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Autore: Fireflie    27/10/2013    1 recensioni
"Tirano avanti come meglio possono, a casaccio, come hanno sempre fatto, cercando una linea retta in una vita che non è altro che curve."
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Prima dell'inizio, Seconda stagione
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Beta: Eowie

Disclaimer: Personaggi tratti dalla serie tv, copyright dei legittimi proprietari, nessun riferimento a persone o fatti reali.

Note: • Credo che ci sia una qualche maledizione che mi impedisce di completare in tutta tranquillità le fic per il compleanno di Linda, tipo una roba ciclica che un anno sì e uno no arriva e rompe le balle. Una volta mi si è suicidato il pc e ho dovuto scriverla tutta da capo tipo MENO DI UNA SETTIMANA prima del suo compleanno, per dire. A sto giro mi sono beccata un’influenza devastante che mi ha lasciata moribonda a letto da Domenica a Mercoledì, e in sostanza ho perso una quantità di tempo IMMANE. Però ce l’ho fatta, perché niente mi può impedire di scrivere quando ho le bombe al culo! o/ Quindi, come si sarà certamente compreso arrivati a questo punto, questa fic è tutta per il compleanno della non-più-tanto-piccola Lindosa! AMATAAAAAAAAH, UNA VALANGA DI AUGURI, DI AMORE, E SPERO CHE QUESTA FIC TI PIACCIA TANTISSIMO! ♥♥♥
• Si ringrazia Eowie per i commenti esilaranti in mezzo alla fic che mi correggeva, perché ha scritto perle immense che conserverò forevah. XDDDDD
• Ambientata pre-serie e lungo la prima e la seconda stagione.
• Titolo preso dal testo di Crystal di Stevie Nicks.




(I Turned Around) And The Water Was Closing All Around



We’re all crashing in slow mo (holding to this wheel we know)

Il fatto è, con l’amore, che non sai mai da che parte arriva e se resterà. È come un’altalena: oscilla nel vento spinta da una forza esterna che, nel momento in cui viene a mancare, cessa il suo moto.
Questo lo rende un po’ così, libero, senza regole. Tende a sgretolarsi, a trovare vie d’uscita, instabile come il fuoco di una candela; e ti coglie di sorpresa, quando finisce. Un giorno non lo ritrovi e lo scopri andato, chissà quando e chissà dove.
La parte peggiore della partenza di Sam – o dell’abbandono, per dire come la vede esattamente Dean – è proprio questa. Non è la mancanza, che pure è totale, né il dolore della sua assenza, la rabbia dell’essere stato lasciato indietro, di non poter più condividere la vita quotidiana, diventare adulti l’uno al fianco dell’altro, quanto proprio il fatto che non se lo aspettava, ha completamente perso le avvisaglie dell’uragano in arrivo. Perché l’amore è anche così: un po’ bastardo, ama fare male e, forse, ama solo se stesso.

Conserva un ricordo nitido di un pomeriggio di inizio estate, risalente ad appena qualche mese prima che Sam se ne andasse, in cui lo aveva raggiunto e gli aveva scompigliato i capelli mentre il più giovane leggeva seduto sulla panchina sotto il porticato di un motel neanche troppo schifoso.
La memoria non riesce ad afferrare il nome del posto né le circostanze che li avevano portati lì, però ha ancora impressa, quasi nel dettaglio, la consistenza al tatto dei suoi capelli castani tra le dita, il suo volto arrabbiato, mentre cercava di divincolarsi dalla stretta dopo che Dean aveva iniziato a fargli il solletico – come se avesse ancora quattordici anni e non fosse altro che il suo fratellino pelle e ossa invece che un diciottenne alto una spanna intera più di lui. Poi si era liberato bruscamente, e aveva cercato di piantargli un pugno sul braccio senza riuscirci, l’aria infastidita.
Eppure, Dean non ci aveva dato peso, il loro rapporto era sempre stato così, fatto di alti e bassi; non aveva mai ignorato che la vita che conducevano non avrebbe reso il fratello felice, ma aveva anche sperato, nonostante i battibecchi e le liti e quel continuo vagabondare in cerca di vendetta, che lui fosse una ragione più che valida per continuare a viverla, per restare.
Mai, mai nella sua vita, si era sbagliato tanto. Illuso fino a quel punto.    

Quindi l’amore va e viene, c’è stato un tempo in cui Dean credeva che il loro fosse l’eccezione alla regola, che il profondo affetto che nutrivano l’uno per l’altro non sarebbe mai stato secondo a nulla, a nessuno.
Ma, come abbiamo già constatato, si sbagliava.

