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Autore: Suzerain    25/10/2013    1 recensioni
Tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé, senza interrompere o variare la propria andatura, Ryouta ripensò alle parole che alcuni minuti prima gli erano state rivolte; una domanda a cui non aveva saputo rispondere, che aveva arbitrariamente deciso di evitare – spaventato, forse, dalla risposta che a questa avrebbe potuto trovare.
Tese la mano, osservando alcuni candidi fiocchi poggiarsi sulla stessa e sciogliersi a contatto con il calore della sua pelle. Mentre dalle sue labbra fuoriusciva un sospiro, il pensiero di ciò che l'ultima volta che si erano visti avevano finito con il dirsi tornò ad occupare i suoi pensieri. L'aveva fatto per giorni. Tutt'ora, continuava a farlo.

“E' così fottutamente illogico, Ryouta!”
[...]
“Troppo assurdo perché possa lasciar correre.”
~ [Incompiuta.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Endless Tears.
Autrice: _snowscene
Fandom: Kuroko no Basket (黒子のバスケ)
Pairing: Aomine/Kise, principalmente. Lievi accenni di altri pairing.
Personaggi: Per questo capitolo: Kise Ryouta, Aomine Daiki (appena accennato), Kagami Taiga, Alexandra Garcia, Tatsuya Himuro (appena accennato).
Desclaimer: Kuroko no Basket ed i suoi personaggi non mi appartengono, ma sono opera di Tadatoshi Fujimaki. Idem per Zetsuen no Tempest, universo nel quale l'opera è ambientata e per il quale i credits vanno a Kyō Shirodaira, Arihide Sano e Ren Saizaki.
Le citazioni appartengono alle opere Shakespeariane “La Tempesta”, “Amleto” e “Romeo e Giulietta”. 
Ambientazione: AU, ispirata al manga/anime Zetsuen No Tempest, seconda ossessione dell'autrice dopo KnB, ma tranquillamente godibile pur non avendolo seguito. In ogni caso, se non lo conoscete siete delle pessime persone e dovete andare immediatamente a recuperarlo. E dovete amare Aika, perché lo dico io.
To: Shichan, che ringrazio di essermi accanto e che, invero, dovrei ringraziare per mille altre cose; si tratta di un pensiero piccolo ed in ritardo il mio, ma mi auguro che possa ugualmente apprezzarlo e che possa esprimere un minimo l'affetto che nutro nei tuoi confronti.
Kam. Perché è una delle persone più belle che conosca, e perché sono felice di poter essere una delle poche persone che considera realmente come “amiche”. Spero che anche tu possa apprezzare il pensiero.

Un ringraziamento speciale va a Rota, che mi ha supportata per tutto il tempo e che ha avuto la pazienza di correggere questa schifezzuola. Se non l'ho cancellata è merito/colpa sua (L).
Note dell'autrice: Se aveste detto alla me stessa di qualche anno fa che avrebbe pubblicato una fanfiction su una coppia che non supporta questa avrebbe riso ed affermato che no, era impossibile. Eppure eccomi qui, imbarcata in un'impresa forse più grande di me e che non so se riuscirò mai a portare a termine: non solo una fanfiction su personaggi che non sono sicura di poter gestire, non solo una AU, ma persino una long fiction.
C'è una parte di me che è spaventata, vista l'insicurezza che tanto mi caratterizza. E lo è ancora di più perché tutto ciò è dedicato a persone per me importanti e che non vorrei deludere in modo alcuno con qualcosa non all'altezza.
Ma ho deciso di provarci, di tentare di andare fino in fondo e mi impegnerò per riuscirci. Spero che possiate apprezzare il mio sforzo per migliorare me stessa ed il mio scrivere; personalmente credo di essere un tantino migliorata rispetto ai primi tempi, ma il giudizio ultimo non è mio, dopotutto.
Grazie per l'attenzione e grazie ancor di più se state sprecando il vostro tempo per leggere tutto questo.

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Addio, addio.
Ricordati, ricordati di me.


