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Autore: IloveJoseph    27/10/2013    4 recensioni
Un altro ballo. Solite feste. Solita gente. Solite oche starnazzanti. Mary Bennet, purtroppo, ci era nuovamente incastrata in queste situazioni che tanto detestava. Eppure questa volta qualcosa nell'aria stava per cambiare. Quel ballo, non era uno dei tanti. Quel ballo sarebbe stato completamente diverso..
Spazio Autrice: Di quel romanzo meraviglioso, alquanto perfetto, ho solo trovato un esiguo dispiacere nel non aver letto maggiormente su Mary Bennet. La sua personalità, la sua anima, sono così oscurate da quella società così piena di pregiudizi (restando in tema) che davvero le ragazze come lei non avrebbero avuto un po' di attenzione. Ma io, ho voluto scrivere diversamente. Ho voluto, anche solo per un secondo, immaginarmi un qualcosa di diverso per lei, e per chi come me è restata affascinata dal suo carattere.
Spero tanto di aver fatto un buono lavoro, essendo la prima oneshot sulle sorelle Bennet! :)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mary Bennet
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Mary Bennet era sempre lì. In qualunque ballo. In qualunque festa. In qualunque nuova stanza  di qualunque villa imponente. La trovavate lì, seduta su una sedia,  in un angolo buio e deserto dove neanche uno spigolo di luce artificiale riusciva ad infilarsi. Non  capitavano a caso quei posti scuri. Lei se li sceglieva. Li adorava. Proprio quanto divinizzava, quasi, i suoi libri ed il suo studio. Avrebbe fatto a gara per conquistare sempre l’ultima sedia, dell’ultimo tavolo, dell’ultima fila di qualunque casa in cui si sarebbe svolta un'altra , stressante, festa. E quando si sentiva finalmente  in pace tra quella moltitudine di visi che tanto disprezzava, riusciva ad emettere un tenue sorriso, che quasi non sembrava neanche essersi mostrato sulle sue labbra. Fingeva , si, di essere compiaciuta di quelle postazioni isolate. Credeva che bastasse la solitudine in un ballo per sentirsi pienamente soddisfatta. Ma purtroppo, a lei tutto questo non poteva bastare. Non le soddisfaceva l’emarginazione, se poi nessuno  si sarebbe posto la domanda di dove si trovasse e di che fine avesse fatto. Ma ci era abituata ad isolarsi ed a restare sola senza che nessuno la cercasse. Quale motivo c’era, in fin dei conti? L’attenzione di tutti, sicuramente, in famiglia non ricadeva proprio su di lei, che era la più insulsa, tra le tre meraviglie sanguigne. Proprio perché si sentiva inferiore, sapeva molto bene che non  avrebbe mai  sopportato  in silenzio tutta le urla irritanti  delle sue sorelle. Ma a dirla tutta, non avrebbe mai voluto tollerare le sue sorelle. Nessuna. Neanche Jane che era la più angelica e la più dolce. Lei non le stimava. Non si trattava di cattiveria, o di invidia. Per quanto, Mary, fosse e si sentisse anche la meno lusingata a lei poco importava.  Non le interessava piacere ad un ricco scapolo con diecimila sterline nella tasca. Non voleva che un gentiluomo si sentisse ammaliato dai suoi occhi neri, dai suoi capelli castani, e dal suo portamento fine. Mary Bennet, non voleva ciò, perché sapeva molto bene che, purtroppo, non possedeva le qualità che un uomo ricercava di continuo. Lei era fuori luogo, sempre e comunque. Lei non c’entrava nulla in quel mondo di alta nobiltà, o di famiglie alla ricerca di mariti benestanti da  far conoscere alle proprie figlie. Lei non si sentiva parte di niente. Neanche della sua famiglia. Era una intrusa. Era Mary Bennet, e questo già diceva ogni cosa. Allora si rifugiava in una pagina di un libro, in uno spartito di musica, in una fantasia che la prospettava in un mondo in cui anche le ragazze come lei si sarebbero sentite importanti, e speciali.  Non a caso Leggeva tanto  dell’amore nobile. Quello che non si basa sui sensi, ma sulle emozioni. Quello vero, in cui chi si innamora non sono gli occhi dell’aspetto fisico ma è il cuore. Allora anche lei, anche la più sconsiderata sorella Bennet, avrebbe potuto trovare l’amore.
Oh, lo stava addirittura pensando in quel preciso momento.
Stava desiderando di amare un uomo, che non fosse designato in un romanzo. Ma soprattutto stava bramando di essere amata. Fino a quel momento non lo era mai stata. Quasi dubitava anche dell’affetto dei suoi genitori. Come non biasimarla d’altronde! Il signor Bennet la riteneva una sciocca bambina. La signora Bennet invece pensava sicuramente di peggio. E le sue sorelle a mala pena erano coscienti del fatto che nella famiglia ci fosse anche lei. Ma c’era anche lei, ed  anche nel mondo. C’era.  C’è. Esiste.