- - -

La macchina scivola veloce sull’asfalto bagnato, la luce degli sporadici lampioni che costeggiano la strada sembra solo una linea di luce sfocata. Dean, entrambe le mani appoggiate mollemente sul volante lucido dell’Impala, sente gli occhi chiudersi dopo un’intera giornata passata alla guida, senza mai fermarsi, con il bisogno fisico di mettere miglia e miglia tra lui e la California – tra lui e Sam. È una necessità che lo fa impazzire, che gli annienta la mente e non riesce a lasciarsi alle spalle.
Osserva il nero della notte diventare solido attorno a sé mentre attraversa l’ennesimo paesino del Nevada – una processione di case e staccionate bianche, file e file di dimore dall’aria felice che non fanno altro che appesantire ancora di più il suo umore.

È assurdo pensare come, appena la notte prima, avesse guidato quattrocento miglia senza sosta per arrivare a Palo Alto, colto dall’irrefrenabile desiderio di rivedere Sam, con la speranza di venire accolto con un sorriso dopo tanto tempo senza vedersi. Così tanto tempo, Dean non riesce nemmeno a quantificare l’immensità che quei mesi gli sono sembrati.
Invece, quando era arrivato, lo aveva trovato in compagnia di una ragazza bionda che lo baciava e gli passava una mano tra i capelli con affetto, adorabile nei jeans chiari e la camicetta bianca fresca di bucato. Attorno a loro c’erano degli amici, visi che Dean aveva studiato, cercando di immagazzinarli, assimilarli come se fossero un’estensione di Sam stesso, mentre erano impegnati in una conversazione allegra.
E improvvisamente era lì, proprio sotto i suoi occhi, la vita che il fratello minore si era rifatto, insieme ad altre persone, senza sentire la sua mancanza o il bisogno di rivederlo. Lo aveva semplicemente lasciato indietro, come se non contasse nulla.

Era rimasto in macchina, allora, incapace di gestire tutto il carico di emozioni che gli aveva attraversato il corpo come una scossa, sperando che Sam non si accorgesse di lui nell’Impala parcheggiata dall’altro lato della strada, che salutasse la sua fidanzata con cui viveva – senza che lui ne sapesse nulla, lo aveva scoperto solo in quel momento, tanto erano distanti le loro vite – al più presto e si avviasse all’università, così da poter finalmente mettere in moto l’auto, sentire il rombo familiare del motore, e filare via, come se l’Inferno si stesse aprendo alle sue spalle.

E così ha fatto.
Ha iniziato a guidare senza voltarsi indietro in quella mattina uggiosa, l’Impala che solleva dietro di sé scie di acqua che tagliano in due l’aria.
Ci sono solo miglia su miglia, senza sosta, sempre ad una velocità incontrollabile, e un buco all’altezza del cuore che sembra allargarsi sempre di più, inghiottendo tutto.
Poi, nelle vicinanze di Las Vegas, accosta l’auto sul ciglio di una strada poco battuta e lascia andare tutto, scoppiando in un pianto disperato, come se ogni cosa che abbia mai avuto sia irrimediabilmente persa e niente al mondo possa più dargli conforto.
Non sa quanto tempo rimane lì fermo, seduto, le mani sul volante e la testa appoggiata contro i polsi uniti; lo riscuotono i rombi del motore di due vetture che gli sfrecciano accanto, dirette verso le gioie dei casinò e dei locali notturni.

Così, quasi alle porte della città più illuminata del Nevada, decide di fare lo stesso, per dimenticare Sam e il dolore, e tutto ciò che sta nel mezzo lungo la strada che li separa. Vuole solo recuperare del cibo, della birra – o qualcosa di più forte – e una donna da scopare. E dimenticare, buttare da qualche parte tutti i pensieri e dimenticare, trovare la forza di tagliare quel filo che li lega.

Ignora il cellulare che vibra in tasca mentre ordina la cena in una tavola calda deserta e una cameriera dalla presenza sciatta gli versa una tazza di caffè annacquato. È certo che sia suo padre che vuole sapere dov’è andato a cacciarsi, per dirgli che hanno del lavoro da fare – e l’ultima cosa di cui ha bisogno ora è proprio di sostenere una conversazione con lui.
Allora si toglie la giacca e la appoggia di fianco a sé, mentre aspetta osservando le luci della città attraverso le finestre.

