Snake - Don't touch the heart
Nella classifica delle priorità ho scelto al primo posto la libertà.
Ma questo non mi ha impedito di aver scelto lui,
lui che milioni e milioni di volte ancora sceglierei,
perchè non c'è niente che può darti di più di un amore grande,
che sposta il senso di libertà,
che si fa profondo come gli occhi di un saggio,
e semplice come un bambino, chiaro come un mattino.
Io
sono un serpente, e in quanto tale io sono sfuggente, viscido,
schivo. Non puoi prendermi o catturarmi, le mie zanne velenose
segnerebbero la tua fine, non puoi sognarti di trattenermi, sono un
predatore che s'avvinghia solo alle prede.
Eppure, com'è che con
te è andata in modo diverso? Non ho mai trovato così assurdo e
inspiegabile un ribaltamento di ruoli, un legame in cui il carnefice
diventa la vittima.
Io
sono libero. Non discutiamo degli uccelli nel cielo, dei pesci nel
mare, dei selvaggi animali della savana. Sono io, Ichimaru Gin, ad
essere la creatura libera per eccellenza, sono io ad essere le regole
bruciate e infrante, i codici violati e ignorati, sono io ad essere
il cattivo senza maschera, il pokerista senza schemi. Io non vivo in
funzione degli altri, delle convenzioni illogiche ed irrazionali. Io
vivo secondo il mio istinto, la mia voglia di cacciare, vivo seguendo
le mie spire senza timore, perchè so che mi porteranno dov'è il mio
posto.
Ma tu dimmi, Sōsuke,
per quale motivo m'hanno portato da te. La tua strada e la mia si
sono incrociate da tanto, molto tempo. Ero solo un bambino, quando
t'ho visto per la prima volta. Ero sporco di sangue, la spada in mano
e il sorriso sulle labbra. Avevo ucciso una persona, ero fiero di me.
Ma tu, Aizen, dentro di me hai fatto tremare qualcosa.
Forse
t'ho scelto, lo devo ammettere. Nonostante la cosa mi giunga come una
specie di dominio ubbidiente, la mia anima è sottomessa alla mia
mente. Forse una parte di me ti desiderava, ti voleva conoscere e
scrutare. Un curioso lembo del mio subconscio, probabilmente, voleva
svelare il segreto di una creatura che tanto lo intimidiva. Sai,
capitano, a me non faceva paura nessuno. Ma allora tu cos'eri, per
accendere in me quel sentimento tanto strano? Cosa potevo fare, se
non odiarti e amarti al tempo stesso, alla ricerca di quel prezioso
segreto che ti avrebbe reso spiegabile ai miei occhi?
Iniziai
a seguirti, a spiarti, a monitorarti. Cercavo i tuoi punti deboli,
crescevo al tuo fianco studiandoti e osservandoti, senza perdere un
singolo passaggio. No, Aizen, tu non mi sorprendevi quando non mi
guardavi. Ma bastavano i tuoi occhi, i tuoi maledetti occhi castani,
per dimenticarmi tutto, per tornare al punto di partenza. Eri un buco
nero, una tromba d'aria. Risucchiavi ogni cosa, al tuo passaggio,
senza lasciare il tempo di difendersi, di scappare, di provare a
nascondersi. Non trovavo strano che quell'Hinamori si fosse
innamorata di te. La tua facciata da santo era amabile e lodevole,
perfetta, oserei dire.
Eppure io ti amavo, e ti conoscevo per
quello che eri davvero. Perchè è questo il punto, capitano, io ti
amavo anche nel tuo peggio, ti amavo mentre ti vedevo far danzare la
spada, recidendo una vita. Ti amavo mentre ti vedevo pianificare un
crimine, mentre ti ascoltavo parlare di morte e distruzione. Che
fosse la mia cieca ossessione per te questo non so dirlo. L'unica
cosa certa è che se qualcuno avesse tirato indietro l'orologio la
mia scelta sarebbe stata la stessa, immutata nonostante la conoscenza
di quello che sarebbe accaduto.
