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Autore: Moonage Daydreamer    01/11/2013    3 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Hello, Little Girl.
 
 
1965.

- Mamma, mamma, guadda! -
Una voce risuonò in tutto il parco, seguita dal latrato di un cane. Mi voltai nella direzione in cui proveniva e repressi una risata. Frency stava trotterellando, con in groppa una bambina di tre anni, bionda e solare, che mi salutava con entusiasmo.
- Martha, scendi: il povero Frency non è più un giovanotto. - la esortai sorridendo.
Lei protestò, ma alla fine obbedì e cominciò a giocare con il cane il modo più tradizionale. Quando vidi che la situazione si era calmata, spostai di nuovo l’attenzione al giovane uomo che era seduto al mio fianco sulla panchina. Si chiamava Rocco, ed era uno degli amici di Ettore che avevo conosciuto durante il mio primo viaggio a Verona, e dopo che ero tornata mi aveva aiutata a sopportare il primo, critico periodo, quando, ancora scossa per quello che era successo in Inghilterra, mi ero trovata completamente sola in un Paese del quale non capivo nemmeno la lingua. Ora i suoi occhi castani erano puntati su di me e mi scrutavano.
- Ne sei proprio sicura?- chiese in italiano.
- Sì.- risposi secca, intuendo facilmente l’argomento cui si riferiva.
- Ma… -
- Pensavo ne avessimo già discusso a sufficienza. - sbottai.
- Non puoi portarla lì: è una follia! - replicò Rocco.
- Basta, ho preso la mia decisione. -
- E io non ho voce in capitolo al riguardo? -
Trattenni a stento il “no!” che stava per scapparmi, per non offendere l’uomo.
- Senti, non ho voglia di litigare con te. - dissi, abbassando la voce e imponendomi di stare calma.
- Sarà uno shock per lei, ma se tu vuoi proprio andare, vai da sola e lasciala qui con me e Frency.-
- Voglio che venga anche lei. - risposi mentre guardavo la mia bambina che rideva allegramente.
- Perché? -
Scossi la testa; ovviamente, nessuno riusciva a capire il mio desiderio di andare a quel concerto e ancor meno il mio bisogno che Martha venisse con me. Ciò era anche comprensibile: nessuno dei miei amici o dei miei parenti aveva conosciuto John, Paul, George e Ringo, e molti pochi sapevano che i “Fab Four” erano stati i miei migliori amici, anche perché non ero certo la fan più sfegatata del loro gruppo, anzi, ascoltavo le loro canzoni soltanto quando passavano per radio.
Martha e Frency, entrambi ansimanti, si avvicinarono alla panchina, e la bambina si arrampicò sulle mie ginocchia, per poi fissarmi con i suoi occhi castani, così simili a quelli di suo padre.
- Non vedo l’ova che andiamo al concetto. - asserì; faceva fatica a pronunciare la “r”, così aveva trovato la soluzione di sostituirla con lettere che variavano da momento a momento.
- Sei sicura di voler andare, piccola? - insistette Rocco.
Lo fulminai con lo sguardo, ma non ce ne fu bisogno, perché mia figlia disse: - Non pleoccupatti, va tutto bene. -
Disse metà della frase in italiano e l’altra metà in inglese, cosa che le succedeva spesso. Sorrisi e la baciai sulla fronte.
- Andiamo a casa? - chiesi e lei annuì energicamente.
La feci scendere dalle mie ginocchia per mettere il guinzaglio a Frency.
- Sì, direi che è ora. - disse Rocco e Martha cominciò ad insistere per farsi prendere sulle spalle.
Attraversammo uno dei tanti ponti sull’Adige e proseguimmo a piedi lungo una riva, per poi tagliare all’interno fino a trovarci sulla piazza su cui si affacciava la chiesa di San Zeno. In un angolo della piazza, nascosta dietro una fila di alberi, c’era il nostro appartamento.
Rocco ci accompagnò fino alla porta di casa e mentre io l’aprivo fece scendere Martha.
- Ciao! - cinguettò lei entrando in casa inseguendo Frency.
Feci per seguirla, ma l’uomo mi trattenne sull’uscio.
- Puoi ancora ripensarci…-
- Basta. - lo interruppi bruscamente. Gli rivolsi uno sguardo astioso - Smettila di dirmi come devo occuparmi di lei. Martha non è tua figlia! -
Lui se ne andò, ferito, senza nemmeno salutare, e io entrai in casa evitando a stendo di sbattere la porta.
- Tutto bene? - chiese Martha raggiungendomi con un peluche di un panda fra le braccia.
Le scompigliai i capelli d’oro: - Certo. Andiamo a fare le valigie, ti va? -
 
