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Autore: Totallyawesomegeek    29/10/2013    2 recensioni
Kurt e Blaine sono a un bivio. Lasciare che il loro amore finisca o lottare fino all'ultimo respiro per la loro storia? Quando tutto sembra finito ormai, qualcosa di inaspettato li costringe a tornare insieme e ad affrontare i demoni che li hanno separati. Sarà un viaggio di riscoperta per entrambi che li porterà a riscoprire il loro amore e a capire che forse, non tutto è perduto. Sequel di Where'd you go.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Where'd you go Verse'
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Note iniziali:  nonostante la prima storia di questa raccolta, Where’d you go, dovesse finire così, (un po’ per mia decisione e un po’ perché la canzone che l’ha ispirata portasse lì senza alcun dubbio), una storia senza lieto fine non è accettabile per me. E se c’è qualcosa che abbiamo imparato è che Kurt e Blaine sono due metà della stessa mela, destinati a ritrovarsi sempre.  E chi sono io per dire altrimenti?
Quindi, senza altri indugi, ecco a voi il Sequel.

 
 

Don't let me go.


Capitolo 1.



A room full of sadness
A broken heart
And only me to blame
For every single part
 


“Blaine è andato via.”
Fu quello il primo pensiero che lo accompagnò quando riaprì gli occhi.
Era sdraiato sul letto, nella mano destra il telefono, nell’altra la fede che suo marito aveva lasciato dietro di sé.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Minuti, ore, giorni. Tutto era confuso. Ogni emozione legata all’altra e persa in un gomitolo inestricabile.
C’era il dolore, per aver perso l’uomo che amava. Il senso di colpa, perché lo aveva sempre saputo, lo aveva capito. Aveva visto Blaine perdere la voglia di lottare poco alla volta, e la sua voce diventare più rassegnata e distante. Aveva sentito suo padre rimproverarlo, settimana dopo settimana. Preoccupato per il loro matrimonio. E poi c’era la rabbia, la furia verso sé stesso e verso Blaine. Perché avrebbero potuto discuterne. Perché se Blaine lo avesse costretto a parlarne Kurt forse avrebbe trovato il coraggio di ammettere che qualcosa non andava.
Ma non era successo, e quello era il risultato.

La sua mano tremò mentre componeva il numero. Ma il telefono di Blaine era ancora disconnesso, e lentamente il panico si stava impossessando di lui.
Perché Blaine non era da Kate, la sua assistente. O almeno così lei gli aveva detto. E suo padre non lo aveva sentito. Wes e David non avevano la più pallida idea di dove fosse, e chiamare ogni Hotel di New York nel tentativo di trovarlo, era praticamente impossibile.
Non gli rimaneva altro da fare, se non aspettare.
Aspettare che cosa non aveva idea.
Una chiamata, un messaggio. Dei colpi contro la porta.
Il silenzio nella stanza stava attaccando i suoi nervi. Era insopportabile.
Le lacrime si erano fermate, ma in qualche modo non essere più in grado di piangere faceva ancora più male.
Forse avrebbe dovuto cercarlo là dove sapeva che Blaine sarebbe potuto andare.
Il suo ristorante preferito, l’angolo di Central park in cui andava ogni Domenica mattina, il caffè in cui facevano colazione ogni volta che potevano durante il college.
Quanto erano diverse le cose adesso.
Quei giorni sembravano così distanti e lontani. I due ragazzi che li avevano vissuti, totalmente diversi rispetto agli uomini che erano diventati.
Non erano più tornati in quel caffè.

Il suono del telefono lo fece sussultare, riportandolo al presente. Quando rispose, senza neanche guardare il display, la sua voce era senza fiato.
“Blaine?”
Dall’altra parte del telefono la linea rimase silenziosa. Neanche un sospiro.
“Blaine?” provò di nuovo. Guardò il display per controllare il numero, non era il suo cellulare, ma non poteva essere nessun altro. Sapeva che era lui. Sapeva che era Blaine.
“Blaine” ripeté. E la sua voce tremò. Il groppo in gola stava diventando più pressante e le lacrime che sembravano essere finite, tornarono a scendere.
“Non potevo non farti sapere che sto bene.”
La voce di Blaine era insicura, come se non avesse idea di cosa stesse facendo, come se fosse fuori dal suo elemento.  Roca, come se avesse pianto. 
“Torna a casa ti prego” sussurrò.
Un attimo di silenzio, una pausa lunga e carica di rimpianto.
“Non posso.”
E Kurt avrebbe preferito le fiamme dell’inferno a quella risposta. Perché sapeva cosa significava. Sapeva che Blaine non poteva tornare a casa, perché non sentiva di avere una casa in cui tornare. Perché non sentiva più di appartenergli. Ma lui non poteva arrendersi. Non senza lottare.
“Possiamo parlarne. Possiamo sistemare tutto. Ma non ci riusciremo mai se non torni a casa. Non posso mettere a posto quello che si è rotto se tu non sei qui.”
Un sospiro accompagnò il silenzio.
“Tu non sai..” la voce di Blaine tremò ancora. “Non sai quanto vorrei tornare da te. Ma non posso Kurt. Non faccio che pensare a tutto questo tempo trascorso. A questi mesi di solitudine. Al giorno di Natale” concluse. “Ero qui da solo, mentre tu avevi la tua vita, e il tuo lavoro, e i tuoi colleghi. Ero solo il giorno di Natale, a guardare stupidi film in TV, come se non avessi avuto un marito, o un compagno, per metà della mia vita.”