Non
era troppo difficile immaginarlo. La nostra non era una relazione,
anzi, forse era la cosa più lontana dal concetto di “stare
insieme”. Non c'era contatto fisico, soltanto parole che restavano
sempre sul formale. Ma a me andava bene. M'andava bene rimanere così,
in quel modo, m'andava bene rimanere libero. Non avevo vincoli, e
questo mi faceva sentire soddisfatto e sicuro. Ero libero di fare ciò
che ritenevo migliore, unica restrizione quella di non sgarrare dal
tuo ordine generale. Ma andiamo, Sōsuke,
quella non era una regola, per me. Era qualcosa che io facevo, di mia
spontanea volontà, e la facevo soltanto per te.
La nostra non era
una relazione. Eppure a me piaceva. Eravamo legati, nella mia mente
ricoperta di squame, eravamo insieme come piaceva a me. Senza schemi,
senza obblighi, liberi di fare la propria vita, nonostante ci fosse
di fondo un particolare legame che non se ne sarebbe mai andato.
Non
so cosa sentissi tu, quando mi guardavi negli occhi, dopo una
missione, dopo un omicidio, o dopo il tuo solito té. Ma son sicuro
di quello che sentivo io.
Durante
il mio lungo errare da solo, da bambino, ho imparato che il destino
esiste, e agisce su ogni nostra azione, determinando chi siamo meglio
di qualsiasi altra cosa. Ho imparato che il destino lega e separa, ma
anche quando una catena è stata spezzata, anche quando due persone
prendono due percorsi diversi, sulla crosta terreste rimane il segno
delle loro impronte insieme, il segno del loro passaggio come anime
unite. E un giorno, il destino le riunirà ancora, in un'altra vita,
in un'altra epoca, in un altro corpo. Le anime rimarranno ad essere
le stesse, segnate con lo stesso marchio, unite dallo stesso filo,
non importa quanto tempo sarà passato, cosa sarà successo.
Anche
noi siamo così, Aizen? Anche noi siamo due anime che erano destinate
a rincontrarsi, ad avere un contatto?
Pensai
così, per molto tempo, sicuro del mio punto di vista. Non mi
mostravo, ma il subbuglio che provavo quando ero con te era sempre
maggiore. Eppure, quel destino che tanto avevo osannato e lodato, che
avevo ringraziato silenziosamente per anni, aveva girato la punta
della spada contro di me. Ed era pronto a pugnalarmi dritto al petto.
Ma tu che tutto prendi e butti quando vuoi
c'è qualcosa che non avrai mai.
Me
ne accorsi dopo diverso tempo, ad essere sincero. La luce che ti
circondava, nella tua maschera di bonarietà e dolcezza, aveva
raggiungo anche i miei occhi, facendomi perdere di vista il cammino.
Io
ero un serpente, Aizen, ma anche tu avevi un veleno. E il tuo era
molto più pericoloso del mio, perchè lo diffondevi senza morsi,
senza odio, ma soltanto con l'amore, le false speranze, le promesse
fasulle. Il mio veleno era creato per uccidere, il tuo era nato per
far soffrire.
Per
la prima, vera volta, dubitai seriamente dei tuoi intenti. Eravamo ad
Hueco Mundo, parlavi con i tuoi Espada. Nelle tue parole, forse un
po' attutite dal sorriso, c'era un avviso altisonante e lacerante.
Sotto le righe, stavi dicendo loro che non erano altro che un mero
oggetto da distruzione, paragonabile ad un cannone, ad una spada, o
ai loro sottoposti morti senza alcuna dignità.
Non
tutti compresero, anche se colsi negli occhi di molti il cieco
desiderio di stapparti qualcosa dalla faccia. Lo so per certo,
sentivo il loro odio. Ma ancor di più, sentivo una strana sensazione
dilaniarmi il petto.
