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Autore: SmartieMiz    01/11/2013    5 recensioni
Lo sguardo di Enjolras era ancora più severo del solito, così algido da spaventare quasi l’altro; Grantaire si chiedeva se la freddezza dei suoi sguardi, delle sue parole avesse un limite. Avrebbe mai smesso di stupirlo?
«Davvero credi che non mi interessi assolutamente niente di te? Se davvero fosse così, non starei sempre a rimproverarti per ogni cosa che fai: risparmierei fiato, non pensi? Non mi applicherei così tanto».
No, si rispose, quel ragazzo non avrebbe mai smesso di stupirlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: It's a cold and it's a broken Hallelujah
Rating: verde
Genere: angst/introspettivo/romantico


Note: Mi scuso anticipatamente con Victor Hugo: se solo leggesse l'obbrobrio qui presente! Premetto che ho visto il film dei Miserabili (l'edizione del 2012) e che, completamente innamorata della storia (e anche del musical) sto leggendo il libro, quindi il racconto potrebbe presentare qualche imprecisione per quanto riguarda gli ambienti o la cronologia. Spero di aver fatto comunque un buon lavoro e spero vi possa piacere! :)


 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Victor Hugo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 


It's a cold and it's a broken Hallelujah
 

 
 

La tensione era così tangibile da poter essere spezzata come se fosse un filo.
Tutte le loro vite erano appese ad un filo.
Negli occhi di Enjolras c’era lo scintillio della libertà, della rivoluzione; insieme agli altri compagni, stava preparando le armi e dando ulteriori spiegazioni e accorgimenti su come si sarebbero dovuti comportare nelle ore e nei giorni seguenti.
Grantaire, appartato in un angolo del retrosala del Caffè Musain, lo guardava, ammaliato come sempre. Era incredibile come fosse sempre così sublime e perfetto in ogni gesto che faceva o in ogni parola che pronunciava; sapeva sempre cosa fare, aveva sempre una frase da dire.
Ed era la persona più caparbia del mondo.
Sarebbero morti tutti, Grantaire ne era più che certo: nel giro di poco tempo loro, giovani studenti di Parigi, fieri sostenitori della Repubblica – o almeno Grantaire frequentava dei repubblicani – ci avrebbero rimesso la pelle, avrebbero buttato così al vento le loro brevi vite.
Enjolras, acceso, continuava a discutere con i compagni. Nei suoi occhi c’era lo stesso bagliore presente in quelli di Marius quando parlava della sua amata Cosette.
È un incosciente, pensò Grantaire, ha una vita intera davanti.
Ben presto il riguardo che aveva nei confronti di quel ragazzo si trasformò in profonda irritazione: tutte quelle giovani vite stavano per affrontare con fervore la morte e nessuno aveva pensato di tirarsi indietro, di rifletterci.
Infastidito da quell’atmosfera che non sentiva appartenergli, andò via.
 
Che cosa gli importava di Enjolras e dei suoi amici quando c’era del buon vino a fargli compagnia?
Trangugiò l’ennesima bottiglia di vino, per poi sorridere estasiato. Si sentiva quasi meglio: il tepore del vino riusciva quasi a sciogliere la sua tristezza e la sua depressione, il suo pessimismo e la sua infelicità, la sua rabbia e la sua paura.
Esausto, si appoggiò al tavolo. Chiuse gli occhi.
 
