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Autore: slanif    30/10/2013    5 recensioni
Genzo/Karl, Genzo/Franz, Manfred/Franz
Che
cazzo
Significa?
Stiamo scherzando? Non è possibile… no, per nessuna ragione al mondo! Va bene con chiunque, ma con Schuster no!
Aspetta… no, cazzo! Non va bene per niente con nessuno!
Genzo: ti ammazzo!
Ti ammazzo! Ti ammazzo! Ti ammazzo!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Malinteso
di slanif

**

Che
cazzo
Significa?
Stiamo scherzando? Non è possibile… no, per nessuna ragione al mondo! Va bene con chiunque, ma con Schuster no!

Aspetta… no, cazzo! Non va bene per niente con nessuno!
Genzo: ti ammazzo!
Ti ammazzo! Ti ammazzo! Ti ammazzo!
Come hai potuto farmi questo? Con Schuster, poi! Ma sei impazzito? Cazzo…
Vorrei strillarti in faccia tutto l’isterismo che sento, ma non lo farò. Che senso avrebbe? Ormai hai deciso.
E poi non è da me farmi vedere così… vulnerabile!
Sì, ma cazzo… con Schuster nooo!
Mi metto le mani tra i capelli, stringendoli e rendendoli crespi e spettinati. Mi verrebbe da dare la testa al muro, ma mi trattengo. Col mal di testa non riesco a pensare, quindi niente capocciata e rimaniamo lucidi…
Allora… cosa fare?
Le opzioni sono due: o entro con calma nell’argomento e sentiamo cosa mi dice, quindi mantenendo sempre la calma facciamo una discussione adulta…
Oppure vado la, lo prendo a cazzotti fino a che non sviene e poi me ne vado.
Ci penso un po’…
Okay, ho deciso: opzione due!