Gli
Espada erano solo armi. Gli Espada erano tuoi alleati. Quindi io, che
ero tuo alleato, che cos'ero? Ero anch'io soltanto un arma, un mezzo
per arrivare alla vittoria?
Era triste e brutto ripensare a tutti
i momenti in cui io, quasi senza accorgermene, ero stato felice con
te, credendomi qualcosa di sopraelevato, qualcosa posto sotto alla
tua ala, il grado privilegiato della scala. Era brutto rendersi conto
che, senza troppi dubbi, io ero paragonabile a quei dieci seduti al
tavolo, pallide imitazioni di umani svuotati dall'anima.
La
tua maschera lentamente andava sgretolandosi. E provavo dolore,
scoprendo ciò che eri davvero. Provavo dolore nel riconoscere che
anche io, come chiunque altro, non ero mai stato un tuo alleato, ma
un tuo succube. Il mio odio contro di te s'era ritratto, alla luce
del tuo splendore, della tua perfezione inimitabile. Ma quanto avevo
sbagliato a lasciarmi condizionare, a lasciarmi manipolare. Aizen, tu
bramavi il potere, ma quello che davvero volevi era l'anima. Perchè
tu, nel tuo profondo, non l'avevi per davvero. Non c'era un cuore nel
tuo petto, c'era solo un cieco, disperato bisogno di dominare, di
controllare, di monopolizzare per far cadere ai tuoi piedi.
Io ero
tuo succube, ma non ero il solo. Anche tu eri succube di te stesso.
Giù le mani dal cuore, non puoi colpire se non lo vedi.
Usa tutto il tuo potere, tanto non avrai mai qualcosa in cui non credi.
Giù le mani dal cuore, non puoi capire se non lo senti.
È un vento trasparente, luce dell'orizzonte dove io mi perdo
e tu non ci sei più.
Il
cuore, capitano, tu volevi proprio il cuore. Non era solo Ulquiorra
ad esserne incuriosito, non era solo Grimmjow ad esserne quasi
disgustato. Anche tu, esattamente come loro, ne eri attratto a tuo
modo e lo bramavi. Come sempre, l'anima desidera ciò che le manca,
ciò che non ha e che vuole ottenere.
Ma
come speravi, Aizen, di sconfiggere quei ragazzi venuti direttamente
dalla Soul Society per riprendersi la loro amica Orihime? Come
avresti sperato di batterli, anche in una battaglia futura, se non
sapevi e non volevi capire che cos'era, ciò che li muoveva, e che
muoveva me?
Il tuo agire era dettato dal potere, il loro e il mio
dall'amore. Non l'hai mai capito, vero? Dubitavo l'avresti mai fatto,
anche nell'ora della tua fine.
Non
avevi speranze. Me ne resi conto quella sera, a pensare al buio nella
mia stanza. Mi accorsi semplicemente di cosa teneva in vita quella
rossa Fullbringer, cosa le dava la forza di sperare nonostante la
situazione sembrasse critica. Il cuore, l'amore per i suoi compagni.
Lei era unicamente, innocentemente sicura che avrebbero vinto. E
iniziavo ad esserlo anche io.
Non
potevamo combattere, capitano, non potevamo vincere. Non eravamo in
grado di sconfiggere qualcuno che basava la propria forza sul cuore e
sull'amore. Un sentimento così puro avrebbe vinto qualsiasi cosa. Lo
sapevo bene, l'avevo già sperimentato con te, ricordi? Combattere
sarebbe stato come attaccare qualcosa che non vedi, qualcosa
d'astratto, del quale non conosci né l'aspetto né la consistenza.
Una battaglia al buio, in poche parole. E il tuo errore era di
pensare che anche il buio fosse a tuo favore.
