Cosa
Abbiamo Dimenticato?
Autore: LeFleurDuMal
Genere: Drammatico, Introspettivo,
Triste
Personaggi Principali: Aioria di Leo, Saga di Gemini,
Aioros di Sagittarius. Poi
Milo di Scorpio, Marin
dell’Aquila
Rating: Verde
In
proposito: Aioria di Leo si tormenta per tredici anni. Saga di Gemini
si tormenta da molti di più. Aioros di Sagitter, l'unico che non si tormenta
affatto, riesce ad essere presente sempre, anche quando, semplicemente, non c'è.
E' che lui brilla; di un brillare sontuoso.
Disclaimer: I
personaggi naturalmente non mi appartengono e sono di Masami Kurumada,
ma lui
non se li merita per le facce che fa in fotografia.
Cose: Era nata per basarsi solo
su Aioria. Poi Aioros e Saga si sono presi una fetta di spazio piuttosto
notevole. E io li amo, quindi non ho potuto dire di no, capite? é_è E poi Milo si è infilato con
forza. L’unica a non avermi dato problemi è stata Marin.
Ricordatevene.
Per tredici anni, Aioria era
rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote.
Era rimasto in silenzio e
non aveva quasi nemmeno più guardato l’Armatura d’Oro del Leone. L’aveva
lasciata lì senza vederla e senza ascoltarla, anche quando risuonava debolmente,
cercando l’uomo di cui era degna; lì, in un angolo degli appartamenti privati
della Quinta Casa, se non quando indossarla era stato strettamente necessario,
perché, si sa, c’è sempre qualcuno pronto a complicare l’esistenza dei Cavalieri
di Athena.
Per il resto del tempo,
Aioria aveva vestito abiti comodi e si era lasciato confondere tra i tanti
attendenti del Mondo Segreto, quasi non fosse uno dei Santi della più alta
schiera. Quasi fosse un soldato preposto agli addestramenti e niente più.
Restava in silenzio. Girava al largo dal resto dei Cavalieri d’Oro
presenti.
Tutto quell’oro. Tutto
quell’oro lo disturbava, tutto quel brillare sontuoso.
Spesso si recava sulla
scogliera, dietro al Santuario.
Si era allenato lì, da solo,
dopo la scomparsa
La
morte
Dopo la scomparsa di colui
che era stato il suo maestro
Aioros
Che era stato il suo maestro
e che era stato il traditore.
Mio
fratello.
Era stato guardando il mare
ed invocando Athena che aveva rafforzato in sé il Settimo Senso.
Sulla scogliera ogni tanto
incontrava Marin dell’Aquila, con la sua armatura d’Argento, le gambe lunghe, i
capelli rossi spettinati in quel modo pittoresco che gli metteva, poco a poco,
un po’ di dolcezza nel cuore. Marin che appoggiava la mano sulla sua, quando con
fermezza le parlava della Giustizia e che talvolta si imbronciava sotto la
maschera, se Giustizia veniva attribuita alle decisioni che ultimamente prendeva
il Pontefice.
Sulla scogliera ogni tanto
incontrava Milo.
“Lo sai che c’è il mare
anche in Siberia, Aioria?” gli aveva detto la prima volta, un po’ ruvido, un po’
beffardo, dandogli le spalle a cavallo sullo scoglio che si buttava sulle
onde.
Aioria aveva ricordato
qualcosa, a proposito di quando erano bambini, lui e Milo, a giocare tra un
allenamento e l’altro. Aveva scacciato quel ricordo con violenza, perché ne
portava con sé altri insieme al viso di un traditore che aveva
amato.
Che
amava.
Che Athena lo perdonasse:
che ancora amava.
Sulla scogliera ogni tanto
incontrava Milo e, più si incontravano, più Aioria capiva perché Scorpio andasse
a vedere un mare che immaginava anche in Siberia e Milo aveva capito perché Leo
ci mettesse tanto impegno a mostrare la sua forza e la sua fedeltà al Pontefice.
Perché preferisse andare dove c’erano terra e acqua piuttosto che templi e
oro.
“Per questo dobbiamo
combattere e non arrenderci mai, fratello: in nome della Dea. Quindi ora
rialzati e non dimenticare.”
