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Autore: LeFleurDuMal    17/04/2008    10 recensioni
Aioria di Leo si tormenta per tredici anni. Saga di Gemini si tormenta da molti di più. Aioros di Sagitter, l'unico che non si tormenta affatto, riesce ad essere presente sempre, anche quando, semplicemente, non c'è. E' che lui brilla; di un brillare sontuoso.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Leo Aiolia, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cosa Abbiamo Dimenticato?

Autore: LeFleurDuMal
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste
Personaggi Principali: Aioria di Leo, Saga di Gemini, Aioros di Sagittarius.   Poi Milo di Scorpio, Marin dell’Aquila
Rating: Verde
In proposito: Aioria di Leo si tormenta per tredici anni. Saga di Gemini si tormenta da molti di più. Aioros di Sagitter, l'unico che non si tormenta affatto, riesce ad essere presente sempre, anche quando, semplicemente, non c'è. E' che lui brilla; di un brillare sontuoso.
Disclaimer: I personaggi naturalmente non mi appartengono e sono di Masami Kurumada, ma lui non se li merita per le facce che fa in fotografia.

Cose: Era nata per basarsi solo su Aioria. Poi Aioros e Saga si sono presi una fetta di spazio piuttosto notevole. E io li amo, quindi non ho potuto dire di no, capite? é_è   E poi Milo si è infilato con forza. L’unica a non avermi dato problemi è stata Marin. Ricordatevene.

 

Per tredici anni, Aioria era rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote.
Era rimasto in silenzio e non aveva quasi nemmeno più guardato l’Armatura d’Oro del Leone. L’aveva lasciata lì senza vederla e senza ascoltarla, anche quando risuonava debolmente, cercando l’uomo di cui era degna; lì, in un angolo degli appartamenti privati della Quinta Casa, se non quando indossarla era stato strettamente necessario, perché, si sa, c’è sempre qualcuno pronto a complicare l’esistenza dei Cavalieri di Athena.Il fatto era che tutto quell’oro lo disturbava. Tutto quel brillare sontuoso.

Per il resto del tempo, Aioria aveva vestito abiti comodi e si era lasciato confondere tra i tanti attendenti del Mondo Segreto, quasi non fosse uno dei Santi della più alta schiera. Quasi fosse un soldato preposto agli addestramenti e niente più. Restava in silenzio. Girava al largo dal resto dei Cavalieri d’Oro presenti.

Tutto quell’oro. Tutto quell’oro lo disturbava, tutto quel brillare sontuoso.

Spesso si recava sulla scogliera, dietro al Santuario.

Si era allenato lì, da solo, dopo la scomparsa

La morte

Dopo la scomparsa di colui che era stato il suo maestro

Aioros

Che era stato il suo maestro e che era stato il traditore.

Mio fratello.

Era stato guardando il mare ed invocando Athena che aveva rafforzato in sé il Settimo Senso.

Sulla scogliera ogni tanto incontrava Marin dell’Aquila, con la sua armatura d’Argento, le gambe lunghe, i capelli rossi spettinati in quel modo pittoresco che gli metteva, poco a poco, un po’ di dolcezza nel cuore. Marin che appoggiava la mano sulla sua, quando con fermezza le parlava della Giustizia e che talvolta si imbronciava sotto la maschera, se Giustizia veniva attribuita alle decisioni che ultimamente prendeva il Pontefice.

Sulla scogliera ogni tanto incontrava Milo.

“Lo sai che c’è il mare anche in Siberia, Aioria?” gli aveva detto la prima volta, un po’ ruvido, un po’ beffardo, dandogli le spalle a cavallo sullo scoglio che si buttava sulle onde.

Aioria aveva ricordato qualcosa, a proposito di quando erano bambini, lui e Milo, a giocare tra un allenamento e l’altro. Aveva scacciato quel ricordo con violenza, perché ne portava con sé altri insieme al viso di un traditore che aveva amato.

Che amava.

Che Athena lo perdonasse: che ancora amava.

Sulla scogliera ogni tanto incontrava Milo e, più si incontravano, più Aioria capiva perché Scorpio andasse a vedere un mare che immaginava anche in Siberia e Milo aveva capito perché Leo ci mettesse tanto impegno a mostrare la sua forza e la sua fedeltà al Pontefice. Perché preferisse andare dove c’erano terra e acqua piuttosto che templi e oro.

