capo d'abbigliamento che la ispirasse, ma negli ultimi anni anche quella sua passione si era affievolita. Le ricordava troppo lei e le litigate che scoppiavano puntualmente tra di loro per scegliere i negozi da frequentare.

 

 

Questo cosa te ne pare?”

No.”

E quest'altro?”

Neanche.”

E quest'altro ancora? Dobbiamo andarci, tutti ne parlano bene! Dicono che vende roba di ottima qualità a prezzi convenienti!”

Te lo puoi scordare.” fu la secca risposta dell'androide mentre guardava con fare annoiato un'altra vetrina che mostrava pantaloni dal taglio maschile.

Per Marion quello fu troppo.

Ora spiegami cosa diavolo c'è che non va in questo negozio miss 'Non-mi-va-bene-niente'!”

E' un negozio per cretine come te.” fu la risposta angelica della bionda. Dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla vetrina, C18 proseguì per la strada.

Quindi io sarei una cretina? E tu invece? Con quei vestiti da uomo e quei capelli corti, ti manca solo la barba e sei a posto!” ribatté acida l'azzurra osservando con espressione feroce la cyborg.

Meglio essere un uomo che una cretina...”

Ripetilo se ne hai il coraggio!”

Nessun problema: sei una cretina.”

E tu un'acidona antipatica! Sei talmente acida che a toccarti mi avvelenerei!”

Magari. Almeno mi staresti alla larga.”

Non ti sopporto!” sibilò Marion mentre si tirava i capelli, esasperata dall'atteggiamento dell'androide.

Lo so. Non farei così se mi sopportassi...” replicò con un ghigno mefistofelico la bionda.

 

 

Marion sorrise al ricordo. C18 aveva veramente una lingua tagliente come un rasoio. Parlava poco, ma quando lo faceva non diceva mai cose banali o futili. L'ennesimo particolare di lei che le mancava.

“Chissà cosa fa...cosa dice...cosa pensa...” ragionò con fare malinconico mentre osservava con occhio spento lo stesso negozio di quel lontano litigio. Non era mai stata una persona incline alla depressione o alla tristezza, ma l'aver conosciuto lei l'aveva cambiata. Non sapeva ancora se era stato un bene o un male. Forse, se non l'avesse mai vista in vita sua, sarebbe stato meglio.

E fu proprio in quell'istante, mentre pensava che non avrebbe mai dovuto conoscerla o frequentarla, che li vide.

Il suo cuore perse un colpo. Si bloccò, sconvolta. Incredula. Incapace di comprendere come diavolo era successo che quei due si frequentassero e girassero per le stesse vie della città che frequentava lei a braccetto. Notò che lui era cambiato, si era fatto crescere i capelli, ma lei no. Lei era rimasta la stessa: alta, magra, sensuale e letale nel muoversi. Ogni suo movimento irradiava sensualità e pericolo. Era come una pantera. Una splendida e selvaggia pantera che aveva deciso, per quella volta, di condividere parte della sua esistenza con un essere umano.

Ma quel qualcuno non era lei.

“Tesoro? Stai bene?”

La voce di suo marito le risuonò in testa ma lei non vi prestò attenzione. Credeva che quando l'avrebbe rivista sarebbe stata felice, invece quella visione era riuscita solamente a riaprirle vecchie ferite che non si erano mai sanate del tutto. Un debole singhiozzo risuonò dentro di lei. Aveva voglia di piangere, ma sapeva che non poteva farlo. Non in quel posto.

Si avvicinò a lei, infischiandosene di John che la seguiva perplesso. Sapeva che era pericoloso e che, probabilmente, sarebbe servito solamente a farla soffrire di nuovo. Ma Marion sentiva dentro di sé il disperato bisogno di vederla di nuovo, da vicino. Un'ultima volta.

Lui non la vide, ma lei sì. Appena i loro occhi si incrociarono, la donna rimase soggiogata da quello sguardo famelico e letale. Comprese in un attimo che anche per lei non era cambiato nulla. Che gli stessi sentimenti animavano il suo spirito selvaggio ed indomito. La stessa passione, lo stesso dolore, lo stesso amore.