Arrivo a casa di Genzo super pompato, convinto a mille di massacrarlo di botte.
Premo il citofono come se dovessi spaccare il muro e appena mi apre la porta, la prima cosa che faccio è una sola: gli tiro un pugno fortissimo sui denti.
Genzo barcolla (di certo non se lo aspettava…), fa qualche passo incerto indietro e, mettendosi una mano sulla bocca, mi sibila: “Che cazzo fai, Karl?”.
“No… tu che cazzo fai, Genzo!” gli dico, scagliandogli un pugno nello stomaco.
Lui è piegato in due dal dolore, adesso una mano sulla pancia: “Karl… ma che…?”. Il suo tono è interrogativo, ma io non ho nessuna spiegazione da dargli. Anzi, è lui che deve darla a me!
“Niente Karl, Genzo!” sibilo “Sai benissimo perché ce le stai prendendo!”.
Genzo si tira su dritto, ha uno sguardo scuro e minaccioso che lo fa sembrare un gigante che mi sovrasta. Un po’ sento un brivido freddo lungo la schiena, ma non voglio farmi intimorire…
“No, Karl, non lo so, e vorrei cortesemente che tu mi spiegassi perché. Il tuo è un comportamento del tutto inaccettabile”.
Quando parla così da signorino d’alta borghesia lo ammazzerei…
“Non fare il finto tonto”, lo minaccio.
“Non faccio proprio niente” mi risponde lui basito “Non so davvero a cosa diavolo tu ti riferisca”.
Lo fulmino con lo sguardo: “Schuster”.
Genzo sbarra gli occhi: “Che?”.
“Franz Schuster” ripeto.
Genzo diventa rosso, la vena sul collo gli si gonfia e anche se non lo sto toccando, so che sta sudando: “Che c’entra Franz?”.
“C’entra con la tua evidente agitazione” lo punzecchio “Sai benissimo di cosa sto parlando”.
Genzo mi guarda fisso, si scosta un po’ il girocollo, come se si sentisse soffocare, poi con una voce tremula che non gli avevo mai sentito, mi fa: “Karl… senti, io… posso spiegarti…”.
Il sangue mi sale al cervello. Non ci vedo più.
Gli salto addosso. Non scherzo! Faccio un balzo e mi butto su di lui, prendendolo a cazzotti e buttandolo per terra.
Lui cerca come può di difendersi (ed essendo un portiere così bravo gli riesce piuttosto bene), ma non reagisce.
Ciò mi fa capire una cosa: è colpevole. Del tutto colpevole.
“Come hai potuto?” ansimo, mentre sono sopra di lui a prenderlo a botte.
A quel punto, mi afferra i polsi: “Aspetta un secondo… come ho potuto fare cosa?”.
“Tradirmi con Schuster!” urlo, isterico.
Non volevo essere isterico, non volevo fargli vedere quanto sono esaurito per questa cosa, ma non sono riuscito a trattenermi. La frustrazione è troppa, così come il dolore assurdo che sento nel petto. Mi bruciano gli occhi, ma non voglio piangere. Ho già alzato la voce, non voglio anche fargli vedere quanto profondamente mi ha ferito.
Genzo è basito. Ha gli occhi sgranati in maniera così profonda che è la prima volta che gli vedo il bianco sia sopra che sotto: “Cheee?” dice “Ma sei matto?”.
“Lo hai appena ammesso!” dico isterico, staccandomi e sedendomi di fronte a lui.
Sembriamo due idioti su un corridoio di una casa, seduti per terra a litigare.
“Ammesso? Ma ammesso cosa? Assolutamente no!” mi dice Genzo, assolutamente certo di quello che sta affermando, scuotendo anche la testa per accentuare il concetto.
“Ma come no? Hai detto che potevi spiegarmi! Che altro puoi spiegarmi con Schuster se non un tradimento?” ribatto, sempre più arrabbiato.
Sento le guance in fiamme. Gli occhi bruciano. Devo trattenermi.
“Ma come diavolo ti è venuta in mente un’idiozia simile?” mi chiede Genzo, strisciando sul pavimento e avvicinandosi un poco a me. Mi tocca il ginocchio col suo, ma non fa altro. Non sa bene come comportarsi, adesso, e fa bene a rispettare i miei spazi. Quando sto così posso anche rompere qualche osso, dalla gran rabbia…
“Non ti sei neanche reso conto che hai mandato il messaggio a me invece che a Franz?” dico, pianissimo. Mi sento come se tutte le forze mi avessero abbandonato.
Genzo sta zitto per un po’. Lo guardo da sotto le ciglia e vedo la sua faccia pallida e spenta, gli occhi vuoti di chi si rende conto di aver fatto una cazzata. Infatti alla fine dice: “Merda…”.
Sorrido beffardo: “Da quanto va avanti?”.
Genzo non risponde, rimane immobile e non da segno nemmeno di avermi sentito. Penso addirittura che sia morto, ma alla fine si sveglia di botto e mi fa: “Hai frainteso tutto!”.
Quindi si alza, senza darmi il tempo di dire niente, e sparisce in cucina. Torna poco dopo con una grossa borsa che sembra piuttosto pesante. Non la apre, ma continua a parlare: “Il messaggio che hai ricevuto tu invece di Franz cosa diceva, esattamente?”.
“Che non lo sai?” ribatto, arrabbiatissimo.
“Sì, ma è per essere sicuri che stiamo parlando della stessa cosa…” mi specifica Genzo.
“Oh, bene! Quindi in base a che messaggio ho ricevuto posso pensare male oppure terribilmente male su te e Schuster!” sbotto.
“Ma no, Karl! Non tergiversare! Dimmi cosa c’era scritto”.
Lo fisso per un attimo, poi mi frugo nella tasca dei pantaloni e estraggo il cellulare. Cerco il messaggio incriminato, poi gli allungo il cellulare. Lui lo afferra dalla mia mano e comincia a leggerne il testo:


