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Autore: Soqquadro04    23/10/2013    4 recensioni
[Fluuuuuff | AU!Futurverse (dieci anni dopo) | Fluff | Delena | L'ho già detto Fluff?]
«Sta già dormendo?» il suo è solo un sussurro interrogativo, atto a non disturbare il motivo della sua domanda, e la donna non può che sorridere ancora, intenerita, e rispondergli altrettanto piano.
«Si è addormentata un'oretta fa. Avrebbe voluto aspettarti, ma non è riuscita a resistere.» è divertita al ricordo di qualcosa, forse un'espressione, o una frase. Lui scuote la testa davanti a quella precoce dimostrazione di testardaggine – Elena gliel'aveva detto, che secondo lei è un carattere ereditario.
Le dà un ultimo bacio, breve e familiare, prima di raccogliere le rose – quel che ne rimane, perlomeno –, appoggiarle sul mobile dell'anticamera e avviarsi verso il piano superiore.

Ambientata in un ipotetico “dieci anni dopo”, dove Elena e Damon, in qualche modo, hanno preso la cura insieme e vivono felicemente in una casa piena di gatti e giocattoli ammassati negli angoli delle stanze.
[Partecipante al contest "Sua Maestà: Re Fluff" indetto da FairLady sul forum di EFP]
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sentimentalism, cats and children'
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Nickname su EFP/Forum: Soqquadro04
Titolo della storia: Three

Fandom: The Vampire Diaries
Rating: Verde
Tipologia (flash/one-shot): One-Shot
Avvertimenti: AU; Futurverse; What if?
Parole scelte: Gatto; Petalo; Tramonto

Note (facoltativo): Ambientata in un ipotetico “dieci anni dopo”, dove Elena e Damon, in qualche modo, hanno preso la cura insieme e vivono felicemente in una casa piena di gatti e giocattoli ammassati negli angoli delle stanze.

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Three

Sai quali sono i cattivi padri? Quelli che hanno dimenticato gli errori della loro giovinezza.
Denis Diderot

Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre.
Gabriel Garzia Marquez

 

È stanco, mentre accosta davanti a casa e spegne l'auto, sospirando.
Si prende due minuti per sé, lasciandosi cadere pesantemente contro il sedile con un tonfo sordo, troppo forte nel silenzio immobile dell'abitacolo.

La strada, fuori, è colorata di rosso e oro dal tramonto. Le ombre sembrano riflessi di un altro mondo, ridisegnate dalla luce calante.

È un bello spettacolo, ma non eguaglia sicuramente quello che troverà entrando in casa.

Sospira un'ultima volta, godendo per solo qualche altro attimo della calma. Poi apre lo sportello, afferra l'enorme mazzo di rose appoggiato sul sedile del passeggero ed esce dall'auto, imboccando il vialetto.

Quando raggiunge la porta, infila la mano non occupata in tasca, cercando le chiavi.
Nella tasca sinistra non ci sono.

Aggrotta la fronte, frugando nell'altra.
Nemmeno nella destra.

Damon Salvatore sbuffa, irritato.
Sorpresa saltata: ha di nuovo dimenticato le chiavi.

Mentre suona il campanello, tenta goffamente di nascondere le rose dietro la schiena. Se non fossero state due dozzine, forse ci sarebbe anche riuscito, ma quando Elena compare sulla soglia, sorridente, un'aureola di corolle rosse spunta da dietro la sua testa, e lui ha il volto contratto in un'espressione a metà fra un ghigno e il massimo dispiacere che riesce a mostrare dopo l'ottavo regalo rovinato in due mesi.

Si osservano per qualche secondo, poi lei scuote il capo, ridendo appena, e si fa da parte per lasciarlo entrare.
Una volta richiusa la porta, lui le porge i fiori, inchinandosi scherzosamente, ed Elena li accetta, ringraziandolo con un bacio.

Lui le cinge la vita, carezzandole piano i fianchi, mentre avverte la stretta di lei sulla nuca, forte e decisa.
Il mazzo è caduto a terra, spargendo intorno a sé una cascata di petali rossi.

Quando si allontanano, un poco ansanti, passa ancora qualche istante prima che parlino.
Il primo a spezzare il silenzio è lui.

