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Autore: Liveandlove    25/10/2013    1 recensioni
Dal testo:
"Nella mia mente avevo frammenti sparsi ovunque, pezzi di un puzzle irricostruibile e come nei film ogni tanto avevo qualche flash che mi mandavano in blackout il cervello. Avevo recuperato ancora parzialmente la memoria e i medici, ritenendomi momentaneamente instabile mi avevano costretto a stare con la mia unica parente : mia nonna, che si trovava in Corea. Ho dovuto lasciare la Berklee, scuola prestigiosa di musica, di Boston per venire a stare da mia nonna per un tempo indefinitivo.
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri e mi presentai «Kibum.» lui mi porse la mano e sorridendo replicò «Jonghyun, piacere.» Il cuore cominciò a battere gradualmente sempre più forte, come se stessi correndo. I battiti non sembrarono diminuire, anzi, aumentavano sempre di più, così tanto da farmi male il petto. Mi posai la mano sul cuore come per impedire che mi scoppiasse il petto mentre la nonna e lui mi guardavano preoccupati e anche spaventati. Provavo tantissimo dolore al petto e non sapevo come soffocarlo, il che mi fece cadere in ginocchio. Tutto cominciò ad oscurarsi e a diventare sempre più opaco fino a che non vidi il nulla più totale."
INCOMPLETA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Please, remember.

Chapter I



Essere quello nuovo non è affatto bello. Cambiare radicalmente dall'America alla Corea e non sapere nulla di questo paese fa letteralmente schifo. Non solo perché non conosci nessuno, ma anche perché non trovi facilmente qualcuno che regga la tua bipolarità unita ad attacchi di autostima, freddezza e timidezza. Insomma, chi lo vorrebbe uno così.
Nonostante in questi due anni avessi recuperato parzialmente la memoria non ricordavo quasi nulla della mia vita quì in Corea, in più non mi trovavo nella mia città natale ma a Soeul, capitale del paese ovvero città a me,totalmente sconosciuta. Nella mia mente avevo frammenti sparsi ovunque, pezzi di un pazzle irricostruibile e come nei film ogni tanto avevo qualche flash che mi mandavano in blackout il cervello. Tutto era causato dalla morte di mia madre. Cavolo, ricordavo a malapena il suo viso. Ricordo solo che era una di quelle persone che vorresti incontrare almeno una volta nella vita. Era silenziosa, una buona ascoltatrice e consigliatrice. Era molto dolce ma sapeva anche come farsi rispettare. Spesso pensavo che fosse un angelo capitato per sbaglio sulla Terra, forse era questo il motivo per cui io non le assomigliavo affatto caratterialmente. Nonostante non avessi nemmeno un ricordo del suo aspetto, sapevo che era bellissima e con un viso angelico e puro. Il nostro legame doveva essere così importante per me a tal punto che la sua morte mi creasse un trauma celebrale. Avevo saltato il suo funerale per poi andare a piangere sulla sua tomba poco dopo, svenendo lì solo e perdendo la memoria per il dolore.
Per i medici ero ancora mentalmente instabile, come se fossi un malato di mente che se ne andava in giro infastidendo la gente perciò non avendo più parenti in America sono stato costretto a lasciare la Berklee, scuola prestigiosa di musica, di Boston per venire a stare da mia nonna. Fortunatamente il preside, essendo a conoscenza delle mie abilità mi raccomandò a una delle società più importanti di tutta la Corea, la SM Entertainment. Non era poi male come cosa.

