Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: CathLan    23/10/2013    3 recensioni
Immobili come alberi secolari cresciuti uno accanto all’altro, che hanno la possibilità di sfiorarsi solamente con le lunghe radici, sotto terra. Invisibili al mondo, eppure così intrecciate dentro.
Cosa siamo? Me lo chiedo continuamente, è un pensiero ciclico che torna indietro come fanno le stagioni sulla Terra.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

21/03

La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare. Dalla quiete impariamo così poco.



 
28/10/2014 – 22:00 p.m.
La notizia


A volte penso che magari, se le nostre vite si fossero mosse in modo diverso, io e Marley saremmo potute diventare qualcosa di grande, ancor più grande di ciò che siamo sempre state, bloccate nella nostra amicizia.
Forse saremmo potute divenire come due fidanzate silenziose che si baciano alle porte del mondo, o due compagne di vita fedeli e completamente equidistanti. Oppure, ancora, due acerrime nemiche pronte a spararsi alle spalle al primo passo falso.
Tuttavia, mentre scrivo queste righe sul diario che lei stessa mi ha regalato al nostro primo compleanno passato insieme -il settimo- non posso fare a meno che chiedermi cosa siamo noi, che non siamo mai state abbastanza, ma nemmeno niente.
Ferme dietro una linea rossa all’apparenza invalicabile, che entrambe non si sono mai prese la briga di superare. Immobili come alberi secolari cresciuti uno accanto all’altro, che hanno la possibilità di sfiorarsi solamente con le lunghe radici, sotto terra. Invisibili al mondo, eppure così intrecciate dentro.
Cosa siamo? Me lo chiedo continuamente, è un pensiero ciclico che torna indietro come fanno le stagioni sulla Terra.
Marley, se fosse una stagione, sarebbe sicuramente la primavera. Risplende come un sole caldo, buono, è sbocciata tra le mie mani come corolla, profuma di spensieratezza e sorrisi. L’attendo sempre con ansia, eppure quando arriva passa troppo in fretta e di me quasi non si accorge. Mi accarezza con la sua brezza e poi scompare, ed io rimango in mezzo ad un viale spruzzato di petali che sanno di nostalgia non sapendo che direzione prendere, perché qualsiasi decisione io possa afferrare non mi porterà mai da lei. Non so seguirla, io so solo restare ad aspettarla.
Come ha sempre detto lei, se io fossi una stagione, sarei sicuramente l’autunno, perché ho perso così tanto che mi sento spezzata e persa come una chioma spoglia. E probabilmente lo sono.
In qualunque caso, se ci riflettiamo per un piccolo istante, a dividerci c’è sempre qualcosa, che sia una stagione o una persona.
Mi sono chiesta, anche, cosa sarebbe accaduto se quel pomeriggio di sette anni fa io avessi scelto lei e non Thomas: la risposta non mi è mai arrivata. Ma penso che non sarebbe cambiato comunque niente, perché nel momento in cui io ho scelto, l’ha fatto anche lei. E mentre io mi pentivo e la osservavo da troppo lontano, lei si voltava e si affidava a Marke, ostinata e innamorata come con me non era mai stata.
Sono tutt’ora convinta che lei abbia amato me molto più di quanto non abbia fatto con Marke o, successivamente, con Aaron, ma che non se ne sia mai accorta.
Non siamo in grado di arrivare al momento giusto, non siamo state in grado di azzardare un solo e unico decisivo passo. Non siamo state capaci di accettare l’entità dei nostri sentimenti, e abbiamo perso.
Sono convinta tutt’oggi, a venticinque anni suonati, che se non fosse stato per un destino amico, deciso a farci avvicinare e crescere così vicine, io e Marley non saremmo state neanche quel poco che siamo state. Non ne avremmo avuto il coraggio. Non ne abbiamo avuto il coraggio, e ci siamo perse.
Ciò che voglio dire, nel finale di questa pagina consumata e scarabocchiata, è che ho letto da qualche parte che gli addii sono come strappi -la sensazione è quella di venire privati di qualcosa in un modo tanto crudo da sentire male fisico-, e che pian piano la percezione scompare, fino a divenire un flebile ricordo destinato a scomparire del tutto, ma io non sono per niente d’accordo. Con me non è stato così, mai.
Non con mio padre, non con Rory. Non con Marley.
Sono stata privata di cose essenziali lentamente, in modo sfocato e impreciso. E il dolore l’ho sentito comunque e in effetti lo sento ancora. Ritorna ogni anno, ciclicamente. Ad ogni equinozio, sento il sapore della nostalgia sulle labbra e l’assenza tra le dita. E come si possa sentire la mancanza proprio non me lo so spiegare.
Quindi vorrei dire, e ora lo scriverò e rileggerò ad alta voce, che per quanto ne so io gli addii non sono altro che silenzio e scia incolmabile di vuoto.
E che l’addio di Marley non si è mai concluso. E ho paura che ogni giorno della mia vita diventerà un ventuno marzo pronto a ricordarmi la sensazione di essere stata abbandonata, di nuovo. Per sempre.

