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Autore: Caramell_    27/10/2013    1 recensioni
Le prigioni di Asgard sono luoghi di barbarie e indigenze senza pari.
Loki lo sa, un giorno c’è stato [...] e, guardando le ferite, gli occhi tumefatti e gli arti mancanti, aveva pensato che la luce, ad Asgard, non fosse poi così onnipresente.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Loki, Thor
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Note: Allora, prima che cominciate a leggere ci sono alcune annotazioni da fare. Cercherò di essere il più breve possibile.
Ho inserito Contenuti forti e tematiche delicate tra le note di presentazione perchè si fa riferimento a quella che, alla fine, è tortura, sia fisica che mentale. Non è descritta nei minimi particolari, ma non è neppure solo accennata, quindi ho ritenuto importante inserirlo.
Il rating è arancione per i motivi sopra citati.
Lo slash c'è, non è molto approfondito, ma c'è, si percepisce - tradotto: niente baci o strusciatine varie.
Sono più o meno una decina di pagine, ma non ho voluto dividerle perchè non penso sia molto pesante, da leggere. Oh, si, è ambientata dopo gli avvenimenti in The Avengers e...e niente, credo di aver detto tutto. Spero si riveli una buona lettura.





 






“L'opposto dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza. Loki non prova indifferenza verso Thor, lo odia, il che significa che sotto sotto lo ama ancora”
Tom Hiddleston

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
“Le prigioni di Asgard sono luoghi di barbarie e indigenze senza pari.
Loki lo sa, un giorno c’è stato; non in catene – come ora, del resto – o con un bavaglio sulla bocca, ma come ospite – più o meno – quando aveva poco più dei quindici anni mortali e ancora una discreta conoscenza della magia.
Ce li aveva portati Odino, una volta – lui e Thor – e aveva mostrato loro la feccia di Asgard – traditori, disertori e assassini – e aveva sorriso di un sorriso storto e amaro quando Thor gli aveva chiesto perché quegli esseri fossero lì. Loki non aveva detto niente, aveva solo continuato a camminare tra il buio e i gemiti dei prigionieri e, guardando le ferite, gli occhi tumefatti e gli arti mancanti, aveva pensato che la luce, ad Asgard, non fosse poi così onnipresente”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

~

 
 
 
Loki non può morire.
È figlio di Jötunheimr e di Laufey, re degli Jotun, padrone dei fulmini, nato dal ventre di Nál, dea sconosciuta e senza volto[1]
Loki è fiamma che brucia inesorabile ed è aria che alimenta il fuoco e placa la sua ira[2]
Loki è l’ago della bilancia, il giusto e il maligno, il male necessario che uccide il bene e che viene ucciso.
Gli Æsir però non lo capiscono e dall’alto della loro perfezione lo ingiuriano e puniscono. Odino è con loro, Thor dietro di lui. I perfetti, i più potenti.
Gli occhi di Thor sono più scuri e profondi di quello che Loki ricordava e per un momento ci vede l’esilio dentro e la solitudine e l’abbandono e la pietà per i morti e i caduti.
Loki è caduto quando è sceso su Midgard e ha combattuto gli uomini che Thor ama tanto – esseri inferiori ai quali ha permesso di ferirlo e catturarlo – ma non vuole la sua pietà, non crede di meritarla e lo disgusta.
Gli Æsir invece hanno l’indifferenza stampata in faccia – e Odino, Odino è come loro – e fissano Loki dal loro trono d’oro e lo vedono in catene ai loro piedi, la bocca chiusa e i polsi dolenti.
Hanno il viso di ferro e mani di sangue e gli occhi liquidi di Miðgarðsormr e di Fenrir[3] che, in accordo, hanno intrappolato e quasi ucciso e Loki li odia, per questo e per tutto e se solo potesse – se solo volesse – userebbe il Seiðr e li ucciderebbe, li ucciderebbe tutti, ma ha le mani legate e la bocca sigillata e Thor è di fronte a lui – sopra di lui – e non lo guarda e non lo sente.
Gli Æsir lo condannano e la tortura è la sua punizione e l’esilio il compagno che gli hanno affidato, la prigione la carezza degli Dei del Cielo.
Sotto il ferro Loki saggia la parola tortura sulla labbra secche e osserva Thor per un lungo, unico momento e lo vede stringere Mjöllnir fino a far sbiancare le nocche e ghigna fuori e dentro e un sorriso storto fa fatica ad occupargli il viso perché capisce che non era qualcosa di contemplato – la tortura – o almeno non lo era per Thor e questo – un po’ – lo riempie di un orgoglio e d’un amore sciocco e umano che si propaga per tutto il petto e gl’occupa il cuore secco che si ritrova in corpo. Anche se gli addii non gli sono mai piaciuti perché sono imbarazzanti e falsi e sembra di sentire un frammento di vita scivolare tra le dita, effimero come la vita dei Mortali, anche se Thor non lo guarda neanche e Loki non riesce a scorgerne il viso e quello, più che un addio sembra un abbandono e si ferma lì, tra lo stomaco e il cuore; e brucia. Anche dopo tutto questo, l’osserva volarsi e dargli le spalle, con i capelli biondi che gli sfiorano il viso, e, seguendo la sua volontà – per ultima, alla fine – una lacrima gli rimane intrappolata tra le ciglia e muore lì, soffocata dall’odio e dal dolore.
 