Il teatro era pieno di gente, ma io e Martha eravamo sedute in galleria, quasi di fronte al palco. Centinaia di ragazzi urlanti riempivano il teatro.
 Sistemai meglio mia figlia sulle mie braccia. Anche Martha era impaziente e si agitava, rendendomi difficile tenerla in braccio.
-Sei contenta, tesoro?- le chiesi alzando la voce per farmi sentire.
Martha annuì energicamente mostrando il suo sorriso capace di smuovere le montagne.
-Tanto, mamma. E tu?-
-Anche io. - risposi sorridendo. Li avrei rivisti, finalmente.
Dopo tre anni, avrei rivisto quelli che erano stati, anzi erano tuttora, i miei migliori amici. Probabilmente loro non avrebbero visto me, ma poco mi importava.
- Li salutiamo, dopo?- chiese Martha nella sua ingenuità.
-No, piccola. Temo che non sia così semplice.-
- Triste.- mormorò lei delusa.
Io scossi la testa. Anche nel caso (improbabile, per non dire impossibile) in cui mi avessero riconosciuta fra tutte quelle adolescenti urlanti con gli ormoni impazziti che riempivano il teatro, cosa avremmo potuto dirci? Non erano più soltanto i quattro ragazzi che avevo conosciuto a Liverpool; loro erano i Beatles e io facevo ormai parte del loro passato, come loro del mio. In quei tre anni ero cresciuta, ero diventata un'adulta, avevo dato alla luce la mia bambina e avevo sputato sangue per far quadrare i conti a fine mese. Le responsabilità, soprattutto nei confronti di mia figlia, avevano relegato al passato le emozioni quasi ingenue della mia adolescenza.
Ma nonostante questo, era bello, almeno per una volta,poter guardare indietro.
La delusione di Martha non poté durare a lungo, perché qualche attimo dopo il palco si illuminò e i Beatles fecero la loro entrata fra le urla impazzite dei fan.
Prima Ringo e George, poi Paul e infine John.
Erano meravigliosi nei loro vestiti neri e nei caschetti pettinati in modo impeccabile.
Vederli lì sul palco, pochi metri davanti a me, risvegliò quelle emozioni che avevo sopite da tempo.  Li guardai a lungo, uno ad uno, sovrapponendo le loro figure a quelle degli adolescenti che avevano deciso di fare rock 'n' roll, in un ormai lontanissimo 1957. Un George quattordicenne che suonava Raunchy su un autobus, Paul che mi chiedeva di mia madre anche se non mi aveva mai vista prima, Ringo che mi confessava i suoi problemi di autostima ad Amburgo e John che mi stringeva fra le sue braccia, quando sembrava che nell'universo esistessimo soltanto io e lui.
Trattenni il fiato per l'emozione.
Solo fino a pochi momenti prima mi era sembrato che fossero passati secoli dall’ultima volta che li avevo visi, mentre ora mi pareva che fosse trascorso meno di un battito di ciglia.
Non prestai molta attenzione al succedersi delle canzoni, concentrata com’ero a non perdermi neanche una delle loro mosse, e anche se il frastuono delle fan rendeva difficoltoso sentire le note, riuscivo ad immaginarmi perfettamente il modo in cui dovevano star suonando momento dopo momento. Li conoscevo troppo bene, e non avevo dimenticato il loro stile.
Ad un certo punto vidi che Paul e John si scambiarono un'occhiata di intesa.
Dopo tutti gli anni che avevamo trascorso insieme, ancora mi stupiva il modo in cui quei due erano in grado di comunicare.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la voce dolce e chiara di Paul risuonò nel teatro, rinforzata da quella decisamente più sensuale di John.
One day you'll look
To see I've gone
For tomorrow may rain
So I'll follow the sun



Someday you'll know
I was the one
But tomorrow may rain
So I'll follow the sun


And now the time has come
And so my love I must go
And though I lose a friend
In the end you will know


Sentii gli occhi riempirsi di lacrime. Che mi servisse da lezione: mai permettersi di giocare con il fuoco, o pensare di poter avere il controllo totale sulle proprie emozioni.
Ero andata al concerto essenzialmente per avere una prova che avevo definitivamente voltato pagina, e avevo essenzialmente avuto la conferma di essere un’idiota colossale.

One day you'll find
That I have gone
But tomorrow may rain
So I'll follow the sun

But tomorrow may rain
So I'll follow the sun

And now the time has come
And so my love I must go
And though I lose a friend
In the end you will know

One day you'll find
That I have gone
But tomorrow may rain
So I'll follow the sun


Il pubblico proruppe in un applauso che a momenti faceva tremare le pareti del teatro.
La parola "bis" cominciò ad essere scandita all'unanimità da tutto il pubblico.
 John sorrise e lasciò che il pubblico invocasse a lungo un'altra canzone, godendosi appieno quel momento, poi attaccò un arpeggio più allegro rispetto al precedente.

Anna, you come and ask me girl
To set you free, girl
You say he loves you more than me
So I will set you free
Go with him.
Go with him.

Anna, girl, before go now
I want you to know, now
That I still love you so,
But if he loves you more,
Go with him

All of my life
I've been searching for a girl
To love me like I love you
Oh now
But every girl I ever had
Breaks my heart and leaves me sad,
What am I, what am I supposed to do


 Sgranai gli occhi, assolutamente esterrefatta. Sapevo perfettamente che quella canzone non era stata scritta da John e che faceva parte del loro repertorio sin dal loro primo album, ma non mi sarei mai immaginata di sentirla cantata dal vivo, con John che scrutava la platea su un palco così vicino a me.

