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Autore: Rage Ramone    07/11/2013    5 recensioni
Ennesima fanfiction sul rehab di Billie, scritta quest'estate ma pubblicata solo ora perché sì.
Le het che aggirano il fandom mi fanno venir voglia di procurarmi un organo maschile e sfondare il culo al primo malcapitato che incontro per strada e/o pubblicare Bike bc yes.
Se anche tu hai bisogno di angst, slash e cose gay MOLTO GAY sei nel posto giusto, vieni, c'mon, avvicinati.. muaahahah! *si ricompone*
Dal testo:
"Non si può mentire ai bugiardi, Armstrong.
E non c’è speranza per gli illusi, anche se si sa che la speranza è sempre l’ultima a morire."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tracksounds: Bohemian Rhapsody, Queen; Beautiful Lie, 30 Seconds to Mars.

Note: Rage Ramone ogni tanto ritorna. Vi sono mancata? *schiva i pomodori* Uhm, sì, questo è deeecisamente un no.
Volevo condividere con voi questa fan fiction, l’ho scritta quest’estate ma mai pubblicata per motivi di forza maggiore, ovvero:

Non mi piace, il mio stile è mutato, nel corso di questi pochi mesi, ma non è quello che uso attualmente, quindi sono personalmente insoddisfatta, ma è sempre così quando scrivi qualcosa di relativamente vecchio.
 
  1. - È la millemillesima fan fiction sul rehab di Billie Joe e, ad un anno passato, non mi andava di riprendere l’argomento.
  2. - Non sono più in grado di mettere piede in questo fandom perché non ce la faccio, punto.
  3. - Sono nel mio periodo destieldestieljohnlockdestieldestieljohnlockdestieldestieldoctorwhodestielfrerarddestieljohnlock e shippare qualcos’altro è doloroso, ma mi mancava scrivere Bike, così ho sistemato la fic ed eccomi qua a scassare il cazzo a tutti voi, mie amate personcine eterossessuali. Sì, eterosessuali perché le het che appestano il fandom sembrano tutte uguali e io le odio. L'ho già detto e lo ripeto: mi fanno venir voglia di scopare donne, cazzo. Peace. <3
 Buona lettura, che possa lo stomaco sostenervi eccetera, biscotti ai recensori e polpettine di soia alle personcine a dieta. (vi penso sempre, io)
Rage




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A Beautiful lie to believe in



Il sole tiepido delle cinque filtra dalle tende azzurrine appese alla finestra, le vedi fluttuare leggere nonostante non soffi un alito d’aria.
Non sei riuscito a prendere sonno neanche questa notte, così come le precedenti.
Ti risulta davvero impossibile riuscire a dormire tra le mura di quella clinica, nella quale ti sei fatto “deportare” volontariamente, ma che vorresti lasciare alle spalle, scappando via, lontano, senza una meta precisa. Anche se, in verità, una meta  ce l’avresti e la raggiungeresti più che volentieri: casa tua.
Ti alzi, facendo cigolare le molle del letto in modo a dir poco mostruoso e così facendo, irrompendo nello squallido silenzio che regnava nella stanza fino ad un momento prima, fendendo l’aria con quel rumore metallico.
Cammini lentamente verso il vetro appannato dal freddo, la schiena ricurva. I passi che rimbombano tra le mura spoglie, l’aria che, lì dentro sa di chiuso, appesantita da quell’insopportabile odore d’ospedale.
Scosti con un dito il lino azzurro, permettendo ai primi raggi del mattino di colorare quella squallida camera di rosa e arancio.
Apri la finestra e il tepore della tua California ti si getta in viso. Un brivido freddo t’attraversa, irrigidisce le tue guance, morbidamente avvolte in un’ispida  barba incolta.
L’inverno è arrivato anche nella calda Los Angeles, e sente la mancanza del suo sole. Il vento gelido invade completamente la stanza, lo stesso che da bambino osservavi carezzare le fronde, afferrare le foglie, striminzite dal freddo, e staccarle dal proprio ramo.
Le osservavi posarsi tranquillamente sul suolo, morte, inermi. Ammiravi quello stesso vento, aspettando che le trasportasse via, lontano dalle loro sorelle, ancora vive, anche se non per molto. Strappate così brutalmente dalla loro casa, come tu eri stato strappato dalla tua famiglia, costretto a farti portare via da loro, la tua unica medicina, e per giunta di tua spontanea volontà.
Incredibile come la California, senza il suo sole, non sembri più lei. Il paesaggio cambia, la gente calda e accogliente scompare.
Rimangono solo le sabbie ghiacciate e il vento proveniente dal Canada che spazza via ogni cosa.
Così come, anche tu, non sembri più lo stesso senza il tuo sole, il biondo sole che richiama le dorate sfumature del grano, i campi nel quale scorrazzavi con lui, da piccolo.
Lui, che sai di aver deluso. Lui, che anche in capo al Mondo era riuscito a farti sentire a casa, tra le sue braccia. Braccia amorevoli, una stretta calda, paterna.
Lui, che era l’unico sole che potesse illuminare la sua vita, l’unico abbraccio che  poteva realmente scaldarti. L’unico sguardo in grado di farti sciogliere.
In lontananza il mare, quel mare tanto azzurro e freddo, la voglia di essere accolto tra le sue onde, annegare dolcemente nel loro schiumoso abbraccio, il suo freddo bacio della buona notte.
Deglutisci, perché quel mare dall’essenza gelida ti ricorda tanto casa, e se casa è dove si trova il tuo cuore, in questo istante,  è tra le braccia del tuo uomo, così com’è stata negli ultimi tour, così com’è sempre stato fin dall’inizio. Quando una strada sterrata accanto ad una ferrovia era sicuramente più accogliente e confortante, se messa in confronto con quella nella quale risiedevi, al tempo.
Le striature arancioni dell’alba si specchiano sulla superfice delle sue acque, abominevolmente piatte. Sei distrutto, perché quei giochi di luce ricordano tanto i suoi occhi arrossati, preoccupati, consumati dal pianto, nel momento in cui, un mese fa, due paramedici e uno sbirro italiano ti hanno scortato fuori da quella camera d’albergo, arredata nel tipico stile bolognese. Proprio come piaceva a lui.
Socchiudi gli occhi, pizzicati dalle lacrime, il suo sguardo ti abbaglia. Non riesci a vederlo, però, distrutto, deluso o sconfitto, lo rivedi sorridente, raggiante, orgoglioso di te. In tutto il suo splendore. Proprio come lo vuoi ricordare.
Proprio come lo ami.
Come quando, agli inizi, da ragazzini terminavate un concerto, lui ti offriva una bottiglia di birra, e, con voce profonda, disarmante, ti sussurrava all’orecchio:
“Sei stato bravissimo, Billie Joe. Sono fiero di te.”
Quegli occhi che hanno letteralmente tirato fuori le parole che usi nei tuoi testi, quelle parole che il Mondo ha riconosciuto come poesia pura. Sono loro la vera poesia, sono loro tutte le parole che non riuscirà mai ad articolare né tantomeno a mettere per iscritto.
Perché non esiste una melodia abbastanza dolce e profonda da poter imitare la sua voce. Non esiste ritmo paragonabile a quello del suo cuore fragile, ustionato, deluso, ma che tu ricordi come innamorato, che scalpita come un cavallo selvaggio nel vedere le tue mani trafficare con i bottoni del suo pantalone, agitato e fremente come sui palchi del Mondo, gli stessi palchi sui quali vi siete baciati, avete suonato, siete diventati ciò che siete ora, ciò che ti ha reso insonne, costretto alla dipendenza da quelle pillole.


