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Autore: Emily27    05/11/2013    6 recensioni
Castle si trova ad aver a che fare con la propria morte. Uno scherzo, una presa in giro o l'agghiacciante realtà?
A voi scoprirlo...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Come in Paradiso


 
Castle riemerse dal sonno, si stropicciò gli occhi e fece uno sbadiglio, poi si concesse un po' di tempo per rimettersi completamente al mondo. Era domenica, non doveva andare al Distretto e la casa era piacevolmente silenziosa, data l'assenza delle altre due abitanti del loft, la condizione perfetta per starsene a poltrire ancora dieci minuti sotto le coperte.
Quando tutto il suo essere fu sveglio e i morsi della fame si fecero sentire con un brontolio dello stomaco, Rick si alzò dal letto e indossò la vestaglia sul pigiama, dopodichè stiracchiandosi andò alla finestra per scostare le tende, facendo inondare la stanza di sole: più che di fine ottobre, quella sembrava una giornata di primavera. Prima dell'arrivo della stagione fredda, come avrebbe fatto la maggior parte dei newyorkesi quella domenica, si poteva godere ancora di quell'ultimo sprazzo di bel tempo uscendo per una gita fuori porta o una passeggiata a Central Park.
Oppure facendo un giro in moto.
Lo sguardo di Castle si fece torvo, mentre già s'immaginava Kate stretta al suo motociclista mentre sfrecciavano lungo le coste degli Hamptons. Non era il pensiero più adatto per iniziare la giornata in modo rilassato, considerò, così scosse la testa per scacciarlo e uscì dalla stanza per scendere al piano di sotto, riflettendo su come avrebbe potuto trascorrere quel giorno di libertà. Il suo stomaco gli suggerì nuovamente che innanzitutto necessitava di un'abbondante colazione, ma prima di recarsi in cucina Rick aprì la porta del loft e raccolse da terra la sua copia del New York Times, che gli veniva depositata puntualmente ogni mattina davanti all'uscio.
Non appena ebbe posato lo sguardo sulla prima pagina, strabuzzò gli occhi sbigottito. Cosa diavolo era quel titolo a caratteri cubitali che sembrava farsi beffa di lui?


 
E' MORTO RICHARD CASTLE


Senza staccare gli occhi dal quotidiano, chiuse la porta e iniziò a leggere l'articolo, e mentre scorreva le righe con frenesia il suo viso si tinse di perplessità. Sulle prime non seppe cosa pensare, non poteva trattarsi di un caso di omonimia o di uno scambio di persona, perchè ciò che aveva scritto il giornalista si riferiva senza ombra di dubbio a lui.

   
                                                                     E' morto il famoso autore di gialli Richard Castle.
                                                                     La notizia ha scosso l'intera popolazione di New York,
                                                                     compreso il Sindaco, la cui amicizia con lo scrittore
                                                                     era ben nota. Castle, che da tempo collaborava 
                                                                     attivamente con la detective Kate Beckett e la sua
                                                                     squadra del Dodicesimo Distretto, è rimasto vittima
                                                                     di una sparatoria avvenuta nel corso delle indagini
                                                                     per un omicidio. Da quanto accertato, lo scrittore
                                                                     è rimasto ferito nel tentativo di salvare la vita alla
                                                                     detective Beckett, alla quale è ispirato il personaggio
                                                                     di Nikki Heat, la celebre eroina dei suo romanzi.
                                                                     Le condizioni di Richard Castle sono apparse fin da
                                                                     subito gravi, ricoverato il NY Presbyterian, il suo
                                                                     cuore ha cessato di battere dopo tre giorni in terapia
                                                                     intensiva. Castle lascia la madre Martha e una figlia,
                                                                     Alexis. Tutta la redazione del New York Times si
                                                                     unisce al dolore della famiglia e del Dodicesimo.



