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Autore: Kia85    06/11/2013    4 recensioni
Di delusioni.
Di sogni.
Di America.
E di duelli con il cuscino.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per il primo compleanno della mia adorata paginetta, Two of us. :3

 

Pillow fight

 

 

 

“Che ci fai qui?”

La domanda provenne da un Paul decisamente infastidito, appoggiato con fare svogliato allo stipite della porta. Aveva indosso un pigiama di un bel verde giada e la vestaglia di flanella rossa.

“Dovrei farti io questa domanda.” rispose John, contrariato.

Il ragazzo più grande lo scostò di lato con un gesto stizzito e Paul lo lasciò passare senza opporre resistenza, prima di chiudere la porta.

“Ma davvero, e per quale motivo?”

John si voltò a guardarlo con le mani sui fianchi: “Che ne dici di: non ti sei fatto vedere a cena?”

Paul scrollò le spalle, incurante, fece un paio di passi verso il letto e poi vi si lasciò cadere sopra con abbandono.

"Mm, però! Sei perspicace, John.”

“Come mai? Eri… eri con qualche sgualdrinella americana?” gli domandò, senza poter nascondere un lieve tremore nella voce all'idea che Paul potesse divertirsi con qualche sconosciuta, mentre lui era in uno stupido ristorante a mangiare schifezze americane e ascoltare quegli stupidi americani che gli illustravano il programma di quella visita.

Era l'America, il suo sogno, era appena iniziato e John neanche se lo stava godendo.

Paul rise, ma senza un vero divertimento: “E anche se fosse? Non è affar tuo.”

“Non è affar- Paul?” sbottò John, sempre più irritato, “Si può sapere che cos’hai? È da quando siamo partiti da Londra che mi ignori e sei scostante con me, lontano dalle telecamere."

Paul gli rivolse uno sguardo affilato, prima di voltarsi a pancia in giù e prendere un cuscino per nascondervi la faccia.

Mmm…”

John alzò gli occhi al cielo e sospirò: bene, almeno aveva scoperto che Paul era semplicemente infastidito per qualcosa che John aveva o non aveva fatto. Se fosse stato davvero arrabbiato, avrebbe cominciato ad alzare la voce, illustrando con epiteti decisamente poco cortesi il suo problema. Per questo motivo John si rilassò un po' prima di raggiungere l’altro lato del letto e sedersi accanto alla testa di Paul. 

"Paul?" lo richiamò, punzecchiandogli la guancia con un dito, "Mi dici perché fai così?"

Il giovane scosse il capo vigorosamente.

"No. Vattene via." fu la sua risposta, soffocata contro il cuscino, come un bambino che faceva i capricci.

"Andiamo. Lo so che non vuoi davvero che me ne vada." disse e gli fece il solletico sul collo.

Paul scoppiò ridere e inclinò la testa, come a voler bloccare la sua mano tutta intenta a causargli quella sensazione insieme fastidiosa e deliziosa.

Alla fine John si fermò e lo fece voltare sulla schiena. Paul gli rimandò il suo sguardo più potente, di quelli che sollevavano senza difficoltà l'armatura di John e bum! Lo colpivano proprio al centro, dove c'era il suo cuore. E una volta lì, Paul avrebbe potuto fargli fare quello che voleva. Poteva manovrarlo come un burattino, fargli compiere cose assurde e a John non sarebbe importato, perché era Paul e perché lo guardava con quegli occhi che nascondevano promesse innocenti e peccaminose.

"Paul..." riuscì a dire in qualche modo.

"Va bene. Te lo dirò. Ma devi promettermi che non ti arrabbierai." affermò, mettendosi a sedere con il cuscino ancora stretto tra le braccia e un profondo cipiglio sul volto.

"Prometto."

Paul annuì lentamente prima di dire, "È per Cynthia."

John spalancò gli occhi: si sarebbe aspettato di tutto come risposta, che John avesse detto qualcosa di scortese su di lui, o che Paul fosse ancora infastidito per la discussione avuta sulla loro ultima canzone.

Ma mai e poi mai che il problema riguardasse sua moglie.

"Cynthia?"

"Sì."

"Perché?"

"Perché non capisco per quale motivo tu abbia dovuto portarla fin qui.” sospirò Paul, “È il nostro successo, John. Il nostro sogno, nostro. Mio e tuo, e di George e Ringo. Ma non di Cynthia. Perché hai dovuto portarla? Abbiamo un sacco di cose da fare e vedere qui. E dovremmo farlo insieme. Ma no, ora sarà impossibile perché dovrai stare con lei e io non voglio. Voglio vivere questo con te. Perché l'hai portata?"

John non sapeva cosa rispondere. Un po' perché non si aspettava una domanda simile e un po' perché in effetti, a pensarci bene, Paul aveva ragione. Doveva viverlo con lui questo sogno diventato realtà: Paul era lì quando John comprava i vinili dei loro cantanti rock preferiti, Paul era lì quando immaginava come sarebbe stata New York e la Statua della Libertà e Central Park... Paul era sempre stato lì.