Gli unici suoni che era possibile captare erano quello prodotto dalle onde ed il canto di un gabbiano poco più lontano; romantico, dal punto di vista di alcuni. Senza ombra di dubbio oggettivamente piacevole, rilassante – specie se si tiene conto del gradevole calore prodotto in quello stesso momento dal sole, che splendeva alto nel cielo. Imponente, come da millenni a questa parte.
Eppure, Kagami Taiga non si fermò ad osservare quello spettacolo, a godere di quel piccolo angolo di paradiso.
Il suo sguardo era perso verso l'orizzonte, e ad un occhio esterno avrebbe dato l'impressione di star cercando qualcosa che ai mortali non era dato vedere. Il suo volto apparentemente privo di espressione, le braccia incrociate al petto, sulle quali era possibile intravedere la presenza di piccoli granelli di sabbia, dovuti all'essersi lasciato cadere sulla stessa alcuni minuti prima. In quella posizione rimase diversi istanti prima di prendere a camminare, raggiungere il barile consunto con cui era giunto in quel luogo e guardarsi intorno, prestando per la prima volta maggiore attenzione all'ambiente che lo circondava.
Un sospiro dunque; con le dita della mano sfiorò la superficie in legno e per qualche istante la fissò, prima di prendere posto sulla stessa in modo a dirla tutta scomposto, spettinandosi i capelli rossicci – scoprendo che quei piccoli e fastidiosi granelli si annidavano anche tra questi ultimi.
« Vaffanculo. »
Sbottò, e senza premurarsi di mantenere basso il tono di voce. Del resto, si disse, non c'era nessun altro in quel luogo – un'isola, a giudicare da quanto aveva potuto vedere – e preoccuparsi di disturbare la quiete altrui sarebbe stato pertanto superfluo. Inoltre, simili pensieri o accortezze non avevano mai realmente fatto parte di lui.
« Vaffanculo, Tatsuya. » continuò quindi, seguitando a guardare l'orizzonte, forse nella vana speranza che la sua voce raggiungesse la persona a cui era indirizzata.
Alla calma che sino ad allora aveva mantenuto, sembrava ormai essere vicina a sostituirsi l'ira; l'ennesimo sospiro aveva infatti abbandonato le sue labbra, sebbene stavolta fosse più simile ad uno sbuffo irritato che non. Al contempo diversi pensieri gli sfioravano la mente, tutti rivolti al precedentemente indicato Tatsuya, tutti dai toni decisamente poco eleganti; doveva trovarlo divertente, pensò. Di certo era stato particolarmente furbo – cosa di cui non c'era realmente da sorprendersi in fondo, se si considerava il soggetto in questione. Tale pensiero fu però scacciato via abbastanza velocemente, così che potesse lasciarsi sfuggire un verso di disappunto e ricapitolare mentalmente la situazione, ancora una volta.
Bloccato su un'isola deserta, lontano da qualsiasi forma di civilizzazione ed impossibilitato pertanto a fare uso dei poteri che l'Albero della Genesi gli aveva concesso e su cui aveva sempre creduto – erroneamente – di poter fare affidamento. Nessun aiuto, e procurarsene sarebbe stato senza dubbio alcuni difficile; non bisognava essere dei geni per capire che Himuro doveva aver nascosto l'isola al mondo esterno in qualche modo. Niente cibo. Niente acqua.
Divertente, davvero. La tentazione di lasciarsi andare all'ennesima invettiva contro Himuro fu più forte che mai.
« Tu ed il tuo cazzo di Albero dell'Esodo. »

 

Ricordarmi di te, povero spirito!
finché avrà spazio la memoria,
su questa sfera di terra impazzita.



“L'incendio che qualche giorno fa ha finito con il devastare alcune proprietà private nella zona di Shinjuku si è scoperto essere doloso. Ancora nessun sospetto su chi possano essere i colpevoli, ma le forze dell'ordine intimano di essere fiduciosi. [...]”
Portò alle labbra la forchetta, masticando lentamente il boccone ed assaporandolo, per quanto gli fosse possibile; Ryouta non era mai stato un grande amante della verdura, ma non poteva fare lo schizzinoso ora che i suoi genitori erano fuori città. Si disse che sua madre era stata fin troppo gentile a preparargli il pranzo prima di andar via, e che rifiutarlo sarebbe stato pertanto meschino da parte sua – ed essere meschini era l'ultima cosa che desiderava, in verità.
Il televisore era acceso da diversi minuti, ma nonostante tutto, il biondo non sembrava prestare alle notizie che il notiziario diffondeva troppa attenzione. Non perché non fosse interessato, no. Non era il genere di persona che si avvaleva dei suoni prodotti da uno schermo per non sentirsi sola; semplicemente erano altri i pensieri su cui in quel momento preferì concentrarsi, pensando che, in fondo, sarebbe stato lecito per lui distrarsi per qualche istante.
Un sospirò abbandonò quindi le labbra sottili, gli occhi dorati che nuovamente andarono a soffermarsi sullo schermo del cellulare, poggiato sul tavolo, a pochi centimetri da lui. La casella dei messaggi aperta, uno di questi visualizzato da ormai alcuni minuti; il mittente era semplicemente indicato come “A.T”, il messaggio chiaro e non troppo lungo: “Disdici nuovamente e non avrai mai il mio perdono. Per una volta, prova ad essere puntuale per favore.”. Sebbene non la stesse guardando, ad esso era allegato una fotografia.
« Come se potessi farlo. »
Fu un mormorio istintivo, niente di più; nuovamente spostò lo sguardo quindi, osservando il proprio orologio e l'ora da questo indicata. Seguì qualche rapido calcolo mentale prima di alzarsi, spegnere l'elettrodomestico e riporre il piatto nel lavandino, mettendolo a mollo; lo avrebbe ripulito una volta di ritorno dalle lezioni pomeridiane, si disse, rimproverandosi subito dopo. Ecco cosa si otteneva a perdersi nei propri pensieri.
Ecco cosa si otteneva a promettere qualcosa.

