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Autore: hztttao    25/10/2013    3 recensioni
❝Affondo con forza il piede sull’acceleratore, ormai la
strada è vuota, non ho nessuno dietro di me e nessuno davanti a me.
I campi ricoperti da uno strato sottile di neve sono forse
l’unica cosa bella che mi sia capitata di vedere in questi
tre mesi di delirio.
Svolto a sinistra ed intraprendo una stradina di ciottoli
e terra che mi porta davanti ad una vecchia costruzione abbandonata.
Parcheggio vicino all’entrata, volgendo lo sguardo verso
la cima dell’abitazione ormai distrutta, come me.❞
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Minho, Onew
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Let him go
 

me・mo・ry:
Memory is the power to retain and recall information
and past experiences.
Your brain's 
memory helps you recall
lots of memories — like multiplication tables and bad dates.

Tutto è iniziato con un “Ciao!”, è continuato con
un “Ti amo”, è andato avanti con un pauroso
“Mi dispiace” ed è finito con un tremendo “Addio”.
Non starò qui a raccontare nei minimi particolari
cosa c’era tra quel “Ciao” e quel “Ti amo”, perché
sarebbe doloroso, come sarebbe doloroso spiegare
il perché di quell’ “Addio” che ho temuto e che è
arrivato.             
Doloroso come quando ti conficcano un coltello
dritto nello stomaco, lo rigirano senza pietà e poi
lo sfilano con lentezza disumana per far assaporare
alle tue carni il dolce e distruttivo acciaio di quella
lama fredda che ormai è piena di sangue, di ricordi,
di dolore, di felicità, di ansia, di paure;
di amore.
Ho fatto molti errori nella mia vita, fin troppi e con
la persona che non li meritava.
Ora che ri-leggo i vecchi messaggi, che ripenso ai
litigi e alle nostre conversazioni, a tutto quello che
abbiamo passato insieme, gli occhi si gonfiano e una
serie infinita di lacrime inumidisce le mia guance, mi
impediscono di vedere chiaramente ciò che mi sta
attorno, è tutto sfocato; confuso.
I denti stridono tra di loro, il respiro è irregolare,
il silenzio è riempito da quei pochi singhiozzi che
escono dalla mia bocca, rumori gutturali che
mi impediscono di urlare, perché ormai non serve.
Non serve nemmeno piangere, non serve disperarsi,
non serve auto-lesionarsi, non serve ripensare al
passato, non serve.
Il mio cervello mi ordina di smettere di piangere,
ma il mio cuore non può farlo.
I battiti aumentano se penso al suo viso, ai suoi
lineamenti perfetti, a quegli occhi un po’ troppo
grandi che mi hanno fatto sempre sorridere, ma
che io ho reso tristi e vuoti.
A quelle labbra morbide, al sapore dolce dei nostri
baci che si susseguivano, come se non potessimo
farne a meno.
Alla sua voce profonda, che mi riempiva la testa,
mi estasiava, ne volevo sempre di più.
Io ho distrutto tutto ciò, quegli occhi piangevano,
quelle labbra venivano graffiate dai denti,
quel sapore dolce si mischiava alle lacrime,
quelle guance si bagnavano di tristezza, a causa
mia.
Mi ripetevo che ero un mostro, che stavo distrug-
gendo ciò che amavo di più al mondo, ma questo
lo urlava la mia mente, il mio cuore era ormai
impazzito, non mi dava ascolto, cuore e mente si
erano mischiati, ormai non capivo più nulla.
Lo amavo, ma gli facevo sempre più male e lui
continuava ad amarmi.
Lui mi proteggeva, era di più di un angelo custode,
io con lui mi sentivo al sicuro, lui asciugava le mie
lacrime, lui mi dava i consigli, lui cercava di aiutarmi
ed io l’ho solamente allontanato, fino a perderlo del
tutto.
Sono passati quasi tre mesi da quando l’ho perso,
ho provato a dimenticarlo, ho provato a distrarmi,
ad incontrare altre persone, a fare amicizia, ma
nessuna di loro sapeva aiutarmi, nessuno di loro
sapeva come consolarmi, nessunolo faceva come lui.
Quello che sento adesso è il vuoto, il nulla, la fine
di quello che sono, perché in questo momento
mi considero solo un pezzo di carne, con un bel
sorriso, che canta in un gruppo sud-coreano e che
si esibisce insieme ad altre quattro persone.
Mostrare il classico e finto sorriso ogni giorno mi
fa venir voglia di mettere fine a tutto.
Mi sono portato via la felicità da solo, tutto è in
bianco e nero, i colori sono scomparsi, lui è
scomparso, perché l’ho mandato via io.
Non trovo nulla di interessante in ciò che faccio,
cantare ormai è diventata una routine,
nulla mi appassiona, nulla mia attrae.
L’idea che lui ritorni da me è tanto bella quanto
impossibile, le speranze sono sotterrate da qualche
parte nel mio cuore.
Sopravvivere con questo dolore, con i ricordi che mi
uccidono, mi squartano in due come uno squalo con
la propria preda.



