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Autore: EchoRosenrot_    04/11/2013    0 recensioni
"I raggi del sole, rossi come il sangue, illuminarono la parete di quella che da allora sarebbe stata Berlino Est."
13 Agosto 1961, la mia visione della costruzione del Muro di Berlino, della conseguente divisione della capitale tedesca in Est e Ovest, lo strazio di due fratelli separati per ventotto anni, ed un tributo alle 137 anime eroiche che persero la vita nel tentativo di oltrepassarlo e raggiungere la libertà.
Fem!Prussia POV.
Accenni Ludwig/Julchen.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender
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Un sospiro.
Silenzio. Ogni suono giunge ovattato alle sue orecchie, distante, sbiadito, conferendo a quel frammento di Berlino un’aria quasi surreale. Il canto delle cicale, il vento tra le foglie, il fruscio dei capelli argentei sparsi in aria, il ritmico battito del suo cuore. Ma lei non ode alcuno di questi suoni.
Il sole illumina con i suoi caldi raggi i minuscoli granelli di polvere che numerosi volteggiano attorno a lei, creando una lieve e fittizia foschia, che alimenta l’illusione del sogno.
Sogno. O forse incubo.
Lentamente una mano si muove nell’aria, le dita affusolate e bianche carezzano lievemente la fredda e dura consistenza dei mattoni, là dove troneggia una scritta rossa come gli occhi che la osservano. Un brivido scuote il suo corpo, un brivido gelido, seguito dal caldo bruciore della carne che arde lì dove era stata dilaniata.
Un sospiro.
Silenzio. Nessuna parola. La muta e tacita contemplazione di ciò che resta di quel muro che per 28 anni separò il suo cuore dal suo corpo.
E vivido torna alla mente quella notte, in quel medesimo punto, non sola ma affiancata e trattenuta da colui che con quel gesto guadagnò il suo eterno e intramontabile odio. Quella notte, in quel medesimo punto, 52 anni fa.

Quella notte del 13 Agosto 1961.

 

Incredulità.

Fu questa, la prima sensazione che riuscì a provare. I suoi occhi cremisi fissavano con puro stupore i soldati sovrapporre cemento e mattoni, che si saldavano gli uni sugli altri, lungo il limite che aveva fino ad allora solo verbalmente separato quelle che saranno le due Berlino. Scivolavano, quegli occhi, sulle mani veloci e abili dei soldati, su quella barriera che ad ogni gesto diveniva sempre più alta, invalicabile, per poi soffermarsi sulla figura al suo fianco. Figura che placida sorrideva, con il gaudio di un bambino intento nella sperimentazione di un nuovo gioco.

Incredulità. Non avrebbe mai pensato che Russia potesse arrivare a compiere un simile gesto.

 

Consapevolezza. E con essa Paura.

La consapevolezza della realtà di ciò che stava accadendo, della veridicità delle parole di Ivan, del compimento di quel gratuito sfoggio di crudeltà. E paura. Paura della separazione, paura di essere privata di ciò che dall’altra parte della schiera di soldati e del muro in costruzione la osservava con il medesimo terrore. Il rosso del fuoco, l’azzurro delle acque si fusero in un epico incontro di quegli sguardi angosciati e segnati dal puro dolore.
-Ludwig!-
Un urlo tale da farle ardere la gola, il corpo scattò in avanti, in un disperato tentativo di raggiungere la figura devastata del fratello, una mano gelida e violenta la trattenne per un polso, ruotandole il braccio sin dietro la schiena.
-Goditi lo spettacolo, da brava-
Se chiude gli occhi riesce tutt’ora ad avvertire il sussurro di Russia contro il suo orecchio, la sua infantile risatina, il battito eccitato del suo cuore contro la propria schiena.


Rabbia.

Rabbia che sfociò in urla assordanti,  nel frenetico dimenarsi del corpo nel tentativo di liberarsi di quella presa, in lacrime che copiose solcavano il suo viso pallido e insozzato di terra e sangue.
-Sei un pazzo, Russia! Sei pazzo!-
La fredda consistenza del rubinetto si infranse veloce e violenta contro la sua guancia, aprendo sulla pelle nivea uno squarcio sanguigno, e premette poi sotto il mento, costringendo Julchen a sollevare il viso ad osservare il muro lentamente ergersi a dilaniare il suolo tedesco e l’animo di entrambi.
-Fossi in te osserverei Germania, ora che ti è possibile. Perché lo sai bene, che mai più ti sarà concesso di vederlo, da?-
Mai avrebbe desiderato concedere al sovietico la soddisfazione di ottenere le sue lacrime. Ma quelle parole, miste alla straziante visione del fratello coperto alla vista sino alla vita,  fecero crollare ogni contegno.

 

Disperazione.

Mai più avrebbe incontrato i suoi occhi, mai più le sue abbraccia l’avrebbero stretta, mai più avrebbe udito la sua voce.
-Ludwig!-
Chiamò il nome del fratello con quanto fiato aveva in corpo, avvertendo una dolente fitta al cuore nell’udire questi chiamare di rimando il suo, nel vedere la sua ira trattenuta dai soldati sovietici, le lacrime colmare quei frammenti di cielo che il divino gli aveva donato come occhi. Singhiozzò, Julchen, si dimenò tra le braccia di Russia, che alle sue spalle sorrideva divertito. Urlò ancor più forte, man mano che l’invalicabile barriera diveniva più alta, celando sempre più la figura del fratello oltre essa. Avrebbe preferito farsi strappare le corde vocali dai russi, piuttosto che smettere di gridare.
Ma Ivan non sembrava infastidito da quelle urla. E a giudicare dal sorriso, ne era forse amorevolmente dilettato.
- Wir werden uns wiedersehen, Lud! Ich schwöre es! Ich schwöre es!*-
Singhiozzò, in quell’accorata promessa, mentre l’ennesimo mattone celava alla vista gli azzurri occhi dell’amato fratello, facendola sprofondare tra le braccia della disperazione.