Le lezioni pomeridiane non gli erano mai realmente piaciute. Dal suo punto di vista, era semplicemente troppo poco portato allo studio per riuscire ad apprezzarle. Negli anni passati era riuscito a sopportarle grazie al pensiero che in seguito alle stesse avrebbe potuto prendere parte agli allenamenti di basket, sport scoperto per puro caso ma di cui si era letteralmente innamorato; talentuoso, aveva spesso contribuito a portare la squadra alla vittoria e preso parte ad importanti competizioni, alcune di esse persino a livello nazionale. Ad ogni modo, da tempo aveva lasciato il club, gettato via, anche se solo figuratamente, le scarpe da basket; il suo amore non era scemato – troppo forte per farlo – ma aveva sentito il bisogno di staccare, allontanarsi. Inutili erano state le preghiere dei senpai di ripensarci.
A distanza di tempo, ancora aveva l'impressione di riuscire a percepire su di sé i loro sguardi di rimprovero.
Lievemente irritato al ricordo fece schioccare la lingua, facendo roteare la matita che teneva tra le dita e concentrando la propria attenzione su ciò che poteva osservare dalla finestra dell'aula. Il cortile era vuoto, il cielo aveva assunto un colorito grigiastro; non c'era realmente da sorprendersene, considerando che ormai era inverno inoltrato. Le previsioni meteorologiche avevano annunciato che quel pomeriggio avrebbe potuto nevicare, persino.
Si ritrovò a pensare a quanto quella scena apparisse surreale, finta quasi; come se fosse stata disegnata da un qualche mangaka o diretta da un regista di serie B – il protagonista avente il banco vicino alla finestra, il suo guardare al di fuori della stessa e perdersi nei propri pensieri. Niente di innovativo, niente che valesse la pena considerare o essere visto. Per qualche momento, si sentì al pari di un attore impegnato nella recitazione di un copione che non lo aggradava.
“E' compito dell'attore, quello di dare sempre il meglio di sé, Ryouta-kun. Per quanto possa non apprezzare la sceneggiatura.”
« Kise-kun. » A richiamarlo all'attenzione fu una voce che a riconoscere impiegò alcuni istanti; resosi conto che apparteneva al suo docente si alzò in piedi, nella vana speranza di riuscire a celare il suo essersi distratto. Incrociò gli occhi marroni dell'uomo, prendendo a parlare con un tono diligente ed educato – sembrerebbe essere uno studente modello, a vederlo così.
« Mi dica, Hitomi-sensei. »
« Riprendi la lettura dal prossimo paragrafo. » Mormorò quello, indicando con lo sguardo il libro sul banco; uno sguardo rapido, un suggerimento provvidenziale – non avrebbe saputo dire da chi questo fosse venuto, ma ciò che era certo era che tale persona aveva tutta la sua gratitudine. Prese delicatamente il libro tra le mani, dunque.
Cominciò a leggere.