«Sta già dormendo?» il suo è solo un sussurro interrogativo, atto a non disturbare il motivo della sua domanda, e la donna non può che sorridere ancora, intenerita, e rispondergli altrettanto piano.
«Si è addormentata un'oretta fa. Avrebbe voluto aspettarti, ma non è riuscita a resistere.» è divertita al ricordo di qualcosa, forse un'espressione, o una frase. Lui scuote la testa davanti a quella precoce dimostrazione di testardaggine – Elena gliel'aveva detto, che secondo lei è un carattere ereditario.

Le dà un ultimo bacio, breve e familiare, prima di raccogliere le rose – quel che ne rimane, perlomeno –, appoggiarle sul mobile dell'anticamera e avviarsi verso il piano superiore.

Passando per il salotto, evita due gatti che, pigri, sonnecchiano sul tappeto, perdendo pelo grigio e nero, e scavalca qualche peluche abbandonato a se stesso.
Sale le scale, i passi attutiti dalla moquette chiara e spessa, e si ferma davanti ad una porta in legno, unico ornamento una targhetta in ottone.

Ha un sorriso che gli incurva appena le labbra, allegro, mentre fa girare il pomolo ed entra.

La stanza è rossa. Rosso caramella, ovunque.
Muri rossi, un armadio rosso con le finiture bianche, una lampada a forma di coccinella che controlla tutto, dal soffitto, un letto dal piumone a pois bianchi su sfondo rosso.

Sul comodino lì di fianco, una luce lasciata accesa.
Per scacciare i mostri della notte, per far sbiadire gli occhi rossi acquattati nel nero.
Illumina il visetto paffuto e dormiente di una bambina dai lunghi capelli scuri.

Damon si avvicina, sedendosi sul materasso, leggero e silenzioso quanto il gatto che, approfittando dell'uscio lasciato socchiuso, si intrufola nella camera, saltando sul cuscino vuoto di fianco alla testa della bimba.

Il sorriso dell'uomo si fa più mesto, incredibilmente tenero, mentre si allunga a baciarle la fronte, una luce indefinibile in fondo alle iridi chiare.
Nonostante la sua cautela, la piccola corruga le sopracciglia, strizzando un paio di volte le palpebre prima di svegliarsi e spalancare gli occhi, enormi e identici a quelli di lui, chiamandolo con voce impastata di sogni.

«P-papà?» Damon si sente stringere il cuore – una morsa confortante, forte ma non dolorosa, calda ma non tanto da scottarlo.
Nonostante ormai siano passati quasi sei anni, ogni tanto fa quasi fatica ad associare l'idea di sé che – per quanto ormai sbiadita, confusa, lontana – ha mantenuto per più di un secolo.

Più di un secolo, sì, ma poi era arrivata Elena a togliergli il fiato dalla gola e la terra da sotto i piedi; come fa ancora, molto più spesso di quanto non dia a vedere.
Elena che l'aveva scelto, Elena a cui, come ogni volta, aveva rinunciato a dire di no. Avevano preso la cura, alla fine. Insieme.

E ora c'è anche lei, ormai completamente sveglia, che lo guarda raggiante prima di gettargli le braccia al collo, strofinandosi contro la sua spalla come una lontana parente in versione umana dell'animale acciambellato lì accanto.
Damon ride, accarezzandole i capelli e cullandola un poco.

Mormora qualcosa, sottovoce, all'orecchio di lei.

«Liz, oggi la mamma sembrava molto meno esasperata del solito. Hai fatto la brava?» la fa sorridere ancor più apertamente, e annuire con energia, convinta.
L'uomo le fa l'occhiolino, scatenando una risatina tanto lieve che quasi non si avverte.

Poi dà un'occhiata all'orologio appeso al muro, notando al contempo le palpebre sempre più pesanti della bimba, e la fa sdraiare nuovamente, rimboccandole le coperte.

Il gatto continua a ignorarli, almeno fino a quando Elizabeth non lo afferra, tenendolo stretto al petto e arrotolandolo nel lenzuolo.
Damon sta trattenendosi dallo scoppiare a ridere fragorosamente, dopo aver notato la faccia rassegnata dell'animale, quando la voce esile della piccola ritarda i saluti.