Non appena misi piede fuori da quella scatola di latta cosìddetta aeroplano, mi sentii subito meglio. Avevo passato le ultime dieci ore della mia vita in continuo rischio costretto a stare seduto, a mangiare snack e cose prese chissà dove senza la possibilità di potermi nemmeno fare una doccia, fortunatamente avevo a portata di mano il mio gel antibatterico, e per tutto questo avevo dovuto spendere una fortuna. Trascinato dalla massa puzzolente mi ritrovai nella navetta che portava all'aeroporto della Corea, Incheon. Le navette erano molto silenziose perciò l'unico rumore che si sentiva era il brusio del chiacchierare della gente, mentre le pareti e le porte erano tutte di vetro trasparente che dava al tutto un'aria moderna. Mentre la navetta sfrecciava con media velocità, mi passai sulla pelle scoperta una salviettina profumata che mi fece sentire sufficientemente fresco e pulito, anche se sapevo di non esserlo. In quel momento mi sentivo tremendamente in ansia e preoccupato. Non ricordavo affatto mia nonna e in un certo senso me la immaginavo tale e quale a mia madre, ma se fosse stata diversa? Se fosse stata una di quelle vecchie con la casa piena di gatti e con un odio profondo verso i bambini? Cosa avrei fatto in Corea se le cose con la SM Entertainment fossero andate male? Il mio sogno sarebbe andato in frantumi. Spinsi il carrellino con i miei bagagli verso la passerella degli arrivi circondata da persone accalcate che ogni tanto si alzavano in punta di piedi per vedere se era arrivato chi stavano attendendo. Da quel momento in poi tutto sarebbe stato incerto, il mio futuro, la mia vita. Tra qualche giorno mi sarei potuto ritrovare per strada senza una casa oppure con un bellissimo biglietto di ritorno per Boston. Percorsi tutta la passerella ma nessuna anziana mi fermò ne tanto meno mi chiamò ad alta voce. Su un foglietto avevo il suo indirizzo perciò mi diressi verso la fila di taxi all'uscita in attesa di qualche cliente. Il tassista, un uomo sulla quarantina col profilo di una palla, cicciotto, basso e dal volto simpatico mi aiutò con i bagagli e mi fece un paio di domande a cui risposi freddamente. Per la maggior parte del viaggio fissai tutto ciò che scorreva fuori dal finestrino. Ero curioso ma stanco allo stesso tempo e sentivo di stare per cedere. Case, palazzi, prati, parchi e ospedali... Improvvisamente quando vidi una grande struttura bianca e rossa il tempo sembrò fermarsi, mi sembrò che la macchina si fosse fermata davanti a essa mentre tutto attorno a noi continuava a muoversi. Che strano. Tutti i suoni, i rumori sembrarono essere lontani miglia e li sentivo appena. Pensai di essermi addormentato, oppure che fossero delle allucinazioni dovute alla stanchezza del viaggio. Subito dopo essermi guardato intorno rifissai l'edificio e sentii un grande fischio che quasi non mi ruppe i timpani e mi costrinse a tapparmeli e a chiudere gli occhi. Non capivo cosa cavolo stava accadendo, sentivo nel profondo un'angoscia che non sapevo spiegarmi e fuori, l'ansia poiché mi sentivo spaesato e poiché forse i medici avevano ragione, probabilmente avevano fatto bene a mettermi uno stato di fermo. 
«Ragazzo? Oh mio Dio, ragazzo stai bene?» subito sentii la voce del tassista vicinissimo a me, fin troppo e mi costrinsi ad aprire gli occhi.
Era esattamente di fronte a me con le ciglia così inarcate da sembrare un monociglio e un'espressione preoccupata sul volto che sembrava voler dire "se questo quì si sente male poi dovrò accompagnarlo all'ospedale. Oh Gesù, poi dovrò anche pagare la benzina per il viaggio e l'ospedale. E se lo lasciassi per la strada?".
«Sto bene, sto bene. È stato solo un capogiro non si preoccupi.» lo tranquillizzai. Lui annuì poco convinto e fece ripartire il taxi che aveva accostato al marciapiede. Mi stropicciai gli occhi e cercai di scacciare dalla mente ciò che era appena successo: se qualcuno lo avesse saputo mi avrebbero messo dentro un manicomio. Ma l'immagine di quell'ospedale era ancora lì nella mia mente, viva e fresca come se fosse stata una cosa importante per me. «Mi scusi, - parlai al tassista - ha presente quell'ospedale all'angolo che abbiamo sorpassato da poco, quello bianco e rosso...»   «Dici l'Asan Medical Center?» Nella mia mente cercai di ricordarmi l'insegna con la scritta del nome ma appariva tutto così sfocato. «Penso di sì...» «È uno degli ospedali più vecchi della città. È quello a cui siamo passati accanto poco prima che tu avessi il tuo capogiro.» Annuii col capo e non dissi più niente come lui, anche se di tanto in tanto mi guardava dal retrovisore per controllare che stessi bene. Cercai impararmi quel nome. Asian Medical Center.
Dopo una ventina di minuti finalmente arrivammo a destinazione. La casa sembrava essere in un bel quartiere abbastanza tranquillo e abbastanza vicino al centro, me la sarei fatta andare bene. Questa volta dovetti occuparmi dei bagagli da solo mentre il tassista faceva il conto del viaggio. Pagai la bella cifra di 45.000 won e mi avviai verso la porta della casa trascinandomi la valigia e tenendomi lo zaino sulla spalla. Sembrava una di quelle case di famiglia americane, io vi ero stato poche volte poiché i miei preferivano gli appartamenti all'europea. La casa era di un bianco stranamente pulito e le assi del tetto erano rosse e lo steccato appena ridipinto e ancora fresco anch'esso bianco. Nel retro vedevo che aveva un bel giardino con molti fiori, piante e niente gatti fortunatamente. Nonostante il bell'aspetto della casa non sapevo cosa mi aspettava veramente. Il campanello era lì di fronte a me che mi aspettava ma avevo una fottuta paura. Ma di cosa? Se non ci fossi andato d'accordo avrei potuto semplicemente ignorarla e poi appena finito lo stato di fermo me ne sarei andato. Poi io ero Kim Kibum, cacchio. Il ragazzo che sapeva essere duro come la roccia. Presi un bel respiro e avvicinai l'indice al campanello ma mi fermai col dito in aria. Da dentro la casa sentii il suono di una chitarra accompagnata da una voce maschile che mi fece venire la pelle d'oca. Era la voce di un ragazzo probabilmente giovane, forse della mia età, potente, armoniosa e semplicemente stupenda. La canzone era nuova per me, ma la sentivo nel cuore quasi come se fosse per me.