Allora perché nessuno la prendeva, anche solo per un secondo, in considerazione? Cosa aveva mai  fatto da meritarsi questo trattamento così crudele dalla vita, dal mondo, dall’amore?
Dio! Lo aveva ancora rinominato, l’amore.
Ormai era entrato nel suo cervello e stava contornando i suoi pensieri. Era così frustante pensare quel sentimento, così semplice, ma così impossibile per lei. Era più doloroso della stessa vita che da ben diciotto anni le era capitata.  Allora cercò di mandare via ogni altra  pena, ne aveva già fin troppe.  Di conseguenza prese un libro, che si era nascosta sotto il suo corsetto. Se sua madre lo avesse visto tra le sue mani non glielo avrebbe lasciato portare, affermando che fosse maleducazione durante ad una festa leggere  invece di fare conversazione. Di quanto fosse contorto il mondo, Mary Bennet non se ne sarebbe mai sbalordita! Insomma, era di cattiva educazione starsene zitta e buona a divorare un libro e poi non lo era quello di far sentire  una figlia come l’essere più riluttante al mondo? Davvero  non si  sarebbe  mai capacitata di ciò. Mentre i suoi occhi scorrevano veloci su quelle pagine giallastre, improvvisamente, come mai le era capitato, sentì un fruscio di vento  su una ciocca dei suoi  capelli. D’istinto, alzò lo sguardo, e quasi  subito rimpianse di averlo fatto.
Un angelo con un sorriso da brividi, le stava  di fronte guardandola così ardentemente da farla tremare immediatamente.
Chi era colui? L’incarnazione di un cavaliere medievale,  o semplicemente l’immagine di uomo che desiderava trovarsi di fronte ma che  sarebbe sempre e solo restato un sogno?..
Non sapeva chi fosse l’uomo. Non lo aveva mai visto. E mai aveva sentito il suo cuore  battere così forte.
Si sentiva un impeto di emozioni che stava facendo fibrillare il suo sangue nelle vene, avvampare le sue guance, e scuotere la sua anima. E’ questo che si prova nell’essere guardata dritta negli occhi per più di due secondi? Questo si chiese la giovane, nell’accorgersi che il suo sguardo  e quello del giovanotto sconosciuto si stavano ancora  completando. Oh quanta pena avrebbe fatto a tutte noi donne, nel vederla così impacciata e terrorizzata da un paio di occhi neri, che  in base a ciò che era affermato da lei stessa, odiava anche. Eppure la candida Mary non riusciva proprio, in quel momento ad essere la solita puntigliosa e antipatica con qualche sua affermazione acida.  Cercava di ritrovare la sua compostezza. Pretendeva che la sua anima genuina venisse toccata dal desiderio di occhi così sublimi solo nella propria immaginazione. Non voleva che realmente dovesse sentire il bisogno di ricercare quei lineamenti, di quel sconosciuto, dal primo  albore dell’alba fino a quando non si sarebbe riaddormentata. Oh no, lei non voleva soffrire di un amore reale, che però si sarebbe consumato solo nei suoi pensieri. Lei voleva vivere l’amore. Ma sapeva molto bene che non lo avrebbe mai ottenuto, come non avrebbe mai potuto catturare per altri cinque secondi l’attenzione di quel tale giovincello.
“Mi scusi signorina per  averle privato del tempo alla sua lettura” si scusò il ragazzo, occhi neri. Mary aveva quasi dimenticato di come si pronunciassero le lettere. Evitava di aprir bocca per timore di balbettare e ridicolizzarsi ancora di più.
“no, si figuri. Nessun problema” rispose lentamente la ragazza. Nessun problema? Ma se ciò fosse accaduto per colpa di un vecchio brontolone, o di un’oca starnazzante, Mary si sarebbe fatta sentire e come. Altro che nessun problema! Ma ora, con quel ragazzo di bell’aspetto davanti ai suoi occhi, non riusciva più a riflettere. Sembrava che la sua mente, la sua anima, che lei tutta, fossero abbagliate da quei lineamenti così delicati e da quel sorriso, che sembrava disegnato apposta su quelle labbra lisce. Pareva quasi che durante la notte, qualcuno, avesse disegnato tale ragazzo con ogni aspetto che il cuore della Bennet sognava di trovare in un uomo. Sperava, a codesto punto, di scovare all’interno del suo animo la brama di restare un altro po’ accanto a lei, e di non abbandonarla come invece la gente faceva di continuo, quando si trattava di lei, di Mary Bennet. Ma in cuor suo, la giovane, temeva che ciò  sarebbe accaduto. Quasi si immaginava le spalle di lui, voltarsi, e lasciarla sola. E in contemporanea già pativa la delusione di aver fatto scappare anche quell’unico ragazzo che le aveva concesso dei minuti di attenzione. Ma lei ne  aveva subiti  tanti di dispiaceri. Li aveva superati. Aveva imparato a farlo. Era forte. Si arricchiva con i suoi libri, e solo questi ultimi gli bastavano per cancellare il mondo. Eppure sentiva anche nel profondo del suo volere, che se quel ragazzo fosse andato via per sempre dalla sua vita, nessun libro avrebbe fatto giustizia alla sua mancanza. E nessun scrittore avrebbe descritto al meglio un uomo,  a meno che non avesse raccontato delle sembianze di colui che stava insidiando i pensieri di un’anima così pura, come quella di Mary.