Quando non riuscivi a dormire e lui era accanto a te.

Quando ti rigiravi nel letto e lui era a spassarsela con la signorina della reception.

Rivedi il suo sguardo eccitato, i brividi sottopelle provocati dai tuoi tocchi attenti, precisi, ormai diventati automatici. Perché solo tu sai cosa vuole davvero. Sollevi lentamente le palpebre, sospirando  malinconicamente, assaporando l’acre odore di salsedine proveniente dal lontano orizzonte. La brezza mattutina ti pizzica le labbra screpolate, che si dischiudono delicatamente, quasi con accortezza, pronunciando quel nome:
-Mike…-
La tua voce è scossa da un singhiozzo, il suo nome è pronunciato con estrema dolcezza, come se stessi rivelando il nome dell’ottava meraviglia terrestre. Il nome di un santo, una preghiera.
Malinconia, amore, sogno e nostalgia. Il tuo cuore è come immerso in un profondo oceano blu, a combattere contro gigantesche ondate di emozioni, pur sapendo che non riuscirai a restare a galla.
Sono ondate fredde, gelide come lui, come il suo sguardo. Come le sue parole, quando ti ha lasciato solo, quella sera, nel parcheggio dell’I-Heart Radio, ma che tu ricordi essere pronunciate con dolcezza, amore.
Sussurrate con desiderio e sincerità, come tutti i “Ti amo” bramati sulle tue labbra e alle tue orecchie, che nel giro di trent’anni di hanno reso pazzo, folle, bisognoso delle sue attenzioni quasi quanto l’insonnia ti abbia reso dipendente dalle tue pillole.
-…perdonami.- soffi di nuovo, prima di cadere in un doloroso pianto sommesso.
Stringi le fredde sbarre alla finestra tra le mani, la ruggine che penetra nella tua pelle ti ricorda la sua mano ruvida e callosa. L’idea che tu l’abbia deluso ti distrugge.
Ti distrugge ancor più, però, il fatto di esser chiuso lì, non poter scappare e cadere tra le sue braccia, abbandonarti, cadere tra di loro. Sussurrargli tutte le parole che avresti dovuto dirgli e che poi ti sei rimangiato, e queste parole sono per lo più scuse, promesse e suppliche. Perché, sì, sai bene che non riuscirai mai ad uscire da questa situazione. Non da solo, non senza di lui.
Supplica di restare, una disperata richiesta che canta “non abbandonarmi”, non ora che hai bisogno di sentirlo accanto a te.
Promessa di un cambiamento, e scusa per non essere cambiato affatto.
Sospiri ancora, lasciandoti trasportare dal tuo pianto liberatorio, le lacrime che s’increspano roventi nella tua barba.
Una fitta al petto, scosso dai singhiozzi.
Tiri completamente le tende e l’argentea, neonata, pallida luce del giorno intiepidisce le mura di quella stanza, ormai diventata gelida.
Sospiri, lasciando che una nuvoletta d’alito bianco si condensi al di fuori delle tue labbra.
Spalanchi del tutto le finestre e una ventata d’aria gelida ti colpisce in pieno viso, inspiri la brezza fredda proveniente dal mare, socchiudendo le palpebre pur non riuscendo a contenere le lacrime.
Indietreggi e allarghi le braccia, quasi volessi abbracciare la corrente di vento, aggrapparti ad essa e lasciarti trasportare via con lei, lontano. A casa tua.
Tra le fredde lenzuola del tuo letto, intiepidito dal corpo di tua moglie. Quel corpo che tanto hai desiderato, il luogo sacro e velato dove sono stati concepiti i tuoi figli e grazie al quale sono venuti al Mondo.
I loro occhi, i loro visi sorridenti, così simili a quelli della loro meravigliosa madre.
La brezza ti accarezza, riscalda il tuo viso con quel meraviglioso odore di salsedine.
Resti con le braccia spalancate, le lacrime che sfregiano fredde il tuo volto.
Ti abbandoni al vuoto, stai ancora abbracciando il vento, le braccia spalancate, crocifisso, un martire, un santo, cadi all’indietro,  affondando sullo scomodo materasso del letto, e quasi non senti il fastidioso cigolare della molle fendere l’aria in un doppio, fastidioso, rumore metallico che accoglie dapprima la tua caduta, poi il tuo rimbalzo.
Le tue labbra s’inebriano del tepore marittimo, trattieni il suo sapore fendendole con la tua lingua in un fluido, umido, movimento: il sapore metallico del sangue, la carne labiale che si sta spellando lentamente, una lama di gelo le sfiora, ferendole.
Per un attimo puoi quasi sentire il suo peso sovrastarti, i suoi denti addentare con ferocia il tuo labbro inferiore, con passione.
Ma quando spalanchi gli occhi e ritrovi il nulla, il tuo viso si sporca di delusione.