Il giovane si avvicinò solo un po’ a John, le gambe ancora incrociate, il cuscino sul suo grembo, e una sola domanda che occupava la sua testa: “Perché l’hai portata, John?”

“Io…” balbettò John, guardandosi le mani, “Avevo paura.”

“Di che cosa?” gli domandò dolcemente Paul.

“Di restare solo.”

“Ma John, siamo in quattro." esclamò lui sorridendo, "Come potresti restare solo?”

“Si tratta dell’America, Paul. È ciò che abbiamo sempre sognato e ora che l’abbiamo fatta, siamo qui. Ma è così grande e anche se mi sembra di conoscerla da tutta la vita, la realtà è che non la conosco affatto. È così diversa dall’Inghilterra, così meravigliosa, così immensa… Ho paura che qualcosa di più interessante di me possa portarvi tutti via e non voglio. Per questo ho portato Cynthia. Nessuno qui potrà portarmi via lei, perché lei non l’ha sognata come noi.”

Paul accolse quelle parole con un sorriso, su cui era però proiettata una lieve ombra triste e quasi rassegnata.

“Non accadrà perché non c'è nessuno più interessante di te." lo rassicurò subito dopo.

"Neanche Elvis?" gli domandò incerto John.

Paul non riuscì a trattenere una risata e scosse il capo: "Neanche lui. Te lo prometto.”

Poi gli prese le mani fra le sue e le strinse gentilmente.

“Promesso, John. Non resterai solo.”    

John annuì lievemente e capì di essere grato che Paul si fosse arrabbiato, perché non si era accorto del vero motivo per cui aveva deciso di portare Cynthia con sé.

E ora che lo sapeva?

Cambiava qualcosa?

Forse no, anzi, sicuramente questo non avrebbe risolto nulla; ci sarebbe sempre stata una parte di John dominata dalle sue insicurezze, al di là di tutte le promesse che avrebbe potuto fargli Paul. Era qualcosa che ormai era troppo radicata in profondità e nessuno avrebbe potuto eliminarla definitivamente.

Ma poteva essere contenuta e Paul in questo era talmente bravo. John si sorprendeva sempre di vedere come Paul potesse notare cose di se stesso di cui neanche John riusciva ad accorgersi.

E per questo e per tutto il resto, John non poteva che essergli grat-

Puff!

John scosse il capo, disorientato: non capì perché all'improvviso la sua faccia si fosse scontrata con un cuscino. Sapeva solo che l'istante successivo, Paul mostrava un gran sorriso di sfida e uno sguardo divertito.

Allora John, senza pensarci su, prese il cuscino che era atterrato fra le sue gambe e lo gettò sulla faccia di Paul, il quale non perse tempo a rimandarlo addosso a lui. Il viso di John rispecchiò quello divertito di Paul, e ben presto si ritrovò a infierire sull'amico senza pietà e senza lasciare la presa sulla sua soffice arma. Con un rapido movimento, Paul  recuperò il secondo cuscino del letto e respinse gli attacchi, prima di scivolare in piedi, sul pavimento, e poter colpire John da una posizione favorita. Questi fu sopraffatto dalla foga dell’assalto di Paul e i suoi colpi di cuscino persero vigore, mentre quelli di Paul lo acquistarono, concentrandosi sul viso del nemico.

"Arrenditi, John.” esclamò Paul, quando riuscì a respingere John e farlo atterrare di schiena sul letto,  “Lo sai anche tu che te lo meriti."

"Paul!" cercò di dire John, "Basta...non...riesco...a respirare..."

Paul, come un idiota, si lasciò abbindolare dalla voce sofferente e il respiro affannato di John, e subito smise di attaccare l'amico, rivolgendogli uno sguardo preoccupato.

"John, stai ben-"

Ma John stava bene, stava così bene che ora era balzato in piedi, riversando la sua furia su Paul, il quale, preso alla sprovvista, cominciò a indietreggiare alla cieca nella stanza, mentre John infieriva su di lui.

"Maledetto bastardo!” si lamentò, “Non vale..."

"Non lo sai, Paul, che in guerra e in amore vale tutto?" ribatté John, con un sorriso malizioso.

“Me la pagherai!”

John ridacchiò per la minaccia di Paul che di minaccioso non aveva davvero nulla, e mentre si lasciava sopraffare dall’euforia dell’unico tipo di guerra che non avrebbe causato morte e distruzione, pensò che in quel momento era come se fosse tornato bambino. O forse non era davvero mai cresciuto e lo stesso valeva per Paul, che aveva la straordinaria abilità di sapersi rapportare con quel lato di John, che era il più semplice e insieme il più difficile. E questo era solo un altro dei motivi per cui insieme a lui stava bene, così tanto da non provare mai disagio, mai insicurezza, mai paura…

Cielo, era stato proprio un idiota a temere che la grande America avrebbe potuto portargli via Paul, perché in fondo sapeva che anche Paul aveva bisogno di lui, allo stesso modo, e se si fosse allontanato da John, non ce l'avrebbe fatta da solo, almeno non ora che erano appena stati risucchiati nel vortice del successo che faceva così girare la testa. E per non cadere avevano bisogno di aggrapparsi l'uno all'altro.

