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al contest "Pioggia di pacchetti" indetta dal gruppo Fanfiction
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Immagine:
Colore:
Nero
Citazione:
"La via più rapida per porre fine a
una guerra è quella di perderla" - George Orwell
Oggetto:
Polvere
Racconto
di un
uomo che non c’è più.
L’assordante
suono dei picconi scandisce le mie giornate.
Ogni
giorno
sempre la stessa storia.
Mi
sveglio all’alba,
bacio la fronte di mia moglie, una carezza alla testolina scura della
mia
primogenita e un buffetto sulla guancia alla secondogenita, poi fuori,
per le
strade del Giacimento.
Siamo
in tanti,
tutti col capo chino in segno di resa nei confronti dei potenti che ci
hanno
ridotti ad una vita di schiavitù e stenti.
Molti
sono padri
di famiglia come me, che lavorano a testa bassa per portare a casa il
minimo
indispensabile per far vivere i propri cari.
Altri
sono poco
più che ragazzini, scampati alla follia degli Hunger Games,
ma costretti ad una
tortura più lunga e dolorosa.
Qui
al
Giacimento non c’è mai abbastanza da mangiare, non
c’è mai abbastanza di nulla.
Non
c’è
abbastanza luce, non c’è abbastanza corrente
elettrica, non c’è abbastanza
pace, non c’è abbastanza igiene.
I
bambini si
ammalano ogni giorno e le famiglie non hanno sufficiente denaro per
curarli e
salvare loro la vita.
Fortunatamente
per il Giacimento, mia moglie è la figlia del farmacista e
sa applicare alcuni
medicamenti. Molte volte non possiamo permetterci le medicine per
curare i
malati, ma lei fa di tutto per farli uscire vivi da casa nostra.
Abbiamo
litigato
spesso, soprattutto quando ci portano dei moribondi in casa.
Non
voglio che
le bambine abbiano contatti con gente malata. È
così faticoso tenerle in vita e
fare di tutto per mantenerle in salute. Non voglio che si ammalino e
che
rischino la vita.
Pensare
a loro
tiene occupata la mia mente per tutta la giornata.
Dopo
dodici ore
di lavoro nelle miniere di carbone risaliamo tutti
sull’ascensore e silenziosamente
attendiamo di rivedere il cielo plumbeo del Distretto Dodici.
Saluto
distrattamente alcuni uomini, poi rientro in casa.
Mia
moglie sta
finendo di cucinare la poca carne rimasta, mentre le bambine giocano
sul
tappeto.
Quando
entro in
casa mi corrono incontro abbracciandomi.
Mia
moglie si
volta, sorridendomi.
Mi
sciacquo le
mani in una tinozza d’acqua.
Cercando
di
levarmi di dosso il nero del carbone, poi mi siedo a tavola in attesa
della
cena.
Katniss
mi
supplica di cantarle una canzone.
Anche
la piccola
Primrose si zittisce in attesa.
Verrai,
verrai,
all'albero
verrai,
cui
hanno appeso un uomo che tre ne uccise, o
pare?
Strani
eventi qui si sono verificati
e
nessuno mai verrebbe a curiosare
se
a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero
degli impiccati.
Verrai,
verrai,
all'albero
verrai,
là
dove il morto implorò l'amor suo di scappare?
Strani
eventi qui si sono verificati
e
nessuno mai verrebbe a curiosare
se
a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero
degli impiccati.
Verrai,
verrai,
all'albero
verrai,
ove
ti dissi "Corri se ci vuoi
liberare"?
Strani
eventi qui si sono verificati
e
nessuno mai verrebbe a curiosare
se
a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero
degli impiccati.
Verrai,
verrai
all'albero
verrai,
di
corda una collana, insieme a dondolare?
Strani
eventi qui si sono verificati
e
nessuno mai verrebbe a curiosare
se
a mezzanotte ci incontrassimo
all'albero
degli impiccati.
«Caro,
non voglio che canti questa canzone alle bambine. Sai
che i pacificatori potrebbero prenderla come una sommossa
rivoluzionaria. Non
voglio rischiare» dice mia moglie interrompendomi proprio
alla fine e servendo
la cena.
Annuisco
e mi scuso, quindi mi preparo a mangiare con la mia
famiglia.
È
buio da poco
quando salta la corrente.
Non
abbiamo
abbastanza denaro per comprare delle candele, quindi andiamo tutti a
letto.
Mi
stendo sotto
le coperte, esausto e depresso all’idea che la giornata di
domani sarà
esattamente come questa.
«Voglio
portare
Katniss a caccia la prossima domenica» sussurro.
«Sei
sicuro? Non
sarà pericoloso?» chiede mia moglie.
