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Autore: Alley    27/10/2013    5 recensioni
“Non dovrebbe mangiare tutti quegli involtini se le fanno quest’effetto, signorina Lewis.”
La prima cosa che Darcy pensa è che si tratti della sua coscienza. Poi, però, si rende conto che la sua coscienza non ha la voce di un uomo. Non che le parli così spesso, ma quando decide di provare a comunicare lo fa con una voce femminile - di solito quella di Jane. Inoltre, non vede per quale motivo la sua coscienza dovrebbe darle del ‘lei’. Non hanno mai avuto un rapporto molto confidenziale ma, ehi, che bisogno c’è di essere così formali? È pur sempre della
sua coscienza che stiamo parlando.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Darcy Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Darcy's world ~ Diario di una fangirl'
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“Grazie per la sua collaborazione, signorina Lewis.”

Darcy infila la borsa a tracolla senza rispondere.

Nessuna novità, ha già perso il lavoro altre volte. La prima è stata quando il signor Lennox l’ha beccata a chattare su Facebook (è stato inutile provare a spiegargli che stava chattando con sua madre, perché aveva dimenticato il cellulare a casa e non sapeva come altro fare per ricordarle di dar da mangiare alla tartaruga), poi c’è stata la signora Johnson che l’ha trovata a dormire sulla scrivania (e a nulla è servito dirle d’aver trascorso una notte insonne perché aveva lasciato la stufa accesa e il suo appartamento era quasi andato a fuoco), il mese successivo il signor Smith l’ha gettata fuori dal suo ufficio dopo aver scoperto che qualcuno aveva scaricato sul pc aziendale l’ultima stagione di “The Vampire Diaries” (ma Darcy non sapeva che l’antivirus non era stato ancora rinnovato, altrimenti non l’avrebbe fatto mai e poi mai).

Queste sono state soltanto le più recenti. Venir licenziata è ormai diventata la routine, per lei. Darcy ci è abituata, eppure, mentre Maria Hill la congeda, un groppo le serra la gola e le impedisce di parlare.

“La chiave.”

Darcy solleva lo sguardo e rivolge alla donna un’occhiata perplessa.

“La chiave del suo ufficio.”

La chiave, giusto. Le sembra di ricordare d’averla messa in borsa, ma non ne è sicura. È sempre stata terribilmente sbadata, ma in quel momento ricorda a stento dove abiti.

In quel momento vorrebbe soltanto chiudersi in camera sua, affondare il viso nel cuscino e piangere fino ad addormentarsi.

La chiave non è nella borsa e nemmeno nel cassetto della sua scrivania. Alla fine, scopre d’averla messa in tasca.

La porge alla Hill e, quando lei l’afferra, Darcy vede i suoi occhi farsi più spenti, più tristi, ed è sicura di non esser l’unica in quella stanza a sentire il bisogno di piangere.

Non c’è altro che debba restituire, pertanto mormora un saluto, con il filo di voce che è riuscita a tirar fuori, ed esce.

La base è immersa nel silenzio. Tacciono lo scalpiccio ed il vociare degli agenti, sostituiti da un vuoto spettrale in cui aleggiano ancora i postumi della battaglia.

Mentre attraversa il corridoio deserto, ogni suo passo rimbomba col fragore di un boato e si mescola al rumore di pensieri impossibili da zittire.

Le porte nell’andito sono tutte chiuse. Darcy si domanda quante altre, oltre a quella di Coulson, non verranno più aperte.

Un attimo dopo, dice a se stessa che non vuole saperlo veramente.

*

New York è un pugno di polvere e detriti. I grattacieli mutilati e le strade diroccate la sfigurano come sfregi, le voragini e le crepe ne deturpano le superfici. New York è ferita, New York è spezzata.

Camminando tra le rovine, Darcy vede le stesse cicatrici sui volti della gente che le passa accanto. Hanno tutti la testa china, ma lei sa cosa troverebbe nei loro occhi anche se non può vederli.

New York è un pugno di anime smarrite ritrovatesi all’improvviso in un mondo troppo grande da affrontare.