Passa la notte in un motel ancora più squallido del locale in cui ha cenato, situato a ridosso della statale, con i fari delle auto che illuminano la notte e il rumore dei motori che fanno da colonna sonora al suo sonno. Si libera della cameriera con poche parole nemmeno troppo gentili e resta lì, a scolarsi del whiskey da undici dollari, lasciando il suo dolore interiore a macerare, e nascondersi in quel posto per un altro po’, così da avere tempo di mettere una toppa nella trama del suo cuore.
Cade nel sonno con ancora il liquore in mano, la televisione accesa che manda un ronzio costante.

- - -

Il mattino lo sveglia con un raggio di sole che penetra attraverso le tende, una fetta di luce brillante che peggiora il dopo sbronza e il suo umore.
Si alza intontito e ci impiega diversi minuti a mettere a fuoco che il suono fastidioso che sente è quello della vibrazione del cellulare che sbatte contro il vetro della bottiglia di whiskey sul letto – si è rovesciata e ha inzuppato le lenzuola ad un orario imprecisato tra l’alba e il suo risveglio. Quel baccano gli riempie la testa come un boato, e risponde in un gesto automatico, la voce impastata e rauca in quel pronto che si perde in un silenzio all’altro capo del filo. E poi la voce di Sam, che si spande nell’etere, e arriva dritta al cuore.

“Dean, mi senti?”, chiede Sam, senza ottenere riposta. “Dean, ci sei?”
“Sì”, è la sola risposta dell’altro, sorpreso da quella chiamata perché erano letteralmente mesi che il minore non si faceva sentire.
“Dean, stai bene?”, e sembra esserci reale preoccupazione nel tono della sua voce, e pazienza, infinita pazienza che nemmeno si aspettava.
“Certo. Hai bisogno di qualcosa?”, domanda allora, fingendo, come sempre.
“Se ho bisogno? No, Dean, ti ho visto ieri mattina, fuori casa. Ho provato a telefonarti ma non hai risposto.”
    
Merda, pensa Dean, mentre il cervello gli va in corto circuito e lascia cadere la conversazione per un paio di secondi di troppo, mentre cerca di racimolare un pretesto per la sua presenza lì. Perché era certo che non l’avesse visto e non ha avuto il tempo di pensare ad una scusa per una chiamata che nemmeno ci sarebbe dovuta essere – e ha ancora troppo alcol in circolo per organizzare la mente in una risposta coerente e credibile allo stesso tempo.

“Ero di passaggio… un lavoro”, dice solo, ma sa già, nel momento in cui pronuncia quelle parole, che Sam non se la berrà.
“Ma stai bene?”, indaga nuovamente l’altro, dopo qualche secondo di pausa e uno sbuffo un po’ annoiato, quasi impercettibile, ma che non sfugge al maggiore. “Ho davvero provato a chiamarti una decina di volte da ieri…”
Non termina la frase, vuole che sia lui a farlo.
“Come sarebbe che mi hai visto?”, chiede invece Dean, mentre inizia a carburare nonostante il mal di testa si gonfi sempre più. C’è un misto di sconcerto e rabbia nella sua voce, un desiderio di ripicca che inizia a montare sotto la pelle e che mira ad esplodere all’idea che Sam non abbia nemmeno fatto un gesto nella sua direzione.
“C’era Jessica. Pensavo di trovarti ancora, dopo le lezioni”, risponde Sam, facendo quel collegamento da solo prima ancora che Dean abbia bisogno di manifestare i suoi pensieri.

Jessica, come se lui dovesse sapere chi è, come se gli fosse stata presentata o fosse parte della famiglia. Jessica.

“Lei non sa nulla”, aggiunge poi, dopo un’infinità.

Di me, pensa Dean, non sa nulla di me.
“Non sa cosa, Sam? Che hai un fratello? Cosa c’è di così spaventoso in questo?”

E alla fine è tutto lì, in quelle parole, riassumere il loro rapporto è facile e desolante. Feroce come un pugno in pieno stomaco durante una rissa da bar. Ha sempre avuto la necessità anormale di essere tenuto nascosto, il bisogno di tacere su certi attimi, certe parole, certi sentimenti, come se ci fosse qualcosa di sbagliato.

“Dean, cosa volevi?” richiede Sam, con un sospiro stanco, lasciando cadere la questione, perché non ha nessuna intenzione di mettersi a litigare.
“Niente,” risponde, “proprio niente.”

E chiude la comunicazione, stanco e con il capo che gli duole. Si veste con cautela, il sangue che gli pulsa nelle tempie gli fa perdere il senso dell’equilibrio, un solo movimento brusco e crede che la testa potrebbe letteralmente esplodergli.
Si rimette al volante, guidando fino ad Oklahoma City in una tirata unica, e poi ancora più a Sud, per raggiungere suo padre.