Quelle ore erano state interminabili, pensò, riponendo il materiale scolastico all'interno della propria borsa ed alzandosi, così da poter abbandonare l'aula. Era sempre uno degli ultimi ad andare via, avendo l'abitudine di ricontrollare più volte di aver preso tutto; c'erano molte cose che gli si potevano rimproverare, ma il non tenere ai propri effetti personali non era tra queste – l'educazione impartitagli dai suoi genitori in proposito era stata alquanto severa.
La mano sinistra andò a sistemare i capelli biondi, ed in seguito tornò ad abbandonarsi lungo il fianco; al contempo il ragazzo si fermò davanti alla cattedra chinando lievemente il capo per salutare il proprio insegnante, come l'etichetta giapponese imponeva. L'uomo si era trattenuto nella stanza più del solito, probabilmente per controllare alcuni documenti.
« Arrivederci a domani, sensei. » Utilizzò lo stesso tono di cui si era avvalso durante la lezione per pronunciare quella frase; forse un modo per evitare il rimprovero che prima non era giunto – si suppone per magnanimità da parte dell'uomo, che aveva preferito non imbarazzarlo di fronte al resto dei suoi compagni.
« A domani, Kise-kun. » Fu la sua risposta. Il suo tono non lasciava presagire ci fosse altro, ragion per cui Ryouta si considerò salvo; in un'altra occasione avrebbe sorriso o forse si sarebbe lasciato andare ad un sospiro di sollievo, ma ricordandosi di chi aveva dinanzi preferì evitare. Si limitò quindi a chinare il capo, voltarsi verso l'uscita, aprirla. Fu in quello stesso momento però il suo professore lo richiamò nuovamente all'attenzione – ma non per rimproverarlo, no. Posò lo sguardo su di lui e mosse flebilmente le labbra, quasi fosse indeciso su cosa dire. Soltanto dopo una manciata di secondi esternò il suo dubbio, l'espressione addolcita – forse era dell'idea che si trattasse di un argomento delicato: « Kise-kun, nessuna notizia di Aomine-kun? »
Contrariamente a quelle che sembravano essere le aspettative dell'uomo comunque, a parte la sorpresa iniziale che non si era preoccupato di celare, ciò che il biondo fece fu scuotere semplicemente il capo, chinarsi, a mo' di scuse. Il viso quasi del tutto inespressivo, come se la faccenda non lo riguardasse – come se stessero parlando del tempo e non della scomparsa del suo amico d'infanzia.
« Non una parola da quando è sparito. » Rispose. Una breve pausa quindi, prima di continuare a parlare, tornando composto, riprendendo ad osservare il proprio interlocutore. « Non saprei dire che fine abbia fatto o predire ciò che gli passa per la testa. Ma sicuramente è vivo, per cui non se ne preoccupi ulteriormente. » concluse. Questo gli restituì uno sguardo fatto di sorpresa; per qualche istante, vista la sua espressione, sembrò essere dell'idea di aver frainteso le sue parole. Ma dopo qualche momento di sbigottimento si ricompose, sistemandosi gli occhiali e spostando nuovamente lo sguardo sui documenti.
« Se il suo migliore amico parla così... » e lasciò cadere la frase, probabilmente ancora una volta indeciso su cosa dire. Ryouta si limitò a chinare nuovamente il capo e congedarsi, ripetendo il saluto.

Con un movimento secco aprì l'ombrello, allontanandosi dall'edificio scolastico. Le previsioni dei meteorologi si erano rivelate essere corrette e la neve aveva preso a cadere.
Se la memoria non lo ingannava, quella doveva essere la prima nevicata dell'anno; da ragazzino era solito attendere questo giorno con impazienza, infantilmente affascinato da quel fenomeno. A ripensarci ora, il comportamento che era solito tenere era quasi divertente.
Tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé, senza interrompere o variare la propria andatura, Ryouta ripensò alle parole che alcuni minuti prima gli erano state rivolte; una domanda a cui non aveva saputo rispondere, che aveva arbitrariamente deciso di evitare – spaventato, forse, dalla risposta che a questa avrebbe potuto trovare.
Tese la mano, osservando alcuni candidi fiocchi poggiarsi sulla stessa e sciogliersi a contatto con il calore della sua pelle. Mentre dalle sue labbra fuoriusciva un sospiro, il pensiero di ciò che l'ultima volta che si erano visti avevano finito con il dirsi tornò ad occupare i suoi pensieri. L'aveva fatto per giorni. Tutt'ora, continuava a farlo.
“E' così fottutamente illogico, Ryouta!”
Lo era.
Ma il passato non poteva essere riscritto e la vendetta non avrebbe mai realmente lenito il dolore che l'anima umana poteva aver provato – che a distanza di tempo continuava a provare, come se questo fosse destinato a non affievolirsi mai.
Ci sono cose che sono difficili da ottenere, per quanto le si possa desiderare.
“Troppo assurdo perché possa lasciar correre.”
E non sempre l'ottenerle portava la felicità.
« E quando lo troverai? Cosa farai, Daikicchi? »
L'aveva mormorato senza rendersene conto, ritirando la mano e cercando per la stessa riparo dal freddo all'interno della giacca della divisa scolastica. Non ci fece molto caso comunque o decise di non farlo; continuò imperterrito a camminare, l'aria che si condensava ad ogni suo respiro e la mano che reggeva l'ombrello lievemente infreddolita a causa del vento che aveva preso a soffiare da alcuni minuti.
Svoltato l'angolo cominciò a salire la scalinata.
Era silenzioso, non solo per rispetto; perso in qualche mondo soltanto suo, provato dalla visione di immagini e ricordi che ancora non si era del tutto abituato a considerare tali – incredulo sebbene fosse passato ormai diverso tempo. Il suono dei suoi passi che quasi riecheggiava, lo sguardo ancora fisso davanti a sé, come se ciò che lo circondava non fosse degno di nota.
Una farfalla solitaria, si poggiò su dei fiori lì vicino.
Cominciò a rallentare una volta che fu vicino a raggiungere la cima. Ad un occhio esterno avrebbe dato l'impressione di star temporeggiando, e forse tale impressione non era del tutto errata; una prassi che si ripeteva spesso, nemmeno fosse una sorta di rito o qualcosa del genere. Si lasciò andare ad un sospiro, facendo roteare l'ombrello e rimproverandosi persino, ancora una volta; erano pensieri stupidi, anche se probabilmente piuttosto consoni al luogo nel quale si trovava.
Con un altro passo, superò l'ultimo gradino.