A Darcy non piace piangersi addosso, non le piace deporre le armi. Eppure, in quel momento, sente di non avere nemmeno la forza per sperare.

L’aria è densa di fumo e di sospiri, il cielo è una cappa tetra che promette pioggia e lacrime.

I buoni hanno vinto, eppure non ha ancora visto un sorriso ed ha la sensazione che dovrà attendere molto per farlo.

A Darcy non piace confidare nella sorte, ma non riesce a fare a meno di pensare che ci vorrebbe un miracolo per ricominciare.

*

Ci sono tre cose di cui Darcy non potrebbe mai fare a meno: gli smalti, il peluche di Stitch con cui dorme ogni notte e il cibo cinese.

Non importa se ogni volta che mangia cinese si sente come se avesse ingerito un rinoceronte. Lei lo adora e non vi rinuncerebbe per nulla al mondo, il suo stomaco farà bene ad adeguarsi.

Jane, invece, odia il cibo cinese e ogni volta che Darcy le propone di andare dai signori Young Min prova a declinare l’invito – senza riuscirci, naturalmente.

Quella sera non fa eccezione. Jane brontola qualche protesta e lei parte con le sue terribili minacce: incendio la tua agenda, disegno cuoricini sui tuoi preziosi calcoli, posto su Istangram la foto della volta in cui ti sei ubriacata e hai chiesto al tizio seduto di fronte a noi di farti vedere le stelle – “e non provare a fregarmi, non c’entrava nulla l’astrofisica”.

Alla fine, Jane cede (non prima d’aver ribadito per l’ennesima volta che “non ci stava provando, l’aveva scambiato per un suo ex compagno di facoltà” e “la richiesta aveva finalità scientifiche”).

Quando si incontrano fuori al ristorante degli Young Min, Jane stringe Darcy con molto più calore del solito. Soltanto in quel momento, Darcy s’accorge di quanto avesse bisogno di un abbraccio.

*

“Un’altra porzione di involtini, per favore.”

“Darcy, è la quinta che ordini.”

“Veramente la sesta.”

“Appunto.”

“Sai che il cibo cinese ti fa male.”

“Appunto.”

Darcy è sempre stata una persona masochista e il cibo le offre un conforto di cui, in quel momento, non può proprio fare a meno.

*

Darcy riesce miracolosamente a ritrovare la strada di casa. Jane ha insistito per riaccompagnarla, lei le ha detto che non ce n’era bisogno.

Sto bene Jane, davvero. In fondo ho mangiato solo…

In realtà non sa quante porzioni di involtini abbia mangiato. Ha smesso di contarle alla dodicesima.

In ogni caso, non stava così male da non poter rincasare da sola. Ha impiegato un po’più di tempo del necessario per rientrare, ma alla fine ce l’ha fatta – ammesso che quella sia davvero casa sua.

Darcy infila la chiave nella toppa – non senza fatica – e tira un sospiro di sollievo quando la porta si apre.

Non ha mai bramato nulla in vita sua come desidera un bagno in quel momento.

Sta implorando il suo stomaco di resistere ancora per qualche secondo e darle il tempo di raggiungere il gabinetto quando una voce familiare si leva alle sue spalle.

“Non dovrebbe mangiare tutti quegli involtini se le fanno quest’effetto, signorina Lewis.”

La prima cosa che Darcy pensa è che si tratti della sua coscienza. Poi, però, si rende conto che la sua coscienza non ha la voce di un uomo. Non che le parli così spesso, ma quando decide di provare a comunicare lo fa con una voce femminile - di solito quella di Jane. Inoltre, non vede per quale motivo la sua coscienza dovrebbe darle del ‘lei’. Non hanno mai avuto un rapporto molto confidenziale ma, ehi, che bisogno c’è di essere così formali? È pur sempre della sua coscienza che stiamo parlando.

Malgrado le paia strano, si dice che non c’è motivo d’esser sessista – se la sua coscienza vuole parlarle con la voce di un uomo, è liberissima di farlo – e che, in fondo, quel distacco se l’è cercato: sono anni che non le dà ascolto, è già tanto che si prenda ancora la briga di parlarle.