- - -

Arriva a Tallulah drenato da ogni forza, come se i giorni precedenti passati in auto lo avessero privato di ogni energia. Lo stato della Louisiana lo accoglie con le sue temperature calde e umide, che lo rendono furioso, irrequieto, e tutto ciò che desidera è farsi una doccia gelida e, ancora una volta, dimenticare.
Quando entra nella stanza del motel, suo padre lo guarda, assimila la sua devastazione, e non fa domande.

Uscendo dal bagno, trova John al telefono con Bobby, probabilmente in cerca di qualche informazione extra che non è riuscito a reperire da solo o non ha avuto il tempo di cercare. Oppure di un piano sicuro per far fuori qualsiasi cosa sia a cui sta dando la caccia.

Manciate di minuti dopo, stanno ancora discutendo del modo più semplice per eliminarlo – John che sfoglia tra gli appunti, muovendo le dita veloci nella ricerca di qualcosa sul suo diario mentre preme il cellulare tra guancia e spalla. Nel frattempo, Dean, ascoltando distrattamente di tanto in tanto – un orecchio sulla chiamata e uno alla televisione, e nel mezzo un milione di pensieri che cerca di ignorare –, si è asciugato, vestito, e buttato sul letto nella speranza di riposarsi un po’ prima della caccia, si sente addosso una fiacchezza indescrivibile che lo pervade da capo a piedi, ma non c’è verso di prendere sonno e il calore della stanza non lo aiuta. Getta via la camicia, rimanendo in maglietta, poi si alza e si siede vicino alla finestra, concentrandosi sul lavoro, affilando la lama del suo coltello.
Non pensa nemmeno più a Sam impegnato in quei gesti tranquilli e precisi, fino a che John, chiudendo la telefonata con Bobby, non se ne esce con una frase che risveglia tutto quello che era riuscito a schiacciare in fondo alla mente.
Dean va forte in questo. Nella negazione. È cresciuto a pane e negazione per quel che ricorda, e ne è più che a conoscenza. Sam ha provato invano a farlo aprire, a fargli analizzare i suoi sentimenti, indagare e affrontare ciò che più lo turba invece di nascondere i problemi nella speranza che non tornino a galla, ma nulla è mai servito. Alcune realtà sono celate da un timore troppo radicato per doverle anche scomporre in pezzi alla ricerca di una verità che sarà ancora più spaventosa della paura stessa.

“Questo mostro è davvero una puttana. È un lavoro per tre persone”, dice suo padre, “ma ce la faremo lo stesso. Ho un buon piano”.

A quel punto il cervello di Dean rimbalza nuovamente contro il pensiero di Sam, in un collegamento rapidissimo, e il dolore ritorna, come un’onda che bagna la sabbia all’improvviso. Si alza con uno scatto dalla sedia che occupa, sorprendendo suo padre, ed esce all’aria aperta mentre i polmoni si rifiutano di fare il loro lavoro.
Prende dei respiri profondi, ancora appoggiato alla porta, e solo allora realizza che la parte peggiore, il vero problema, è che la nuova vita di Sam sa di definitivo, non ha nulla di provvisorio come è invece stata la loro, senza una casa fissa, amici, pronti a spostarsi in un posto nuovo in ogni momento, mese dopo mese, anno dopo anno.
Quella di Sam è stata costruita per essere duratura, stabile. E Dean fatica ad ammetterlo perché, per come la vede lui, sono sempre stati loro due contro il mondo, e rinunciare a questo, all’unica persona che può accettarlo per com’è davvero avendo in mano tutti gli elementi, è un passo che non è ancora in grado di compiere – e forse non lo sarà mai.
Con suo padre non è lo stesso, il loro rapporto non è neanche lontanamente paragonabile a quello che aveva con il fratello, non è nemmeno paritario: si tratta di lui e dei suoi ordini. E amore, tanto, che pesa in mezzo. Ma anche questo non è sufficiente, l’idea di non essere all’altezza è sempre dietro l’angolo, la paura di non bastare mai.
Quando Sam ha lasciato, le cose sono andate persino peggio con il padre, e Dean non ha saputo venirne fuori, mettere dei confini, dei freni, invece si è attaccato con una forza spasmodica a John, cercando di superare in questo modo fragile la solitudine creata dalla mancanza del fratello.
E ora non ha più niente, solo polvere e terra.