Estrasse il cellulare e per qualche istante ne osservò lo schermo, riportando quindi lo sguardo davanti a sé. L'ombrello era stato chiuso ed appoggiato lì accanto, così che i fiocchi di neve potessero scivolargli addosso; cominciava a sentire gli abiti bagnarsi, appiccicarsi contro il suo corpo e rendere difficoltoso anche il più piccolo movimento. Si trattava di sensazione fastidiosa eppure, per quanto possa sembrare un controsenso, al tempo stesso quasi piacevole; i fiocchi di neve si scioglievano a contatto con le parti del suo corpo scoperte, producendo un gradevole contrasto tra il calore della sua pelle ed il freddo degli stessi.
Il suo buonsenso gli intimava di ripararsi, ma decise di ignorarlo e semplicemente assaporare quella sensazione, incurante del vento che sollevandosi portava il suo corpo a tremare appena, incurante della possibilità di ammalarsi.
Incurante semplicemente di tutto il resto.
Ancora una volta predilesse il silenzio, gli occhi dorati fissi su quella lastra di marmo e sui kanji incisi su quest'ultima; come ogni volta era indeciso se dire qualcosa o tenere un atteggiamento appropriato, come lo avrebbero definito in molti. Un sorriso velato di tristezza a caratterizzargli il volto, optò per la seconda opzione, chinandosi a sfiorare i fiori che, pur se ormai rinsecchiti, fungevano da decorazione. Sfiorandoli, li osservò sbriciolarsi al contatto con la sua mano, divenire polvere e lasciarsi trasportare via dallo stesso vento che carezzandogli il volto seguitava a soffiare. Una scena quasi poetica.
Lui l'avrebbe probabilmente apprezzata.
« Sei Aomine-kun, per caso? » una voce femminile, il tono esuberante che in qualche modo preannunciava la personalità della sua proprietaria; Ryouta tornò quindi in posizione composta, recuperando l'ombrello e tenendolo tra le mani, prima di spostare lo sguardo nella direzione da cui il suono era provenuto. Il sorriso che in precedenza gli aveva caratterizzato il volto non era del tutto scomparso, così se ne avvalse, tramutandolo in un'espressione cortese.
A parlare era stata una donna sulla trentina, piuttosto alta ed i cui tratti sembravano essere più stranieri che non. I capelli biondi le arrivavano a metà schiena, ed il viso vispo ed allegro era caratterizzato da un paio di occhiali da vista, che in quello stesso momento si preoccupò di riposizionare – essendo questi probabilmente scivolati.
Ryouta instaurò un contatto visivo, osservandola per diversi istanti prima di proferire parola; molti trovavano quel modo di fare irritante, ma giacché lei non sembrava esserne infastidita in alcun modo, non si preoccupò ulteriormente della cosa.
« Con chi ho il piacere di parlare? » domandò quindi, seguitando a sorriderle. Il suo modo di fare fu ricambiato dalla sua attuale interlocutrice.
« Chiedo perdono per i miei modi. » riprese questa, dopo qualche momento di silenzio in seguito al quale poggiò lo zaino che teneva in spalla al suolo. Sembrava non essere preoccupata dalla possibilità che questo si bagnasse e, Kise notò, il suo parlare era caratterizzato da forte accento americano, che altro non fece che confermare i suoi sospetti circa il suo essere straniera. « Sono Alexandra Garcia, ma chiamami Alex, te ne prego. Una signora non rivela mai la propria età, quindi ti basti sapere che ho terminato i miei studi da un periodo di tempo abbastanza lungo. Attualmente sono alla ricerca di un impiego fisso e, nel frattempo, eseguo diversi lavori part-time. » concluse, riavviando con la mano sinistra una ciocca di capelli. Pur essendo consapevole che sarebbe risultato in qualche modo sgarbato, Ryouta non poté trattenersi dall'inarcare un sopracciglio, inevitabilmente sorpreso da quel modo di fare; in seguito però mosse qualche passo nella sua direzione, chinando lievemente il capo, dandole modo di aver colto le sue parole. Sperava che il primo dei gesti che aveva compiuto non la offendesse in modo alcuno, ma onde evitare incomprensioni si preoccupò di assumere nuovamente l'espressione gentile in precedenza ostentata – era bravo, in questo.
Si sarebbe presentato, ma la bionda lo precedette.
« Dunque, sei Aomine-kun? »