Loki non riesce a morire.
Sente il fil di ferro penetrargli e incidergli la carne e il sangue vermiglio scorrergli tra le labbra schiuse. Lo riducono al silenzio e lui non si ribella e rinchiude i gemiti nel fondo della gola e le lacrime amare tre le palpebre serrate.
Avverte la pelle sfilacciarsi, aprirsi e bruciare e il dolore gli raggiunge fulmineo il cervello e d’improvviso il blu gli colora la pelle e il rosso s’impossessa dei suoi occhi perché così il supplizio s’attenua e Jötunheimr lo protegge.
Fa un po’ paura – pena, Dio degli Inganni, solo pena – vedere il rosso del sangue macchiare il blu scuro della sua pelle. Fa paura a lui e al suo carceriere che per un attimo frena la sua mano e Loki, la bocca cucita ancora per metà e il filo che gli pende dal labbro inferiore, deforma il proprio viso e ghigna con quel sorriso che appare più una ferita aperta, spezzata e dolorante, ma l’attimo passa e il supplizio ricomincia e Loki avverte due mani rozze e sporche afferrargli il mento e reggergli il viso. Ci trova gusto, schifoso essere inferiore, glielo legge negli occhi, perché ogni volta che il ferro gli deturpa il volto percepisce la sua mano bitorzoluta rallentare d’improvviso e tremare eccitata. Vorrebbe ammazzarlo e sentirne il sangue sotto le dita gelide e le ossa sotto il corpo nudo. Vorrebbe strappargli il cuore e tagliargli la testa e bruciarne il corpo. Vorrebbe entrargli dentro e portarlo alla pazzia. Vorrebbe tanto, ma non può niente e l’unica cosa che riceve è un corpo che rifiuta e un dolore che imprigiona.
Ha le labbra macchiate e gli occhi gonfi e lividi sulle gambe nude, sulle braccia e sulle guance e sente il freddo della pietra toccargli la schiena e ritirarsi e dalla resa che prova e che mostra, nel ricevere il supplizio, Loki si chiude nel silenzio dei morti e maledice quegli Æsir che tanto amava schernire.
 
È che Loki non sopporta l’idea di morire.
Perché è figlio di Jötunheimr e di Laufey e di Nál, fiamma che brucia inesorabile e aria incontrollabile.
Perché è il male necessario al bene che uccide e che viene ucciso.
Perché è tutto questo e mille altre cose insieme e non ha fatto tutto quello che ha fatto per finire ucciso dagli esseri che più odia al mondo.
Perché ci sono due Loki, ad Asgard: il prigioniero e il fuggiasco. Il terzo è su Midgard – dittatore e il quarto è rimasto in esilio – peccatore. Quattro e poi uno. Uno e quattro. Quattro e poi cento. Cento e mille. Il bugiardo, il pazzo e il visionario, l’assassino e il massacratore, il figlio ripudiato e lo Jotun abbandonato; il fratello, l’amico, l’amante e tutto il cuore di Thor.
Perché ha avuto in mano il potere di Asgard e ha desiderato un amore che non ha mai ricevuto e ha visto Thor, alla fine di tutto, e anche se la sua mente lo ripudia e lo allontana, Loki non riesce a non pensare a tutto quello che gli ha donato e che ancora avrebbe potuto donargli se solo lui non l’avesse lasciato.
 