 

“Per questo dobbiamo combattere e non arrenderci mai, fratello: in nome della Dea. Quindi ora rialzati e non dimenticare.”
Il piccolo Aioria aveva lo stomaco pesante, come se si fosse improvvisamente mutato in pietra e gli occhi che gli pizzicavano: chiaro sintomo di un pianto imminente. Con uno sforzo enorme li sollevò su Aioros, inginocchiatoglisi davanti. La sua figura slanciata era piegata su di lui e gli teneva le grandi mani forti sulle spalle, stringendogliele con affetto, ma anche con fermezza, incoraggiandolo a non cedere al dolore e alla stanchezza.

Aioria si sforzò di ricacciare le lacrime davanti ad Aioros, fratello e Cavaliere di Sagittarius, sereno e forte. Che sembrava ricoperto d’oro anche quando non indossava le Sacre Vestigia.

Aioria amava quel brillare d’oro. Tutto quel brillare sontuoso.
”Capisci, Aioria? Non dimenticare. Ormai sei grande.”

Aioria si morse il labbro inferiore, ormai era grande. A sette anni un bambino predestinato ha già conosciuto il Cosmo e risvegliato in sé il Settimo Senso. A sette anni un bambino predestinato non piange, nemmeno se la sua mano manca una presa e cade sulle rocce durante un addestramento, come era successo a lui pochi minuti prima.

Aioria aveva rilassato le labbra imbronciate. Aveva appoggiato lo sguardo in quello limpido del fratello – quello sguardo luminoso che era tutto – e aveva annuito.

Capiva. Certo che capiva. La Giustizia per tutti gli uomini e lui, bambino predestinato, capiva. Non avrebbe dimenticato.

Aioros sorrise. E Aioria amava quel sorriso. Tutto quel brillare sontuoso.
E  Sagitter, suo fratello maggiore, era l’eroe cui voleva somigliare. Aioria era fiero di avere gli stessi riccioli luminosi sotto la luce, ad incorniciargli il viso, gli stessi occhi chiari e la stessa piega radiosa nelle labbra. Era anche l’eroe di Milo dello Scorpione, che spesso giocava con lui dopo gli allenamenti. Forse qualcuno preferiva Saga di Gemini, era vero, - Camus, per esempio -  ma Aioros di Sagitter aveva un arco e una freccia d’oro, con l’armatura, e un sorriso che illuminava come la luce del sole, quando si eseguivano senza errori gli esercizi che venivano affidati. Sulla sua forza assoluta, pura e inflessibile, sia lui che Milo erano assolutamente d’accordo.

Tutto quell’oro.

“Bravo, Aioria, giovane Cavaliere d’Oro di Leo” Aioros premette piano la propria fronte riccioluta contro quella del bambino e si alzò, girandosi verso Saga, che si era fermato ad aspettare.

Aioria si era sentito grande e si era sentito forte agli elogi del fratello.

Bravo, Aioria.

Si era sentito in dovere di essere all’altezza di tanta fiducia. Il dolore alla gamba destra era quasi sparito, quasi annullato.

Bravo, Aioria.

Per la Dea. Non avrebbe dimenticato, mai.

Saga si era fermato, ad aspettarli, mentre i compagni più giovani lasciavano il campo d’addestramento e tornarono ai Templi. Alto e prestante, nel crepuscolo, dava loro occhiate veloci - ad assicurasi che si comportassero da Gold Saints anche in quel finale di giornata - per poi tornare ad osservare i due fratelli. Solo quando Aioros lo affiancò, riprese a camminare con lui.

Né Saga né Aioros aiutarono il giovane Leo a camminare, dopo la caduta. Ma entrambi si giravano spesso, a guardarlo, e quando occorreva, si fermavano ad aspettare, pazienti, l’uno al fianco dell’altro.
Ad Aioria sembrava tutto più facile, adesso, nel tramonto che tingeva Atene d’ambra e oro. Muoveva i passi con sforzo, ma senza troppa fatica.

Bravo, Aioria, giovane Cavaliere d’Oro di Leo.

Era rimasto un poco indietro, rispetto ad Aioros e Saga, ed entrambi si erano fermati ad aspettare; i volti sereni rivolti verso di lui, il sole che trasformava i loro capelli in aureole fulgide. Era stato Milo, invece, a tornare indietro di corsa dal gruppo più avanti. Si era fatto strada tra i compagni più grandi, in un balzo, e aveva raggiunto Aioria. Lo spinse, quasi franandogli addosso, nell’impeto della corsa.