Anna, just one more thing girl
You give back your ring to me
And I will set you free,
Go with him

All of my life
I've been searching for a girl
To love me like I love you
But let me tell you now
But every girl I ever had
Breaks my heart and leaves me sad,
What am I, what am I supposed to do

Anna, just one more thing girl
You give back your ring to me
And I will set you free,
Go with him
Go with him
You can go with him girl
Go with him


Quando la canzone terminò rimasi a lungo immobile, con le labbra schiuse a disegnare un muto "oh" di stupore.
Mi riscossi solo quando i Beatles scomparvero nel backstage e le luci del teatro si accesero, segnale definitivo che il concerto era finito.
La metà delle ragazzine venute ad assistere all'esibizione si accalcarono intorno al palco, con la speranza di intravvedere più da vicino i loro idoli, mentre l'altra metà si precipitò fuori, nel tentativo di intercettare i Fab Four prima che si allontanassero dal teatro.
Io mi alzai, ma poi rimasi immobile, con Martha in braccio. Ero combattuta. Una parte di me voleva correre verso il palco, chiamare i miei amici e abbracciarli, mentre l'altra mi diceva che era la cosa peggiore che avrei potuto fare: era stato bello rivederli per una sera, ma ora era tempo di ritornare alla mia vita reale.
-Mamma, che facciamo?- mi chiese Martha accorgendosi che non accennavo a muovermi.
-Non lo so, amore.-
Del personale cominciò a far allontanare le ragazzine ancora urlanti con maniere non propriamente gentili.
Un addetto alla sicurezza mi si avvicinò.
- Signora, il concerto è finito. Mi spiace, ma devo chiederle di uscire.- mi disse.
Attribuii la sua gentilezza al fatto che di sicuro aveva notato Martha e aveva compreso che non ero una delle solite fan dei Beatles.
Annuii e lanciai un ultimo sguardo al palco e alle quinte. Mi sembrò di scorgere un paio di occhi che guardavano nella mia direzione, ma poi scossi la testa.
"Devo essermeli sognata" mi dissi voltandomi verso l'uscita della sala. Alla fine, mi convinsi che andarmene era la cosa giusta.
Misi a terra Martha perché cominciavano a dolermi le braccia e la presi per mano, conducendola nell'atrio del teatro, ma lì fui costretta a fermarmi.
- Mi è slacciata una scappa.- osservò Martha.
Mi spostai su un lato, in modo da non correre il rischio di intralciare le persone che avrebbero potuto entrare o uscire dal teatro, quindi mi chinai e riallacciai la scarpa di mia figlia.
Quando mi rialzai mi accorsi del suo sguardo implorante e la ripresi in braccio. Lei appoggiò la testa sulla mia spalla e socchiuse gli occhi, stravolta.
Feci per allontanarmi in direzione dell'uscita. Improvvisamente una porta alle mie spalle si aprì e due mani mi afferrarono per i fianchi e mi trascinarono in un corridoio laterale. Una mano si staccò dal mio fianco e mi tappò la bocca prima ancora che potessi aprirla.
-Ti prego, non urlare. Potrebbe rivelare la mia posizione alle fan impazzite.- disse una voce fin troppo familiare.
- Porca puttana, Paul! Mi hai fatto prendere un infarto!- esclamai liberandomi dalla sua presa.
Sperai che Martha non si fosse accorta dell'imprecazione che mi era sfuggita.
- Stai tranquilla, piccola. Va tutto bene. - mormorai all'orecchio di mia figlia per rassicurarla, anche se per fortuna era troppo stanca per essersi accorta di quello che era successo.
- Così impari a cercare di andartene senza salutare!- sbottò Paul fingendosi arrabbiato.
Guardandolo mi lasciai sfuggire un sorriso.
- E' così bello rivederti, Paul. - mormorai e lui abbracciò sia me che Martha. Guardò la mia bambina per qualche secondo e il suo sguardo si illuminò di una dolcezza che non vi avevo mai scorto.
- Martha, lui è Paul McCartney .- dissi all'orecchio della piccola. Lei si riscosse dalla stanchezza e scrutò l'uomo da cima a fondo.
- Ciao Martha. - disse Paul sorridendole. La bambina fece semplicemente un cenno del capo.
- Quanti anni hai?- chiese ancora il mio amico. Colsi facilmente il doppio significato che quella domanda aveva.
- Due.- rispose sbrigativamente Martha - Tu sei quello che suona il basso?-
Paul rise:- Ha due anni e sa riconoscere la differenza fra un basso e una chitarra? La stai tirando su bene!-
Sorrisi, ma poi un rumore attrasse la mia attenzione.
Vidi sbucare dal fondo del corridoio George e Ringo, anche se loro non sembrarono accorgersi subito di me.
Posai a terra Martha, anche se la bambina in un primo momento protestò, poi mi spostai in modo da dare le spalle ai due Beatles, i quali, nel frattempo, avevano notato la presenza di Paul e si stavano avvicinando.
Cominciai a frugare nella borsa, alla ricerca del bacchettino rosso e bianco comprato per mia figlia sul treno.
- Ma che stai facendo?- chiese Paul.
Gli feci l'occhiolino:- Lo vedrai.-
George e Ringo ci avevano ormai quasi raggiunti.
- Certo che non ti smentisci mai, vero, Macca?- chiese il chitarrista ridendo.
Non mi aveva riconosciuto né si era accorto di Martha. Probabilmente pensava che io fossi una delle tante adolescenti italiane che aveva scorto in platea.
- Certo che questa volta hai superato te stesso, al momento di scegliere. Sembra proprio figa! Facciamo un po' a turno, questa volta? - continuò George.
Io e Paul ci guardammo, cercando in tutti i modi di reprimere le risate. Vidi con la coda dell'occhio che i due Beatles si erano ormai avvicinati a sufficienza.
Mi voltai all'improvviso, tenendo uno dei biscotti del pacchettino davanti a me.