"Oh I'm curious yeah
You walk out from the picture at the moment, why
Oh I'm so curious, yeah
I'm so curious yeah

You don't exist in front of me right now
I know that for sure but I'm going to interrogate you
Your lips know the answer that I want
It shines and disappears

You might have already known my heart
It wasn't locked firmly to you from the beginning

The suspect is in here
No one can leave
You and I, or anyone
Everything about you
I have found evidence
I will certainly find you..."

Non me ne ero accorto, ma ero entrato in casa senza bussare e mi ritrovavo lì a fissare la scena impalato. C'era un'anziana signora seduta sul divano che sorrideva e guardava il ragazzo di fronte a lei che suonava e cantava con la chitarra in mano. L'anziana avevo un volto dolce e comprensivo e lo sentivo familiare, come se l'avessi già visto mentre il ragazzo di fronte a lei aveva più o meno la mia età, era bello non lo potevo negare e un fisico abbastanza sviluppato. I capelli neri, lisci e a me sembravano avere la forma di una fiamma. Mentre mi godevo estasiato quella voce, lui fece un gesto col capo per spostare i capelli e incrociò il mio sguardo. Purtroppo smise di cantare, ma non me ne accorsi. Ero troppo spaesato per accorgermi di qualunque altra cosa. I suoi occhi erano neri come la pece e belli come la notte. Riuscivo a leggere lo stupore che sapevo riflettersi anche nei miei, e una sensazione di estasi, felicità. Tenevo il suo sguardo come se fosse quello di un mio caro amico, come se fosse stato importante per me. Avevo notato, anche colei che doveva essere mia nonna, girarsi e sorridere verso di me come se avesse saputo che ero lì fin dall'inizio. Sentivo che stavo per affogare nel nulla, però in quel nulla ero felice, straordinariamente felice come non mai. Quando sentii il tocco della mano della nonna che si era alzata ed avvicinata a me, ritornai alla realtà e ne avvertii tutto il calore e capii che era davvero mia nonna. 
 «Kibum, sei arrivato.» Distolsi a fatica lo sguardo da lui e sorrisi alla nonna, poi feci un inchino come di usava fare nella tradizione Coreana, ovviamente che mi aveva consigliato il mio amico Jinki. La nonna aveva una voce calma e profonda, come una di quelle sagge dei vecchi villaggi. Poi mi ricordai di essere entrato senza permesso e arrossii dentro, mentre fuori mi schiarii semplicemente la gola e dissi «Scusami nonna per essere entrato senza aver bussato. Sono stato attratto dalla canzone... Beh eccomi quì, è un piacere rivederti nonna...» Lo dissi con un po' di incertezza ma cercai di sembrare di sicuro. Lei mi fece un sorriso sghembo molto da giovane, il che mi stupì e disse  «Visto quant'è bravo? - si voltò verso il ragazzo e sorrise anche a lui - Lui è il nostro vicino e lui è mio nipote.» Il vicino mi mostrò un sorriso aperto e bello che abbellì ancora di più il suo volto. Ma a me piacevano le donne, che diavolo stavo pensando?