 
§§§

Il vento quel pomeriggio colpiva forte le ante della finestra facendole sbattere rumorosamente contro il vetro. Ethel andò a chiuderla, fermando così l’aria temporalesca che furtiva aveva sparso in giro tutte le fotografie.
Tornò al centro della camera, si chinò sul pavimento e raggruppò le polaroid in un sol mucchio, gettandole poi a casaccio nella scatola blu dal quale le aveva tirate fuori soltanto qualche minuto prima. Tra le dita pallide ne tenne solo una, quella che aveva cercato per giorni, prima di ricordarsi di averla messa con tutte le altre. Lì dove nessuno le avrebbe potute trovare. Vecchi ricordi racchiusi sotto dita di polvere e ragnatele di pensieri confusi. Sembrava incredibile, eppure tornare per un attimo indietro, dove tutto era stato stabile e possibile, aveva fatto molto meno male di quanto si era aspettata. O forse aveva semplicemente attutito il colpo in modo esemplare.
Fermò l’istantanea tra le labbra e issandosi lo scatolone sulle braccia esili lo riportò sotto al letto. Fece scivolare di nuovo la coperta verso il basso e si accomodò, sedendosi con la schiena posata contro il materasso alto e il sedere coperto dalla tuta pesante contro le piastrelle gelide.
La fotografia non era sgualcita, ma perfettamente ben tenuta. Riprendeva due ragazze bionde, una dalla chioma più chiara e l’altra più scura, ad un soffio l’una dalle labbra dell’altra. Marley, con le sopracciglia folte aggrottate e il rossetto rosso a risaltare sulla bocca carnosa, la sovrastava. Mentre lei, seduta sul divano a gambe -nude- incrociate e gli occhi azzurri illuminati dal lampadario, aveva la testa piegata in modo da andare incontro abbastanza fluidamente al bacio. Erano belle, erano felici e avevano soltanto ventidue anni. In quello, nel mordersi le labbra e passare interi pomeriggi a fare l’amore di nascosto, non ci trovavano nulla di male. Neanche il tradire i loro ragazzi sembrava un errore orribile, quando si trattava di fondersi in quel modo ed essere felici per un paio d’ore. Era semplice quanto bere un bicchier d’acqua.
Se Ethel avesse potuto tornare indietro probabilmente avrebbe cercato la forza di voltarsi dall’altra parte e sfuggire a quella bocca, perché si sa quanto facile sia perdercisi, in un bicchier d’acqua.
Lei, in fondo, ci era annegata dentro. Ad ogni carezza, abbraccio o bacio, era scivolata sempre più in basso. E non aveva saputo uscirne mai, nemmeno quando l’unica cosa giusta da fare era lottare e risalire. Allontanarsi dai sentimenti che non sembravano volersi fermare.
Si era lasciata scivolare nell’abisso, perché era stato sicuramente più semplice che nuotare contro la corrente e mettersi in salvo, lontano da Marley. Per farlo, per andarsene, ci aveva messo tre anni. E non l’aveva fatto per se stessa, ma per la piccola vita che dolcemente cresceva nel ventre della sua migliore amica.
La fotografia, adesso girata, ritraeva ciò in cui era inciampata, ciò a cui era scappata. Ed erano mesi che non la tirava fuori e probabilmente, se non fosse stato per il trasferimento, ne sarebbero passati altrettanti prima che si decidesse a cercarla.
Sul retro bianco c’era una dedica, scritta con un indelebile nero a punta fine, nell’ortografia rotonda e storta di una giovane Marley fiera e confusa. “Per sempre insieme, ti amo” sopra, e sotto “Marley xx”
«Per sempre insieme» lesse ad alta voce, prima di decidersi ad aprire la cornice in legno, comprata qualche anno prima ad un mercatino vintage, e infilarci dentro la foto.
Una volta compiuto l’ultimo lavoro di quella giornata sfiancante, con le gambe lunghe e affusolate lievemente tremanti si alzò in piedi. Lasciò il quadretto sul comodino al fianco del letto matrimoniale e lanciandogli un’ultima occhiata gli diede le spalle, tornando agli scatoloni ormai vuoti.