Avrebbe voluto urlare, distruggere qualcosa, picchiare qualcuno. Perché cosa poteva rispondere a quell’affermazione? Che il lavoro era lavoro? Che lo aveva fatto per loro?
Che alla fine ne sarebbe valsa la pena? Poco importava che lui avesse trascorso il giorno di Natale lavorando. Aveva avuto i suoi colleghi a fargli compagnia, e la festa della compagnia a fine giornata. Mentre Blaine per qualche motivo aveva deciso di non andare a casa dei suoi.
No, si corresse, non per qualche motivo. Blaine era rimasto solo perché era stato abbandonato. E lui, vigliaccamente, glielo aveva comunicato tramite sms.
Nel profondo del suo cuore, sapeva di aver rotto qualcosa tra di loro facendo quella scelta. Sapeva che il fatto che suo marito non avesse risposto al telefono quella sera, significava che quello che aveva sarebbe stato difficile da perdonare.

“Mi dispiace.”
“Lo so.” Nient’altro.
Erano a un bivio, ma lui non aveva idea di che strada prendere. Avrebbero potuto prendersi una pausa, non parlare per un po’.  Magari provare a dimenticare tutto.
O avrebbero potuto lottare insieme. Urlare, litigare. Offendersi ma mai perdere la speranza. Mai perdere il loro amore.
“Torna a casa Blaine.”
Conosceva già la risposta alla sua richiesta ma non poteva non tentare.
“Ho bisogno di tempo. Ho bisogno di ritrovare la mia strada, la mia vita.”
“Quindi mi lasci? Senza darci la possibilità di sistemare le cose?”
Sapeva che era la cosa sbagliata da dire, ma in quel momento tutto era amplificato, tutto faceva male. Quella situazione lo stava uccidendo.
“Non sono stato io a mollare la presa Kurt.” La voce di Blaine adesso era dura, irritata. “Io ho fatto la mia parte. Sono venuto a trovarti ogni volta che ho potuto. E tu? Puoi onestamente dire di aver fatto tutto il possibile per salvare il nostro matrimonio?”
“Non mi stai dando la possibilità di rimediare.”

Non era la risposta alla sua domanda. Ma era tutto quello che aveva. Non era ancora pronto ad ammettere le sue colpe. Perché sapeva di avere torto. Sapeva che anche se Blaine non aveva parlato, non aveva fatto trapelare nessuno dei suoi problemi, parte della colpa era anche sua. Per aver investito troppo tempo in un lavoro che appena gli piaceva. Per aver preferito rivedere gli articoli del giornale, piuttosto che prendere un aereo anche solo per un week-end per tornare da suo marito.
Il sospiro di Blaine dall’altra parte del telefono lo riportò al presente.

“Ascolta, adesso devo andare.”
Dove? Voleva chiedere. Dove sei? Con chi? Perché devi andare invece di risolvere questo problema? Ma sapeva che le sue domande non avrebbero trovato una risposta.
“Mi chiamerai domani?” chiese invece. La voce tremante, il cuore impazzito.
Un altro sospiro.
“A presto Kurt.”

Poi più niente. La casa era di nuovo silenziosa.
Ma qualcosa, nel dolore di quel momento, lo confortò.
La foto del loro matrimonio, quella che Blaine adorava, non c’era più. Era la foto in cui ballavano come due idioti al ricevimento di nozze.
Con gli smoking ormai completamente scomposti e messi da parte, Kurt non l’aveva voluto nell’album del matrimonio, ma Blaine aveva insistito che venisse incorniciata.
“Questi siamo io e te” aveva detto. “Liberi e felici, e al di fuori di qualunque costrizione.” Era una foto che amava adesso più di ogni altra. Era il luogo in cui voleva tornare, la coppia che voleva tornassero ad essere.
Blaine l’aveva portata via con sé e forse non tutto era perduto.

 
 

 
Nota finale: e questo è quanto per questo capitolo. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Sono ancora nuova nel circuito delle fan fiction e accetto volentieri consigli (sempre gentili e costruttivi) e opinioni.
L’incipit iniziale è tratto dalla canzone di Gary Barlow “Let me go”.
Alla settimana prossima.
   
 
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