«Grantaire».
La voce di un angelo.
«Ti sei ubriacato anche stavolta. Che cosa dobbiamo fare con te?», una nota di rimprovero comparve nella sua voce meravigliosa e terribile allo stesso tempo.
L’angelo lo aveva chiamato, e Grantaire si svegliò. Erano soli.
Alzò il capo e vide il suo leader: i riccioli biondi che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi cerulei, i lineamenti perfetti come scolpiti nel marmo, le guance colorite.
Il suo Apollo era spaventosamente e glacialmente magnifico, come sempre.
«Quando parlo con te, è come se non lo fossi», rispose Grantaire, convinto, ed era vero: quando parlava con Enjolras, la sua ubriachezza era come attenuata se non addirittura dissolta per un po’ di tempo.
Perché in realtà lui avrebbe preferito la sua compagnia che quella del vino.
Enjolras non si fece di certo persuadere da quelle parole; lo guardò con amara pietà, e Grantaire si era profondamente scocciato di quell’assidua compassione.
Non voleva essere compatito da nessuno.
«Prima discutevo con gli altri su come bisogna procedere. Se non sei interessato mi chiedo perché continui ad essere qui», gli chiese Enjolras, diretto.
Grantaire sospirò. «Siete sempre i miei amici», disse, poi aggiunse: «e le tue parole hanno una certa influenza su di me».
Enjolras inarcò leggermente un sopracciglio. «Sì, un’influenza così forte, ho notato. Come giustifichi la tua indifferenza totale per ogni cosa?», disse, innervosito.
«Non credo in tutta questa folle impresa, ma credo in te».
«Non mi sembra una risposta valida. Se davvero credi in me, dovresti credere anche in ciò che faccio».
«Secondo me non siete altro che un gruppo di folli ed imprudenti. Avete poco più di vent’anni, avete un’intera vita davanti. Davvero volete sprecarla così?».
Gli occhi di Enjolras sembravano accendersi ed ardere come fuoco. «Sprecare?», ripeté, quasi sprezzante: «Tu lo definisci uno spreco?! Pensi davvero che io e gli altri ci facciamo uccidere così, perché ci va? Noi crediamo in qualcosa, Grantaire! Ma tu non potrai mai comprenderlo».
«Mi spieghi a cosa ti serve lottare per poi sicuramente morire? Se cessi di esistere, non vedrai mai la Repubblica che tanto brami», gli fece notare Grantaire, scettico.
Enjolras sembrava decisamente irritato. «Patria, amore, futuro. Hai mai sentito queste strane parole, Grantaire? Sei davvero sicuro del fatto che morrò? Bene, quasi per certo sarà così, ma sarà per una nobile e giusta causa. Il popolo ha sofferto per troppo tempo, è giunto il momento di dire basta. Le persone non dovrebbero mai arrendersi, dovrebbero continuare a lottare fino alla fine per i loro diritti e per un futuro migliore. Non sarò morto invano, nessuno di noi lo sarà. Moriremo per amore della Patria».
Grantaire lo aveva ascoltato, stregato come sempre da quella fierezza e quella convinzione, ma proprio non riusciva a concepire quei discorsi: un ragazzo così giovane con una vita davanti, che non avrebbe mai assaporato il profumo della libertà che desiderava ottenere. Un ragazzo così giovane che non avrebbe mai vissuto fino in fondo, che non avrebbe mai provato le gioie e le emozioni più grandi che la vita può offrire.
«Non sei costretto a seguirmi, lo sai già. Davvero», disse improvvisamente Enjolras, severo, spezzando il silenzio.
«Non potrei mai, nemmeno se lo volessi», fu la risposta di Grantaire: «È questo l’effetto che hai su di me… vedi? Ora riesci a notarlo? Riesci finalmente a comprenderlo quanto sono dipendente da te?».
Enjolras lo guardò, senza proferire parola. Ciò spiazzò totalmente Grantaire: il suo Apollo era rimasto senza parole. Il suo Apollo, quello che aveva sempre una risposta pronta e terribile capace di disprezzarlo e farlo sentire inferiore, era ammutolito di fronte a quelle parole.
«Sì. Mi dispiace», la risposta di Enjolras tardò ad arrivare, ma arrivò, e ciò contava.
Mi dispiace? Davvero Enjolras, il leader, il dio greco, si stava scusando con l’ubriacone scettico e incapace di credere, di pensare, di volere, di vivere, di morire?
«Anche il bel marmo è umano, una volta tanto», fu la risposta cinica di Grantaire: «Ti scusi soltanto perché sai di morire e non vuoi persone sulla coscienza, eh? Non ti interessa nulla di me. Posso seguirti o posso non seguirti… è la stessa identica cosa per te. Ma io lo farò lo stesso, perché oltre ad avere una miriade di altri difetti sono anche masochista e stupido, sì».
Lo sguardo di Enjolras era ancora più severo del solito, così algido da spaventare quasi l’altro; Grantaire si chiedeva se la freddezza dei suoi sguardi, delle sue parole avesse un limite. Avrebbe mai smesso di stupirlo?
«Davvero credi che non mi interessi assolutamente niente di te? Se davvero fosse così, non starei sempre a rimproverarti per ogni cosa che fai: risparmierei fiato, non pensi? Non mi applicherei così tanto».
No, si rispose, quel ragazzo non avrebbe mai smesso di stupirlo.
Enjolras sembrò di nuovo bloccarsi, e ciò era inammissibile per uno come lui che sapeva sempre cosa dire, cosa fare, come agire.
Troppo orgoglioso per poter continuare quella conversazione, pensò di andare via e di lasciare Grantaire da solo, anche se – in cuor suo – non voleva già abbandonarlo.
Si voltò, e Grantaire lo fermò, prontamente. «Resta».
Enjolras si ritrovò a ringraziare Dio per aver ricevuto quell’opportunità. «D’accordo. Resto».
«Siediti», continuò Grantaire, poi, accortosi dell’improvvisa autorità che aveva assunto la sua voce, cercò di addolcire il tono: «Siediti, se vuoi».
Il ragazzo obbedì. «Vuoi bere?», Grantaire gli porse la bottiglia.
«No. Ti ringrazio».
Di nuovo il silenzio.
Il silenzio infastidiva Grantaire. Il silenzio era così fastidioso e “rumoroso” da interrompere sempre il suo riposo dopo una delle sue belle e assidue sbornie.
Una parola, una parola qualsiasi. Di’ qualcosa.
«Baciami».
Non quella parola.
Tra i due, quello più sorpreso fu proprio Grantaire: cosa gli era saltato in mente?
«Se vuoi, ovviamente», continuò lo scettico, poi farneticò: «Tanto moriremo, quindi non ti costa niente darmi un bacio. Ah, sì, sempre se vuoi, è sottinteso, naturalmente, non posso mica costringerti? E non lo farei mai. Ah, diamine! Ma cosa sto blaterando? Il vino… è sempre lui…».
Enjolras aveva udito tutti i vaneggiamenti del compagno con uno strano luccichio negli occhi e con un sorriso trattenuto. «Va bene, ma sappi che non sarà niente di straordinario. Non ho mai baciato nessuno», rispose, rallegrato, quasi con modestia e leggerezza.
Grantaire non si aspettava che il bel marmo “cedesse” così facilmente a quella richiesta. Ancora una volta, ne rimase piacevolmente sorpreso.
«Non importa», fece il ragazzo, avvicinandosi a lui e accarezzandogli gentilmente il viso: «Permetti?», gli chiese con estrema dolcezza, con quello sguardo luminoso e pieno di vita che riservava soltanto a lui, con quell’inspiegabile tenerezza che Enjolras sapeva di non meritare. L’aveva sempre sdegnato e disprezzato per la sua mancanza di ideali, per il suo cinismo, ed era sempre stato cieco di fronte al suo lato così attento e premuroso nei suoi confronti, a quegli occhi così desiderosi e bisognosi di lui, a quell’animo così invaghito.
Per la prima volta in vita sua, Enjolras si sentì improvvisamente piccolo e indifeso, ad affrontare qualcosa più grande di lui. E non si trattava della rivoluzione, dell’imminente tragedia alla quale era preparato da tempo; si trattava di un qualcosa di travolgente ed inaspettato come un uragano, qualcosa che ti prende e ti scuote e non ti lascia andare via in nessun modo, qualcosa che ti toglie il fiato e ti ruba le parole e la capacità di pensare.
Qualcosa che Enjolras non aveva mai considerato, qualcosa in cui non credeva, qualcosa di cui non ne aveva mai sentito il bisogno, la necessità; qualcosa di cui avrebbe sempre fatto tranquillamente a meno, qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile.
Qualcosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a causa di quell’orgoglio eccessivo e talvolta sciocco.
Qualcosa che non avrebbe mai vissuto a pieno.
Immediatamente comprese di essere condannato. Poteva considerarsi già morto.
«Combatterò fino all’ultimo respiro. Questo e tutto per il popolo, la Patria», disse improvvisamente Enjolras, cercando di mettere un po’ d’ordine nel caos che si era creato nella sua testa. Una lacrima solitaria tradì la severità che traspariva dal suo sguardo. Grantaire vide il suo leader agitato e turbato come non mai.
«Io sarò lì con te, te l’ho già detto», rispose Grantaire: «Ti ho sempre seguito e di certo non mi tirerò indietro alla morte. Devi solo permettermelo».
Enjolras tacque di nuovo: ormai Grantaire aveva stabilito che anche lui era umano come tutti, con le sue debolezze e il suo lato fragile; rispetto agli altri, era soltanto molto bravo a nasconderlo.
Le sue labbra agirono da sole, sfiorando le labbra rosee di quel dio greco.
Il suo Apollo avrebbe potuto benissimo interrompere quel contatto se avesse voluto. Avrebbe potuto impedirglielo, si sarebbe potuto arrabbiare, infuriare per quel gesto. Avrebbe potuto rimproverarlo come aveva già fatto tante altre volte per motivi diversi e andare via di lì.
E invece no: permise a Grantaire e unicamente a lui di conoscere quel lato nascosto che nessuno aveva mai conosciuto prima d’ora.
Fu un bacio dolce ma intenso.
Fu innocente e puro come l’amore di Enjolras.
Fu devoto e passionale come l’amore di Grantaire.
Fu impossibile e senza speranze come il loro amore.
 