Si era trasferita da due mesi, eppure prima di quella domenica non aveva trovato il tempo -e la voglia- necessari a sistemare l’appartamento. Quella mattina invece si era svegliata presto e, sentendosi in vena, si era messa d’impegno e aveva svuotato tutti gli scatoloni e i sacchi neri.
In poco più di una mattinata, alla fine, aveva una libreria in legno di ciliegio completamente piena, armadi decisamente zeppi di vestiti e le mensole della cucina finalmente occupate da mestoli, pentole e piatti che non fossero di plastica usa e getta.
Guardandosi intorno, non poté fare a meno che complimentarsi con se stessa. Poteva dirsi più che soddisfatta, l’appartamento seppur piccolo era ben strutturato e tenuto.
Stava per andare a farsi una doccia calda e rilassante per lavarsi via i rimasugli di stanchezza e sporco di dosso, quando il telefono fisso prese a suonare. Quella era esattamente la prima chiamata che riceveva su quel numero da quando viveva lì. La cosa non la sorprese. 
«Pronto?» butto lì, con tono incerto, una volta presa la cornetta.
Dall’altra parte si sentì un singhiozzo. Solo quello, ma fu più che necessario a farle capire chi l’aveva chiamata alle cinque di un pomeriggio spento e monotono.
Il cuore batté un po’ più rapidamente, mentre i muri che si era costruita attorno prendevano a sbriciolarsi lasciandola nuda ed esposta ad un dolore ben conosciuto. Era bastato così poco per frantumare tutto il suo duro lavoro.
«Marley» richiamò, in un sibilo infelice.
Stava ricostruendosi una vita lì a Los Angeles, era pronta a lasciarla da parte, a ricordarla come il primo grande amore conosciuto e lasciato a Dallas, e invece eccola qui, di nuovo. Tornata indietro come la primavera. Ed erano solo al ventotto ottobre.
«Hel» rispose quella, col suo stesso tono basso. «Non so nemmeno cosa sto facendo» borbottò, trascinando la frase in una risata poco convinta.
«Va tutto bene?» riuscì a dire dopo un po’, andando a sistemarsi sul divano in pelle. Aveva le ginocchia ridotte a gelatina, non sembravano aver intenzione di volerla reggere ancora per molto.
«Sì, sì certo. Tutto bene» rispose Marley, continuando poi: «ah, è arrivato il regalo. A Dean è piaciuto molto, non lo lascia neanche quando deve fare il bagno».
Il mostriciattolo aveva compiuto un anno il giorno prima e lei, madrina e zia acquisita, non aveva potuto mancare dal mandargli il pupazzo 50x50 cm di Hulk che il bambino tanto desiderava. Era contenta di averlo reso felice. Lo amava come fosse suo figlio.
«Mi fa piacere».
Ci fu un lungo silenzio e poi il tempo si dilatò in modo infinito.
«Mi manchi tantissimo, mi manchi ogni giorno. L’idea di non poter più venire a trovarti, di non poter sfiorare la tua pelle quando voglio o guardarti negli occhi quando ne ho bisogno mi rattrista come non pensavo potesse accadere. A volte ho solo voglia di infilare i vestiti nella valigia e raggiungerti, ma poi penso a Dean e ad Aaron e capisco che non posso. Non più. Sono una madre di famiglia, e ti amo» avrebbe voluto sentirsi dire e invece, ciò che udì fu: «Fra quattro mesi mi sposo, Hel».
Ethel non era sorda, sentì tutto, sia il tono contrito e sincero di Marley nel darle la notizia, sia le scuse che seguirono una dietro l’altra dopo, preoccupate e ansiose. Ma non trovò la voce per dire nulla. Lasciò scivolare il pollice sul pulsante rosso e serrò le palpebre.
Ci aveva pensato tante volte a quel momento. Era naturale che Marley sarebbe tornata solo per ribadire che se n'era andata, era sempre stata brava in quello, ma pensava di essere ormai in grado di gestire il familiare turbinio di emozioni. E adesso, con un pianto isterico pronto a sfuggire al suo controllo, sapeva di non essersi avvicinata alla verità neanche di poco. Non sarebbe mai stata pronta alla primavera. Neanche se quella si fosse annunciata in anticipo.