“Hai ragione, ho esagerato” acconsente, naturalmente ad alta voce. Parla ad alta voce con la sua immagine riflessa allo specchio e con la sua tartaruga, perché non dovrebbe fare lo stesso con la sua coscienza?

“Il fatto è che il cibo cinese è squisito e che mangiare mi aiuta ad affrontare i miei problemi.”

“Ha dei problemi?”

Sei la mia coscienza, dovresti conoscere perfettamente i miei problemi!

Darcy è troppo stanca per mettersi a litigare con la propria coscienza, per questo decide di non esternare l’obiezione.

“Ho dei problemi, sì, e dal momento che bevo solo Coca Cola e quindi non posso affogarli nell’alcol sono ricorsa al cibo.”

“Ha voglia di parlarmene?”

“Ho perso il lavoro” spiega, sprofondando nel divano “E vorrei tanto che fosse questa la parte peggiore della storia.”

“Non lo è?”

“Per niente. Il problema è il motivo per cui l’ho perso.”

Darcy ingoia un sospiro e inclina la testa all’indietro, poggiandola sullo schienale. Fissa il soffitto per qualche secondo e sente il cuore stringersi nel petto.

“Il mio capo è morto” dice e le parole pesano come macigni “Era una brava persona, ed è morto.”

“Ed è morta un sacco d’altra gente e la mia città è distrutta e là fuori ci sono divinità sociopatiche a cui basta uno schiocco di dita per farci fuori tutti. È ingiusto.”

“Ha ragione, è ingiusto.”

“Certo che è ingiusto!” esclama Darcy e la voce trema di rabbia e frustrazione “Anzi no, non è ingiusto, è una merda.”

Un singhiozzo la scuote e le lacrime cominciano a cadere. Malgrado abbia lo sguardo offuscato dal pianto, vede un fazzolettino comparire davanti ai suoi occhi.

“Grazie” farfuglia afferrandolo e…

Un momento.

Un.Momento.

La sua coscienza sarà anche educata e premurosa, ma non può averle passato un fazzolettino.

Darcy volta la testa e, quando incontra il sorriso gentile di Coulson, lascia cadere il fazzoletto per lo stupore.

L’uomo è in piedi davanti al divano con una scatola di Kleenex in mano e sembra incredibilmente...vivo.

Il cibo cinese le ha sempre fatto male, ok, ma non così male.

“Perfetto” sbuffa, tirando su col naso “Ci mancavano solo le allucinazioni.”

“Non sono un’allucinazione, signorina Lewis.”

“È ovvio che neghi” replica, tirando su col naso “Non puoi mica dirmi ‘sì, sono un’allucinazione, sbatti le palpebre e scomparirò magicamente’”.

(per la cronaca, Darcy sbatte le palpebre e l’allucinazione è ancora lì)

Coulson – no, non Coulson, l’allucinazione – non si scompone (e questo, effettivamente, fa molto Phil Coulson. È un’allucinazione molto credibile, non c’è che dire) e le porge il braccio.

“Tocchi.”

Darcy sposta più volte lo sguardo dal braccio teso al volto dell’uomo/allucinazione/qualunque cosa sia (un fantasma! Perché non ha considerato l’ipotesi fantasma?) e, alla fine, allunga il braccio a sua volta.

Le dita sfiorano la stoffa della manica, poi le placche dell’orologio, in fine il dorso della mano.

O non si tratta di un’allucinazione o quella che ha bevuto non era affatto Coca Cola.

Malgrado Darcy propenda per la seconda opzione, non riesce a fare a meno di serrare le dita attorno a quella mano e aggrapparsi a quel contatto con tutta la forza che le è rimasta – che non è tanta, ma è pur sempre qualcosa.

Giura che non sei un’allucinazione.”

Coulson prende posto accanto a lei e torna a sorriderle.

“Lo giuro” dice e le tende la scatola di fazzolettini con la mano libera. Darcy ne afferra uno e si soffia il naso rumorosamente.