“Muoviti Aioria della Lumaca! Oggi ti ho battuto due volte!” ebbe la faccia tosta di strillargli nelle orecchie, prima di scappare via, evitando per un soffio di travolgere Saga.

Oltraggiato, Aioria dimenticò il dolore alla gamba e gli si slanciò dietro.

 

Per tredici anni, Aioria era rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote. E adesso era dal Grande Sacerdote che si recava, su esplicita richiesta del Pontefice. Veniva convocato spesso, nell’ultimo periodo.

Sangue di traditore, sibilavano le malelingue alle sue spalle, giorno dopo giorno per tredici anni. E da quando la sua presenza era richiesta così spesso alla Tredicesima Casa, le voci si accentuavano: sangue di traditore. Il Pontefice lo tiene sotto controllo.

Aioria piegava le labbra in una linea di collera, stringeva i pugni e andava avanti. Perché un Santo di Athena non attaccava briga, non come aveva  fatto da adolescente, almeno.

Quando giunse al suo cospetto, il Pontefice lo guardò in silenzio, da dietro la maschera inespressiva. Aioria serrò la mascella. La sua andatura era morbida e la muscolatura rilassata. Ciò nonostante sentiva lo stomaco pesante, come se si fosse improvvisamente mutato in pietra. Era così sempre quando l’esercizio fisico non lo stremava abbastanza da togliergli la volontà di pensare, quando specchiando il volto senza preavviso trovava quello di Aioros, dove invece c’era il proprio. Il fatto era che aveva gli stessi riccioli luminosi sotto la luce, ad incorniciargli il viso, gli stessi occhi chiari e la stessa piega radiosa nelle labbra. Il fatto era che quello era il marchio del tradimento del Santuario.

Ogni volta che era soprappensiero, Aioros lo sorprendeva dallo specchio, dalla fonte, da un vetro.

Quando giunse al suo cospetto, c’era già Milo.

Sai che c’è il mare anche in Siberia, Aioria?
Scorpio sollevò lo sguardo, vedendolo arrivare. Era piegato su un ginocchio, il mantello candido – del candore della dea Pallade -  aperto sulle spalle come un fiore.  Indossava l’armatura, che guizzò crudele sotto la luce, quando si girò impercettibilmente nella sua direzione.

Aioria fece una smorfia. Tutto quell’oro lo infastidiva. Tutto quel brillare sontuoso.
Il Pontefice parlò di un gruppo di traditori a Tokyo, riuniti chissà come e chissà quando tra i Bronze Saint del Mondo Segreto.

Di una fanciulla fragile che si era messa a capo del manipolo rivoltoso.
Che diceva di essere una dea.
Che diceva di essere Athena.

Che andava eliminata. Subito.

“Ho convocato Scorpio perché sia lui a mettere fine a questa faccenda.” Proclamò il Grande Sacerdote davanti a due Cavalieri d’Oro.
”No”
”No, Aioria, Cavaliere di Leo?”
”Voglio essere io ad andare. Voglio lavare l’onta di mio fratello.”
”E se ti dicessi che ho già scelto Scorpio per questo compito?”
”Lo farei a pezzi qui, sotto i vostri occhi.”

Milo spalancò gli occhi, a metà tra l’oltraggiato e il divertito.  Sangue di traditore – lo pervase all’interno il veleno dello Scorpione – il pontefice ti tiene d’occhio.
La sua armatura mandò un brillare d’oro, un brillare sontuoso.

Poi Milo si ricordò delle volte in cui si incontravano sulla scogliera e dei motivi che aveva compreso: del perché ci mettesse tanto impegno a dimostrare la sua forza e la sua fedeltà al Pontefice, perché preferisse andare dove c’erano terra e acqua invece che templi e oro.

Rimase a guardarlo tra l’oltraggiato e il divertito mentre Aioria – amico di infanzia e di scogliera -  lasciava le stanze del Grande Sacerdote e partiva per Tokyo, verso una fanciulla che diceva di essere Pallade Athena e i Bronze Saint che la sostenevano.
Verso uno scontro in cui avrebbe visto Aioros rivivere nel Cosmo di Pegasus. In tutto quell’oro. Tutto quel brillare sontuoso.