 

~

 
 
Thor va da lui dieci giorni dopo la sentenza e la tortura e Loki vede il sole e la luce dopo il buio e l’oblio. Il sole è sorto da poco e la luce di Asgard è più forte che mai.
Attraverso il vetro della cella riesce a scorgerne il viso e la forza e, ancora incatenato, si rintana nel buio e lì, ghiaccia.
Thor, dal canto suo, non fa niente, s’avvolge nel mantello di Padre Tutto e setaccia l’oscurità con lo sguardo e aspetta. C’è mio fratello lì dentro, si dice, anche se la sua vita è ai miei piedi e il suo orgoglio sotto il trono di mio padre. C’è mio fratello, riflette, i pugni stretti e un dolore al cuore, e io più di tutti ho il dovere – il bisogno – di vedere ciò che ne è rimasto.
Il punto è che, con suo rammarico, non riesce a vederlo né a sentirlo. Sa che c’è – è sorvegliato, dopotutto – eppure l’oscurità è troppo fitta e lui troppo cieco e di nuovo si maledice per esserlo stato per tutto quel tempo e per esserlo ancora, dopo anni di odio e giorni di sangue. Appoggia la fronte al vetro e storce le labbra nell’avvertirne il gelo.
- Loki – chiama e l’aria intorno a lui brucia e tremola, spaventata.
- Loki – ripete e il suo fiato appanna il vetro e la cella un po’ si chiarisce.
- Loki – invoca e qualcosa, tra il buio e il freddo prende a muoversi e Thor crede di aver vinto la diffidenza e l’odio, almeno un po’, almeno per quel giorno, ma tutto rimane immobile e la tenebra gli buca gli occhi.
- Fratello – rantola, già allo stremo e, se prima gli era sembrata una buona idea adesso vorrebbe non averlo mai detto – forse – perché si, una reazione c’è, ma ciò che ha tanto desiderato lo ferisce come mai ha fatto prima.
Loki sibila e grugnisce e invoca il Buio e il Ghiaccio, perché non può parlare così, non può chiamarlo in quel modo, non dopo tutto ciò che ha passato e che, ancora adesso, passa, e gli occhi increduli di Thor vedono il vetro della cella di contenimento farsi di un bianco opaco e incrinarsi e un nero fumo denso passare tra le crepe dei muri ed è quasi spaventato – quasi però – e non comprende cosa sia tutto questo, perché Loki non ha più i suoi poteri, non ha più niente e Thor piange al sol pensarlo.
- Loki – prega e quelle sillabe gli riscaldano lo stomaco come mai prima – fermo – lo ammonisce, e batte la mano sui vetri rotti – non ne hai bisogno, non qui, non adesso. Basta, fratello.
Il ghiaccio scricchiola e un nuovo sibilo invade l’aria, ha odore di sangue e di ferite aperte e cicatrici scure e , in un attimo, Loki esce dal buco nero nel quale è rintanato e Thor si ritrova a fissargli gli occhi per la prima volta da quando l’ ha riportato ad Asgard e, con gli occhi, anche tutto il resto.
Thor sa della tortura, naturalmente, dei Giganti con le mani di ferro e delle catene d’oro dei loro Signori e sa tutto quello che è successo, dalla sentenza alla prigione. Sapeva, prima che accadesse e ogni giorno e ogni notte, nel calore della sua stanza, sperava che presto finisse, che non facesse male, che Padre ragionasse e Madre smettesse di piangere e credeva di tornare bambino, i pugni stretti al petto e il cuscino bagnato di lacrime.
Sapeva, è vero, e, di certo, è una delle tante cose che mai si perdonerà in vita sua, perché ha provato a spiegarsi, a fermare, a piegare la ragione degli Æsir e ha conferito in privato con Padre Tutto, re di Asgard e Signore degli Dei, perché cessasse quella follia, ma non è riuscito, alla fine, e si è ritirato nelle sue stanze, furente, non immaginando nemmeno lontanamente che avrebbe portato a questo, perché Loki ora è di fronte a lui, le mani poggiate sui vetri rotti della cella, gli occhi nei suoi e i Demoni degli Inferi dietro le orecchie. Lo sente invocare il suo nome e chiudere gli occhi dal dolore, avverte la sua paura – quel piccolo spicchio che gli mangia il cuore – e lo sgomento e la pietà che la seguono e lo odia, per questo e per altro, lo odia e ogni altro sentimento sparisce.
Ha gli occhi freddi come le valli di Jötunheimr e la bocca cucita come l’ultima delle bestie.
Thor vede lividi scuri macchiargli le labbra e il fil di ferro bruciargli la carne, il sangue colargli sul mento e il dolore abitargli gli occhi e vorrebbe distogliere lo sguardo e uccidere tutti quelli che hanno osato fare una cosa del genere, ma non può, non in quel modo, non adesso. Adesso deve solo guardare e imprimersi quell’immagine nella mente, inciderla a fuoco negli occhi e nella testa e piangere. Piangere per Loki, per il suo cuore spezzato, per la sua anima frantumata e per la propria, per l’affetto che prova per Padre, per Madre e per l’amore che sente per colui a cui da il nome fratello, anche se sa che da tanto non è più così. E quando finalmente sente qualcosa bagnargli il viso non fa nulla per frenarsi, mentre continua a guardare gli occhi bui di un Dio morente e si lascia scivolare a terra, tra l’oscurità e il freddo, conscio di essere stato lui l’artefice di tutto, anche senza saperlo.
Il ghiaccio scricchiola, il buio si ritira, s’allunga e s’accartoccia a quella vista. Loki vede Thor consumare una lacrima al suo cospetto, in ginocchio come non è mai stato prima e, anche se il suo acume lo dichiara vincitore, il suo cuore già sa d’esserne uscito sconfitto.
 