“Mi dispiace che sia stata così male, ma non potevo rivelarle nulla prima di oggi. Riassumerla basterà a farmi perdonare?”

Darcy tira fuori un altro fazzolettino e soffia ancora.

“Perché hanno detto che eri morto?”

“È una lunga storia e non credo sia il momento di raccontargliela. Penso che adesso lei abbia bisogno di una dormita.”

E di un bagno

“Quindi posso contare su di lei per la gestione della burocrazia sul buss?”

“Il buss?” domanda Darcy, aggrottando la fronte.

“Le spiegherò anche questo, a tempo debito. Per ora le dico soltanto che non lavoreremo alla base per un bel po’. È un problema per lei?”

“No, affatto.”

“Bene. Sono contento di averla ancora con me.”

Darcy si sente più leggera, si sente come se qualcosa dentro di lei fosse tornato al suo posto. C’è ancora tanto da sistemare, ma quello è senza dubbio un bel passo avanti.

“Anche io sono contenta.”

Coulson recupera la scatola di fazzolettini e si alza in piedi.

“Penso che chiederti come hai fatto ad entrare sarebbe inutile…”

“Esatto.”

“Come previsto. Allora evito domande e vado a letto.”

“È un’ottima idea, ma…prima dovrebbe lasciarmi andare.”

Darcy abbassa lo sguardo e s’accorge d’avere ancora le dita avvinghiate alla mano di Coulson.

“Oh, scusami…Cioè, scusi” si corregge “Oddio, ti ho dato del ‘tu’ per tutta la conversazione…Volevo dire, le ho dato del ‘tu’ per tutta la conversazione…”

“Non importa, stia tranquilla.”

Darcy si alza a sua volta e ritrae la mano.

“Ci sentiamo al più presto per i dettagli.”

“Non vedo l’ora.”

Quella sera, mentre si infila sotto le coperte e abbraccia Stitch (dopo aver trascorso un’ora e quarantacinque minuti in bagno), Darcy pensa che, a volte, i miracoli possono accadere e che sì, si può ricominciare. Sempre, e nonostante tutto. 










Note
Mi è sempre piaciuto fantasticare sul post New York. Ritengo che, a dispetto della vittoria dei buoni, non si tratti affatto di una fase 'positiva', anzi, penso sia quella più difficile da affrontare. Nel momento in cui la battaglia cessa, tutti si ritrovano a fare i conti con se stessi e con quello che è accaduto, con quello che hanno perso e con le cose che sono cambiate e che, inevitabilmente, non torneranno più come prima. Il discorso vale, a mio avviso, per tutti: per i Vendicatori e, a maggior ragione, per le persone normali. Darcy rientra a pieno titolo nella categoria ed è per questo che ho raccontato, seppur molto brevemente, il suo personale post New York. Si tratta di una storia molto più introspettiva e meno leggera (almeno in alcuni frangenti) rispetto alle altre che compongono la serie, ma dal momento che Darcy ne è l'indiscussa protagonista e che la vena comica che la caratterizza non manca ho deciso di non postarla a parte.
Scrivere di Darcy è catartico: penso sia inevitabile identificarsi in lei, almeno in parte, e ammetto di metterci molto di me quando la racconto (malgrado i nostri caratteri siano completamente diversi). Darcy è una ragazza normale, è una di noi, e filtrare le cose dal suo punto di vista è un po'come guardarle dal proprio.
Per quanto riguarda la burocrazia:
-Come chi ha letto le altre one shot che compongono la serie sa già, nell'Alleyverse Darcy è la segretaria di Coulson.
-L'idea (magnifica) che Darcy abbia un pupazzo di Stitch non è mia, ma di Giuliache scuoricino e ringrazio per l'ispirazione.
-“Quindi posso contare su di lei per la gestione della burocrazia sul buss?”. Si tratta di un riferimento a "Agents of S.H.I.E.L.D.". Buss è il modo in cui viene soprannominato l'aereo che funge da 'base' alla nuova squadra di Coulson.
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui. Spero che la storia sia stata di vostro gradimento!
  
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