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Autore: Danny_Phantom    20/04/2008    2 recensioni
Che cos'è la musica per chi la sente davvero? Possono capirlo tutti o è qualcosa riservato a pochi eletti? Dall'amica di Danny Phantom, con una piccola aggiunta di TheBlackWidow. Ryan centrica...e Ryelsi, ma solo alla fine.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ryan Evans
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Ecco qui una storia della misteriosa amica di Danny Phantom, le cui storie sono pubblicate da lui

Ecco qui una storia della misteriosa amica di Danny Phantom, le cui storie sono pubblicate da lui. Non appena Tempe potrà passarmi “Go the Distance” la ripubblicherò. Per intanto godetevi questa shot ryan-centrica… la parte finale, scritta in colore diverso, è una mia aggiunta, consentita dall’autrice.

Chiaramente abbiamo il permesso di entrambi gli autori per pubblicare le storie.

Widow&Tempe

 

The Lit and the Flow

-         tradotta da TheBlackWidow-

 

Normalmente, se si chiede alla gente che cosa è per loro la musica, i tre quarti degli interpellati risponderanno con un discorso a base di parole imbellettate su bellezza e serenità. Forse, qualcuno arriverà persino a rispondere che la musica provoca quell’ideale stato di catarsi perfetto per il rilassamento.

Se questa domanda fosse posta a Ryan Evans, lui risponderebbe con le stesse identiche parole, ma dando loro un significato mille volte più profondo: per Ryan la musica era tutto.

La musica era una via di fuga dal mondo freddo e menefreghista

La musica abbracciava l’ascoltatore nel proprio grembo e dava colore al monotono grigio che lo circondava. Anche Sharpay cercava di colorare il mondo con i suoi abiti accecanti, ma Ryan aveva capito che la musica aveva più tonalità del più grande degli arcobaleni.

La musica poteva essere trionfale, malinconica, piena di speranze, arrabbiata, nervosa e qualsiasi altro stato d’animo gli passasse per la testa.

Più di tutto, però, la musica era… felicità, felicità, felicità, semplice felicità!

La musica dava vita al mondo di Ryan.

Una canzone poteva curare la solitudine del suo cuore, ma anche rendere migliore un momento già di per sé molto bello.

Ryan non aveva una canzone preferita, perché pensava che ogni istante, ogni situazione avesse la sua particolare canzone.

Quando voleva riprovare la frizzante sensazione di gioia e di trionfo di quando Sharpay gli aveva ceduto lo Star Duzzle Award, ascoltava “We are the Champions,dei Queen.

Quando aveva bisogno di qualcosa di un po’ dolce e un po’ triste come quello che aveva provato non ottenendo il ruolo principale in Twinke Town (non si irferiva, ovviamente, al mal d’orecchie provocato dalle urla di protesta di sua sorella), gli piaceva cantare “Loch Lomond”, perché le canzoni scozzesi non passano mai di moda.

E poi c’erano quei momenti in cui ricordava a se stesso che Sharpay era comunque sua sorella e che le sarebbe sempre rimasto accanto, a dispetto di tutto e di tutti. Allora si sedeva con la sua chitarra e strimpellava “You know I will”.

Insomma, la musica con le sue parole e melodie riusciva perfettamente a descrivere ogni stato d’animo del giovane Evans.

 

Ryan capiva anche che la musica non era solo definizione di se stessa, ma anche di lui e di ciò che lui era.

Grazie alla bellezza della musica, lui sognava di battersi per un mondo migliore.

Grazie alle dolci cadenze musicali che portavano la gente al riso o alle lacrime, riscaldando i loro cuori, Ryan parlava con tono delicato e calmo, evitando sempre di urlare.

Odiava gli accordi stonati, quindi cercava con tutte le sue forze di mantenere la discordia lontana dalla sua vita.

Le canzoni tristi dovevano essere ascoltate e provate, proprio come i sentimenti.

Non sopportava le crude e ritmate fanfare, quindi cercava di evitare le ostentazioni eccessive che avrebbero potuto nuocere agli altri.

Le canzoni più belle erano quelle che non avevano in sé nulla di straordinario ma che legavano il suono di ogni strumento con quelli degli altri alla perfezione, senza che nessuno fosse più importante, senza nessuna sovrapposizione.