Quella
sera, rigirandomi nel letto, fui certo che anche se avessi dato il
massimo, anche se avessi usato tutto il potere a tua disposizione,
non saresti mai riuscito a contrastare la loro speranza, la loro
forza che veniva direttamente dal cuore. Il pensiero mi
destabilizzava. Ero diviso, Aizen. L'odio che avevo covato per anni,
che era cresciuto nell'ombra, mentre m'illudevo d'essere amato da te,
stava emergendo di nuovo, oscurando i miei sentimenti confusi, che
nemmeno io capivo.
Me
n'ero reso conto. Tu non avresti mai potuto provare quel che io
provavo per te, perchè capire qualcosa che non avevi e che non
potevi possedere, dominandola con il tuo potere, era assolutamente
impossibile. Non c'era un cuore in quel petto scarno, non c'era amore
dentro a quella gabbia toracica. C'era odio, e c'era la luce della
tua facciata, che sommergeva tutti, me compreso, ponendoti in una
posizione quasi divina.
Fui
grato e addolorato d'aver fatto un po' d'ombra in tutto quel chiarore
falso. Grato per aver finalmente capito la verità su di te, per
essermi reso conto di quello che eri davvero. Ma mortalmente ferito
nel cuore, perchè superato lo strato luminescente che doveva
avvolgerti, mi ero accorto che tu, dietro a quell'incredibile luce,
non c'eri.
Tu,
Sōsuke, avevi perso il
tuo vero essere. Eri diventato un'altra delle tue mere armi. Ed eri
utile soltanto per vincere la guerra.
Il possesso ti fa sentire grande,
ma infondo ognuno è schiavo di quello che ha, non che desidera.
Ma la ricchezza vera che ognuno ha è solamente quello che dà, che ha dentro sé.
È qualcosa che tu non hai,
che tu non avrai mai.
I
giorni seguenti passarono in maniera più o meno tranquilla. Ichigo e
i suoi continuavano ad avanzare, e avemmo qualche perdita nel nostro
esercito degli Espada. Ma non ti importava.
La
cosa più importante per te era il possesso di Las Noches. Una pedina
nella scacchiera del mondo. Eri così certo di volerlo fare, che non
ebbi mai il coraggio di far valere la mia parte che per te avrebbe
ucciso. Lasciai che l'odio mi corrodesse da dentro, lasciai che il
veleno avvelenasse il serpente. Ogni nuovo giorno erano ore che
passavo ad osservarti, minuziosamente. Notavo nuovi dettagli nelle
tue abitudini, piccoli cambiamenti a cui nessuno avrebbe fatto caso,
ma a cui io badavo.
Il
fragolo e gli altri non erano più i miei nemici. Le notti insonni
passate a riflettere m'avevano portato la risposta. Loro difendevano
il cuore, e così facevo anche io. Non potevo andare contro a
qualcuno che aveva i miei stessi ideali, nonostante ciò significava
andare contro di te. Avevo fretta di ucciderti, di finire la
questione. Nel profondo, lo so, speravo solo che la ferita nella mia
anima smettesse di far male, ed ero scioccamente convinto che
finendoti avrei curato quel taglio. Ovviamente, però, non potevo.
Non dovevo lasciarmi prendere dal momento, dal disperato bisogno di
riottenere la mia libertà. Non potevo comportarmi come un serpente
che s'era appena svegliato dal letargo, accorgendosi di essere dentro
ad una gabbia, sebbene fosse proprio così, la situazione in cui
versavo. Mi avevi incastrato, capitano, avevi incastrato tutti noi.
Con i tuoi nobili ideali c'avevi illusi, quando, alla fine, tu avevi
intenzione di salvare solo te stesso.
Ero
però segretamente soddisfatto. Sebbene non avessi un cuore, un'anima, sebbene tu non capissi che cosa voleva dire davvero “amare”
senza voler “possedere e sottomettere”, anche tu eri schiavo
della tua debolezza.