Come... Quale sparatoria? Beckett in pericolo di vita? Lui, morto? Com'era possibile che un quotidiano di quel calibro avesse scritto una tale assurdità? Rick, sempre tenendolo in mano, andò a sedersi sul divano scuotendo la testa: quella era bella. Sfogliò il giornale, le cui pagine riportavano le solite notizie di cronaca, economia e cultura, tutto nella norma. Non riusciva a darsi una spiegazione di quell'articolo in prima pagina che raccontava della sua morte.
Poi all'improvviso ebbe un'illuminazione.
Di lì a pochi giorni sarebbe stato Halloween e qualcuno doveva aver deciso di fargli uno scherzo in anticipo, un po' macabro, ma pur sempre uno scherzo. Ragionando su chi avrebbe potuto architettare quella burla, ebbe la seconda illuminazione.
“Ryan ed Esposito!” esclamò battendo il dorso della mano sull'inquietante articolo.
Si era ricordato che un amico di Kevin lavorava proprio per il New York Times, sicuramente il poliziotto doveva avergli chiesto il favore di stampare quella prima pagina soltanto per lui. Uno scherzo originale e ben riuscito, anche se solo per una manciata di minuti, un lasso di tempo più che sufficiente ad una mente come la sua per arrivare alla conclusione a cui era giunto.
Trionfante, si complimentò con se stesso, mentre gli tornava in mente un ulteriore particolare. Un paio di settimane prima Beckett, dopo che lui si era esibito nell'ennesima esaltazione del proprio ego, lo aveva canzonato, affermando che se fosse morto gli avrebbero riservato soltanto un breve trafiletto nell'ultima pagina del New York Times. Ryan ed Esposito avevano sogghignato a quella battuta e Javier si era poi rivolto a Kate dicendo: Ti sbagli, Castle sarebbe capace di tornare dall'Aldilà per farsi mettere in prima pagina.
Da lì probabilmente era nata l'idea. Doveva chiamarli, quei due mattacchioni, così prese il cellulare che si trovava sul tavolino davanti a lui e, tenendo il quotidiano sulle ginocchia, fece partire la prima telefonata al numero di Ryan, il quale però non rispose. Rick tentò quindi con Esposito, ma ottenne solo un'altra serie di squilli a vuoto. Forse erano in giro a godersi la bella giornata o stavano ancora dormendo, avrebbe riprovato più tardi, nel frattempo era meglio se si fosse finalmente preparato la colazione.
Si alzò lasciando il giornale sul divano e si diresse in cucina, portando con sé il telefono. Mentre prendeva gli ingredienti per i pancakes, pensò che non vedeva l'ora di mostrare l'articolo a Beckett, magari piazzandoglielo davanti agli occhi sulla sua scrivania e accompagnando quel gesto con una battuta del tipo: Mi hanno messo in prima pagina... e senza esser dovuto tornare dall'Aldilà!
Moriva dalla voglia di farlo, e se Kate fosse stata a casa, avrebbe potuto presentarsi da lei già quella mattina. Forse il bel dottorino era stato richiamato d'urgenza in qualche sperduto angolo del mondo e Beckett in quel momento si trovava tutta sola nel suo appartamento... Una possibilità piuttosto remota, ma tentar non nuoceva. Mentre con una mano mescolava latte, uova e farina in una ciotola, con l'altra afferrò il cellulare e chiamò la detective sul numero di casa. Attese a lungo, invano. Poteva darsi che fosse uscita per una corsetta, o per andare a trovare il padre o, se non altro e ipotesi molto più probabile, la chiamata avrebbe disturbato lei e il suo motociclista. Qualunque cosa stessero facendo, si disse con un sorriso maligno.
Purtroppo, Beckett non rispose. Riprovò con Ryan ed Esposito: nulla.
Rick iniziò a cuocere i pancakes mettendo il broncio. Che scherzo era se chi lo aveva organizzato non si faceva poi trovare al telefono?
Riflettendoci però lo ritenne strano, perchè, in quanto agenti di polizia, avrebbero dovuto essere sempre reperibili nell'eventualità di un caso urgente, specialmente la detective. Tentò un'ultima volta di chiamare quest'ultima, ma quando di nuovo non ricevette risposta né a casa né sul cellulare iniziò a preoccuparsi, temendo che fosse successo qualcosa. Magari proprio a Kate, magari si trovava in pericolo e aveva bisogno di lui e non poteva chiamarlo... Forse stava esagerando, probabilmente esisteva una ragione meno tragica se nessuno rispondeva al telefono, anche se al momento non gliene veniva in mente alcuna e ciò non lo rendeva di certo più tranquillo. I pancakes erano pronti, ma non aveva più nessuna voglia di mangiarli.
Nonostante i suoi sforzi di non drammatizzare, fu preso da una crescente inquietudine, che si sarebbe placata solo una volta accertato che fosse tutto a posto. Doveva andare a casa di Beckett.
Dopo essersi vestito velocemente e imponendosi la calma, uscì di casa, ma senza prendere il giornale: quello scherzo era ormai diventato l'ultimo dei suoi pensieri.
Scese in strada aspettandosi di trovare una temperatura gradevole, invece, nonostante il bel sole che avrebbe dovuto riscaldare quella giornata, sentì freddo e si strinse nella giacca troppo leggera che aveva indossato. Guardandosi intorno, si stupì però nel notare come la gente che camminava sui marciapiedi portasse abiti non certo pesanti, qualcuno addirittura le mezze maniche. I casi erano due: o gli stava per venire l'influenza, o il Dio Apollo aveva deciso di non riscaldare soltanto lui.