Oh, Billie, quando ci impiegherai a capire che è tutto un’illusione?
Quanto tempo ci vorrà prima che tu capisca che, in verità, è tutta una bugia, una distorsione della realtà che tu stesso hai creato per sopravvivere a quest’Inferno?
Quando capirai che questo tuo immenso bisogno di essere amato non corrisponde alla realtà dei fatti, che le persone che ami, in verità, sono là fuori e sono deluse da te, dal tuo comportamento a dir poco irresponsabile?
Cosa credi, dunque?
Che quando tornerai a casa, ti accoglieranno come un eroe? Che i tuoi figli ti ameranno? Saranno fieri di dire “questo è mio padre, si è fatto ricoverare di sua spontanea volontà ed ora è uscito dalla dipendenza dalla droga”?
Credi davvero che ti considereranno il loro eroe, un esempio da seguire?
Credi che Mike riuscirà di nuovo a guardarti in faccia? E Tré? Adrienne? I fan? Tua madre? I tuoi fratelli?
Ti senti amato, ti senti protetto, stretto in una fredda, rassicurante, morsa, ritrovando una sorte di calore nel gelo stesso, nell’illusione, e non ti rendi conto che hai fatto tutto questo per puro istinto di sopravvivenza, mentre là fuori, la gente che ami, sta soffrendo.
E sta soffrendo a causa tua.

Ormai sei bloccato in un limbo, tortuoso, massacrante, dove non esiste la distinzione tra fantasia e realtà. Ma è davvero questo, ciò di cui hai davvero bisogno?


Fissi il soffitto, lo sguardo perso nel nulla, i pensieri che, piano piano, sfollano la tua mente, corrono verso luoghi sconosciuti mentre gli effetti delle tue medicine e la stanchezza prendono il sopravvento: il sonno vela i tuoi occhi come un chirurgo copre il corpo freddo di un suo paziente con un telo dopo aver annotato l’ora del decesso, respiri a piedi polmoni mentre stringi tra le dita il lenzuolo gelido, ti lasci andare ad un sonno profondo, raggiungendo, nel mondo dei sogni, le braccia delle persone che ami, dove la ragione non esiste e vi è soltanto una splendida, bellissima, illusione nella quale credere, dove puoi sentire la pressione delle pacche sulla spalla di Joey, la voce di Jakob sempre più simile a quella di un uomo che ti ordina rasarti perché “pungi”, la risata di Tré, il profumo del tuo bassista e il viso sorridente di tua moglie, le sue labbra che si dischiudono e promettono di amarti per sempre, come nel giorno in cui vi siete legati per l’eternità con “sì” e infilandovi una fede al dito.
 
 


Non si può mentire ai bugiardi, Armstrong.
E non c’è speranza per gli illusi, anche se si sa che la speranza è sempre l’ultima a morire.



 
   
 
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