- - -

Quella notte ritorna dalla caccia con tre dita rotte, una spalla slogata – di nuovo, come se non fosse uscita dalla sua sede già troppe volte – e un ginocchio completamente andato, che gli fa così male da impedirgli di credere alle rassicurazioni del padre sul fatto che non ci sia niente di rotto.
Si appoggia a lui per camminare, caricando tutto il peso sulla gamba buona, mentre varcano la porta della loro stanza nella speranza di non essere visti da nessuno fare ritorno in quello stato quasi al limitare dell’alba.
Si siede sul letto con un grugnito e, mentre osserva la stoffa dei jeans lacera e il ginocchio sfasciato che sanguina copiosamente attraverso la bendatura sommaria fatta sul posto, si maledice per l’incapacità di concentrarsi, che sarebbe potuta costare la vita ad entrambi. Per quella caccia doveva essere più che vigile, ma la sua mente non riusciva a mettersi in moto a dovere.

“Che diavolo sta succedendo, ragazzo?”, gli chiede John, il tono a metà tra il furibondo e il preoccupato, sedendosi ai suoi piedi con il necessario per medicarlo. Lui scuote semplicemente la testa e l’altro lascia perdere perché, in fondo, non sono molto bravi con le parole, loro due, e indagare sui sentimenti è qualcosa di troppo imbarazzante e privato da poter essere gestito dopo una nottata simile.
L’uomo gli disinfetta le ferite, fascia il ginocchio, rimette la spalla del figlio al suo posto mentre Dean stringe un cuscino tra i denti con tale forza da fargli pensare che potrebbero sgretolarsi come gesso sotto quella pressione.
E poi il meritato riposto, l’oblio tanto agognato e concesso da un mix di antidolorifici.

- - -

La vita va avanti, e ad un certo punto Dean smette di guardarsi indietro ogni attimo e tutto riprende il suo corso – i giorni tornano ad essere solo un turbinio familiare di donne, alcool e mostri di ogni specie. E a lui sta bene così.

- - -

Una delle prime cose che gli ha insegnato suo padre sul loro lavoro è che esitare nel dire menzogne, non mostrare il distintivo prescelto per quella determinata occasione con la giusta confidenza, non sorridere, non cercare di affascinare la persona dalla quale bisogna estorcere informazioni, è il primo passo per farsi beccare.
Così Dean si piega sul bancone della tavola calda e regala un ghigno sfacciato alla cameriera un po’ attempata coi capelli che odorano di lacca da pochi spiccioli, promettendole la luna con uno sguardo – perché è bravo in questo, Dean ci sa fare con le donne, basta un sorriso il più delle volte.
Peccato che questa invece non ci caschi, e si limiti a rivolgergli uno sguardo di puro biasimo mentre gli versa la seconda tazza di caffè.
    
“Sono sei dollari”, dice, e allunga una mano aspettando la mancia.
    
Il ragazzo stringe le labbra e le porge un pezzo da dieci, mentre pensa, per l’ennesima volta in quei quattro anni senza Sam, che suo fratello ce l’avrebbe fatta a scoprire dove alloggia la maledetta strega che stanno cercando da tre maledetti giorni in quel maledetto posto. Questa tizia è il tipo di donna che si sarebbe fatta intenerire da un approccio aperto, dallo sguardo da cucciolo abbandonato, perché è quasi certo che, vista l’età, abbia da qualche parte un nipotino che vizia allo sfinimento.
Racimola il resto che lei ha abbandonato sul bancone e, con un’ultima occhiata ostile, esce fuori nel vento gelido.
    
Due giorni dopo viene fuori che la cameriera è la madre della strega che stanno cercando, e non ci sono nipotini di sorta nel quadretto famigliare. Solo liquidi corporei disgustosi, riti consacrati dalla purezza del sangue e più odio di quanto Dean possa immaginare esserci in una studentessa ventenne alta la metà di lui.
Finisce con loro che ammazzano la figlia e la madre che si mette in mezzo per difenderla. Proprio ben fatto, pensa, se non altro nemmeno Sam avrebbe potuto cavare nulla da quella tizia. Poi scrolla le spalle e si volta verso John.

“Le piccolette sono le peggiori”, dice, per poi uscire dal buco di appartamento nella periferia est della città, ripulendosi con la manica della giacca un taglio sul sopracciglio.

Ripartono subito, lasciandosi dietro l’aria malsana di Chicago e quel lavoro con più morti del previsto.

