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Autore: fastingpylades    27/10/2013    3 recensioni
Oh I, I just died in your arms tonight,
It must've been something you said,
I just died in your arms tonight.
[modern!e/R; suicide tw]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera aveva litigato pesantemente con il padre che in qualche modo era riuscito a rintracciarlo, gli aveva urlato di tornare a casa e affrontarlo, gli aveva urlato di quanto era inutile e di quanto si vergognava di avere un figlio del genere.
Quella telefonata l’aveva ricevuta prima di andare a casa di Combeferre, per una cena tra amici, ma non ci andò e mai più rivedrà quei tratti femminili, quei capelli biondi e quei bellissimi occhi blu e profondi come l’oceano.
Quella telefonata aveva fatto riemergere un passato orribile, un passato fatto di cose difficili da dimenticare. Quel passato che lo perseguitava persino nei sogni, quante notti le aveva passate al chiaro di luna, con un blocco in mano e gli occhi gonfi per il pianto.
Era un errore, un fallimento, un rifiuto.
Aveva voglia di liberarsi di quel dolore, provando a disegnarlo ma era troppo debole per scaricarlo su un pezzo di carta bianco. In quel momento il disegno che era la sua più grande dote, non riusciva ad aiutarlo.
Dopo un’adolescenza fatta di droga, di alcol e di notti passate per strada al freddo pur di non tornare in quella famiglia, Grantaire trovò rifugio in un gruppo di ragazzi intenzionati a cambiare la Francia.
Trovò particolare conforto in Enjolras, in quel magnifico leader che gli ripeteva che non era buono a nulla se non nel bere e nel contestargli tutto quello che diceva.
Solo nell’ultimo periodo si erano avvicinati di più, avevano iniziato a frequentarsi e una sera si erano pure baciati e avevano dormito fianco a fianco, ma Grantaire non ebbe il piacere di vedere il biondo accanto a sé quella mattina.
Se fosse andato a quella cena forse avrebbe chiarito, avrebbero passato una serata complici del fatto che dopo ci sarebbe stato qualcosa oppure ne avrebbero parlato nei giorni a venire da soli, ma niente.
Grantaire non era uscito dal suo appartamento quella sera e mai più ne sarebbe uscito.
Si stese sul letto dopo aver preso un taglierino e un po’ di vino che finì immediatamente insieme a delle pillole che prendeva per dormire per almeno otto/nove ore per poi tagliarsi sulle vene del polso.
Rilassò le spalle, stendendosi sul letto; si sentiva la testa e le palpebre pesanti, il sangue usciva dal polso e sporcava quelle coperte bianche e pulite.
Era stanco di essere continuamente perseguitato dal passato, dai problemi da cui aveva sempre trovato una via di fuga invece di affrontarli. Si sarebbe addormentato per sempre, lo aveva sempre voluto, aveva sempre desiderato quel sonno eterno.
Eppure la vita lottava contro la morte, la vita che aveva la voce di Enjolras che si era precipitato in camera sua nel disperato tentativo di tenerlo sveglio.
Enjolras si era offerto di andare a prendere Grantaire poiché non rispondeva al telefono e non veniva, accompagnato da Combeferre; salì le scale e notò che la porta era aperta, entrò velocemente nell’appartamento per poi dirigersi nella camera da letto dove lo trovò.
Era disteso e immobile, cinque bottiglie di vino erano ai piedi del letto; ci mise pochi secondi per capire cosa stava succedendo, si avvicinò e lo abbracciò.
“Grantaire, Grantaire, ti prego!” Gli occhi azzurri lucidi erano puntati su quelli scuri del moro che erano semichiusi.
“Mi dispiace, Enjolras.” Sussurrò prima di abbandonare quel mondo per sempre, la morte aveva preso il sopravvento sulla vita, sulla voce disperata del leader.
Era morto nelle sue braccia, quello scettico e cinico che faceva altro che interromperlo e discutere con lui, quello scettico e cinico che sapeva disegnare così bene che i suoi quadri sembravano vivi, quello scettico e cinico che la sera prima lo aveva baciato e aveva dormito insieme a lui.
In quel momento si pentì di non essersi svegliato accanto a lui, di non aver mai confessato il suo amore per lui. Si strinse a sé quel corpo freddo, poggiando il viso sulla spalla del moro e iniziò a piangere, la mano stretta in quella del ragazzo che aveva amato in segreto.
Gli baciò le labbra come se volesse risvegliarlo, le labbra sapevano di medicinali e vino, ma non gli importava.
Solo dopo mezz’ora venne raggiunto da Combeferre che compresa la situazione chiamò un ambulanza, avvicinandosi all’amico che considerava un fratello mettendogli una mano sulla spalla e sussurrandogli parole di conforto che ovviamente non facevano effetto su quel ragazzo che si sentiva così fragile.
L’ambulanza arrivò dopo una mezz’ora, levarono il cadavere di Grantaire dalle braccia del biondo e fu l’ultima volta che lo vide, fu l’ultima volta che vide quel bellissimo viso.
“Sapete chi sono i genitori del ragazzo?”
Silenzio da parte di entrambi i ragazzi solo dopo un po’ Combeferre parlò: “Sappiamo che la madre è morta, il padre non lo conosciamo.”
“Bene, cercheremo di rintracciarlo—comunque vi conviene andare via, tra poco questo posto verrà chiuso.”
Combeferre annuì e guardò Enjolras che prendeva un paio di blocchi e qualche matita, li teneva stretti al petto. La guida lo prese, mettendogli una mano sulla spalla e condusse fuori di lì riportandolo a casa sua dove avrebbe dato la notizia del suicidio di Grantaire cosa che sconvolse tutti quando seppero dell’accaduto.
Da quel giorno, Enjolras non dormiva più e passava il tempo a vedere quei magnifici disegni che aveva fatto Grantaire, di quanti ritratti gli aveva fatto in segreto nel suo angolo al Musain.
 