Il piccolo Aioria aveva lo stomaco pesante, come
se si fosse improvvisamente mutato in pietra e gli occhi che gli pizzicavano:
chiaro sintomo di un pianto imminente. Con uno sforzo enorme li sollevò su
Aioros, inginocchiatoglisi davanti. La sua figura slanciata era piegata su di
lui e gli teneva le grandi mani forti sulle spalle, stringendogliele con
affetto, ma anche con fermezza, incoraggiandolo a non cedere al dolore e alla
stanchezza.
Aioria si sforzò di
ricacciare le lacrime davanti ad Aioros, fratello e Cavaliere di Sagittarius,
sereno e forte. Che sembrava ricoperto d’oro anche quando non indossava le Sacre
Vestigia.
Aioria amava quel brillare
d’oro. Tutto quel brillare sontuoso.
”Capisci, Aioria? Non dimenticare. Ormai
sei grande.”
Aioria si morse il labbro
inferiore, ormai era grande. A sette anni un bambino predestinato ha già
conosciuto il Cosmo e risvegliato in sé il Settimo Senso. A sette anni un
bambino predestinato non piange, nemmeno se la sua mano manca una presa e cade
sulle rocce durante un addestramento, come era successo a lui pochi minuti
prima.
Aioria aveva rilassato le
labbra imbronciate. Aveva appoggiato lo sguardo in quello limpido del fratello –
quello sguardo luminoso che era tutto
– e aveva annuito.
Capiva. Certo che capiva.
Aioros sorrise. E Aioria
amava quel sorriso. Tutto quel brillare sontuoso.
E Sagitter, suo fratello maggiore, era
l’eroe cui voleva somigliare. Aioria era fiero di avere gli stessi riccioli
luminosi sotto la luce, ad incorniciargli il viso, gli stessi occhi chiari e la
stessa piega radiosa nelle labbra. Era anche l’eroe di Milo dello Scorpione, che
spesso giocava con lui dopo gli allenamenti. Forse qualcuno preferiva Saga di
Gemini, era vero, - Camus, per
esempio - ma Aioros di Sagitter
aveva un arco e una freccia d’oro, con l’armatura, e un sorriso che illuminava
come la luce del sole, quando si eseguivano senza errori gli esercizi che
venivano affidati. Sulla sua forza assoluta, pura e inflessibile, sia lui che
Milo erano assolutamente d’accordo.
Tutto
quell’oro.
“Bravo, Aioria, giovane
Cavaliere d’Oro di Leo” Aioros premette piano la propria fronte riccioluta
contro quella del bambino e si alzò, girandosi verso Saga, che si era fermato ad
aspettare.
Aioria si era sentito grande
e si era sentito forte agli elogi del fratello.
Bravo,
Aioria.
Si era sentito in dovere di
essere all’altezza di tanta fiducia. Il dolore alla gamba destra era quasi
sparito, quasi annullato.
Bravo,
Aioria.
Per
Saga si era fermato, ad
aspettarli, mentre i compagni più giovani lasciavano il campo d’addestramento e
tornarono ai Templi. Alto e prestante, nel crepuscolo, dava loro occhiate veloci
- ad assicurasi che si comportassero da Gold Saints anche in quel finale di
giornata - per poi tornare ad osservare i due fratelli. Solo quando Aioros lo
affiancò, riprese a camminare con lui.
Né Saga né Aioros aiutarono
il giovane Leo a camminare, dopo la caduta. Ma entrambi si giravano spesso, a
guardarlo, e quando occorreva, si fermavano ad aspettare, pazienti, l’uno al
fianco dell’altro.
Ad Aioria sembrava tutto più facile, adesso, nel tramonto
che tingeva Atene d’ambra e oro. Muoveva i passi con sforzo, ma senza troppa
fatica.
Bravo, Aioria, giovane
Cavaliere d’Oro di Leo.
Era rimasto un poco
indietro, rispetto ad Aioros e Saga, ed entrambi si erano fermati ad aspettare;
i volti sereni rivolti verso di lui, il sole che trasformava i loro capelli in
aureole fulgide. Era stato Milo, invece, a tornare indietro di corsa dal gruppo
più avanti. Si era fatto strada tra i compagni più grandi, in un balzo, e aveva
raggiunto Aioria. Lo spinse, quasi franandogli addosso, nell’impeto della
corsa.
“Muoviti Aioria della
Lumaca! Oggi ti ho battuto due volte!” ebbe la faccia tosta di strillargli nelle
orecchie, prima di scappare via, evitando per un soffio di travolgere
Saga.
Oltraggiato, Aioria
dimenticò il dolore alla gamba e gli si slanciò dietro.