Ciao Franz!
Allora per oggi okay, ci vediamo alle 16:00 al bar.
Karl non sospetta niente.
Gen



Genzo fa un sorriso, dopo aver finito di leggere, e mi ripassa il cellulare affermando: “Bene. Parliamo della stessa cosa”.
“Che consolazione!” mi lagno io, afferrando il cellulare dalle sue mani con veemenza e ricacciandomelo in tasca.
“Allora” dice Genzo, intrecciando le gambe e sistemandosi meglio di fronte a me. Fruga in quella grossa busta, infilandoci dentro quasi mezzo braccio, ma non lo estrae. Anzi, continua a parlare: “Capisco perfettamente che con quel messaggio tu abbia potuto pensare chissà cosa, ma ti assicuro che ti stai sbagliando di grosso”.
Il mio sguardo è fulminante, ma non dico niente. Sentiamo cosa si inventa…
Lui ignora la mia occhiataccia con la stessa calma di quando si sorseggia un caffè con un vecchio amico e prosegue: “E’ vero, dovevo incontrarmi con Franz, stamattina. Ma l’ho già fatto molte altre mattine dovendo, ahimè!, inventarmi una scusa con te”.
“Bene! Fantastico!” sbotto.
Ma vaff…
“Aspetta… fammi finire” mi dice Genzo, mettendo l’unica mano che non è nella borsa sopra la mia, come a calmarmi. La lascia lì e prosegue: “Dicevo: mi sono incontrato spesso con Franz nelle ultime settimane, ma di certo non per fare quello che credi tu. Anzi, è proprio colpa tua se mi vedevo con lui!”.
Sono indignato: “Colpa mia? Non dare a me la colpa del tuo essere fedifrago!”, sbraito, sfilando la mano da sotto la sua e portandomela al petto, intrecciando quindi le braccia.
Genzo rotea gli occhi al cielo, poi finalmente estrae quella dannata mano dall’altrettanto dannata borsa e mi spiaccica davanti alla faccia una gigantesca rivista. Lì per lì non metto a fuoco, poi allontano un po’ il collo e comincio a osservare.
E’ indubbiamente una di quelle riviste che ti danno in agenzia di viaggi, con altrettanto indubbia la Cupola della Basilica Di San Pietro a Roma al tramonto come fotografia di sfondo.
E capisco.
“Vuoi scappare con lui!” affermo, sull’orlo delle lacrime.
Genzo abbassa la rivista e mi guarda sconcertato: “Ma sei scemo?”.
Io non dico niente, stringo le labbra e aspetto che lui ammetta tutto.
“Non voglio fuggire con nessuno se non con te, idiota!” dice lui, offendendomi ancora.
“Idiota a chi? E poi che cosa stai vaneggiando?” dico, lo sguardo basso, il volto in fiamme. Sto per piangere. Me lo sento.
Genzo sbuffa, poi respira profondamente e con un tono calmissimo mi spiega: “Queste mattine che mi sono incontrato con Franz è stato per programmare un viaggio, è vero, ma di certo non con lui! Lui è stato solo l’aiutante…”.
Lo fisso.
Che diavolo sta dicendo?
Genzo prosegue: “Ho assoldato Franz per indagare e quindi aiutarmi a scoprire dov’è che vuoi andare, Karl”.
Improvvisamente, come un fulmine, mi tornano in mente le chiacchiere senza senso di Franz negli spogliatoi, qualche settimana fa, che mi dava il tormento sulle vacanze, i viaggi che avevo fatto, dove volevo andare, e mille altre cose che il mio cervello cercava di non sentire. Ma lui era così insistente che alla fine avevo detto la prima cosa che mi era passata per la testa, e cioè che avrei voluto vedere Roma.
“Ah”.
E’ l’unica cosa che mi viene da dire.
“Ovviamente non è stato facile trovare qualcosa, perché Roma non è esattamente la meta più facile del Mondo… oltre a doverci prima informare su cosa c’era da vedere a Roma e approssimativamente stimare quanti giorni ci sarebbero voluti per visitarla, bisognava anche cercare un’offerta decente che combinasse un Volo e soprattutto un Hotel non sbattuto chissà dove ma abbastanza centrale! Perciò… abbiamo passato le prime due mattine in biblioteca e in libreria a consultare guide varie, poi le altre tre in tre diverse agenzie di viaggio a cercare una combinazione vincente. Oggi dovevamo incontrarci per confermare in una delle agenzie”.
