Il finestrino gelato vibrava piano contro la sua tempia: solo la massa scomposta dei suoi capelli, resi appiccicosi dal sangue rappreso, proteggeva come misero cuscino il cerotto che nascondeva i punti messi da poco. Non era solo il taglio, profondo e gonfio, a fare male, tutta la testa le pulsava sorda, ma era un dolore sano, di quelli che mantengono vivi e vigili, pur se in qualche modo le impediva di addormentarsi nonostante tenesse gli occhi ostinatamente serrati. E poi c'era la caviglia, quella messa peggio, fasciata stretta per impedirle di muoverla e peggiorare la distorsione che si era procurata. Per lo meno, Tony guidava molto meglio di lei, e gli scossoni si potevano contare veramente sulla punta delle dita di una mano.
D'improvviso l'immobilità la informò del fatto che dovevano essere giunti a destinazione: Ziva strinse forte le palpebre, non voleva costringere il proprio corpo intorpidito e stanco ad alzarsi, e insieme la colpì il senso di colpa per l'ammissione a se stessa di quella debolezza, della paura reale di aggiungere dolore a quello che già provava, della sonnolenza che non tentava nemmeno di scrollarsi di dosso.
Aria fredda.
E poi un braccio che scivolava, caldo e rassicurante, sotto le sue ginocchia, e un altro all'altezza delle sue spalle, deciso e sicuro.
L'esperienza può insegnarti ad aver fiducia in qualcosa, o in qualcuno, ma cedere all'abbandono è l'ultimo passo, il più difficile, e la naturale ritrosia, la chiusura, ebbero la meglio sulle membra dell'israeliana, che si irrigidì leggermente: non aveva ancora rinunciato a lui, non del tutto, ma cercava di toglierselo dalla testa, e come avrebbe potuto combattere contro il desiderio di ritrovarsi abbracciata a lui in circostanze come quelle? Lui non le diede il tempo di reagire, o di riprendersi, la portò su, verso il suo petto, il volto appoggiato all'incavo della sua spalla, giaciglio perfetto.