 
§§§

24/02/2014 – 00:22 p.m.
Il matrimonio


Prova a immaginare la persona più importante della tua vita. Immaginala vestita bene, pronta a convolare a nozze, con il viso più sereno che possa aver mai avuto e l’espressione più innamorata mai mostrata. Immaginala camminare tra i fiori, sotto una luce calda e delicata, a tempo di marcia nuziale. Immaginala pronunciare ad alta voce i voti. Immaginala dire “sì” ad un’altra persona che non sei tu. Immaginala abbracciare il suo primogenito e sorridere da madre fiera.
Non è tua. Non lo sarà mai più.
Che cosa fai? Tu che cosa sei? E per chi, lo sei?

Sono tutte queste domande a farmi paura, per questo ho deciso di voltare definitivamente pagina. Ho letto una volta che forse la gente deve soffrire davvero prima di arrischiarsi a fare ciò che ama, e penso che questo sia proprio quello che è accaduto a me. 

L’ultimo bacio con Marley era quell’addio che non le avevo mai chiesto e di cui invece avevo infinitamente bisogno. Sono contenta me l’abbia concesso.
E per questo la ringrazio, posso ricominciare ad amare davvero. 

 
§§§
 
21/03/2016 – 10:00 a.m.
Il solstizio


Mi sono sempre domandata dove confluisse tutto l’amore che ho sempre serbato e che Marley invece non ha fatto altro che rifiutare. Naturalmente, come nella maggior parte delle volte, la risposta non mi è mai arrivata.
Deve esserci qualcosa di molto triste negli amori platonici, in quel dare tutto a qualcuno che in realtà non ne ha bisogno e non ne vuole. E’ un po’ come essere chiusi nel proprio amore, in qualche modo resta sempre dentro di te, non se ne va mai. E cosa succede ad un amore così grande che ti resta dentro per un tempo così lungo?
Anche questo, a dirla tutta, non lo so.
Ma penso che da quando Jenny è entrata nella mia vita il mio amore sappia dove andare. Ben presto, immagino, imparerà anche ad essere accettato e ricambiato. Un passo per volta, mi dico.
Jenny per fortuna è paziente, sta seguendo i miei tempi e mi copre come una coperta calda quando mi ritrovo a tremare ingiustamente, troppo impaurita e spaventata. Se Jenny fosse una stagione sarebbe sicuramente il doppio volto dell’inverno. Ovvero il freddo e poi anche il caldo del camino, i baci screpolati e gli abbracci dolci sotto la trapunta, il buio serale e le luci degli addobbi, le mani ghiacciate e le tazze di cioccolata bollente, gli alberi spogli e allo stesso tempo coi rami pieni di neve.
Credo di potermi adattare a lei perché so sempre dove trovarla, e non solo perché pian piano, pezzo dopo pezzo, si sta trasferendo a casa mia, ma perché l’inverno è sempre uguale e arriva sempre al momento giusto. E so quando e dove aspettarlo, e come cercarlo.
Amare Jenny è semplice e mi piace, mi fa sentire bene. Fa’ in modo che io mi piaccia e mi senta meno spezzata e persa. Fa’ in modo di farmi sentire a casa anche quando a casa non ci sono. Perfino quando andiamo dai suoi a New York ed è tutto così diverso che sono sicura che da sola non saprei farcela.
Con lei ci riesco.
A Marley piace, si sono conosciute quando insieme siamo tornare a Dallas per un weekend, il mese scorso. Nel vederle vicine, sedute nella cucina della mia vecchia casa, mi sono sentita serena e non a disagio come avevo previsto. Perfino Dean era contento, la cosa ha placato molti miei dubbi e dispiaceri.
Ho anche notato come gli occhi verdi di Jenny si sono fermati sulla fede di Marley, o come hanno luccicato quando le è stata raccontata la gravidanza tutt’altro che semplice che ha portato poi alla luce un sanissimo e bellissimo marmocchio iperattivo.
Al momento non ne parliamo, ma fra qualche mese ho intenzione di tastare il terreno, sia con mia mamma che con lei. Voglio sapere che cosa ne vuole fare di ciò che siamo, perché se fosse per me ci passerei la mia vita intera in sua compagnia. 
Sto scrivendo tutto questo perché ho deciso che, così come il capitolo Marley è rilegato in un cassetto del mio cuore, anche questo diario deve prendere un posto sullo scaffale della libreria.
Non credo che, dopo stamattina, sentirò più il bisogno di annotare le mie sofferenze e i miei drammi nello sgualcito regalo di un vecchio amore.
Piuttosto, se vorrò riprendere a scrivere, userò il mio nuovo portatile (regalo di Jenny).
Come ho già scritto più di una volta, ho sempre subito gli addii come silenzi e vuoti incolmabili, ma questo non lo è. Questo sarà soltanto un gran bel capitolo chiuso, pronto ad essere sostituito da una storia altrettanto grandiosa e importante, solo con protagoniste diverse e più sicure dei propri sentimenti.
Non è un addio triste, non mi porta alcun dolore. 
E poi chissà, magari fra cinquant’anni i miei nipoti vorranno leggere questo diario e ne trarranno qualche buon consiglio.
Alla fin fine ogni fine è relativa, ce ne sono alcune che non si concludono mai.



Note:  Salve(´・ω・`)
Sono CathLan ed era tipo mezzo secolo che non scrivevo nelle storie originali e sicuramente non avrei mai pensato di ritornarci con una femslash, ma a quanto pare mai dire mai.
Riguardo alla One Shot non ho praticamente niente da aggiungere, si è creata da sola e riflette molto ciò che sono e diverse cose che ho passato.
Il banner è creato dalla fantavigliosavaligie per restare”.
Spero che la storia sia piaciuta e nulla, vi lascio.
A presto, un bacio.
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: CathLan