« No. » disse, voltandosi per qualche momento verso la lapide e solo in seguito riprendendo a guardarla. Come immaginava, la rivelazione sembrava averla colta di sorpresa. « E prima che me lo chieda non ho idea di dove sia, per quanto non nego che mi piacerebbe saperlo. » E si lasciò persino andare ad una risata leggera, senza però interrompere il contatto visivo precedentemente instaurato; per tutta risposta Alex lo guardò dubbiosa, pur non alterando in alcun modo la posizione in precedenza assunta o dando segni di essersi innervosita. « Immagino sia difficile crederlo. »
« Certamente lo è. » pronunciò semplicemente, il volto ancora contratto dal dubbio. « Siamo pur sempre davanti alla tomba della sua famiglia. Non credo sia un luogo che le persone visitino frequentemente o per hobby. »
« Ovvio che non lo sia. Sarebbe strano ed inquietante, persino. » riprese l'altro, prendendosi qualche istante di pausa. « Ma le assicuro che non sono Daikicchi. Però lo conosco, per quanto sia possibile considerarlo un vanto. »
Utilizzò un tono divertito, ma pochi momenti dopo le diede le spalle; la sentì muovere qualche passo, probabilmente volto a colmare la distanza tra loro. Non reagì in alcun modo, limitandosi a sospirare e chiudendo gli occhi per qualche istante, stanco. Stanco di quel discorso, stanco di dover fingere quel sorriso, stanco che tutti si aspettassero da lui risposte che non aveva modo di ottenere.
Semplicemente, stanco.
« Con chi ho il piacere di star parlando, quindi? »
« Kise. » Mormorò. A giudicare dalla provenienza della voce, doveva essersi avvicinata di parecchio. Riaprì gli occhi, ma ancora preferì non voltarsi. « Kise Ryouta. Sedici anni, quasi diciassette. Studente. Per quanto mi piacerebbe, non ho nessun lavoro, nemmeno part-time. » Calcò volutamente la presentazione che aveva fatto lei inizialmente, le labbra ancora incurvate in un sorriso lieve ed il tono che ancora vantava quella sfumatura divertita, pur essendo cortese ed educato; solo dopo qualche altro momento di stasi decise di voltarsi, constatando effettivamente che, come aveva in precedenza supposto, la bionda aveva ridotto la distanza che li separava. Teneva le braccia incrociate al petto, il capo chino verso la sua sinistra, l'espressione infantilmente imbronciata. Per qualche momento, ebbe la strana impressione di essere tra i due il più grande ed il più maturo.
« Immagino tu sia un amico importante, per Aomine-kun. »
« Diciamo che semplicemente ci conosciamo da un sacco di tempo. »
Frasi banali quasi, ma dritte e coincise; continuavano a mascherarsi dietro quella cortesia tanto tipica dei Giapponesi, ma era palese che l'altra stesse cercando di farsi un'idea del rapporto che lo legava a Daiki. Ryouta era ingenuo certo, ma non stupido; era comunque curioso, c'è da dirlo, di scoprire precisamente cosa legasse quella persona ad Aomine. Pertanto decise di continuare a risponderle – chissà che non sarebbe riuscito a ricavare qualche informazione importante, in questo modo.
« E sei sicuro di non avere nessuna idea di dove possa essere? »
« No. O non mi sarei preoccupato di specificarlo prima che il nostro discorso iniziasse. E comunque – voglia perdonarmi, Alex-san – anche se sapessi dove si trova non penso che lo direi alla prima persona che me lo chiede, per quanto affascinante possa essere. » Un brivido quindi, dovuto probabilmente al vento che si era fatto più forte e agli abiti ed i capelli bagnati; pur essendo consapevole che non sarebbe servito a molto, si ritrovò ad aprire nuovamente l'ombrello, al fine di ripararsi dalla neve che ancora seguitava a cadere.
Per tutta risposta Alex rise, di una risata leggera, sincera e genuina; era quasi certo che non si aspettasse un'uscita del genere da parte sua – e lui non poteva dargliene torto, in fondo.
« Accetto il complimento e comprendo il tuo modo di pensare. » pronunciò quindi. Incrociò le braccia dietro la schiena, muovendo qualche passo nella sua direzione per poi superarlo, avvicinandosi a sua volta alla lapide ed occhieggiandola; lo sguardo di Ryouta la seguì per tutto il tempo. « Ma sarebbe davvero importante per me saperlo. Si tratta di una questione delicata. »