- Biscotto?- chiesi guardando George negli occhi, mentre Paul scoppiava a ridere. Credo che se ne avesse avuto la possibilità si sarebbe messo a rotolare per terra. Dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non imitarlo, dopo che ebbi visto l'espressione che si dipinse sui volti di George e di Ringo. Quando il chitarrista si riprese dalla sorpresa sorrise e si chinò per prendere il biscotto direttamente con i denti, poi mi sfilò dalle mani tutto il pacchetto.
- Maleducato.- sussurrai sorridendo e lui mi fece l'occhiolino.
Sentii la mano di Martha tirarmi i jeans.
- Anche io lo voglio.- mormorò con tono implorante.
George si chinò e la guardò con dolcezza.
- La tua mamma cattiva non ti fa mangiare i biscotti?- chiese e io scoppiai a ridere quando vidi Martha annuire. Il chitarrista la prese in braccio.
-Vieni da George e insieme mangeremo tutti i biscotti del mondo.-
-Io sono Martha.- si presentò la mia bambina, poi indicò Ringo. - E tu chi sei?-
- Non si indicano le persone. - la rimproverai, più per abitudine che per altro.
Il batterista si presentò, poi si rivolse a me:- Non essere troppo severa con lei, o verrà su scompensata quanto te! -
Lo fulminai con lo sguardo, ma lui mi cinse i fianchi e cominciò a farmi il solletico.
- Dai, non arrabbiarti, lo sai che sei la mia tricheca preferita!- esclamò ridendo.
 Ancora con quella storia. Erano passati cinque anni, e ancora giravano il coltello nella piaga.
- Parla quello che vorrebbe andare a vivere nel giardino di un polipo!- replicai riuscendo a liberarmi e ad allontanarmi da lui.
- Avanti, ragazzi. Non avevamo forse decretato che ciò che è accaduto ad Amburgo dovesse restare ad Amburgo?- intervenne Paul.
Ridemmo tutti insieme sotto lo sguardo stupido di Martha.
- Va tutto bene, amore. - le dissi baciandole la guancia e lei mi sorrise.
Mi voltai di nuovo verso i miei tre amici.
- Sono così felice di rivedervi, ragazzi.- mormorai.
Loro mi abbracciarono, anche se George dovette limitarsi ad avvicinarsi a me, poiché aveva ancora mia figlia in braccio.
- Mi siete mancati.- continuai.
- Anche tu, Anna, da morire. - disse Paul - Perché credi che abbiamo fatto questo tour in Italia? John era sicurissimo del fatto che saresti venuta ad uno dei concerti e che noi ti avremmo riconosciuta in mezzo alla folla. -
Li guardai negli occhi uno ad uno, ma poi abbassai lo sguardo.
- Seconda porta a sinistra - disse Paul intuendo i miei pensieri - E' già in camerino.-
Sorrisi e gli rivolsi uno sguardo pieno di gratitudine.
-Posso lasciare Martha con voi?- chiesi.
-Ma certo! Io e lei dobbiamo ancora finire il pacco di biscotti! Non è vero, piccola?- esclamò George.
- Grazie mille, ragazzi.- mormorai - Ci vediamo dopo.-
Ero così felice che in tutti quegli anni fra noi non fosse cambiato nulla.
Aprii la porta del camerino quel tanto che bastava per sgattaiolarci dentro, ma non la richiusi.
John era in mezzo alla stanza, chino sulla custodia della sua chitarra. Mi dava le spalle.  Trattenni il respiro, in attesa che mi venisse in mente qualcosa di intelligente da dirti.
 - Immagino che ora ti debba ringraziare per la dedica, anche se non l'hai scritta tu, quella canzone.- dissi d'un fiato, ma poi mi accorsi della stupidità di quella frase e desiderai rimangiarmela.
Lui si bloccò. Si alzò lentamente e si girò sgranando gli occhi quando vide che ero davvero lì davanti a lui. Aveva forse creduto di essersi sognato la mia voce?
- Anna - mormorò senza osare avvicinarsi
-Ciao, Johnny. - lo salutai dolcemente.
Ci guardammo a lungo senza che nessuno dei due riuscisse a trovare il coraggio per parlare.
La porta si aprì completamente sbattendo ed io sussultai a causa di quel rumore improvviso.
Martha mi si avvicinò stringendo un lembo della maglietta, mentre Paul, George e Ringo rimanevano fuori ridendo allegramente.
-Mamma, zio Paul chiede se vado a vedele il suo basso e la chitalla di zio George e la battelia di zio Bingo. Posso?- mi chiese mia figlia sfoderando uno dei suoi sorrisi più convincenti.
Scoppiai a ridere per come aveva storpiato il nome di Ringo:- Li conosci da cinque minuti e già li chiami zii?-
Martha mi guardò stringendo gli occhi
- Pel favole? - chiese implorante.
Le baciai la fronte e la sospinsi dolcemente verso "zio Paul".
-Su, vai, piccola.-
Aspettai sullo stipite della porta e guardai mia figlia allontanarsi con i tre Beatles finché non furono scomparsi alla mia vista, poi richiusi la porta del camerino.
Mi voltai verso John, ma non riuscii a guardarlo negli occhi. Rimanemmo in un silenzio imbarazzato per minuti che sembrarono durare ore.
- Chi... chi è il padre?- mi chiese infine l'uomo.
Respirai profondamente.
Alzai gli occhi, incrociandoli con i suoi. Lo sguardo che gli rivolsi era troppo eloquente per poter essere frainteso. I suoi occhi si riempirono di sgomento.
- Avresti...- mormorò, in difficoltà - avresti dovuto farmelo sapere. -
Io sorrisi sarcastica:- E poi tu cosa avresti fatto? Saresti andato da Cyn e le avresti detto che mi  avevi messo incinta scopandomi la notte prima che tu la sposassi? Non so perché, ma non riesco a crederci, John. -
-Almeno avrei saputo che esiste, cazzo!- gridò e si voltò per tirare un pugno contro la parete.
Gli ci vollero un paio di secondi prima di riuscire a calmarsi.
-Come si chiama?- mi chiese.
- Martha.- risposi cercando di mantenere un tono distaccato.