 

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Il giorno dopo, all’alba, Loki ha le mani libere e croste grandi quanto una falange lungo tutto il viso. Ha i polsi rossi e i segni dei ceppi sulle caviglie e grosse macchie scure intorno agli occhi, il viso cereo e il cuore a pezzi.
Aspetta il calar del sole e la sua pelle è liscia e immacolata come lo era un tempo e il vetro della cella è di nuovo intatto.
 
 

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Dall’altro dei rami del Mondo, distrattamente le Norne osservano Asgard, i fiori tra i capelli e le acque tra le dita. Vedono Ghiaccio e Tenebra e Luce combattere tra di loro e Odio tremare e tremare e dissolversi. Osservano Asgard perché il Mondo si è preso una pausa, anche se i Mortali continuano a morire. Alla sua destra Urdhr[4] vede Skuld recidere il filo d’Oro del Destino, ciocche bianche davanti al viso e gigli sulla veste.
Gli Dei sono in subbuglio, il Signore dei Fulmini più di tutti. Non la riguarda, si dice, mentre scocca un’occhiata a Verdhandi e al filo che regge tra le mani, non la riguarda, ma non significa che non possa fare qualcosa comunque.
Sorride, la Fanciulla, di un sorriso bello e luminoso e i rami del Mondo s’intrecciano e si stiracchiano e, col Destino al suo comando, costruisce ciò che ancora deve accadere, mentre un cigno, sulla Terra, allunga le ali e canta, abbandonandosi, il canto più triste che orecchio mortale abbia mai udito.
 
 