Scossi la testa per scacciare via quei pensieri e mi presentai «Kibum.» lui mi porse la mano e sorridendo replicò «Jonghyun, piacere.» Il cuore cominciò a battere gradualmente sempre più forte, come se stessi correndo. Mi sentivo strano, non capivo cosa diavolo era. I battiti non sembrarono diminuire, anzi, aumentavano sempre di più, così tanto da farmi male il petto. Mi posai la mano sul cuore come per impedire che mi scoppiasse il petto mentre la nonna e lui mi guardavano preoccupati e anche spaventati. Provavo tantissimo dolore al petto e non sapevo come soffocarlo, il che mi fece cadere in ginocchio. Ero ancora giovane, non poteva essere un attacco di cuore. Tutto cominciò ad oscurarsi e a diventare sempre più opaco fino a che non vidi il nulla più totale e l'unico rumore che sentivo era il battito del mio cuore. Subito dopo, un lampo di luce così forte che temetti mi potesse accecare, infine apparve una scena. Ero in una stanza buia con la finestra spalancata da cui entrava un po' di vento e da cui potevo osservare il cielo. Era notte e vedevo chiaramente la luna splendere, ma non mi spiegavo il perché fossi lì. Poi un rumore mi distrasse. Al chiarore della luna vidi che nella stanza vi era un letto e su di esso un bambino tra le coperte che si agitava nel sonno e che tremava sudando. Accorsi subito al suo fianco e cercai di svegliarlo ma sembrò non sentirmi, finché finalmente una porta si aprì e ne entrò un po' di luce assieme a un altro bambino. Entrò di soppiatto e sembrò non vedermi, forse perché era notte. Non appena vide che il ragazzino nel letto era in brutte condizioni si dimenticò di fare piano e corse accanto al letto, passandomi accanto e senza accorgersi di me. Mi sembrava di essere in un film. Cristo, che succedeva? Forse non mi vedevano? Il bambino appena entrato sembrava avere i capelli e gli occhi scuri e aveva un non so' che di familiare mentre il bambino steso sul letto non riuscivo a vederlo per il buio. Quello gli prese la mano e lo scosse delicatamente. «Ehi, ehi... Key! Svegliati, è solo un sogno!» Key? Quello ero io! Ma non ricordavo quel momento, forse perché ero troppo piccolo a quel tempo o forse per l'amnesia. Ma chi era l'altro bambino?
Io, ovvero il bambino sul letto, si svegliò di colpo affannosamente e sudato e si guardò in giro spaesato. «Papà! Papà! Dove sei? Non mi lasciare!» urlò. Provai una fitta al cuore e ricordai tutti i sogni, anzi gli incubi che avevo avuto alla morte di mio padre. Solo ora ricordavo quanto ero stato male, dato l'ottimo rapporto che avevo con lui e dopo la sua scomparsa mi legai ancora di più a mia madre. «Key, Key! Sono io, sono quì. Va tutto bene.» lo tranquillizzò l'altro. Non ricordavo assolutamente chi era, avrei voluto tanto ricordare ma vi era il bianco totale. Il me da piccolo sembrò tranquillizzarsi da quello che vidi grazie alla luce della luna, e si voltò per accendere la lampada accanto al comodino. Non appena la luce si diffuse per tutta la stanza, osservai il me più piccolo e guardai i miei capelli a caschetto e sorrisi per quanto fossero orribilmente carini. Ero davvero io e non ero cambiato quasi di una virgola. Poi mi voltai verso l'altro ragazzino e dopo averlo osservato attentamente capii chi era. Non ci potevo credere. Non capivo che cosa di facesse lì, ma non ebbi tempo per ragionare perché non appena realizzai chi fosse, tornò una luce accecante e tutto scomparì.




OhYeah!
Il fatto che la coppia principale sia già piuttosto ovvia mi fa venir voglia di sbattere la testa contro la parete. Però di sicuro il finale non lo sarà, o si? Aha. That's my new FF, i don't know if someone will like it. Fatemi sapere (:


  
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