- Martha. - ripeté lentamente lui, come per vedere l'effetto che faceva sentire il nome di mia figlia pronunciato dalle sue labbra.
Un brivido mi corse lungo la schiena. Morivo dalla voglia di stringerlo a me e sentire di nuovo il suo cuore battere contro il mio, ma era tardi, troppo tardi. Lui ora era sposato, aveva un figlio, era diventato ricco e famoso; entrambi avevamo fatto le nostre scelte, e ora eravamo alla resa dei conti. Mi morsi il labbro con talmente tanta forza che non sarei stata sorpresa di sentire il sapore del sangue.
Anche se, mio malgrado, l'avevo sognato molte volte, non ero preparata per quell'incontro.
John mi guardò e io mi persi nei suoi occhi.
Cercò di avvicinarsi, ma mi ritrassi subito, prima che superasse la mia barriera.
- Come sta Julian? - dissi ostentando freddezza, in risposta alla domanda contenuta nel suo sguardo.
- Anna, ti prego...- mormorò.
C’era qualcosa nel suo tono o nei suoi occhi che fece sì che quando lui fece un passo avanti, io non mi allontanassi più.
John mi prese il volto fra le mani, spingendomi contro la porta chiusa. Le sue labbra scesero sulle mie e mi baciò con la foga e la disperazione di due bocche che si sognano da anni. Affondai le mani tra i suoi capelli castani e lo strinsi a me.
- Mi sei mancato, John Winston Lennon. - mormorai quando si staccò da me per permettermi di respirare.
- Ti amo, Anna Mitchell.-
Gli accarezzai i capelli mentre lui si chinava per baciarmi il collo.
Mi accarezzò il ventre insinuando le mani sotto la maglietta.
- Pensavo ti saresti vestita più elegante, almeno per il nostro concerto.- sussurrò mordicchiando il mio orecchio.
Io risi scuotendo la testa:- Con una bambina di due anni non ho molto tempo per curare il mio guardaroba.-
Mi baciò ancora, ma poi realizzai quello che stava per succedere.
Prima di perdere la testa, mi scostai e gli diedi le spalle, come ero solita fare quando avevo bisogno di ritrovare la lucidità necessaria a darmi un contegno.
- Che succede?- mi chiese John, allarmato dal mio repentino cambiamento.
 -Se dovesse tornare la bambina...-
Percepii che John stava facendo uno dei suoi soliti mezzi sorrisi:- Non ti preoccupare, sono sicuro che Paul, George e Ringo si siano presi per tempo e si siano fatti parecchie fantasie su quello che sarebbe successo se io e te ci fossimo rivisti. La terranno lontana per un po'.-
Sentii la sua mano sfiorarmi la coscia mentre lui mi dava dei piccoli baci sul collo e sulle spalle.
Brividi di piacere cominciarono a percorrere il mio corpo.
La mia risoluzione a lasciarmelo definitivamente alle spalle era già andata ad andarsi benedire insieme alla mia Coscienza. Erano durate davvero poco, questa volta.
Dovrò licenziarla e trovarmi una Coscienza più diligente.” pensai, poi mi voltai e lo baciai con ardore, stringendolo a me il più possibile. John ricambiò la stretta, poi mi sospinse di nuovo verso la porta.
Senza smettere di baciarlo cominciai a sbottonargli la camicia bianca e gliela sfilai.
John l'afferrò e la lanciò su uno dei divanetti di pelle addossati contro la parete.
Gli accarezzai il petto e le spalle mentre i nostri baci cominciavano a farsi sempre più sensuali.
Rabbrividii quando scese a baciarmi il seno, mordicchiandomi la pelle abbronzata. Strinsi le mani nei suoi capelli e gli graffiai la nuca, poi gli accarezzai la schiena con la punta delle dita facendolo rabbrividire.
Iniziavo ad avere il fiato corto.
John aprì il bottone dei miei jeans e io me li tolsi, anche se fu piuttosto complicato perché John non sembrava intenzionato a smettere di baciarmi.
Slacciò velocemente il gancetto del reggiseno e lo sfilò, poi si chinò di nuovo per baciarmi i capezzoli, sfiorandoli con i denti.
Il cuore mi pulsava nelle orecchie.
Senza allontanare le labbra dal mio seno, John mi accarezzò le cosce.
Strinse la presa e mi sollevò facilmente, mentre io dovetti incrociare le gambe intorno al suo bacino per non perdere l'equilibrio.
- Ehi, ma che fai?- esclamai ridendo - Mettimi giù, Lennon!-
-Come vuoi. - replicò lui con malizia.
Mi depose sui divanetti di pelle e mi salì sopra, bloccandomi in modo che non potessi muovermi.
- Sei un grandissimo stronzo.- gli dissi.
- Perché tutte le volte che arriviamo al dunque, o sei fatta di LSD oppure mi insulti? - chiese lui provocatorio.
Ebbi un moto di protesta e cercai di scrollarmelo di dosso, ma un bacio bloccò ogni mio tentativo. Mi accarezzò la guancia, poi scese sul collo, sui seni e sul ventre.
Una mano si insinuò fra le mie gambe.
 Appoggiai la testa contro la sua spalla e mormorai più volte il suo nome.
John mi sfilò gli slip, quindi posò le sue labbra all'interno della mia coscia e cominciò a succhiare lentamente.
Mi strinsi a lui, graffiandogli la schiena, poi le mie mano scivolarono lungo la sua colonna vertebrale e gli scesero sul ventre, dove incontrarono la fibbia della cintura che faticai a slacciare a causa dei tremiti che sconvolgevano il mio corpo.
Infine lo liberai dei pantaloni, ormai diventati stretti, e i nostri corpi nudi furono in grado di toccarsi. John si fermò a guardarmi negli occhi  e io ricambiai, in silenzio.
Mi scostò una ciocca di capelli ricaduta sul viso e mi sfiorò appena l'orecchio.
- Ti amo, John. - sussurrai.
Lui non mi rispose e si chinò a baciarmi ancora una volta, stringendomi il volto delicatamente, come avesse paura che avrebbe potuto spezzarsi sotto una stretta più forte.
Ricambiai il bacio con ardore, facendogli capire che ero pronta ad accoglierlo dentro di me.
 