 

“Per questo dobbiamo combattere e non arrenderci mai, fratello: in nome della Dea. Quindi ora rialzati e non dimenticare.” Aveva detto Aioros al fratellino quella sera al tramonto. Saga, all’epoca, aveva sorriso e sottoscritto ogni parola. Adesso, sul trono del Pontefice, aveva invece come l’impressione di avere dimenticato qualcosa. Qualcosa di molto importante.
Il piccolo Aioria era corso in avanti, quel giorno, lasciando alle spalle il dolore alla gamba e Aioros aveva continuato a camminare al suo fianco.
Per Sagittarius tutto era stato sempre chiaro, come le stelle nella notte di Atene. Mai un dubbio, mai un esitazione. Saga sentiva per lui un’ammirazione sconfinata - quel giorno che volgeva a termine, quando la sua mente ancora non si era spezzata -  la stessa che tutto il Mondo Segreto nutriva per lui, il Nobile Gemini. E sentiva per lui un amore travolgente che quasi non osava nominare, quando rimanevano l’uno al fianco dell’altro, di giorno e di notte, senza sapere cosa dire e come dire, a quel Santo senza dubbi e senza esitazioni, senza sapere cosa c’era, in Aioros, oltre il sorriso che brillava di luce propria.
E questo non sapere lo teneva in bilico, Saga, Cavaliere di Gemini.
Adesso, che guardava Milo di Scorpio, inginocchiato davanti a lui. e Aioria di Leo in piedi, dal seggio di Grande Sacerdote, scacciava quei ricordi con rabbia. Dietro la maschera imperturbabile affondava i denti nel labbro inferiore, fino a farlo sanguinare.
Vai, Aioria di Leo. Vai tu a contrapporti ad Athena che reclama il suo nome. E muori davanti a lei e per lei, com’è morto Aioros, con gli stessi riccioli luminosi sotto la luce, ad incorniciargli il viso, gli stessi occhi chiari e la stessa piega radiosa nelle labbra. Vai e muori come Aioros.
Aioros che se ne era andato così, tanto in fretta.
Senza salutare Aioria, che era rimasto con gli occhi spalancati nella notte e nel vento.
Una parte della mente in frantumi di Saga continuava a cercarlo nel tramonto, come se si aspettasse di vederlo tornare. Con o senza una bambina dea tra le braccia. Lo ascoltava nel vento che faceva frinire gli oliveti dietro al santuario attendendo le risposte che Leo non aveva ricevuto tredici anni prima.
Una parte della mente in frantumi di Saga piangeva sangue tormentandosi nella pena per sé, per Aioros e per Athena. L’altra, si tormentava uguale. Peggio, forse.
E trovava conforto solo all’idea che Sagittarius fosse morto, Sagittarius che l’aveva contrastato. Che non aveva capito.

Per Aioros tutto era stato sempre chiaro, come le stelle nella notte di Atene. Mai un dubbio, mai un esitazione. Il sacrificio gli si era cucito addosso nella perfetta immagine del martire che non temeva la morte in nome degli obiettivi più alti.

Eppure c’erano cose di Saga che non aveva capito, mai, e che avrebbe dovuto capire, invece, per salvarli entrambi. Lui avrebbe potuto, se lo avesse voluto.

Che non sente la fatica del peso da portare, Aioros.

Che non aveva dato il tempo di spiegare né aveva avuto quello di spiegarsi.

 

Per tredici anni, Aioria era rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote.

Era rimasto in silenzio e non aveva quasi nemmeno più guardato l’Armatura d’Oro del Leone. L’aveva lasciata lì senza vederla e senza ascoltarla, anche quando risuonava debolmente, cercando l’uomo di cui era degna; lì, in un angolo degli appartamenti privati della Quinta Casa, se non quando indossarla era stato strettamente necessario, perché, si sa, c’è sempre qualcuno pronto a complicare l’esistenza dei Cavalieri di Athena.

Quella notte è necessario.

E l’ha indosso quando lascia il Santuario e lascia Atene, diretto verso Tokyo.

Parte dopo il tramonto, che l’oro non abbia a luccicare molto, e ha sulle spalle il mantello aperto, bianco come un fiore.

Richiama alla mente il ricordo di una giornata al tramonto, le mani di suo fratello sulle spalle e il suo sguardo limpido; Milo che corre verso di lui, Milo delle scogliere, e Saga il cavaliere scomparso – modello per tutto il Mondo Segreto – che li guarda fiero, da poco lontano. Ma sono ricordi fumosi. Effimeri, e non contano.
Cerca nel suo cuore la fedeltà ad Athena, oltre la brama di riscatto e di vendetta, e ha come la sensazione di avere dimenticato qualcosa.

   
 
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