E quelle lacrime che mi scivolano lungo la pelle ormai
hanno smesso di cadere, la mia mente vaga tra i
ricordi, alla ricerca di una soluzione a tutto questo
dolore insopportabile che mi spreme il cuore, lo
accartoccia, lo pesta senza pietà.
Una soluzione c’è, la più efficace, l’unica che potrei
prendere in considerazione.
Strappo un pezzo di carta dalla mia agenda, sfilo una
penna dalla scatola riposta sulla scrivania ed infilo le
braccia nelle due maniche del cappotto, richiudendolo
con cura.
Avvolgo il mio collo da una sciarpa di lana, copro gli
occhi stravolti dalle lacrime con un paio di occhiali
scuri ed abbandono il dormitorio, saltando a due a
due gli scalini che mi separano dal portone d’entrata.
Lo varco senza tener conto dell’aria gelida che pizzica
le guance ed il naso.
Alzo il colletto del cappotto, sperando che nessuno mi
riconosca e mi avvio verso l’auto, parcheggiata non
molto lontano dal mio palazzo.
Premo il bottone situato sulle chiavi e mi accomodo
sul  sedile di sinistra, facendo battere la portiera.
Inserisco le chiavi, sbloccando il freno a mano,
imposto la retro e do’ gas, indietreggiando.
Cambio la marcia e mi ritrovo in strada dietro una serie
infinita di auto, i pensieri  sono confusi,
ma so cosa fare e voglio fare tutto per bene.
I ricordi mi passano davanti uno dietro l’altro, da
quelli  più lontani della mia infanzia, fino alla prima
notte in cui io e Minho abbiamo fatto l’amore.
Le sue mani su di me, le sue labbra, il calore dei
nostri corpi uniti, la sua voce che mi sussurrava quelle
due parole che ti fanno battere forte il cuore.
Le mie gambe tra le sue, le sue gambe tra le mie, le
mie dita nelle ciocche morbide dei suoi capelli, quel
profumo che emanavano era il mio preferito.

Affondo con forza il piede sull’acceleratore, ormai la
strada è vuota, non ho nessuno dietro di me e nessuno
davanti a me.
I campi ricoperti da uno strato sottile di neve sono forse
l’unica cosa bella che mi sia capitata di vedere in questi
tre mesi di delirio.
Svolto a sinistra ed intraprendo una stradina di ciottoli
e terra che mi porta davanti ad una vecchia costruzione
abbandonata.
Parcheggio vicino all’entrata, volgendo lo sguardo verso
la cima dell’abitazione ormai distrutta, come me.
Getto le chiavi della mia macchina per terra, ormai non
ha senso riporle dentro la tasca del cappotto, come faccio
sempre.
Con una leggera spinta, apro la porta e entro dentro quel,
ormai vecchio, ammasso di cemento che a malapena si
regge in piedi, come me.
Salgo le scale lentamente, altri ricordi riempiono la mia
mente vuota e mi riportano a quella sera dove io ero
ubriaco, con me c’era Minho.
Eravamo nell’ascensore della torre Namsan, lentamente ci
portava all’ultimo piano e Minho era già contro di me.
Lo abbiamo fatto lì, contro una parete della stanza, si
sentivano solo i nostri respiri, con sottofondo il mondo
che andava avanti, mentre la mia vita si era fermata in
quell’istante.
Anche adesso riesco a percepire le sue labbra sulle mie,
le nostre lingue che si incontravano, racchiuse dalle nostre
bocche che non smettevano di scontrarsi.

Arrivato sul terrazzo ricoperto da varie macerie, mi spingo
verso il muretto che lo circondava.
Il mio sguardo si abbassa sulla mia auto, parcheggiata
davanti all’abitazione.
Assaporo l’aria fredda, guardando quelle nuvolette quasi
trasparenti che emana la mia bocca.
Prendo il piccolo pezzo di carta che ho nella tasca destra
del cappotto e con la penna scrivo otto lettere.
La prima parola è la più importante, quella fondamentale,
quella parola che mi ha cambiato la vita.
Quella parola è la chiave che apre il mio cuore, ma non è
così semplice, perché solo una persona può aprirlo.
Sotto di essa l’inchiostro forma un’altra parola, quasi
mi spaventa rileggerla, il mio cervello mi incita a non
pensarci, mi ricorda che sono solo quattro lettere,
anche se le più temute.
Devo cancellare tutto, il ricordo di lui, della nostra
relazione, tutto deve svanire.
Lentamente il mio corpo cade in avanti, superando il
muretto che mi manteneva ancora in vita e silenziosamente,
cado nel vuoto, schiantandomi al suolo, mentre il
mondo va avanti, senza alcun intralcio.
 
 
Il mio nome è Lee Jinki e adesso anche io sono
un ricordo.


 
HOPE
Dead.
   
 
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