E
con questo non dico certo che eri un uomo debole, uno shinigami dalle
poche risorse e conoscenze. Tu eri molto forte, capitano, una delle
persone più forti che io avessi mai incontrato sul mio lungo e
travagliato cammino, passato a graffiare le mie spire per terra.
Quello
che volevo dire era che, nonostante la tua potenza, nemmeno tu eri
invincibile. Ti dava fastidio, vero? Lo posso ben immaginare. Doveva
essere destabilizzante sapere che, anche essendo uno dei migliori,
non potevi arrivare al cielo. Come ci si sentiva ad essere una
farfalla senza ali, capitano? Ora capisci come mi sentivo io, che
sono destinato a strisciare per tutta la mia vita, senza poter
scampare al mio destino?
Ci
ho parlato, di nascosto, con quella donna umana per la quale
Kurosaki sta combattendo. E sai cosa ti dico? La sua ricchezza viene
tutta da dentro, viene dal cuore. Lei non è forte, non è
particolarmente potente. Ma ha qualcosa che la farà sempre vincere,
senza mai cadere. È la forza di quel che prova, la forza della sua
fiducia, la forza del suo coraggio al non piegarsi. Lei morirebbe,
Aizen, per difendere quello in cui crede. Tu no, non lo faresti,
forse perchè tu credi soltanto in te.
Lei
è debole e tu sei forte. Ma lei vincerà sempre. La natura ti piega
al suo volere, uccello dalle ali tarpate, ti costringe a terra
insieme a me, e ti rende furibondo. Odi vederla librarsi nel cielo,
mentre tu sei come me, mentre non puoi fare altro che guardarla dal
basso, sognando di raggiungerla.
Lei
ha tutta la forza che le serve per vincere, capitano, mentre tu no,
non ce l'hai, e mai l'avrai, nemmeno se ucciderai tutti, rubando loro
tutta la forza che conservano nell'anima.
Una parte di me, se ti
aiutasse ad essere felice, a realizzarti, si ucciderebbe, dandoti la
forza che ti serve. Ma sarebbe inutile. Ed era quindi il momento che
io agissi.
Che
l'ombra nasconda le mie spire, capitano, che la notte celi le mie
zanne. Ti avvelenerò, capitano, esattamente come tu hai fatto con me
fin dall'inizio. Anche se ti prego di scusarmi.
Giù le mani dal cuore, non puoi comprare ciò che non si vende.
Un amore non si prende, è inafferrabile, come il vento non si arrende,
non si arrende.
Giù le mani dal cuore, non puoi colpire se non lo vedi.
È un vento trasparente e leggero,
è luce dell'orizzonte dove io mi perdo,
e tu non ci sei più.
Ci
proveresti, lo so bene. Proveresti a conquistare il potere che li fa
agire, la forza che anima i loro spiriti. Ma non puoi, capitano, non
è semplicemente qualcosa che si può ottenere come una merce. È
qualcosa di molto diverso.
Sai
cosa penso, Sōsuke? Penso
che tu, nel tuo piccolo, voglia amore. Penso che tu voglia trovare il
tuo cuore, penso che tu voglia poterlo vivere. Nel tuo profondo sei
umano, lo so bene, ma quel tuo essere è troppo piccolo, troppo
nascosto perchè possa combattere contro tutto il male che ti
avvelena l'anima.
Non
sarà solo il mio veleno ad ucciderti, capitano, ma sarà il tuo
stesso odio a bruciarti da dentro, a corrodere l'anima malata che ti
ritrovi incastrata fra le membra.
Capitano,
come puoi pretendere di sconfiggerli, di ammazzare vite per la tua
lotta, se sai anche tu che non ce la puoi fare? Non puoi colpire un
qualcosa che non conosci, non puoi lottare al buio. Non sei un falco,
capitano, non sei come me. Io nel buio sono riuscito a vedere,
serpente maledetto dal destino, ma tu non ne sei in grado, tu non
puoi farlo, perchè tu nel buio sei nato, ed è per te la luce.