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Quando Thor torna da lui Loki ha esaminato le sua azioni fino allo sfinimento e non ci ha trovato niente – niente, dannazione! – di malvagio o derisorio e questo lo manda in bestia e significa che deve cercare un altro motivo per odiarlo e odiarlo e odiarlo.
Thor non è cambiato per niente, dall’ultima volta che si sono visti. Ha sempre i capelli biondissimi e gli occhi più blu che abbia mai visto, ma non è un paragone da fare, perché Loki non ha idea di quanto tempo sia passato. Sa solo che è più di un giorno, più di due, ché il suo corpo è sanato e le ferite non bruciano più come prima e comincia a credere che sia un mese perché le guardie che sorvegliano la sua cella sono cambiate quattro volte e per quattro volte lui le ha quasi uccise.
Deve essere così, si dice, e Thor è tornato da lui dopo un mese per sbattergli in faccia un mantello rosso più lungo e morbido e lo scettro d’oro di Odino.
- Loki – comincia, al di là del vetro e lui non può fare a meno di pensare a quanto suoni dolce, il suo nome, quando è Thor a pronunciarlo e questa volta non c’è il ghiaccio, a impedirgli la vista, non c’è il buio o la tenebra, ma solo una lastra di vetro e un viso bianco al di là di essa e il Dio del Tuono si sente più coraggioso, in fondo, anche se l’atteggiamento di Loki è sempre lo stesso e lui, in realtà, non ha idea di cosa dire o cosa fare, ora che ha quegli occhi puntati addosso.
- Padre oggi mi ha convocato nelle sue stanze – dice e si, forse un’idea ce l’ ha, non sa quanto sarà efficace non sa se lo sarà, ma è comunque un’idea, un presentimento, una speranza ancora sopita. Fissa gli occhi in quelli di Loki, verdi, verdissimi, come li ha sempre ricordati e sorride di un sorriso storto e malandato.
- Non ricordavo fossero così grandi, devo ammetterlo. Tu le ricordi, Loki? Io le avevo dimenticate. Padre mi ha chiesto cosa ho intenzione di fare dopo…non che abbia importanza alla fine. Non ci ho mai veramente pensato, o forse si, quando ancora non avevo Mjöllnir tra le mani, ma nemmeno questo importa. Voleva sapere del Regno, naturalmente e mi ha chiesto se volessi prendere il suo posto.
Thor si ferma un attimo e sospira e Loki non ha smesso di fissarlo un attimo, da quando ha cominciato a parlare e che cosa è venuto a fare qui? Perché non riesce a staccargli gli occhi di dosso? Perché si tortura così?
- Vorrebbe che diventassi re domani stesso, ma…
Il Signore dei Ghiacci comprende e, al di là del vuoto, ha gli occhi in tempesta e la mente in subbuglio e le mani strette a pungo e la fronte aggrottata e davvero non può credere a quello che sta sentendo e non è possibile, non è possibile, non è
- Ho rinunciato al trono, Loki
Per tutti gli Æsir!
È più veloce adesso Loki, senza i ferri a gravargli i piedi e fili di ferro ad imprigionargli le membra e non è difficile, allora, addossarsi al vetro e ghignare, ridere quasi, di quella risata amara e derisoria che tanto lo contraddistingue.
- Cos’è che vuoi, figlio di Odino? – sibila e la sua voce è roca e scura come il nero che comanda – Cosa vuoi, adesso? Pensi forse che questo – e solleva le mani e le spalle in un gesto di scherno e sente l’amaro gusto del rimorso bloccargli la gola – questo possa cambiare qualcosa? Non m’importa niente. Non m’importa di te, non m’importa di Asgard né delle idee di colui che prima chiamavo padre o della pace che tanto acclamate perché basta guardarsi intorno, figlio di Odino, per vedere che la luce che tanto proclamate di portare, qui sotto non arriva e che vi credete potenti, voi Æsir Signori degli Dei, ma non siete niente e godete nell’infliggere, a uomini distrutti, supplizi che poi rinnegate.
- Sai che non è così – lo interrompe Thor e la sua voce è calma come non è mai stata e i suoi occhi somigliano più ai cieli d’Inverno, ora che ci fa caso – e devi smetterla, Loki, tutto quest’odio non ti porterà né la gioia né la pace che cerchi. Finirà per consumarti e non voglio che tu ne muoia, un giorno.
- Morirne? Morirne? – e la sua risata è così gelida che qualcosa scricchiola, intorno a loro e i demoni delle celle vicine si rintanano nel buio – Io sono già morto, Signore degli Æsir – e Loki sputa su quel nome come se ne valesse della sua vita – e Padre Tutto ha segnato la mia condanna. Dov’eri tu, quando sotto il trono degli Dei mi hanno condannato alla tortura? Dov’eri, quando le catene d’oro dei Giganti mi hanno bloccato ogni via di fuga? Dov’eri, infine, quando i loro fili mi hanno trapassato la carne e mangiato gli occhi e il Cosmo tutto ha riso della mia condizione? Dov’eri, figlio di Odino, tu che ora vieni qui a mostrare pietà e clemenza?
[…]
Loki vede Thor sobbalzare, stringere i denti e serrare le mani a pugno. Sa di averlo ferito e può immaginare che Thor si sia fatto quelle stesse domande per giorni e giorni, prima di andare da lui. Sa e se ne compiace e i suoi occhi per un po’ tornano a riempirsi di quella luce maligna che da molto tempo a questa parte Thor ha imparato a riconoscere e se davvero portare dolore è quello che desidera egli non può certo privarlo di un tale piacere.
- Io ero con loro – e Loki ammutolisce, preso alla sprovvista
- Io ero con loro, Loki – rantola in un sussurro strozzato – e c’è stato il consenso di tutti, quando è stata proposta la tortura – e senza volerlo Thor si ritrova a nemmeno una spanna dal vetro, con il viso di Loki ad una distanza piccolissima e due occhi enormi piantati addosso - ma non pensare che ci sia stato un solo giorno, da quando è cominciato a quando è finito, in cui io non abbia sperato, pregato, di essere al tuo posto. Ho implorato Padre ogni notte affinché mettesse fine al supplizio con cui ti stavano uccidendo e ho scongiurato Madre di uccidermi, mentre piangeva come se le avessero strappato il cuore dal petto, perché sentire le tue urla di notte,mentre io ero nella mia camera e Padre seduto sul trono, era una cosa così straziante che non sarei riuscito a sopportarla a lungo.
Dov’ero, mi chiedi? Ero con te, Loki, ma tu non hai nemmeno provato a vedermi.
 