- - -

Nemmeno un mese dopo John scompare e Dean non può fare altro che cercare aiuto quando le settimane iniziano a passare, ad accumularsi l’una sull’altra in maniera peculiare, come non era mai successo prima, senza che il padre facesse ritorno o desse sue notizie.
E tutto torna come prima, d’improvviso. A parte il fatto che non è così e il desiderio di Sam di andarsene è sempre presente, come un terzo incomodo ingombrante. Non sa bene perché la cosa lo stupisca tanto, in fondo Dean non è mai stato abbastanza per lui e ha fatto i conti con questa dolorosa verità per tutta la sua vita.
Ma è comunque un inizio e, per ora, se lo farà bastare.


I turned around and the water was closing all around like a glove

L’idea di tornare gli ha sempre fatto paura, e ora che si trova nella condizione di non potersene più andare, nella disperata ricerca di Azazel e di una vendetta che sia almeno un po’ giustizia, si sente spacciato, ingabbiato. Si sente come prima di partire per il college, schiacciato in mezzo a sentimenti ingombranti e un destino scritto che non riesce ad accettare, deciso da altri per lui.
Sarebbe più facile se solo potesse lavarsene le mani, se solo avesse la possibilità di mettere fine a tutto ciò che è stata la loro vita fino ad oggi e allontanarsi da Dean.
Perché, fondamentalmente, sarebbe tutto più semplice senza Dean. Più tremendo eppure più semplice, ed è difficile sentirsi rinfacciare le proprie scelte quando l’altro è almeno la metà delle ragioni per cui ha deciso di prenderle.
Vorrebbe avere quella certa leggerezza di pensiero da fargli ignorare le conseguenze, quel tanto di coraggio che basta per dirgli “me ne sono andato perché mi sono accorto che vivevamo l’uno nel palmo dell’altro, che non avevo niente tranne te, e che ti avevo dato ogni cosa. Eri tutto e lo sei ancora, e io dovevo liberarmi di te. La portata di questo amore mi ha fatto paura, perché non lo capisco, non ne vedo il fondo e non so bene se sarei riuscito a farlo tacere per sempre. Allora me ne sono andato, perché avevo bisogno di una vita normale, con sentimenti ordinari, mentre invece questo non lo è.”
E, anche se sarebbe difficile da spiegare a parole il desiderio, provare a dirglielo di come gli nasce dentro di tanto in tanto, trabocca come lava da un vulcano e invade tutto, ricopre tutto, e in quegli istanti vorrebbe solo prendere Dean e stringerlo a sé, così forte da spezzargli le ossa, togliergli il respiro e non lasciarlo mai più andare.
Ma lui non è mai stato così, ha sempre avuto il bisogno di analizzare le cose più del dovuto, senza alcun modello di paragone per sondare come e quanto e fino a che punto si può amare una persona in cui scorre il proprio stesso sangue.

A Duluth, Meg mette fine ad ogni dubbio. Essere cosciente per pochi minuti mentre lei è dentro il suo corpo è quasi un’epifania, una fonte incontrollabile di rivelazioni che diventano certezze – e, filtrate dalla sua percezione, rendono ogni sentimento sporco, lasciando anche quello più puro insudiciato, ma gli aprono gli occhi come nient’altro aveva avuto il potere di fare e mette parte di ciò che aveva già sospettato nero su bianco.
La avverte muoversi al suo interno, ingombrante nello spazio inviolato della sua carne, fuori posto, e il ragazzo si sente come se fosse ammalato, vittima di un delirio causato dalla febbre alta. La lucidità che viene e va senza che lui possa fare nulla per controllarla.

All’inizio, lei crede di avere in mano la situazione, di conoscere esattamente i suoi desideri più oscuri, non vede l’ora di prendere Jo con la forza pur di soddisfare la voglia che crede di aver letto nel fondo della sua anima. Non vede l’ora di violentare lei e ammazzare Dean.
E Sam si sente colto in fallo, solo per il fatto di aver provato della gelosia nei confronti di Jo. È a quel punto che lei la vede, legata alla sensazione di colpevolezza, scava più a fondo e riesce ad afferrare la parte più estrema e sporgente delle radici della sua anima e il reticolo sotterraneo si dipana come una mappa aperta.