«Non
più del
solito. È giusto che impari. Se dovesse accadermi qualcosa
preferisco che una
delle bambine sappia muoversi nei boschi e portarvi della carne da
vendere»
rispondo, poi mi volto e mi addormento.
-
Le
giornate si
susseguono identiche. Le domeniche sono l’unica vera gioia
che mi risolleva il
morale dopo una lunga settimana in quei cunicoli bui e polverosi.
Le
prime volte
non ci avventuriamo molto lontano dalla recinzione per evitare che
Katniss si
spaventi.
La
bambina
impara in fretta e sono orgoglioso di tutto ciò che riesco
ad insegnarle.
Se
dovesse
accadere qualcosa a me o a mia moglie so per certo che Primrose non
sarà mai in
pericolo insieme a lei.
Katniss
è
combattiva, decisa e testarda come pochi.
-
È
da poco
cominciato il nuovo anno. La neve imbianca quasi tutto, camuffando il
nero che
insozza tutto il Distretto.
Da
un paio di
settimane noto che i pacificatori sono nervosi e abusano del loro
potere fin
troppo spesso.
Temo
che Capitol
City stia tramando qualcosa.
Questa
mattina
sono inquieto. Ho un peso che mi attanaglia il petto.
Sospiro
e prima
d’uscire osservo in silenzio la mia famiglia.
Le
bambine
dormono serene nel loro letto.
Mia
moglie è
ancora più bella del solito.
Le
bacio la
fronte, poi vado al lavoro.
L’aria
è
pungente, quindi mi stringo nel giaccone da lavoro e mi avvio verso
l’ascensore.
Mi
ritrovo a
chiacchierare con il signor Hawthorne. È diventato padre per
la quarta volta da
poco tempo. Forse è per questo che è
così di buon umore.
Sfrego
le mani
tra loro per scaldarmi mentre osservo tristemente il cielo sparire
sempre più
lontano.
Sospiro
nuovamente quindi mi preparo a scavare nella nera roccia.
-
La
polvere danza
dispettosa davanti alla luce del mio casco, quando un rombo sordo
interrompe
tutti quanti dal nostro lavoro.
Ci
guardiamo
attorno creando un fastidioso movimento di luci che rimbalzano lungo le
pareti
nere della miniera.
«C’è
stata un’esplosione,
giù in fondo al pozzo sei! Dobbiamo risalire
immediatamente!» strilla un nostro
compagno correndoci incontro.
Gli
attrezzi
vengono abbandonati a terra, poi corriamo tutti verso la
cavità che dovrebbe
ospitare l’ascensore.
Nessuno
risponde
alle nostre grida d’aiuto. L’ascensore rimane fermo
davanti all’entrata della
miniera, nascondendo il cielo e creando un senso di claustrofobia in
tutti noi.
«Se
rimaniamo
vicini all’uscita riusciremo a rimanere in vita»
sussurra qualcuno, poi accade
l’irreparabile.
Dal
vano
ascensore arrivano rumori terribili e pochi istanti più
tardi ecco salire una
fiammata che uccide i poveri sventurati che si erano sporti per
osservare
quanto stava succedendo.
Noi
sopravvissuti cerchiamo di ripararci in ogni maniera.
Le
esplosioni si
fanno via via più ravvicinate finché il rumore
non diventa assordante.
Mi
rannicchio
contro una parete e mi copro le orecchie con le mani.
Nella
mia mente
cominciano ad affollarsi pensieri ed immagini.
So
per certo che
quest’esplosione è frutto di un complotto,
d’altronde la maggior parte degli
uomini che lavora in miniera con me non esita a cacciare di frodo e a
rivendere
la merce al mercato nero, pur di guadagnare qualche soldo in
più.
Mi
torna alla
memoria una frase che mi disse mio padre.
«
La
via più rapida per porre fine a una guerra è
quella di perderla ».
Lo
diceva sempre
per cercare di blandire
il mio spirito
sovversivo e la mia indole ribelle.
«Mi
dispiace
papà. Muoio perché non mi sono mai
arreso» sussurro.
Poco
prima che l’ultima
carica mi uccida vedo chiaramente la mia piccola Katniss.
È
una donna
adulta e guida i Distretti alla rivolta contro Capitol City.
In
una mano ha l’arco
che le ho costruito qualche tempo fa, nell’altra
c’è la bandiera di Panem.
Da
lei non
potrei aspettarmi altro.
Spero
solo che
la mia fantasia possa diventare realtà e che le mie bambine
possano finalmente
vivere in un Paese di uguaglianza e di rispetto.
Sorrido,
mentre
il calore delle detonazioni mi spoglia del mio corpo mortale,
portandosi via la
mia vita.
Una
sola lacrima
mi scorre sul viso.
Una
lacrima di
rammarico, per non aver visto crescere le mie bambine.
Una
lacrima che
pulisce il mio viso dalla polvere nera del Distretto Dodici.