Per tredici anni, Aioria era
rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote. E adesso era dal
Grande Sacerdote che si recava, su esplicita richiesta del Pontefice. Veniva
convocato spesso, nell’ultimo periodo.
Sangue di
traditore,
sibilavano le malelingue alle sue spalle, giorno dopo giorno per tredici anni. E
da quando la sua presenza era richiesta così spesso alla Tredicesima Casa, le
voci si accentuavano: sangue di
traditore. Il Pontefice lo tiene sotto controllo.
Aioria piegava le labbra in
una linea di collera, stringeva i pugni e andava avanti. Perché un Santo di
Athena non attaccava briga, non come aveva
fatto da adolescente, almeno.
Quando giunse al suo
cospetto, il Pontefice lo guardò in silenzio, da dietro la maschera
inespressiva. Aioria serrò la mascella. La sua andatura era morbida e la
muscolatura rilassata. Ciò nonostante sentiva lo stomaco pesante, come se si
fosse improvvisamente mutato in pietra. Era così sempre quando l’esercizio
fisico non lo stremava abbastanza da togliergli la volontà di pensare, quando
specchiando il volto senza preavviso trovava quello di Aioros, dove invece c’era
il proprio. Il fatto era che aveva gli stessi riccioli luminosi sotto la luce,
ad incorniciargli il viso, gli stessi occhi chiari e la stessa piega radiosa
nelle labbra. Il fatto era che quello era il marchio del tradimento del
Santuario.
Ogni volta che era
soprappensiero, Aioros lo sorprendeva dallo specchio, dalla fonte, da un
vetro.
Quando giunse al suo
cospetto, c’era già Milo.
Sai che c’è il mare anche in
Siberia, Aioria?
Scorpio sollevò lo
sguardo, vedendolo arrivare. Era piegato su un ginocchio, il mantello candido –
del candore della dea Pallade -
aperto sulle spalle come un fiore.
Indossava l’armatura, che guizzò crudele sotto la luce, quando si girò
impercettibilmente nella sua direzione.
Aioria fece una smorfia.
Tutto quell’oro lo infastidiva. Tutto quel brillare sontuoso.
Il Pontefice
parlò di un gruppo di traditori a Tokyo, riuniti chissà come e chissà quando tra
i Bronze Saint del Mondo Segreto.
Di una fanciulla fragile che
si era messa a capo del manipolo rivoltoso.
Che diceva di essere una
dea.
Che diceva di essere Athena.
Che andava eliminata.
Subito.
“Ho convocato Scorpio perché
sia lui a mettere fine a questa faccenda.” Proclamò il Grande Sacerdote davanti
a due Cavalieri d’Oro.
”No”
”No, Aioria, Cavaliere di Leo?”
”Voglio
essere io ad andare. Voglio lavare l’onta di mio fratello.”
”E se ti dicessi
che ho già scelto Scorpio per questo compito?”
”Lo farei a pezzi qui, sotto i
vostri occhi.”
Milo spalancò gli occhi, a
metà tra l’oltraggiato e il divertito.
Sangue di traditore – lo pervase all’interno il veleno dello
Scorpione – il pontefice ti tiene
d’occhio.
La sua armatura mandò un brillare d’oro, un brillare
sontuoso.
Poi Milo si ricordò delle
volte in cui si incontravano sulla scogliera e dei motivi che aveva compreso:
del perché ci mettesse tanto impegno a dimostrare la sua forza e la sua fedeltà
al Pontefice, perché preferisse andare dove c’erano terra e acqua invece che
templi e oro.
Rimase a guardarlo tra
l’oltraggiato e il divertito mentre Aioria – amico di infanzia e di scogliera
- lasciava le stanze del Grande
Sacerdote e partiva per Tokyo, verso una fanciulla che diceva di essere Pallade
Athena e i Bronze Saint che la sostenevano.
Verso uno scontro in cui avrebbe
visto Aioros rivivere nel Cosmo di Pegasus. In tutto quell’oro. Tutto quel
brillare sontuoso.
“Per questo dobbiamo
combattere e non arrenderci mai, fratello: in nome della Dea. Quindi ora
rialzati e non dimenticare.” Aveva detto Aioros al fratellino quella sera al
tramonto. Saga, all’epoca, aveva sorriso e sottoscritto ogni parola. Adesso, sul
trono del Pontefice, aveva invece come l’impressione di avere dimenticato
qualcosa. Qualcosa di molto importante.