“Oh oh oh, ma tu guarda cos’abbiamo qui. Sammy, Sammy, Sammy, sei più incasinato di quanto credessi…” e ride, di una contentezza selvaggia, vittoriosa. La sente esultare dentro di sé ed è come se anche lui esultasse, scoppiasse di gioia come di rimando, in un singhiozzo dell’anima. Il pensiero folle di implorarla di tacere varca la soglia della sua mente quando si rende conto che non può nasconderle nulla, nemmeno ciò che neppure lui stesso ha ancora realizzato né capito fino in fondo, che lei può mettere insieme i pezzi senza bisogno del suo aiuto, che potrebbe usarli contro di loro o, nell’ipotesi peggiore, dirlo a Dean. E, anche se Sam ha la certezza che il fratello non le crederebbe mai, non vuole correre il rischio che in lui si instauri quel dubbio. Sono già troppo incasinati per dover gestire anche questo.
Si sente così spacciato, così maledettamente spacciato che una strana forma di isteria desolata si impossessa di lui, incontrollabile mentre lei legge più a fondo i desideri del suo cuore.

“Oh Sammy, vogliamo scoprire che ne pensa Dean del fatto che sia più facile che uccidi Jo e ti scopi lui invece del contrario? Sono certa che lo troverà entusiasmante.”
Ride ancora, mentre lega Jo ed è quasi pronta ad ammazzarla, quasi in una favore a lui, una concessione che in quel momento si sente tanto generosa da fargli; ma il sentirsi così euforica la distrae, non si accorge dell’arrivo di Dean e la sua gioia si trasforma in rabbia in un istante.
Ed è quasi folle l’odio che Sam sente nascere dentro di sé all’improvviso, così simile a quei sentimenti che di recente si sono fatti tanto largo in lui da spaventarlo, vorrebbe poterla calciare fuori dal suo corpo e riprendere possesso di esso e dei suoi segreti a cui non ha osato dare nome da troppo tempo.
Ora non ci sarà più modo di ignorare la verità, come aveva fatto per quasi metà della sua vita, ed è questo che lo lascia sconfitto, colmo di una stanchezza inverosimile.
E, anche quando Dean rischia la vita per salvare la sua e far uscire Meg dal suo corpo, e tutto ciò che vorrebbe provare è gratitudine, la paura resta, attanagliata all’amore.

Quegli eventi, sebbene portino con sé delle certezze, creano anche l’ennesima crepa: lui si chiude ancora più in se stesso, impossibilitato a parlarne con chicchessia, mentre Dean si ritrova nuovamente, inesorabilmente tagliato fuori, e questo gli fa perdere le coordinate, gli scatena una rabbia dentro che potrebbe far crollare il mondo.
E ne seguono liti, immense, inesauribili liti che nessuno dei due riesce più a sostenere.

“Parlami!”, grida Dean, un giorno, mentre la tensione è alle stelle e il viaggio verso Springfield sembra essere eterno.

Il problema è che Sam non sa nemmeno da che parte iniziare, provare a spiegargli. Confessare la verità è qualcosa di troppo spaventoso da gestire, rovinerebbe tutto, anche se gli concederebbe finalmente la possibilità di farsi una vita lontano da Dean. Ma a quale prezzo?
Allora tace, nuovamente, mentre le mani di Dean stringono con forza il volante, le nocche sbiancate dalla pressione.
Tirano avanti come meglio possono, a casaccio, come hanno sempre fatto, cercando una linea retta in una vita che non è altro che curve.

- - -

Muore in una notte umida.
Negli occhi il fermo immagine di Dean che corre verso di lui e il dolore alla schiena che si allarga in una vampa bollente.
E poi più niente, tranne un ricordo, mentre gli occhi si chiudono e sente Dean stringerlo a sé, contro il suo calore familiare. Una sera d’estate di parecchi anni prima, alla radio stava passando una vecchia canzone, degli anni quaranta forse. La voce della donna era chiara, appena un po’ fumosa, Sam non riesce più ad afferrarne le parole né il titolo, ma ricorda l’atmosfera che donava a quel motel da pochi soldi mentre immaginava le labbra rosse della donna schiudersi come un fiore intonando la melodia.
John era fuori nel parcheggio, ad armeggiare sul suo furgone, pronto per partire di nuovo e lasciarli soli con loro stessi, a prendersi cura l’uno dell’altro come avevano sempre fatto.
Lui invece era impegnato nella lettura di un libro, godendosi quell’ennesimo pomeriggio quieto nell’arco di parecchie settimane in cui non avevano dato la caccia a nessun mostro ed erano rimasti lì, sempre nello stesso posto.
Dean era disteso sul letto di fianco al suo, insolitamente tranquillo, mentre cercava di aggiustare un vecchio giocattolo di Sam che il ragazzo nemmeno usava più. Doveva avere diciassette anni, a quel tempo, e aveva iniziato ad infilarsi i vestiti di John, la sua giacca, le sue camicie, anche se gli cadevano troppo larghe e il suo viso indugiava ancora un po’ nell’infanzia, solo raramente, quando la luce cadeva in modo particolare sulle sue lentiggini e lui tornava ad essere il bambino che era un tempo.
Mentre il motivo arrivava alle battute finali aveva smesso di trafficare e gli aveva lanciato il gioco facendolo atterrare sul letto vicino a lui, con uno di quei suoi sorrisi onesti che si vedevano di rado, e Sam non aveva avuto il cuore di dirgli che lo aveva riparato per niente, così lo aveva ringraziato ricambiando il sorriso, e lo aveva appoggiato in cima alla pila di libri, che erano la cosa che più gli interessava al momento.
Col senno di poi, ora se ne rende conto, era nato tutto lì, se n’era accorto per la prima volta in quell’istante, mentre Dean si alzava dal letto e si avvicinava a lui per scompigliargli i capelli con un sorriso carico di affetto e poi si dirigeva fuori nella luce abbacinante del sole, raggiungendo loro padre, e le note della canzone morivano nell’aria. Ma era così giovane che non ci aveva dato peso, non aveva capito la portata di quell’improvviso scoppio di amore nel cuore, lo aveva sottovalutato.
E adesso non c’è più tempo, non rimane più nulla a cui aggrapparsi se non polvere e terra.