Cosa le stava accadendo? Perché stava pensando determinate cose? E perché quel ragazzo le era ancora di fronte , confondendo ogni sua volontà e fermezza?
 A quale malattia appartenevano questi sintomi?
“Mi dispiace averla turbata signorina. Mi creda, non era mia intenzione. Io sono il Signor Wilson. Un parente di vecchia data del signor Bingley. Posso avere l’onore di saper il suo nome?” le chiese con gentilezza e pacatezza. Mary non aveva mai ricevuto simili richieste. Se pur banali, erano delle domande così insolite per delle orecchie come le sue, che avevano sempre e solo ascoltato critiche. Ora invece, erano tutt’altro. Quel ragazzo, voleva conoscerla. E lei ne era immensamente, stranamente, felice.
“non si preoccupi, non mi ha disturbata affatto”
“non si direbbe dalla reazione che ha avuto alla mia vista..mi dispiace di averla ammutolita”
“si tranquillizzi Signor Wilson, non era dovuto a voi, il mio silenzio”  disse sospirando Mary, mentre gli occhi del Signore ricadevano maliziosi sul suo corpo. La Bennet avrebbe fatto qualsiasi cosa per sapere cosa stesse pensando in quel momento, il Signore.  Ma il, suo, signore  riguardandola negli occhi gli sorrise, facendole capire che anche lui aveva compreso la volontà della ragazza nel non volergli svelare niente.
“posso avere il privilegio di conoscere il suo nome?”
“me lo sta richiedendo due volte Signore. Come mai tutta questa brama?”
“mi importa semplicemente. Sembrerebbe quasi che sia il primo uomo a chiederle il suo nome!” esclamò con sciatteria.  La sua, quella di Wilson,  era ironia, ma non doveva esserlo. Davvero lui era il primo uomo che si era avvicinato alla Bennet. La ragazza rimase semplicemente in silenzio.
“perché non è così, vero signorina?” le chiese subito serio il gentiluomo mentre  le era ancora di fronte alzato.
“lei cosa crede, se posso permettermi di chiedervelo, signore?”
“può fare ciò che vuole signorina, senza alcun timore. Comunque non credo perfettamente a nulla. Semplicemente mi stupisco della vostra meraviglia..”
“non è stupore signore..”
“allora cosa? per caso vi sentite male? Se volete  faccio arrivare in aiuto qualcuno!” gli propose affrettato , quasi come se davvero si sentisse allarmato. Tutta questa premura fece straripare di gioia il cuore di Mary.
“no, stia tranquillo signore. Sto bene. Sto molto più che bene..” sospirò la ragazza, guardandolo dritto negli occhi. Ed il bene di Mary, solo noi anime femminili, potremmo comprendere quale sia stato in quell’istante.
“Wilson, venga qui. Ho degli amici che chiedono di lei!” una voce, dall’altra stanza, richiamò l’attenzione del signore.
“arrivo subito, signorina Caroline!” rispose prontamente l’uomo, mentre i loro sguardi si incontrarono di nuovo.
“mi scusi signorina ma ora..”
“vada anche Signor Wilson. Non si preoccupi, non dovete scusarvi..”
“però devo insistere nel continuarvi a chiedere il vostro nome, mia signorina. Magari, dopo, me lo dirà in un ballo..”
“Signore non sapete quanto mi possa procurare gioia ballare con voi. Ma so di non esserne capace” si giustificò Mary, sentendosi meno a disagio.
“oh no Signorina,  non vorrei apparirle scortese, ma io un altro no non lo accetto. Dopo lei è riservata solo ed unicamente a me!” affermò deciso il Signore, mentre dedicandole un ultimo sorriso, la lasciò sola. Ma non completamente. Ormai la aveva lasciata con un forte, inspiegabile, desiderio dei suoi occhi sul suo corpo e del suo sorriso.
Chi è questo Wilson? Forse l’amore?...
  
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