Il biondo si trovò ad inarcare nuovamente un sopracciglio. « E' la prima volta questa, in cui sento l'aggettivo “delicato” essere accostato a Daikicchi. »
« Che cosa crudele da dire. » aveva ribattuto lei, chinandosi sulla lapide ed osservandola più da vicino. Per qualche momento, Kise sentì nascere in sé l'istinto di allontanarla, ma si trattenne, dandole ancora una volta le spalle e sospirando piano; non aveva il diritto di farlo, anche se avesse voluto.
« La realtà è crudele, sa? »
« Parli come se l'avessi sperimentato. » controbatté, senza però distogliere lo sguardo dalla lastra di marmo scuro; prima di risponderle attese qualche istante, indeciso se pronunciare quelle parole o meno. Alla fine, optò per il lasciarsi andare. Si trattava di un discorso tra due estranei dopotutto; era assai improbabile che Alexandra avrebbe ricordato le sue parole, ed anche se l'avesse fatto, le avrebbe etichettate come un'informazione banale su una persona di cui aveva una conoscenza superficiale e che aveva incontrato per puro caso. Sospirò, lasciando trapelare da quel gesto una certa stanchezza.
« Direi che si possa dire che è così. » e tacque. Per qualche momento entrambi restarono silenziosi ed il discorso sembrò essere terminato, o comunque messo da parte; lui fece roteare l'ombrello, instaurando nuovamente una certa distanza e seguitando a restare di spalle, per poi spostare lo sguardo su di un punto non ben definito dell'orizzonte. Nuovamente si lasciò andare ad un sospiro, sebbene stavolta il suo gesto fosse più pacato, quasi; ebbe la tentazione di recuperare ancora il proprio cellulare, ma il parlare di Alex lo interruppe nuovamente. Non si voltò comunque, pur essendo conscio che si stesse rivolgendo a lui; era certo che la sua interlocutrice non l'avrebbe presa a male.
« Sai, Kise-kun. » il tono di voce non era mutato in alcun modo dall'inizio del loro discorso, sebbene stessero ormai affrontando un discorso indiscutibilmente più serio; Ryouta aveva sentito i suoi passi, la sua voce farsi più vicina. « Una settimana fa, nella zona di Sagamihara, è stato intravisto un ragazzo in età adolescenziale » Pausa. Pur essendo consapevole che lei non potesse vederlo, ancora una volta il sopracciglio del biondo andò ad inarcarsi, conferendo al suo volto un'espressione di puro disappunto; non riusciva a comprendere che pro cambiare argomento così all'improvviso, invero. Deglutì piano, sentendo il bisogno di troncare quella conversazione farsi sempre più urgente, con il passare dei secondi – ed il fastidio aumentare, sempre di più. Irrigidì le spalle, ma Garcia sembrò non notarlo o comunque non darci peso. « Alto, moro, carnagione scura. » continuò « attualmente, la zona è sotto quarantena. »
Insensato. Non vi era altro modo per descrivere ciò che la bionda stava affermando, pensò, voltandosi di scatto e ricercando il contatto visivo; Alex continuava a sorridere, nemmeno stesse parlando del tempo.
« Cos- »
« Una settimana prima di quest'evento, stavolta nella prefettura di Fukuoka... » lo interruppe, sistemando con la mancina i propri occhiali « è accaduta la stessa identica cosa. A Kurume. Pare che questa stessa persona sia stata vista anche lì. »
Assurdo. Era tutto ciò a cui Kise riuscì a pensare, seguitando ad osservare la persona che gli stava dinanzi, l'espressione mista a disappunto ed inquietudine, quasi. I telegiornali non avevano accennato a niente del genere nei giorni antecedenti, o l'avrebbe notato – dubitava fortemente che un qualcosa di tanto grande e grave potesse essere insabbiato. Dischiuse le labbra con lentezza, ma da queste non uscì nessun suono eccezion fatta per un flebile « Non ha senso... ». La sua interlocutrice comunque non sembrò in alcun modo essere sorpresa da quella reazione ed anzi, sembrava aspettarselo. Portò difatti la mano sinistra a sistemare gli occhiali ancora una volta – sebbene l'avesse fatto pochi istanti prima - lasciando che il sorriso che sino a quel momento le aveva animato il volto sfumasse con lentezza ed un'espressione più seria e matura prendesse il suo posto. Ryouta si trovò a deglutire senza rendersene conto; era come avere di fronte tutt'altra persona, e la cosa rendeva il tutto ancor meno piacevole di quanto non fosse già.