Ma lei aveva fatto una scelta. Una scelta senza via di ritorno. E C18 aveva tratto le sue conclusioni, andando a prendersi ciò che un tempo era stato suo.

Un leggero ghigno incurvò le labbra dell'androide, un ghigno satanico che Marion le aveva visto in faccia centinaia di volte. Quell'espressione capace di terrorizzare qualsiasi persona per lei era invece il più bel sorriso del mondo. Lo ricambiò, ma non fu sicura che lei lo avesse visto.

Scomparve tra la folla. Una visione fugace e veloce. Così veloce che la donna non era sicura al cento per cento di averla seriamente vista. Forse era stato tutto un sogno, una visione della sua mente ormai depressa. Una pazzia mentale che l'aveva illusa, derisa ma allo stesso tempo rinfrancata sul fatto che lei l'amasse ancora.

Forse...

 

 

C18 non riusciva a concentrarsi sui negozi quel giorno. La sua mente era altrove. Non ne capiva il motivo però, e questo la irritava oltre misura.

Forse vederla non era stata una buona idea.

Era convinta di aver ormai superato, dopo tutti quegli anni, quel trauma. Quell'essere stata una seconda scelta per lei. Aveva trovato Crilin, che l'aveva amata, protetta, curata come mai nessuno aveva fatto prima. La vita con lui era diversa che con Marion. Con il guerriero era come vivere in un dolce limbo, con la ragazza era stato tutto fin troppo reale, trasgressivo e ai limiti della sensatezza e razionalità.

Sapeva di aver fatto la scelta giusta, in fondo non avevano mai avuto una seria possibilità di avere un futuro insieme lei e Marion. Erano solo due sbandate che per uno scherzo della vita si erano ritrovate ad essere amanti. Ma allora perché quella scelta, a distanza di tanti anni, le bruciava ancora?

Forse giusto non era sinonimo di felicità.

Ma lei era felice con Crilin. Ne era sicura, stava bene con lui. Ma sentiva un piccolo rimpianto dentro di sé. Rimpianto per quello che non era stato ma che poteva accadere.

Scosse la testa, cercando di cavarsela dalla mente. No, decisamente non era stata una buona idea rivederla.

“Che cos'hai 18? Ti vedo distratta, c'è qualcosa che non va?”

La cyborg sorrise nel sentire il terrestre parlare. Sempre così dolce, sempre così goffo, sempre così premuroso. Era come un bambino. Un grande bambino che le voleva bene e che le scaldava il cuore.

Ma solo lei era riuscita ad incendiarlo.

“Non ho voglia di fare shopping. Torniamo a casa.”

“Ma...non avevi detto che volevi venire in città?” le domandò perplesso il marito.

“Ho cambiato idea. È forse un problema?”

“C-certo che no! Va bene, torniamo a casa. Sono sicuro che Marron sarà contenta.”

Già...Marron. Un nome strano per una figlia strana. Nata dal più improbabile dei matrimoni. Quel nome le era venuto in mente al ricordo di lei. In fondo, quando vedeva il limpido sguardo ceruleo di sua figlia, le sembrava di averla di nuovo di fronte. Con la sua ingenuità, la sua dolcezza, i suoi isterismi.

Un flebile sorriso le sgorgò spontaneo al ricordo di tutti gli istanti passati insieme. Che coppia di pazze che erano state! Solamente loro potevano terminare la loro storia in quel modo: una sposando un uomo che non amava, l'altra sposando l'ex dell'altra.

Non sapeva se il destino fosse un grande bastardo o solamente un folle. Forse tutte e due le cose. Forse non esisteva il destino ma solo le decisioni degli esseri viventi. Ma allora cosa le aveva spinte a stare insieme e a rimpiangere quel loro lontano rapporto? Follia? Pazzia? Amore? Un miscuglio di tutti e tre? Non l'avrebbe mai saputo.

Perché il cuore delle persone è un labirinto.

E anche i cyborg più potenti si perdono nei loro meandri.

 

Fine

  
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