- - -

Si sveglia di soprassalto, il dolore alla schiena è ancora presente anche se parzialmente diminuito, osserva il riflesso della ferita nello specchio e si interroga su come possa essere stata guarita e da chi.

“Sammy”, arriva la voce di Dean, e lo abbraccia con una forza che sembra spezzarlo in due di dolore, con una disperazione che non aveva mai visto in lui.
Non c’è tempo per domande e chiarimenti e, nonostante la cautela improvvisa dell’altro, in un lampo sono da Bobby e poi nel Wyoming, senza che ci siano dei momenti utili per indagare sull’espressione incollerita di Bobby e quella angosciata del fratello, ma solo per archiviarle, integrarle nella memoria per mettere insieme i pezzi più tardi.

E, una volta giunto lì, non c’è di nuovo tempo per pensare, non c’è tempo per nulla – ed è strano come questo sia sempre stato un po’ il cruccio della loro vita, non avere tempo da ritagliare per riflettere, ma solo per andare avanti, vivere ciò che viene come viene, lasciando alla morte tutto il resto.

Il trambusto mentre le porte si spalancano è tale che si ritrova ad agire quasi senza ragionare, e quando Dean viene colpito da Azazel, Sam corre verso di lui, abbandonando Ellen e Bobby impegnati nel tentativo di richiuderle, perché Dean viene prima di qualsiasi altra cosa, anche della porta dell’Inferno che si apre e del bene dell’umanità intera, perché il solo pensiero di perderlo è angosciante, la paura è tale da togliergli il fiato.

E, quando sembra che nulla potrà più salvare nessuno di loro, John appare, sfuggito dall’Inferno stesso per conquistarsi quella fetta di paradiso che gli è dovuta. E la sua vendetta. La sua vendetta.
Sorride, prima di lasciarli, sorride e, sul volto di Dean, Sam riesce quasi a scorgere le crepe, la fragilità che tenta di nascondere.
Ed è finita, senza che se ne siano davvero resi conto. È finita così.

- - -

“Quanto ti ha dato?”, domanda ancora una volta, con un sospiro stanco, perché è come se steste girando in tondo loro due, nel tentativo di afferrarsi ma senza farlo quando ne hanno l’opportunità.
“Un anno”, risponde Dean, guardando altrove. “Un anno, Sammy.”

Ed è come se il mondo fosse imploso e una desolazione completa lo avesse invaso da capo a piedi. Osserva il viso di Dean, il peso del suo sacrificio, e non ci trova ripensamenti, mentre la rabbia scema via dietro le parole del fratello.

Un anno. Questo sarebbe il momento giusto per avere coraggio, un’ultima possibilità lunga un intero anno, e dopo di essa solo l’occasione di rimettere insieme una vita che non sarà mai quella che aveva desiderato in passato – perché sebbene abbia provato in tutti i modi a chiuderlo fuori da essa, Dean c’è sempre stato, che lui lo volesse o meno. Ed era fin troppo semplice immaginarne una senza di lui, sapendolo da qualche parte a cacciare mostri insieme a loro padre, sempre disponibile se solo avesse avuto bisogno.
Mentre questo è definitivo, mette un punto di chiusura ad una storia che non ha ancora avuto tempo di vivere.
E non ne resterà più nulla, se non polvere e terra.

   
 
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