La spiegazione di Genzo mi lascia di sasso.
Spalanco la bocca come un pesce idiota che non sa più chiuderla e vedo i suoi occhi sorridere prima di dirmi: “Idiota”.
Okay. Me lo merito.
“Hai fatto tutto questo casino per fare una sorpresa a me?” gli chiedo, indicandomi il petto.
“Certo che sì! E’ o non è il tuo compleanno, tra poco? Volevo farti qualcosa di speciale, Karl, e passare del tempo soli io e te in un posto dove nessuno ci conosce e possiamo comportarci come ci pare…”. Me lo sussurra a fior di labbra, prima di baciarmi.
Io mi godo il bacio, emozionato dalla sua dolcezza, e mi sento il fidanzato più fortunato e felice della terra!
Poi un dubbio mi assale…
“Scusa tanto, eh!, ma ti lasci picchiare senza essere colpevole?” gli domando, sconvolto dalla sua idiozia.
“Beh, ti ho mentito… era come fare harakiri e espiare la mia colpa” mi dice Genzo.
“Fare… che?” gli domando.
“Ma niente, una cosa da giapponesi…”.
“Sei proprio senza speranza!” gli dico.
“Senti chi parla… quello che pensa che lo tradisco! Si può essere più idioti di te?” sbuffa Genzo, con un sorriso.
“Tu hai il primato dell’idiozia, dovresti saperlo bene…” lo punzecchio, mettendomi cavalcioni sopra di lui. Gli poggio le mani al collo e lo bacio, stoppando sul nascere qualunque cosa volesse dirmi in risposta.
“Sei un idiota” mi dice, quando ci stacchiamo “Un completo idiota che pensa cosa impossibili”.
“E tu sei tenero…” gli dico, sorridendo, strusciando il mio naso contro il suo.
“Genzo Wakabayashi non è mai tenero” mi dice lui, con tono solenne, stringendomi con le sue braccia forti. Mi afferra per la vita e il mio inguine tocca il suo. Già sento l’eccitazione salire…
Io sorrido. Avrei molto da ribattere, ma non lo faccio. Adesso non è il momento delle parole.
Lo bacio profondamente, cingendogli il volto con le mani, e lui mi stringe fortissimo a se.
“Ti amo…” mi dice a fior di labbra.
“Ti voglio…” gli dico io, sussurrandolo suadente.
“Allora il letto ci aspetta…” mi dice Genzo, tirandosi su e facendomi restare in braccio a lui. Gli stringo le gambe intorno ai fianchi e lui senza alcuna difficoltà fa le scale fino al piano di sopra. Poi, mi butta sul letto.
“Cominciamo il primo round…” gli dico, afferrandolo per il collo della maglietta e tirandolo verso di me per un caldo e umido bacio.
Le sue mani sono subito su di me, che si intrufolano sotto la t-shirt e cercano la mia pelle.
Il suo tocco è lieve, gentile, ma sensuale e caldo. Mi sento andare a fuoco.
Le nostre labbra sono incollate le una alle altre, appassionate e dolci.
I nostri corpi si muovono e si cercano all’unisono, innamorati folli l’uno dell’altro.
Quello che mi fa provare Genzo non l’ho mai provato in tutta la mia vita. E’ qualcosa di travolgente, sconcertante, estraniante.
E’ come entrare in un mondo tutto nostro la cui chiave d’accesso è solo in nostro possesso.
Donarmi a lui è stato naturale. Non avrei potuto farlo con nessun altro, ma con lui… non ho dovuto nemmeno pensarci. Il mio corpo ha capito prima di me e allora come oggi, è meraviglioso sentirlo dentro di me, caldo e pieno di passione.
Il piacere è intenso, arriva inaspettato e pieno e io ricado sul letto con lui sopra, stanchi e sudati, con l’odore di sesso addosso…
“Sarà il compleanno più bello della mia vita…” sussurro al suo orecchio, la voce affannata.
Ti amo da morire, Genzo…