Perché, perché non riuscivo a lasciarmi quel maledetto alle spalle? Ogni volta che lo vedevo non potevo fare altro che cadere ai suoi piedi, come tutte quelle ragazzine con gli ormoni alle stelle.
Cristo, che stupida che ero.
- Vorrei passare un po’ di tempo con voi due. - disse John mentre si rivestiva.
- Possiamo sempre andare in giro per Roma braccati da fotografi e fan. - replicai sorridendo. - Ho sempre voluto allenarmi per la maratona. -
- Pensavo fossi una schiappa nel correre. - mi rimbeccò lui.
- Sai, quando si tratta di aver salva la vita… - replicai mentre recuperavo i miei vestiti sparsi un po’ ovunque. Sentii i suoi occhi su di me tutto il tempo.
- Cosa c’è? - gli chiesi.
Lui si accese una sigaretta e scrollò le spalle, poi mi tese il pacchetto, ma rifiutai.
- Ho smesso mentre ero incinta, e non ho alcuna intenzione di iniziare di nuovo. - spiegai.
- Mamma, mamma, mamma! - sentii che Martha mi chiamava dal corridoio e intimai a John di finire di vestirsi. Lui svogliatamente si infilò una maglietta un momento prima che la bambina spalancasse la porta ed entrasse correndo. Cominciò a parlarmi di quanto si fosse divertita troppo velocemente perché io riuscissi ad afferrare qualcosa. Qualche minuto dopo arrivarono anche Paul, George e Ringo, spossati e ansimanti. Il Macca si appoggiò allo stipite della porta, piegato in due dal fiatone.
- Ma l’hai caricata con la molla? - mi chiese quando riuscì ad articolare un suono.
Io rivolsi a mia figlia l’imitazione di uno sguardo severo:- Non hai dato fastidio agli zii, vero? -
- Cosa? No! - rispose George in fretta. - Abbiamo solo mangiato un po’ di biscotti, vero, piccola? -
Lei fece la sua migliore esibizione di una faccina angelica.
- Se continua a dimostrare queste capacità di manipolazione, mia figlia diventerà la padrona del mondo intero. - commentai tra me e me, a voce talmente bassa che non credevo che qualcuno potesse sentirmi. Invece John ci riuscì e scoppiò a ridere.
L’intera attenzione di Martha si spostò su suo padre. I due rimasero a guardarsi in silenzio, gli occhi della bimba che erano lo specchio di quelli dell’uomo. Mentre li guardavo mi chiesi che cosa si stessero dicendo.
Qualcuno bussò alla porta del camerino spezzando il silenzio. Martha sussultò e venne a nascondersi dietro la mia gamba; la presi in braccio e la rassicurai, mentre la voce di Brian Epstein avvertiva i quattro ragazzi che se non si fossero sbrigati avrebbero perso l’aereo.
- Arriviamo! - gli rispose urlando Ringo.
- E’ stato bello, ragazzi. - mormorai. Misi Martha a terra e la presi per mano, per poi andare ad abbracciare i miei amici uno ad uno.
- Ci vedremo ancora, è una promessa. - replicò Paul.
- O una minaccia? -
- Tutte e due. - rispose.
- Scrivici ogni tanto. - disse George. - Però dovremmo concordare un modo per distinguere la tua lettera da quelle delle fan, tipo la scritta “vi ucciderò tutti”, o qualche simbolo satanico… -
- Ma non facciamo prima a darle i nostri indirizzi? - lo interruppe Ringo.
- Perché tu hai carta e penna, vero? -
- Ce le ho io. - li rassicurai ridendo.
- Guarda che è roba top secret. - mi avvertì il batterista. - Ne va della nostra vita. -
Dissi loro che avrei protetto quelle informazioni con il sacrificio estremo, se fosse stato necessario, poi ci furono altri abbracci.
- Dite a Brian che io mi fermo un altro giorno. - affermò John.
Lo guardai sorpresa, ma a quanto pare gli altri se lo aspettavano, perché risposero con sguardi d’intesa e un “okay” carico di doppi sensi.
- C’è la bambina! - esclamai indignata.
I tre ragazzi ridacchiarono e se ne andarono salutandoci, anche se non mi sfuggì il fatto che Paul allungò la mano per farsi dare dei soldi (la sua vincita) sia da George che da Ringo.
Quando rimanemmo soli Martha mi rivolse uno sguardo spaesato, ma io sapevo quanto lei quello che stava succedendo.
- Cos’hai intenzione di fare? - chiesi a John.
- Tutto quello che volete voi due. - rispose con semplicità. - Ma proporrei di iniziare uscendo da qui. -
Le sue labbra si allargarono in un sorriso rivolto più che a me a Martha, e anche lei dovette capirlo, perché con la mano libera prese quella di John, che ci accompagnò fuori dal teatro.
 