Il piccolo Aioria era corso in
avanti, quel giorno, lasciando alle spalle il dolore alla gamba e Aioros aveva
continuato a camminare al suo fianco.
Per Sagittarius tutto era stato sempre
chiaro, come le stelle nella notte di Atene. Mai un dubbio, mai un esitazione.
Saga sentiva per lui un’ammirazione sconfinata - quel giorno che volgeva a
termine, quando la sua mente ancora non si era spezzata - la stessa che tutto il Mondo Segreto
nutriva per lui, il Nobile Gemini. E sentiva per lui un amore travolgente che
quasi non osava nominare, quando rimanevano l’uno al fianco dell’altro, di
giorno e di notte, senza sapere cosa dire e come dire, a quel Santo senza dubbi
e senza esitazioni, senza sapere cosa c’era, in Aioros, oltre il sorriso che
brillava di luce propria.
E questo non sapere lo teneva in bilico, Saga,
Cavaliere di Gemini.
Adesso, che guardava Milo di Scorpio, inginocchiato
davanti a lui. e Aioria di Leo in piedi, dal seggio di Grande Sacerdote,
scacciava quei ricordi con rabbia. Dietro la maschera imperturbabile affondava i
denti nel labbro inferiore, fino a farlo sanguinare.
Vai, Aioria di Leo. Vai tu a contrapporti ad
Athena che reclama il suo nome. E muori davanti a lei e per lei, com’è morto
Aioros, con gli stessi riccioli luminosi sotto la luce, ad incorniciargli il
viso, gli stessi occhi chiari e la stessa piega radiosa nelle labbra. Vai e
muori come Aioros.
Aioros che se ne era andato così, tanto in fretta.
Senza salutare Aioria, che era rimasto con gli occhi spalancati nella notte
e nel vento.
Una parte della mente in frantumi di Saga continuava a cercarlo
nel tramonto, come se si aspettasse di vederlo tornare. Con o senza una bambina
dea tra le braccia. Lo ascoltava nel vento che faceva frinire gli oliveti dietro
al santuario attendendo le risposte che Leo non aveva ricevuto tredici anni
prima.
Una parte della mente in frantumi di Saga piangeva sangue
tormentandosi nella pena per sé, per Aioros e per Athena. L’altra, si tormentava
uguale. Peggio, forse.
E trovava conforto solo all’idea che Sagittarius
fosse morto, Sagittarius che l’aveva contrastato. Che non aveva
capito.
Per Aioros tutto era stato
sempre chiaro, come le stelle nella notte di Atene. Mai un dubbio, mai un
esitazione. Il sacrificio gli si era cucito addosso nella perfetta immagine del
martire che non temeva la morte in nome degli obiettivi più alti.
Eppure c’erano cose di Saga
che non aveva capito, mai, e che avrebbe dovuto capire, invece, per salvarli
entrambi. Lui avrebbe potuto, se lo avesse voluto.
Che non sente la fatica del
peso da portare, Aioros.
Che non aveva dato il tempo
di spiegare né aveva avuto quello di spiegarsi.
Per tredici anni, Aioria era
rimasto al Santuario, sotto la guida del Grande Sacerdote.
Era rimasto in silenzio e
non aveva quasi nemmeno più guardato l’Armatura d’Oro del Leone. L’aveva
lasciata lì senza vederla e senza ascoltarla, anche quando risuonava debolmente,
cercando l’uomo di cui era degna; lì, in un angolo degli appartamenti privati
della Quinta Casa, se non quando indossarla era stato strettamente necessario,
perché, si sa, c’è sempre qualcuno pronto a complicare l’esistenza dei Cavalieri
di Athena.
Quella notte è
necessario.
E l’ha indosso quando lascia
il Santuario e lascia Atene, diretto verso Tokyo.
Parte dopo il tramonto, che
l’oro non abbia a luccicare molto, e ha sulle spalle il mantello aperto, bianco
come un fiore.
Richiama alla mente il
ricordo di una giornata al tramonto, le mani di suo fratello sulle spalle e il
suo sguardo limpido; Milo che corre verso di lui, Milo delle scogliere, e Saga
il cavaliere scomparso – modello per tutto il Mondo Segreto – che li guarda
fiero, da poco lontano. Ma sono ricordi fumosi. Effimeri, e non
contano.
Cerca nel suo cuore la fedeltà ad Athena, oltre la brama di riscatto
e di vendetta, e ha come la sensazione di avere dimenticato
qualcosa.