Il rumore non sveglia un ubriaco, il silenzio sì.
«Permetti?».
Quella richiesta venne accolta dal sorriso più bello e divino del mondo.
La bandiera rossa in una mano, l’altra intrecciata a quella del suo amato.
I loro cuori così vicini, i colpi di fucile così brutali e divennero parte di quel mondo che rende tutti liberi ed uguali.






Angolo Autrice

Buona serata a tutti! :)
Mi presento: sono Marta_Gleek e sono nuova in questo fandom. Questa è la mia prima ff sui Miserabili - e per la precisione la mia prima OS E/R -, quindi sono molto... emozionata, se così si può dire(?) xD :D Ho subito sentito la necessità di scrivere su Enjolras e Grantaire, personaggi - e ship, sì - che ho amato sin da subito con tutta me stessa. Spero quindi che questa non sia la prima e ultima storia xD
Come già ho accennato nelle note, non ho ancora letto il libro, quindi spero che nel racconto non ci siano state troppe incongruenze di tipo temporale.
Un altro punto: Enjolras. Spero di non essere caduta nell'OOC perché inizialmente avevo qualche difficoltà su come gestirlo. Poi... poi ho scritto di getto xD, e spero soltanto di avergli dato un minimo di credibilità.
Ah, titolo ovviamente ispirato ad una canzone che amo tantissimo e di cui ho scoperto la meravigliosa versione di George Blagden. Ringrazio anche lui, quindi xD ♥
Che dire? Spero vi sia piaciuta, fatemi sapere! :D
Alla prossima :)
   
 
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