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Autore: waferkya    03/11/2013    3 recensioni
[friendship] [coda per l'episodio 4x06 "Kupoli 'la"]
Steve ha bisogno di un caffè, e Danny guida.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danny Williams, Steve McGarrett
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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ʻaʻole loa kupouli ʻla
(not at all broken)

“È la fine del mondo,” sghignazza Danny, rallentando perché al semaforo cinquanta metri più avanti è scattato il giallo. “Non pensavo che l’avrei mai detto, ma la fine del mondo mi piace.”
 
Steve, rannicchiato contro lo sportello per sfuggire alle coltellate dorate del sole hawaiiano, grugnisce. Danny non dà segno di averlo notato.
 
“Sul serio, dovremmo farlo più spesso—io, la mia macchina, le mie mani sul mio volante,” continua a blaterare, allegro come un prato a primavera. “Ricordami di mandare dei fiori a Catherine, ok? O dei cioccolatini. O una bella pizza da cinque metri di diametro così anche stanotte ti terrà su fino all’alba a investigare la yakuza e magari potrò guidare la mia macchina per ben due giorni di fila, che ne dici?”
 
“Caffè,” raspa Steve debolmente, schiodando per un attimo la tempia dal finestrino. “Danny, caffè,” e pigia un indice contro il parabrezza, indicando una tavola calda pochi metri più avanti, dall’altro lato della strada. Danny gli schiaffeggia via la mano.
 
“Non riempire la mia macchina delle tue luride impronte digitali, McGarrett,” brontola, ma sbircia cauto nello specchietto retrovisore, mette la freccia, e fa manovra.
 
 
 
Steve si accascia sul primo tavolo che trova, ficcandosi le dita sotto gli occhiali da sole per stropicciarsi gli occhi, o forse sta tentando di farsi una lobotomia, Danny non si stupirebbe. È piuttosto inquietate vederlo così pallido e rincretinito e fotofobico; Danny non è sicuro che aver riacquisito il privilegio di stare alla guida della propria auto valga il prezzo di Steve McGarrett al tre percento delle proprie funzionalità.
 
“Ok,” soffia tra sé, e si affretta a sedersi, perché la propria reazione all’avaria di Steve sta cominciando a preoccuparlo più della salute di Steve stesso. Agita le braccia per aria per attirare l’attenzione del cameriere, e gli ordina, a gesti e senza nemmeno guardarlo, tutto il caffè correntemente presente sulla faccia del pianeta, con giusto un goccio di latte e due granelli di zucchero.
 
“Waffle,” mugugna Steve, e Danny agita una mano nel segnale universale di accontentiamo il moribondo in ogni sua pretesa, grazie.
 
Il cameriere torna dopo un istante e Danny si tormenta le mani e il cinturino dell’orologio finché Steve, mezza tazza di caffè più tardi, non riesce a tener su la testa e arricciare all’insù gli angoli delle labbra.
 
“Ok, ci sono quasi,” dice e, come a volerlo dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio, prosciuga la tazza in un unico sorso.
 
“Buongiorno e bentornato tra noi, pazzo sconsiderato,” annuisce Danny, e solo ora si concede un sorso del proprio caffè.
 
Steve ignora l’insulto perché è troppo impegnato a guardarsi attorno come se si credesse il protagonista di un documentario sui suricati.
 
“Sbaglio o avevo ordinato dei waffle?” domanda; Danny alza gli occhi al cielo.
 
“Dagli un momento, Steve, ok? Santo cielo, neanche a tre anni Gracie è mai stata così impaziente — e per l’amor di Dio Steve non annusare l’aria.”
 
Steve, che ha totalmente, decisamente appena finito di annusare l’aria, ridacchia, senza neppure tentare di darsi un’aria innocente; Danny è prontissimo ad alzarsi e andarsene, perché non ha mai chiesto a nessuno niente di tutto questo, solo che poi il cameriere torna con due piatti colossali di waffle, e allora vabbè, la ritirata può aspettare; sono quattro anni che aspetta.
 
Danny ringrazia il cameriere con un cenno, e non ha occhi che per la calda, profumata, dorata delizia che gli siede sotto il naso, perlomeno finché non si accorge dell’espressione strana di Steve — è quella che non promette niente di buono: naso arricciato, rughetta in mezzo alle sopracciglia, pupille a capocchia di spillo.
 
“Oh, cielo,” sospira Danny, e mette giù la forchetta, pronto ad affrontare quale che sia, stavolta, il tragico contrattempo pronto ad abbattersi sulle loro vite e, quel che è peggio, sulla sua colazione, ma Steve non salta in piedi all’inseguimento di nessuno; solo, con quella faccina perplessa si limita ad osservare il cameriere, un anonimo ragazzo biondo, alto, belloccio, con un brutto livido sul polso e l’aria di essersi reso conto di aver davanti due sbirri e che, per chissà quale ragione, — lo spino che s’è fumato durante la pausa, Danny è pronto a scommetterci il distintivo; la gente non dovrebbe darsi alle droghe se poi non è in grado di sopportarne le conseguenze — sembra aver molta voglia di darsela a gambe.
 
“Brock?” domanda Steve, la voce un pochino strozzata, e Danny sta per commentare che, wow, se vogliono un momento di privacy lui non ha nessun problema a filarsela, non ha intenzione di rimanere traumatizzato a vita anche da questo, solo che il nome Brock gli fa pizzicare l’istinto da poliziotto e, quando torna a guardare la faccia spaurita del ragazzo, si aprono i cancelli dell’Eden.
 
“Quello del parassita al cervello,” esclama, schioccando le dita; Steve ha la faccia tosta di fare una smorfia. Steve. Danny si sente istantaneamente arrossire d’imbarazzo, è chiaro, ma Steve non ha nessunissimo diritto di guardarlo in quel modo. “Uhm, voglio dire. Ehilà.”
 
Brock fa un sorrisino minuscolo, anche se le nocche della mano con cui tiene il bricco di caffè sono bianchissime. “No, non si preoccupi, agente—”
 
“Detective.” Steve ha l’aspetto molto costipato; Danny glielo dice sempre che tutto quel take-away sarà la sua fine.
 
“Detective, giusto.” Brock scrolla le spalle. “Sto bene, ora.”
 
“Lavori qui?” domanda Steve, e al ragazzo fa gli occhioni e quell’espressione soffice che, a rimettere in riga gli ufficiali di grado inferiore funzionano meglio di qualsiasi severa lavata di capo, perché nessuno vuol prendere a calci il cane interiore di Steve McGarrett.
 
Brock annuisce, intimidito dall’onestà della preoccupazione di Steve. Danny ha l’impulso di asciugarsi una lacrima immaginaria.
 
“Volevo, uhm. Volevo ringraziarvi, non so se—” Brock incespica, versa un’altra tazza di caffè a entrambi. “Mi avete salvato la vita. Grazie.”
 
Steve scuote la testa, sta già cominciando a sorridere. “Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, sai dove trovarci.”
 
Il ragazzo annuisce, guarda da Danny a Steve al bancone della tavola calda, dove si sono accumulati tre o quattro piatti in attesa di essere serviti.
 
“Buona colazione,” dice, con un sorrisino strettissimo, prima di defilarsi.
 
Steve attacca la propria montagna di waffle, ma ha l’aria pensierosa, starà calcolando quanto gli costerà venire qui ogni giorno con la scusa del cibo, per tenere d’occhio il ragazzo.
 
Danny sospira. Perlomeno le sedie sono comode.
  
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