Un giorno ci rincontreremo e staremo assieme.
Solo noi due che guarderemo il mondo crollare.”

Gli occhi azzurri avevano perso la loro bellezza poiché erano sempre rossi per il pianto, leggevano quei poche righe che Grantaire aveva scritto accanto a un disegno di due persone simili a loro che morivano insieme mano nella mano.
Quei versi furono la sua ancora di salvezza, lo avrebbe rincontrato e questa era una promessa.
 
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Il giorno del funerale di Grantaire era uno di quei giorni che vorresti dimenticare; il cielo era grigio e prometteva pioggia, il vento era gelido e gli amici dell’ABC erano presenti, inclusi Montparnasse, Eponine e Cosette che volevano dare l’ultimo saluto al quell’amico che li aveva aiutato tanto.
Enjolras cercò di dimostrarsi forte, ma sapeva benissimo che appena tornati dal funerale sarebbe crollato ancora.
Alla tomba si avvicinò un uomo sulla cinquantina, alto quasi quanto Bahorel e con gli stessi ricci di Grantaire.
Lanciò un’occhiata al gruppo e osservò la tomba semplice del figlio, lo sguardo era severo.
“Mi scusi, ma lei chi è?” la voce di Cosette era riecheggiata nel silenzio del cimitero, i ragazzi guardarono prima lei e poi l’uomo.
“Ero il padre di questo idiota.” Una risposta secca e acida, gli occhi chiari si spostarono sul gruppo. Enjolras arricciò il naso, guardandolo malevolo e parlò: “Non era un’idiota, era un’artista con un grandissimo talento e bagaglio culturale.”
Il padre scosse la testa e strinse le spalle: “Non avrebbe mai concluso niente nella sua vita, meglio morto che vivo. Un rifiuto in meno.”
Il gruppo rimase scioccato da quelle parole, Montparnasse, Courfeyrac e Bahorel si fecero avanti per spaccargli la faccia, ma vennero bloccati.
Allora aveva capito il perché del suicidio di Grantaire, aveva capito perché era sempre restio a parlare della propria famiglia, aveva capito perché viveva in una topaia.
“Si vergogni.” Mormorò il biondo che si strinse nel capotto rosso. “Dovrebbe vergognarsi di quello che ha fatto a suo figlio, lei non meritava di avere un figlio come lui, lei non conosceva suo figlio.”
Parole dure che in qualche modo lo ferirono visto che l’espressione di terrore negli occhi del cinquantenne che quasi si allontanò di corsa da quel gruppo.
“Enjolras. . .” lo chiamò Courfeyrac che aveva assunto un espressione un po’ preoccupata.
“Voglio andare a casa.” Borbottò, lanciando un ultimo sguardo alla lapide e avviandosi verso l’auto.
Aveva bisogno di stare un po’ da solo, solo con la roba che era appartenuta a Grantaire.
 
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I mesi passavano e come ogni giorno Enjolras si recava alla tomba del moro, si sedeva di fronte alla lapide e raccontava la sua giornata alla sua foto sorridente.
Con il vento e con la pioggia, il gelo e la neve, il biondo era sempre lì a parlare nella speranza che lo sentisse e che magari rispondesse.
Solo un giorno non si presentò.
Era un giorno di inizi estate, la protesta era alle porte ed Enjolras era ritornato quello di prima, carico e con la voglia di cambiare il mondo; era pronto per partecipare a un corteo pacifico insieme agli amici dell’ABC, però qualcosa andò storto.
Avevano raggiunto i giardini del Lussemburgo alle undici del mattino, il corteo cantava ‘la Marsigliese’ e ‘Ah! ça ira’ mentre sventolava bandiere con il tricolore francese e mostrava cartelloni con alcuni slogan.
Sembrava tutto calmo e tranquillo fino a quando non entrarono in contatto con le forze dell’ordine da lì divenne tutto confuso per gli amici dell’ABC.
Si salvarono tutti tranne Enjolras che venne trovato con due pallottole conficcate nel petto nel tentativo di proteggere un ragazzino più piccolo che aveva deciso di partecipare alla protesta  accanto una statua.
Il viso era sereno, non aveva sofferto e potremmo dire che fu contento di morire così.
Non sarebbe stato dimenticato e finalmente avrebbe potuto riabbracciare Grantaire che lo stava aspettando nel buio in attesa di rivedere quel dio illuminargli di nuovo la strada.











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Salve a tutti, finalmente dopo mesi di silenzio sono tornata con Enjolras e Grantaire.
Devo dire che è stata un parto questa ff per via della trama (mi fermavo ogni cinque minuti per piangere) ma eccola qui.
Comunque spero che vi sia piaciuta e--! Alla prossima~
  
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