Chissà, forse un giorno la vita o chi per lei li avrebbe separati, ma ora non contava. Ora la cosa più importante era essere in America e vivere quel sogno con i suoi amici, con Paul. Paul che, dopo l'ultimo attacco di John, perse l'equilibrio e finì sul letto. John, gustando il dolce sapore della vittoria, abbandonò il suo cuscino a terra e con un balzo atterrò su Paul, sistemandosi a cavalcioni sopra di lui.

"Ah-a. Ho vinto io!" esclamò trionfante.

Paul sbuffò contrariato: "Comunque non vale, perché hai barato."

"Non era barare, era avere una strategia. Perché non ammetti che ho vinto io?"

Paul lo fissò con quello sguardo che infondeva un dolce tepore, e John all'improvviso si sentì arrossire e attraversare da una breve, ma sconvolgente vampata di caldo.

"Lo farò solo se tu farai una cosa per me."

"Qualunque cosa per vedere riconosciuta la mia vittoria contro Paul McCartney."

"D'accordo. Allora dimmi che ti dispiace.”

"Di cosa? Di aver vinto?" domandò, ridacchiando.

Ma Paul non sembrava altrettanto divertito. Anzi era più serio che mai, e per sottolineare ciò, con un movimento sinuoso avvolse le braccia intorno alla vita sottile di John.

"Sai benissimo di che cosa..."

E così, con le braccia di Paul che lo stringevano dolcemente, attirandolo verso di lui, John seppe benissimo di che cosa doveva dispiacersi.

“Mi dispiace di aver portato Cynthia.”

Paul sorrise radioso, come se in realtà avesse vinto lui il duello. Oh, John avrebbe dovuto davvero chiedergli quale fosse il segreto dietro il suo sorriso, perché ogni volta che gli sorrideva, c'era qualcosa in lui che scattava e John avrebbe volentieri duellato con Paul di nuovo, usando questa volta, la sua bocca al posto del cuscino.

“Dimmi che vuoi baciarmi.”

John ridacchiò, un po' perché Paul l'aveva fatto di nuovo, aveva letto nei suoi pensieri, e un po' perché, “Quante domande del cazzo che stai facendo, McCartney."

“Avanti, John.” esclamò Paul, dandogli un pizzicotto sul fianco.

John si contorse lievemente sopra di lui e rise, sapendo di essere impotente a qualunque richiesta di Paul, soprattutto una come questa, che rispecchiava con perfezione il suo desiderio.

“Va bene, va bene.” sospirò John, appoggiando le braccia ai lati della testa di Paul e soffermandosi solo un istante per guardarlo, prima di ammettere, “Voglio baciarti.”

“E perché non lo stai facendo?” domandò Paul, mettendo il broncio.

John sorrise e chinò il capo, così che ora la punta del suo naso sfiorasse quella di Paul.

“Sai, Paul, questa è la prima cosa intelligente che tu abbia detto questa sera.”

Paul sbuffò contrariato, mentre avvolgeva le braccia intorno al collo di John, "Veramente anche quella di Elvis non era male."

John scosse il capo con convinzione e gli rivolse un profondo sguardo di biasimo: "Quella era pessima. Te lo assicuro, è questa la cosa più intelligente."

“Oh beh, allora sarà meglio festeggiare l’evento.” commentò Paul e cercò di baciarlo, ma John si tirò indietro solo un po’, giusto per non dargli questa soddisfazione.

Non aveva dimenticato che era stato lui a vincere il duello, di conseguenza sarebbe stato lui a reclamare al momento giusto il suo premio.

“Qualche idea in proposito?”

“Sì, e sai, prevede che uno dei due tenga la testa sul cuscino."

"Giusto.” esclamò John, afferrando il cuscino di Paul e sistemandolo sotto la sua testa, “Io direi che tocca a te."

"No, tocca a te."

"No, Paul, ho vinto io, tocca a te."

"Oh, d'accordo. Hai vinto tu." sospirò infine Paul, prima di essere baciato da John, “Tocca a me."

 

Note dell’autrice: una storiellina senza tante pretese per festeggiare un anno di questa pagina.

L’idea è nata ovviamente dalle foto in cui i Beatles si prendono a cuscinate e da un discorso che mi ha fatto kiki, sul fatto che John si fosse portato Cynthia a New York. Era un bellissimo spunto da cui partire.

Per cui ringrazio kiki e anche mamogirl per la consulenza.

Spero vi sia piaciuta.

Kia85

 

 

   
 
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