Il giorno dopo arriviamo agli allenamenti sentendoci a pezzi.
Lo abbiamo fatto così tante volte che siamo stremati, i muscoli distrutti. Mi sento le gambe come gelatina, e non è esattamente la cosa migliore, essendo io un calciatore e un attaccante…
Ma chi se ne importa? Per una notte così, posso saltare pure un anno di allenamenti!
Il corridoio è vuoto quando arriviamo, Genzo mi da un bacio veloce sulle labbra prima di entrare.
Salutiamo velocemente tutti gli altri e cominciamo a cambiarci velocemente. Siamo anche in ritardo, perché stamattina, causa schiuma del cappuccino sul suo mento, ho cominciato un gioco che purtroppo lui non mi ha fatto finire… ma di sicuro ci ha ritardato la tabella di marcia!
Quindi non abbiamo tempo di parlare con Franz. Infatti Genzo, impegnato com’era con me, si è del tutto dimenticato di Franz e non è andato all’appuntamento!
Vedo il capitano del Berna che ci fissa da lontano, ma non sapendo che io so, ovviamente non si azzarda ad avvicinarsi.
Continua a guardarci da lontano anche per tutto l’allenamento, ma solo quando torniamo negli spogliatoi, sudati e sudici di terra, pensando che io non guardi, si avvicina fulmineo a Genzo.
Li vedo sussurrarsi qualcosa, poi Franz sbarrare gli occhi, guardarmi di sottecchi e ridacchiare.
So che si avvicinerà…
E infatti eccolo, neanche mezzo secondo dopo: “Ciao bel Kaiser”, mi saluta, tutto allegro.
“Ciao Franz” rispondo asciutto, continuando a frugare nella mia sacca alla ricerca delle ciabatte infradito blu per farmi la doccia, senza voltarmi a guardarlo.
Cerco di ignorarlo, ma ovviamente a lui non frega niente e continua: “Ho saputo da Genzo che la sorpresa è sfumata…”.
“Eh, già” dico, afferrando finalmente le dannate infradito e tirandole fuori, lanciandole successivamente a terra.
“Sai, ieri quando non si è presentato mi sono preoccupato, e quando ho continuato a telefonargli senza ricevere risposta ero davvero sconcertato! Per fortuna che non è successo niente” continua Franz, imperterrito.
Mi giro verso di lui e mi siedo sulla panca. E’ meglio dargli retta, tanto lo so che non mi lascerà in pace comunque, perciò meglio considerarlo e finirla in fretta.
“Sai, mi è dispiaciuto sapere che tu abbia pensato… sì, insomma, che io volessi portarti via Genzo!” dice Franz, sorridendo imbarazzato “Ma io volevo solo essere utile! Ma quello scemo è talmente abituato a mandare i messaggi a te che senza pensarci ha sbagliato destinatario!”.
“Che cosa vuoi, esattamente, Franz?” gli chiedo, dopo qualche secondo di silenzio in cui mi sono limitato a fissarlo.
“Niente, volevo solo essere sicuro che avessi capito che non avevo cattive intenzioni!” si affretta a spiegare Schuster.
“Tu hai sempre brutte intenzioni…” dico.
Franz fa un sorrisetto furbo: “Sì, ma non con Genzo… con Manfred!” ride, e se ne va.
Povero, povero, Manfred…

**FINE**

   
 
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