 

Vuoto. 

 Da quel momento, solo il vuoto.Il suo corpo esile e martoriato si accasciò sulla nuda terra fredda, e per l'intera notte rimase in ginocchio su essa, la mano di Russia tra i capelli in odiose carezze. I suoi occhi cremisi e vuoti fissavano vacui e colmi di dolore il muro sempre più alto, la luna piena e pallida illuminava il coltinuo scorrere delle lacrime sul suo viso, del sangue dalle sue labbra dolorosamente morse, illuminava l'ennesima vittoria di Ivan, la conseguente devastazione di ciò che rimaneva della Gloriosa Prussia. Il freddo della notte scivolava assassino fin dentro le ossa,ma non un tremito scosse quel corpo. Così vuota da non avvertire nemmeno il freddo. Non si mosse, nè cambiò posizione, non avvertì la sete, nè la stanchezza, nè il sonno. Nemmeno Ivan si mosse. Per l'intera notte rimase al suo fianco a godersi il dolce sapore della vittoria. Talvolta udiva ancora la voce di Ludwig oltre quel muro, e in un sussurro stentato, Julchen rinnovava infnite volte la sua promessa. -Ci incontreremo di nuovo. Lo giuro, Ludwig...-Le prime luci dell'alba furono accolte dal silenzio. Non si udivano più urla al di là del muro. E i raggi del sole, rossi come sangue, illuminarono una città divisa, due nazioni dilaniate, il sorriso di Ivan. I raggi del sole, rossi come il sangue, illuminarono la parete di quella che da allora sarebbe stata Berlino Est.

 

 -Berlino Est...-
Non si accorge delle lacrime che solcano il suo viso. Non finchè una mano calda e familiare non si poggia sul suo viso vellutato, cacciando via quelle gocce di cristallo liquido. 
-Non più, Julchen. Berlino e basta.-
Sussurra la voce di Ludwig al suo fianco. L'albina sorride, tra le lacrime, e lentamente annuisce, lo sguardo fisso sulla scritta rossa sotto la sua mano. 
-Già. Berlino e basta.-
Asserisce, voltandosi a puntare gli occhi in quelli del fratello, le labbra ancora curvate in un sorriso. Quegli occhi che non smetterà mai di osservare. Quegli occhi dei quali non sarà mai sazia.
Allontana lentamente la mano dalla fredda roccia del muro, stringendo poi con essa la mano grande e rassicurante di Ludwig, intrecciando le dita alle sue. 

137 pallottole. Una per ogni tentativo di fuga. Una per ogni volta che aveva tentato di oltrepassare quel muro, poter stringere quella stessa mano.
137 pallottole che hanno dilaniato la sua carne, 137 ferite che mostra con dolore e orgoglio, per dimostrare che mai e poi mai, in quei ventotto anni, si era arresa.
137 pallottole, dopo le quali era riuscita a ricongiungersi a colui che adesso la affianca con un sorriso.

Non hanno bisogno di scambiarsi parole o sguardi d'intesa. In silenzio, senza altro aggiungere, contemporaneamente voltano le spalle a quel che rimane del muro che troppo a lungo li ha separati, avanzando orgogliosamente mano nella mano, attraversando le vie di quella che oggi è la loro Berlino. Berlino e basta.

-Oi, Lud...-
-Mh?-
-Lo sai che ti voglio bene?-
-Ja, Schwester. Ich weiß es...**-

 

                                                               Die Welt ist zu klein für Mauern...

 

{L'angolo di Echo~

* "Ci rivedremo, Lud! Lo giuro! Lo giuro!"
** "Si, sorella. Lo so..."

Bene...non so da dove cominciare. Erano anni, ormai, che tenevo il naso fuori dal fandom di Hetalia, ma ho ritrovato casualmente questa vecchia fanfiction scritta due anni fa e pubblicata unicamente su facebook. E mi son dunque detta che avrei anche potuto renderla disponibile ad un pubblico più ampio, che magari avrebbe apprezzato, e spero davvero che sia così. Il titolo "Die Welt ist zu klein für Mauern" significa "Il mondo è troppo piccolo per i muri" e riporta una frase che fu scritta con della vernice rossa nella parte del muro che affacciava ad Est da cittadini anonimi. Ritengo che sia importante non dimenticare quanto accauduto in quegli anni, ed anche se una fanfiction i cui protagonisti sono le personificazioni delle Nazioni potrebbe non essere il mezzo più consono, questo è il mio tributo alle vittime note ed ignote che tentarono di valicare il muro.
So che Prussia potrebbe apparire OOC, ma ritengo che anche una tipa (trattandosi qui di Genderbend) tosta, arrogante e presuntuosa come lei possa essersi lasciata andare al dolore ed alla sofferenza in simili circostanze. 
Spero che il tutto sia di vostro gradimento <3
Auf Wiedersehen!}
 

  
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