Per questo riteneva la popolarità qualcosa di estremamente passeggero e che fossero invece le parti più nascoste, quelle che quasi era impossibile distinguere ma la cui mancanza avrebbe cambiato il pezzo nella sua più vera anima.

 

La musica non era soltanto un mezzo di comunicazione, era una maestra di vita e sperava che, con la sua infinita pazienza, potesse insegnare anche a Sharpay la lezione che lui, ormai, aveva fatto sua. Perché per Sharpay le note dovevano essere messe insieme in modo da incarnare la perfezione alle orecchie di chi le ascoltava. Il suo cuore si allargava ogni volta che vedeva una folla intera ondeggiare sulla melodia che lei aveva scelto.

Questo era ciò che Sharpay sentiva ascoltando la musica. Il talento, la perfezione, file di note messe insieme appositamente per lasciarsi alle spalle visi soddisfatti di fan adoranti.

La musica per lei era solo un mezzo per guadagnare popolarità e amore.

Un modo per ottenere amicizia o sguardi di ammirazione.

Per Sharpay la musica non era arte, come avrebbero detto i membri dell’orchestra della scuola: era solo uno strumento come avrebbe potuto essere un martello.

 

Per Ryan, invece, la musica era tutto.

La sua maestra, la sua protettrice, la sua via di fuga. Desiderava soltanto che anche tutti gli altri potessero vederla come la vedeva lui…

Per quanto suonasse mieloso, Ryan desiderava di poter insegnare al mondo a cantare in perfetta armonia.

Ma aveva sentito i suoi amici cantare, ognuno di loro e, invece dell’affettarsi di dolci emozioni che sentiva quando era lui stesso a produrre le note, quando era la sua voce a comporre la melodia, ognuno di loro provava solo quegli evanescenti sentimenti che svanivano con il concludersi del pezzo: bisogno d’amore, rabbia improvvisa, istintiva ammirazione, fretta di felicità.

Quello che provava ascoltandoli era un acuto dolore per la distruzione di ciò che per lui era la musica ad opera di chi assolutamente non poteva capirla.

Solo una volta si era sentito felice ascoltando qualcuno dei suoi amici era stato quando Kelsi aveva iniziato a cantare “Everyday”. Cetto, forse non aveva azzeccato ogni singola nota, ma le parole le venivano dal cuore e questo era ciò che contava.

Non la perfezione del canto di Troy e Gabriella, ma la semplicità di una vera musicista.

 

Per cantare, una persona aveva bisogno di cuore, prima che di talento.

Un saggio romano, Plutarco, scrisse nel suo libro “Vite” che un buon politico poteva essere tale solo se la sua vita privata era retta come le sue idee.

Ryan sentiva che doveva essere lo stesso per chi suonava . Si doveva per forza vivere una vita corretta e piena di emozioni se si voleva che melodie e canzoni venissero dal cuore, no?

 

Per tutta la durata della sua vita e del suo lavoro nel campo dell’arte, questo fu ciò che distingueva Ryan Evans da ogni altra persona.

Quando cantava, la musica veniva dal suo cuore e visse sempre una vita come avrebbe voluto che fosse la sua musica: meravigliosa.

Ryan Evans lavorò per rendere la sua vita una vita meravigliosa, anche se non sempre le persone accanto a lui lo apprezzarono.

Perché, se avesse provato a vivere in modo diverso, sapeva che non avrebbe mai più potuto cantare davvero.

 

Kelsi si asciugò una lacrima e appoggiò sul legno nero della bara di suo marito il discorso che aveva appena pronunciato.

Ne era passato di tempo, da quando Ryan le aveva confessato ciò che la musica era per lei, all’ultimo anno di liceo. Per fare un esempio, i suoi capelli erano ancora castani e la sua pelle non era solcata da tutte quelle rughe.

Per tutta la vita quell’uomo meraviglioso le era stato accanto e ora, ora che nell’inverno della sua vita, una malattia lo aveva portato lontano, le sembrava giusto dividere con tutti coloro che l’avevano conosciuto ciò che Ryan Evans veramente era.

Perché Ryan Evans era stato tutto: marito, padre, attore, ballerino, nonno, persino.

Ma, più di ogni altra cosa, Ryan Evans era musica.

 

 

 

 

  
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