 

~

 
 
Dall’alto delle cime del Cosmo Urdhr ride e i cristalli di quel suono si espandono nell’aria e sulla Terra qualcuno nasce e qualcun altro muore. Ecco, si dice, i capelli lunghi sulle spalle e fiori bianchi in grembo, ecco Dio degli Inganni, rispondi a questo, ora che il tuo cuore è libero dal ghiaccio. Rispondi e fa quel che devi, ch’io ho i destini dei Mortali a cui badare.
Al suo fianco Skuld recide l’ennesimo filo e Urdhr, compiaciuta, sorride.
 
 

~

 
 
Loki fissa Thor per quella che sembra un eternità e davanti a lui, con quei capelli biondi e la postura da guerriero, vede per davvero un re, quello che Odino non è riuscito a diventare, il pupillo, il migliore e il silenzio fa quasi paura, dopo tutto quello che ha detto.
È risuonata la voce del Re di Asgard, è legge ciò che dice, pace ciò che porta.
- Tornerò domani, e il giorno dopo, e il giorno dopo ancora – dice e Loki abbassa il viso e sorride e, in un impeto di quella che può sembrare gioia, quando lo solleva, vede Thor allontanarsi, il mantello a sfiorargli le gambe e i bracciali a coprirgli i polsi e pensa che non è il silenzio ciò che vuole, né la solitudine e pensa che, forse, uno dei demoni che gli popolano la mente abbia finalmente trovato la morte, e che ora tocca al prossimo, e a quello dopo, fino a che non sentirà più il vuoto che da secoli lo perseguita, eppure si dice che è presto, troppo presto perché qualcosa di così grande si muova  e che il dolore che sente non è ancora svanito, non del tutto, almeno, ma c’è qualcosa di indefinibile, di caldo e dolce, infondo a quello che sembra solo buio e ha gli occhi azzurri come i cieli d’Inverno e il suo stesso rimpianto che li abita. C’è ancora l’odio e il dubbio e la tenebra e la disperazione e non c’è penitenza né assunzione di colpa, non c’è ancora niente, ma qualcosa si muove.
- Thor – lo chiama e si, come gli è mancato pronunciare il suo nome e com’è soddisfacente, ora, vedergli quella faccia stravolta addosso – cosa hai detto a Padre? – e c’è stanchezza, nella sua voce, perché tutto quell’odiare l’ ha sfinito e non accenna a morire.
Thor lo guarda come se fosse la prima volta e Loki sa, spera, che abbia capito, ché non ci sono più parole tra le sue labbra e la sua lingua s’è seccata.
- Gli ho detto che non voglio governare, non da solo.
- Perché? Dopo quello che…
- Perché tu sei tutto il mio mondo, Loki, ma penso che tu questo lo sappia, non è vero?
- Thor?
- Sono qui – risponde, la gioia negli occhi, perché è la seconda volta che Loki pronuncia il suo nome nel giro di così poco e, per tutti gli Dei, vorrebbe che continuasse a farlo all’infinito.
- Sai che non cambierà niente.
- Lo so.
- Che cosa vuoi, allora?
Niente, gli dice, non vuole niente, va bene così. Spera solo che sorrida ancora.
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] In verità non è proprio così. Loki è figlio del gigante Farbauti, anche se la madre risulta essere Laufey, detta anche Nál. Ma una cosa così non combaciava col film, quindi mi sono presa la libertà di mischiare un po’ le cose.
[2] Il nome Loki probabilmente deriva da logi, fiamma appunto, ma alcuni studiosi considerano invece il suo nome come una storpiatura di loptr, aria.
[3] Miðgarðsormr e Fenrir sono due dei figli di Loki.
[4] Urdhr è una delle Norne, incaricato di filare il tessuto della vita. L’animale a Lei sacro era il cigno.

  
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