«Papà? Mi racconti te e mamma?» la prima volta che glielo aveva chiesto, per qualche secondo non aveva saputo cosa rispondere, come spiegare.
Ma ora è routine, e anche se Lizzie dovrebbe dormire, è ormai chiaro che nemmeno a lei è capace di dire di no.

Sospirando, fintamente contrariato, si accomoda meglio sul bordo del letto, iniziando a raccontare.

«Quando mamma e papà erano giovani – più giovani di adesso, ecco – vivevano in una città, in Virginia. Si chiamava Mystic Falls, ed era molto piccola, quasi invisibile. Il papà e la mamma della tua mamma, qualche mese prima che ci conoscessimo, avevano fatto un incidente.» si ferma per qualche secondo, aspettando la prima domanda, che non tarda ad arrivare.
«E sono andati in cielo?» Liz, gli occhi sgranati, attende la stessa risposta di sempre.

«Sì, sono andati in cielo, e la mamma era molto triste.» prende fiato per continuare, le stesse parole di ogni sera già pronte sulle labbra, ma la bambina lo sorprende con un nuovo quesito.

Stavolta non sa rispondere. Non può.

«Papà, ma tu e mamma non andrete in cielo, mai, vero?» rimane bloccato, Damon, a osservare quegli occhi così simili ai suoi, lucidi di preoccupazione.

Cosa deve fare?
Mentirle, dirle che non succederà?

O essere brutale, spiegarle che non è possibile, evitarle illusioni?

Non esiste un manuale per queste cose, nessuno ti aiuta a capire come gestire la paternità, o come rispondere a domande a cui solo la vita può dare risposte.
Così opta per una via di mezzo, rassicurante ma non falsa.

«Il più tardi possibile, Liz. Te lo prometto.» l'uomo le sfiora una guancia, incurvando appena le labbra, e la piccola pare soddisfatta, almeno per ora, e si risistema contro il cuscino, pronta a udire l'ultima parte di storia. Sbadiglia.
Il gatto si è liberato discretamente, sparendo oltre la soglia della stanza. Lizzie sbadiglia di nuovo, e chiude gli occhi, vinta dal sonno.

«La mamma, dicevo, era molto triste...» Damon lascia sfumare la voce, dolce mentre le bacia ancora una volta la fronte e si alza, attento a non muovere troppo il materasso.

Esce dalla camera, chiudendo la porta dietro di sé e iniziando a scendere le scale.
Quando entra in salotto, Elena è sdraiata sul divano, le gambe distese e un libro in grembo.

Si avvicina, sollevandole i piedi per poi sedersi e sistemarsi le gambe di lei in grembo.
La donna sorride, appoggiando il libro chiuso sul tavolino e inclinando la testa a sinistra, scrutandolo, indagatrice.

Damon le sorride a sua volta, le sopracciglia inarcate, quando un ricordo affiora, da ormai dodici anni di distanza.

«Non hai la stessa faccia che avevi la prima volta che l'ho fatto.» rammenta ancora l'espressione stranita, la fronte un poco aggrottata.

Lei ride, scuotendo il capo.

«Ti guardavo come se fossi impazzito.» ora invece, solamente, le brillano gli occhi, e intreccia le dita alle sue, tenera.
Lui ricambia la stretta, disegnando lenti cerchi concentrici sul dorso della sua mano, con il pollice.

«Allora non potevo fare questo, però...» si allunga, baciandole piano le labbra e passando appena la lingua contro il contorno della sua bocca.
Lei sorride, ricambiando il bacio e accettando di buon grado l'invito di lui a sederle in grembo.

«Devo dirti una cosa.» la voce di lei è un rimescolio curioso di gioia, malizia e tenerezza.
Lui borbotta, contrariato, e la ignora, scendendo a baciarle il collo.

«Molto importante o può aspettare domattina? Ora che siamo solo noi due...»
«In questa stanza siamo in tre, Damon.»


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Finita! ^.^
Spero non vi sia dispiaciuta troppo, che sia il più possibile IC e che non siate cadute tutte in coma iperglicemico <3
A presto,
la vostra Soqquadro

   
 
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