Rick vide giungere un taxi libero e alzò una mano per fermarlo, ma l'auto gli passò accanto senza arrestare la sua corsa: forse l'autista, sovrappensiero, non lo aveva notato. Poco male, le strade di New York erano un alveare di taxi, non avrebbe faticato a trovarne un altro. Infatti poco dopo ne arrivò uno e Castle ripetè il cenno con la mano, ma anche questa volta venne ignorato. Perplesso, Rick seguì con lo sguardo il taxi allontanarsi. Cos'avevano i tassisti quella mattina?
Dopo altri due vani tentativi, in cui era arrivato a sbracciarsi e a saltellare, si arrese e puntò gli occhi verso un cartello poco più avanti: Subway.
Col pensiero rivolto a Kate, arrivò di corsa all'ingresso per la metropolitana e alla stessa maniera scese la scalinata, ritrovandosi sotto a Broome Street. Al momento di acquistare il biglietto dalla macchinetta, in quanto la biglietteria era chiusa, quest'ultima si prese gioco di lui non emettendo il talloncino, nonostante Rick avesse inserito la somma richiesta. Premette ancora più volte il pulsante senza ottenere risultati. Tutto si stava accanendo contro di lui.
Pur sapendo che non si sarebbe mossa, in un gesto automatico spinse nervosamente la sbarra di un tornello, ma questa inaspettatamente si aprì, consentendogli di passare oltre. Castle si voltò a guardarla come se avesse appena assistito ad un miracolo, ringraziando la fortuna che gli aveva fatto trovare un tornello rotto.
Un treno si era appena fermato alla banchina e Rick si affrettò a prenderlo. Anche se c'erano sedili vuoti, non essendoci la ressa dei giorni lavorativi, rimase in piedi per l'intero viaggio, in ansia per Beckett e impaziente di arrivare da lei. Perchè non gli aveva ritelefonato? Forse non aveva ancora visto la sua chiamata persa.
Scese alla stazione a due isolati da casa della detective e raggiunse il suo palazzo. Quando vi entrò salutò il portiere, il quale non si degnò nemmeno di sollevare la testa dal giornale che stava leggendo. Simpatico.
Salì al piano di Beckett e davanti alla sua porta suonò il campanello, cercando di convincersi che sarebbe andata ad aprirgli in perfetta forma o, nel caso fosse stata fuori, che lo avrebbe richiamato nel giro di pochi minuti.
La porta rimase chiusa. Suonò di nuovo e poi bussò con insistenza, inutilmente.
Attanagliato dall'agitazione, come ultimo tentativo provò a girare il pomello della porta, che si aprì. Castle ne rimase sorpreso e al contempo la sua preoccupazione aumentò. Era strano che la porta fosse aperta, Kate la chiudeva sempre a chiave, anche se era in casa.
Il suo cuore accelerò i battiti, intanto che sospingeva con cautela il battente ed entrava nell'appartamento, dove lo accolsero il silenzio e la penombra. Il sole, filtrando appena dalle tapparelle abbassate, non riusciva a rischiarare l'ambiente.
Poi la vide. Rannicchiata in un angolo del divano, sola e piccola in mezzo a quella semioscurità, che non faceva presagire nulla di buono.
“Kate” la chiamò in tono apprensivo, e in un attimo fu accanto a lei sul divano.
Beckett aveva la testa appoggiata da un lato allo schienale, il suo sguardo era rivolto verso di lui ma non lo guardava, era come perso nel vuoto. Nonostante la scarsa luce riuscì a distinguere i suoi occhi rossi di pianto, nei quali lesse la disperazione e dai quali lacrime nuove scesero ad unirsi alle precedenti.
Rick si sentì gelare.
“Mio Dio, Kate...” mormorò allungando una mano per posarla sul suo viso, ma quando lo fece non avvertì il calore della sua pelle umida delle lacrime.
Non avvertì niente.
Ritrasse la mano come se si fosse scottato, mentre una strana sensazione, a cui non seppe dare un nome, s'impadroniva di lui.
Fu con timore che ripetè quell'atto e con angoscia che si ritrovò a toccare nuovamente soltanto il nulla.
Kate si prese il volto fra le mani e pianse, scossa dai singhiozzi il cui suono lacerò il silenzio e il cuore di Rick.
Volle prenderla fra le braccia ma abbracciò soltanto l'aria, la chiamò e la sua stessa voce gli arrivò come un'eco lontana, il cuore gli martellava nel petto, la penombra diventò sempre più scura e opprimente, mentre il pianto di Kate sembrava non dovesse smettere mai.
Si alzò di scatto dal divano respirando affannosamente, si guardò con terrore le mani tremanti, che non sentiva più sue, e con lo stesso terrore realizzò l'agghiacciante verità.
Era morto.
Tutto ciò che restava di lui era un corpo invisibile e una voce che nessuno avrebbe più udito.
Era per lui che Kate stava piangendo.
Quell'articolo era vero, aveva sacrificato la sua vita per salvare quella della donna che amava. Non lo rammentava, non sapeva come e dove fosse successo, ma il suo cuore gli diceva che non aveva esitato neanche per un attimo.
L'unico suo rammarico era quello di non poterla più toccare, di non avere più la possibilità di vivere un amore che era certo un giorno si sarebbe realizzato, di non poter più pronunciare le parole che non le aveva mai detto: Ti amo.
Si accucciò davanti a Kate, le lacrime della quale si erano fatte ora silenziose, e provò dolore nel non poter fare nulla per alleviare il suo. Sono qui, Kate, anche se non mi vedi, e non ti lascerò mai.
Pianse. Almeno per quanto potesse farlo un fantasma, pensò accennando un sorriso, che andò a confondersi con una lacrima.
Anche se Kate non lo avrebbe sentito, le disse quelle due parole, semplici ma che significavano tutto.
Ti amo.
E le ripetè.
Ti amo.
Ancora.
Ti amo.
Ti amo...