« Dunque, Kise-kun. Sei ancora sicuro di non sapere dove Aomine-kun sia? »
L'effetto che ebbero quelle parole fu inaspettato per lo stesso biondo: la presa della mano intorno al manico dell'ombrello si fece più forte, la rabbia andò a sostituirsi al disappunto. Sembrò dimenticare improvvisamente qualsiasi voglia forma di cortesia, Kise; utilizzò un tono di voce forse più alto del necessario, con la mano libera gesticolò in modo quasi irruento – stanco che cercassero risposte da lui, desideroso al tempo stesso che qualcuno gli dicesse cosa stava accadendo, quanto ed in che modo Daiki fosse coinvolto in quella serie di eventi che non riusciva ancora a comprendere. « Non lo so. Non lo so, e mi creda, vorrei saperlo! Dannazione, perché siete convinti che io sappia tutto? Non lo so, okay?! Non lo so... non-- non lo so. »
Si rese conto solo in seguito del respiro accelerato, del petto che si abbassava ed alzava ad un ritmo irregolare; faceva quasi male, riusciva ad udire ogni singolo battito del proprio cuore – avrebbe potuto contarli. Rimbombava nei suoi timpani quel suono, ancora ed ancora. « Non lo so. » lo ripeté, l'ambrato che andava a fissarsi in un punto con tutta probabilità casuale.
Alex non aveva proferito parola per tutto il tempo, semplice spettatrice. Immutata era la risolutezza che si poteva leggere nel suo sguardo; era come se fosse sicura che le parole che dalle altrui labbra fuoriuscivano fossero menzogne e niente di più.
Il vento si era acquietato quando lei, ancora taciturna, portò la mano alla tasca del cappotto dai colori scuri che indossava, estraendone con un movimento che a Kise parve essere particolarmente lento una pistola. Fu automatico per il biondo deglutire ancora una volta, lasciare cadere ciò che ancora teneva tra le mani per poi sollevare le stesse verso l'alto a mo' di arresa. Nuovamente sulla figura dell'altra si era puntato lo sguardo, opacizzato da sentimenti contrastanti e di difficile lettura.
« Alex-sa-- »
« Scusami. » cominciò « ma per me è davvero importante saperlo. »
Il respiro di Ryouta era ancora irregolare quando parlò: dovette far ricorso ad un coraggio che credeva non avrebbe mai esternato – non in una situazione simile, non quando c'era l'alta possibilità che la sua vita dipendesse proprio dalle parole che avrebbe pronunciato. « Perché è così interessata a lui?! Crede che possa essere coinvolto in qualcosa di tanto assurdo? Andiamo! Poteva trattarsi di chiunque, il semplice fatto che la descrizione lo ricord-- »
« So per certo che si trattava di lui, Kise-kun. »
L'aveva definita certezza, eppure continuava ad essere tutto così assurdo. Tacque per qualche momento allora Ryouta, mordendosi il labbro inferiore, indeciso se continuare a parlare o meno; ma comprese dopo una breve riflessione che soppesare le parole come sino a quel momento aveva fatto non fosse più la scelta migliore: era assai improbabile che sarebbe riuscito a cambiare qualcosa. Ora come ora, tutto ciò che poteva fare era sfruttare quel momento, temporeggiare fino a quando non si fosse presentata una possibilità. Nient'altro.
Deglutì.
« Come? »
Fu la bionda a prendere una breve pausa questa volta, facendo schioccare la lingua – senza che però la sua posizione mutasse in modo alcuno.
« A Kurume questa persona ha salvato un ragazzo. Credo andasse al primo anno di Liceo, ma non lo ricordo con chiarezza. Ad ogni modo, quest'ultimo ha chiesto il nome al suo salvatore. Per sdebitarsi, sai. » Si trattò di un momento di silenzio in verità piuttosto breve, ma all'altro sembrò avere durata fin troppo lunga. Solo allora si rese conto che si stava sviluppando in lui curiosità; si trattava di un racconto folle, eppure distinto da un'assurdità quasi affascinante. « Daiki. Aomine Daiki. E' così che ha risposto. »
Un'assurdità davvero affascinante. E per la prima volta, spaventosamente reale.




















 

 

 

 

   
 
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