Gli
uccelli che nascono in gabbia pensano che volare sia una malattia, e
la stessa cosa vale per te. Se sei nato nell'odio, non puoi sapere
cos'è l'amore. Puoi solo vagamente immaginarlo, convinto di poterlo
afferrare, ma non ne sarai mai in grado, non nelle tue condizioni. La
luce non ti raggiunge, capitano, ne sei solo avvolto, ma non fa parte
del tuo essere.
Mi
rallegro, sapendo che siamo condannati insieme. Io non potrò mai
volare, obbligato alla polvere del suolo, ma tu non potrai mai
librarti in cielo, obbligato dalle tue ali appesantite dal sangue che
hai fatto versare, dalle pietre dell'odio e del male che accumuli.
Mi
rallegro, sapendo che anche se tu m'hai paragonato agli altri, tu
stesso sei paragonabile a me.
Negli occhi miei, nei giorni miei, tu non ci sei.
E tu non ci sei più, nella realtà e nella fantasia tu non ci sei,
e tu non ci sei più.
E tu non ci sei più.
E tu non ci sei...
Un'altra
notte ancora, dopo aver avuto una chiacchierata con te davanti ad una
tazza di té, ed ogni mia certezza è stata abbattuta, perchè non so
più niente, non sono più sicuro di niente.
Dentro
di me hanno combattuto due fazioni. Ucciderti per non farti soffrire,
amarti per non ucciderti? Che devo fare, capitano, è la domanda che
mi tormenta da quando sono un ragazzo.
Nel
letto, sotto alle bianche coperte, ho fissato la finta luna nel cielo
nero sulla cupola di Las Noches. Sembra così vera, eppure è solo
un'illusione. È successo così anche fra me e te, non è vero?
Stretto
nel mio pigiama, gli occhi aperti, contrariamente a come succede
sempre, io ho fissato la luna, e ho capito. Non ci sei, Sōsuke,
tu non ci sei. Non ci sei nel futuro della Soul Society, non ci sei
nel mio. Non è solo il nostro rapporto ad essere come questo cielo
finto, tu stesso sei quella luna che ostenti con fierezza, pur
sapendo benissimo che è solo un'immagine, che una volta rotta non
rivelerà altro che un vuoto infinito.
Moriremo insieme, capitano
Aizen. Il destino ci ha legato come volevo, dopotutto.
Moriremo
insieme, condannati alla stessa terra, allo stesso veleno che ci
ucciderà dall'interno, alla stessa incompletezza che detestiamo.
Moriremo insieme, condannati a guardare quella cosa che chiamano
cuore senza poterlo davvero comprendere appieno, senza mai poterlo
vivere.
Moriremo
insieme, e anche tu, per un momento, diventerai un serpente come
me.
Angolo
dell'Autrice
Salve
a tutti, miei cari lettori!
Vi ringrazio tanto per essere
arrivati in fondo a questa storia. Appena ho sentito la canzone,
gentilmente suggeritami da Lara,
che ringrazio di cuore, ho pensato a questa coppia. Non è una delle
mie preferite, ma l'apprezzo, e trovavo che il testo fosse
completamente adatto.
Ringrazio tutti i lettori silenziosi e chi
deciderà di spendere un po' del suo tempo a recensire questa storia.
Spero di aver reso bene quello che mi trasmette Gin quando viene
associato ad Aizen. In sunto, queste sono le sensazioni che penso che
lui provi, guardando il suo “Lord” senza mai poterlo davvero
toccare
Mi sono permessa di cambiare i due "lei" all'inizio della canzone con dei "lui", giusto per non stonare troppo.
E
basta, vi ringrazio per aver avuto il coraggio di venire qui, e spero
che vi sia piaciuta!
Song: Giù le mani dal cuore – Raf
Ci
si vede presto con le nuove storie di “Season – Il colore della
tua anima.”
Bye bye ♥
Dream Catcher