 

Per Rick fu come svegliarsi da un sonno durato secoli, come tornare alla realtà dopo essere stato in un'altra dimensione. Il suo istinto fu quello di spalancare gli occhi, ma riuscì soltanto ad aprirli con un movimento lento delle palpebre, che sentiva pesanti al pari del piombo e che dovette sbattere più volte per mettere a fuoco le immagini intorno a sé. Si rese conto di essere in un letto d'ospedale, vedeva le pareti spoglie della stanza e una luce non invadente che arrivava da un punto alla sua sinistra, ma soprattutto vedeva il volto di Kate chino su di lui. Era pallida e le luccicavano gli occhi, di quelle che non dovevano essere lacrime di dolore, ma di gioia. Gli teneva una mano tra le sue, Rick non poteva vederle, ma sentiva la sua stretta e il calore e la morbidezza della sua pelle.
Spostò di poco lo sguardo e un monitor si offrì alla sua vista, solcato da una linea che si alzava e si abbassava. Era da lì quindi che arrivava quella serie di suoni bassi e cantilenanti che avvertiva, erano i battiti del suo cuore, scanditi da un ritmo regolare e che parevano musica per le sue orecchie. Tornò a posare gli occhi su Kate e a concentrarsi sulla rassicurante sensazione di quelle mani intorno alla sua.
Il suo cuore batteva, la sua mano sentiva: era vivo.
Debole e un po' intontito, ma indubbiamente e meravigliosamente vivo.
“Castle, come ti senti?”
La voce di Kate gli arrivò carezzevole e dolce, a quella domanda però avrebbe risposto dopo, prima c'era qualcosa che desiderava con tutto se stesso dirle, adesso che era certo potesse udirlo.
“Ti amo...”
Kate portò la sua mano alle labbra e vi posò un bacio, poi fece un sorriso che le illuminò gli occhi, il più bello che lui avesse mai visto.
“Ti amo anch'io.”
Quella frase risuonò più volte nella mente di Rick, il quale stentava a credere a ciò che aveva appena sentito.
Kate l'aveva detto. Il momento che Castle aveva a lungo atteso era finalmente arrivato. Si stupì di non vedere la linea dei battiti del suo cuore subire un'impennata.
Non rammentava cosa gli fosse successo e come fosse finito lì, anche se aveva come l'impressione di saperlo, ma avrebbe avuto tanto tempo per domandare e ricordare, ora voleva solo pensare che aveva tutta una vita davanti da vivere con Kate.
Adios Mr. Motocicletta.
Forse era davvero morto e quello era il Paradiso.

 
Credevate che avessi fatto morire il nostro Richard? Non potevo, amo troppo gli happy endings ;)
  
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