John scostò una ciocca di capelli color miele dalla fronte di Martha, addormentata fra me e lui sul sedile posteriore del taxi che ci stava portando in un agriturismo fuori da Roma che ci era stato consigliato dallo stesso autista. Dopo aver tempestato l’inglese di domande per una buona mezz’ora, la bambina era improvvisamente crollata.
Il chitarrista portò la mano lungo il fianco e guardò fuori dal finestrino.
- Te ne sei andata senza dire nulla. - mormorò piano per non svegliare Martha.
Sospirai: sapevo che prima o poi avrebbe tirato fuori l’argomento.
- Non mi piacciono gli addii. - dissi, a mo’ di spiegazione. - Rendono tutto più difficile e fanno dimenticare alle persone perché sono necessari. -
Lui annuì poco convinto, poi ritornò immobile. Il silenzio era rotto solo dal leggero russare di Martha. Era davvero strano che l’imbarazzo fosse nato solo in quel momento, mentre solo un’oretta prima ci eravamo comportati come se non ci fossimo mai allontanati.
Cercai di trovare un argomento neutro con cui intavolare una conversazione, ma la mia bocca si spalancò in uno sbadiglio enorme, che solo all’ultimo mi ricordai di coprire con una mano.
- Ehi, trattieni il tuo ruggito, o sveglierai la leoncina. - commentò John ridacchiando.
Gli lanciai un’occhiataccia e appoggiai la testa contro la sua spalla.
Il taxi si fermò davanti ad un grazioso agriturismo-fattoria. Ormai era sera e l’edificio centrale, su cui spiccava il contrasto tra mattoni rossi e intonaco color panna, era illuminato da luci esterne posizionate in un cortile acciottolato; adiacente ad esso c’era una grossa scuderia, dalla quale provenivano rumori di animali.
- Tesoro, siamo arrivati. - sussurrai a Martha scuotendola per svegliarla.
Lei mugugnò qualcosa di indefinito e strizzò gli occhi.
Feci per prenderla in braccio, ma John mi precedette.
Entrammo nell’agriturismo, dove chiedemmo un tavolo per la cena e una stanza per la notte.
- Avete una prenotazione? - chiese un uomo all’ingresso, forse il proprietario della fattoria.
- No, insomma… non era previsto… noi…- risposi. Ma come avevo fatto a non pensarci? L’uomo ci pensò su un attimo, spostando lo sguardo da me a John a Martha, poi sorrise.
- Nessun problema, signora. - mi rassicurò cordiale. - Ho solo bisogno del suo nome. -
- Ho, sì, certo. Mitchell; Anna e … Leonard Mitchell.-
L’uomo li annotò, poi ci guidò verso il ristorante.
- Allora siete inglesi, eh? Sono stato giù in città oggi, e c’era il concerto di un gruppo di vostri connazionali… c’era una tale ressa! Adolescenti urlanti dappertutto. Parola mia, mai visto una cosa del genere.-
Lanciai un’occhiata complice a John, che tuttavia, poiché non aveva capito una sola parola, mi restituì uno sguardo curioso.
L’interno del locale era molto accogliente, con il soffitto a volta e luci soffuse. Alcuni dei tavoli di legno erano occupati, ma non c’era molta ressa; in ogni caso fui sollevata quando l’italiano ci condusse fino ad un tavolo in disparte, come se alle parole magiche “ehi, ma quello è John Lennon” dovessero sbucare stuoli di fan e giornalisti impazziti.
- E così adesso sarei Leonard Mitchell? - chiese ironico il giovane uomo quando rimanemmo finalmente soli.
- Non sapevo cosa inventarmi. - mi giustificai cominciando a scorrere il menù.
- Sì, si era notato. - replicò John.
Martha rise alla battuta, poi tornò seria.
- Pecché tu sei limasto e gli atti no? - chiese puntando i suoi occhi indagatori sul ragazzo.
Lui si limitò a scrollare le spalle:- Avevano un impegno, e io volevo passare un po’ di tempo con voi due. Sei dispiaciuta?-
Lei si affrettò a scuotere la testa, come inorridita dall’idea:- No, no, zio John. -
Le sorrisi per incoraggiarla mentre John le dava un buffetto sulla guancia.
Dopo cena salimmo nella stanza, che era in realtà una sorta di mini appartamento. Oltre alla stanza vera e propria, infatti, ce n’era anche una più piccola con un divano e una poltrona, con affianco un bagno. Nella stanza principale c’era un letto enorme di legno chiaro, di cui erano fatti anche i comodini e un tavolino posto di fronte al letto su cui c’era una piccola televisione.
Quando entrammo Martha corse incontro al letto e vi saltò sopra.
- Martha…- cominciai, ma dovetti smettere perché un secondo dopo John fece la stessa cosa, poi cominciò a farle il solletico.
- Guardiamo la TV? - mi chiese la bambina.
Mentre io accendevo l’apparecchio e facendo zapping trovavo per caso un canale su cui trasmettevano “Biancaneve e i sette nani”, Martha si sistemò al centro del letto, con accanto suo padre. Quando mi sedetti anche io, la bambina si appoggiò contro il mio petto, pur continuando a tenere la mano di John.
In un primo momento cercai di fare a John la traduzione simultanea di quello che veniva detto, in italiano, nel cartone, ma poi fui interrotta da un’indignata Martha che mi impose il silenzio.
- Tanto non ti perdi molto. - sussurrai al ragazzo. In effetti, ogni volta che vedevo Biancaneve venire salvata in extremis sa un principe che (guarda caso) passava proprio dì lì al momento opportuno, meno mi piaceva; però mia figlia adorava le canzoni dei nani, quindi mi dovevo sorbire tutta la storia ogni volta che passava in televisione.
Per fortuna, poco tempo dopo la scena della mela avvelenata, Martha si addormentò, così potei andare a spegnere la TV e porre fine alla tortura.
Tornai a letto e mi sdraiai di fianco alla bambina, mentre John, piano piano, la copriva con le lenzuola, poi cominciò a fissarmi.
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo, e lui mi prese la mano sinistra. Facendo attenzione a non disturbare Martha, la girò con il palmo all’insù per poi baciarmi la cicatrice biancastra, così come aveva fatto tanti anni prima.
Non mi importava che quello fosse solamente un’ illusione.
Non mi importava che il giorno seguente lui sarebbe dovuto tornare in Inghilterra ed io alla realtà.
Era un sogno, un bellissimo sogno, e per una volta  (solamente una) avevo intenzione di sprofondarci dentro.
John sorrise e i suoi occhi mi comunicarono ciò che le parole non avrebbero mai potuto fare; sorrisi, chiusi gli occhi e, dolcemente, scivolai nel sonno.
 
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Sera, popolo!!!
Lo so, questo capitolo è orrendamente fluff, ma mi sentivo in vena di tenerezza.
Ci sono parecchie osservazioni da fare:
1) Ovviamente il (banale) nome di Martha viene dalla canzone Martha my dear.
2) So che la bambina dovrebbe essere un genio per parlare così a due anni, ma che ci volete fare, essere la creatrice di una storia ti permette di piegare le leggi della Natura (sì, ci si sente onnipotenti)
3) L’intero capitolo è basato su una situazione pressoché surreale, ma volevo fare le cose in grane, per questo capitolo, ragion per cui è anche parecchio lungo. Ho pensato anche di spezzarlo, ma poi mi sono resa conto che sarebbe stato peggio.
5) E’ l’ultimo capitolo vero e proprio (non preoccupatevi, c’è ancora l’epilogo)
Ve l’ho detto così possiamo prepararci psicologicamente tutti insieme. (Mi fa venire l’angoscia pensarci ora…) Comunque, abbiamo ancora tempo… (poco, ma pur sempre tempo.)
Alla prossima (e ultima) volta!


Weasleywalrus93: Okay, giuro che l’errore non l’avevo proprio visto!!! Chiedo umilmente venia (devo smetterla di scrivere dalle 2 alle 4 del mattino!) Non avrei saputo descrivere John in modo più efficace: è proprio un marpione, ma è per quello che lo amiamo, no?

Cagiu_Dida: Sì, diciamo che è stata una sorta di rivoluzione nella vita di Anna, che però, come vedi, non sa starsene tranquilla neanche per tre anni, e va a cercarsi guai. Comunque, se ti può consolare, io stessa avevo il magone mentre lo scrivevo.


Peace n Love.

P.S. (Non so perché io ‘sta sera mi senta  così diabolica/depressa da ricordare ogni tre parole che è l’ultimo capitolo… Scusate la mia psiche instabile)
  
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