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Autore: IlPiccoloDarkPrince    07/11/2013    0 recensioni
In questo capitolo si parla della RICERCA dell'amore. Ovviamente, per come la vedo io e, ovviamente, tutto espresso sottoforma di una lunga metafora che parla di marinai, del suo viaggio, della sua barca in mezzo al mare, degli ostacoli che deve superare per trovare la sua isola. Il tutto è arricchito da esperienze e ricordi personali.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Preda dei venti…
 
 
“Solo fra le pieghe di un giornale
incollato come pagine sopra ad un umido bancone,
mi ritrovo fra le mani di annoiate persone…”

 
Una scena comune per certe persone. Insolita, direbbero altri. Trovarsi soli in mezzo alla gente. Se ci pensi, suona un po’ strano il concetto di solitudine accostato alla parola “gente”, che ha invece un significato opposto, contrario. Gente distratta, gente impegnata nelle sue piccole cose come leggere un giornale. Gente che scorre veloce, il risultato di un mondo che si evolve girando sempre più ad alta velocità, ad alta definizione. In mezzo a questi lampi di immagini, ci sei tu. Perso con lo sguardo ad osservare gli altri, a cogliere ogni minimo particolare, ogni minimo movimento, preso dalla curiosità, lasci perdere l’importanza del piede sull’acceleratore. Anche questo è differenziarsi dagli altri, essere diversi. Se ne coglie un’immagine quasi statica, come una fotografia, nonostante le parole descrivano altro.

Un’immagine chiara e semplice, quella che si dipinge mentre si sta viaggiando in nave. Ieri notte è stata la prima volta che ho provato la sensazione di dormire in nave. Dovrò abituarmi, è la prima di una lunga serie, credo. Sembra quasi piacevole, nonostante sia stato al bar fino a tardi a vedere donne e uomini che danzavano, uno sfrecciare di luci e ombre mentre l’alcool ti sale alla testa; nonostante alle prime luci del mattino decidi di chiudere un po’ gli occhi che non reggono più alla stanchezza, alle poche ore di sonno che ti concederai; nonostante il letto è un po’ scomodo; nonostante stare sdraiati sul letto di una nave significhi avere lo stesso moto delle onde.

E’ l’alba ormai. La stanchezza cede alla meraviglia di un paesaggio come questo della nave. Il sole emerge dalle acque, mentre osserva la scia, la schiuma lasciata dalla nave, quasi volesse lasciare traccia del suo cammino, quasi volesse farsi raggiungere.

Dentro la nave c’è altra gente sveglia come te. Gente che ride, che fuma, che si concede un goccio di primo mattino, che legge il giornale appiccicato sull’umido bancone del bar. Il barista sembra non osservare ciò che tu stai osservando attentamente intorno a te. Forse a lui non interessa, forse lui è abituato. L’abitudine ti fa dimenticare la bellezza delle cose. Dentro non è come fuori. Ma ti rendi conto che non è poi cosi malvagio osservare quella ragazza dai capelli di grano che mostra il seno pallido mentre allatta il suo piccolo bambino, mentre osserva fuori dal finestrino lo stesso panorama che fino a pochi minuti fa ha rapito anche te. Starà pensando a qualcosa. Forse al suo amato che la sta aspettando al prossimo porto. Un anziano signore passa davanti alla traiettoria dei tuoi sguardi, per riportarti indietro, nella realtà. Il tuo percorso è un altro. Il tuo viaggio è un altro. Hai un altro scopo.

Non male questo viaggio insperato. Non è cattivo prendere nota di certe emozioni. Ma il tuo scopo è un altro. Hai conosciuto l’amore e l’hai perso. Per un po’ lui ti ha parlato con una lingua che hai faticato a capire. Per un po’ ha voluto mostrarti i suoi effetti per poi sparire e lasciarsi inseguire. Ora tocca a me. Ora tocca a me cercarlo.

“Dove stai andando? - ti chiede una voce sottile - cosa stai cercando?”. Con rapidi movimenti della testa cerchi la bocca che ha appena finito di parlare. Abbassi lo sguardo e lo vedi. Piccolo. Solo. Starà giocando con i suoi amichetti e si sarà fermato incuriosito dalla tua presenza. Alcune persone hanno un alone alieno che incuriosisce. Che fa sentire la loro presenza ovunque. Forse è stato questo che l’ha spinto a lasciar perdere i giochi. Un sorriso e gli chiedi: “Come ti chiami?”. “Sono un figlio senza nome” - risponde. Com’è possibile? Tutti abbiamo un nome su questa Terra. Un casuale miscuglio di suoni che usiamo noi umani per differenziarci, per chiamarci. Mentre sto per rivelargli il mio dubbio, lui mi blocca per continuare ciò che stava dicendo. “Mia madre dice che non devo parlare con gli estranei”. Ecco la spiegazione, il frutto di mille divieti che si impongono ai figli. Eppure lui ti sta parlando, i bambini sono cosi. Fanno le cose per ribellarsi a certi schemi che gli vengono imposti, oppure perché non riescono a trattenere la loro giovane curiosità e non ci pensano due volte a fare qualcosa, a sbagliare. C’è solo da imparare dai bambini.

“Mi chiamo Andrea” - rispondo, con un sorriso amico. Non voglio fargli del male, non sono cattivo. Cerco di parlare la sua lingua, di essere semplice per tentare di farmi capire. “Andrea, ciao”- risponde – “Ma mi dici adesso dove stai andando? Che cosa cerchi? Ti stavo osservando da un po’ e sembri uno che sta cercando qualcosa”. Sembra indispettito dalle mie risposte ritardate dai pensieri. Come spiegarglielo? Come dirgli che stai cercando un senso, il senso della vita. Come spiegargli che stai cercando ciò che lui non potrebbe mai capire, non ancora, è troppo piccolo per capire l’amore. Come dirgli che stai cercando il segno che il destino ha lasciato sulla tua pelle. Ognuno di noi ne ha uno. Anche lui che adesso non lo sa, che adesso non lo vede. Gli occhi non sono ancora pronti.

Come raccontargli di questo viaggio, di com’è iniziato, di come ti sei trovato, quella mattina, nella tua camera, in quell’angolo di mondo che ti sei costruito per evadere dalla realtà, per stare solo, per sapere di esserlo, e quando ti sei svegliato da un sogno ti sei ritrovato con un pennello in mano e sporco di colori. Come fargli capire che gli occhi non credevano a ciò che avevi davanti in quel momento. Un quadro, un’isola meravigliosa che forse hai visto nei tuoi sogni e che hai intrappolato su una tela per renderla più reale, come una foto, per ricordarti dove devi andare, la fine del tuo viaggio e di come l’hai capito quando ti sei svegliato di colpo sentendo un sussurro nell’orecchio. Come dimenticare quella voce femminile che ti chiamava, che chiamava il tuo nome, il mio nome. Che ha marchiato nella mente quella richiesta di aiuto - “Andrea, vieni. Ho bisogno di te” - per dare così inizio ad un’avventura che è meno fantastica di ciò che sembra. Come raccontargli tutto senza farti scambiare per un pazzo. Non ora. Ora che ho conquistato la sua fiducia.

“Non so dove sto andando” - cominci a dire senza sapere come finire il discorso, se non proseguendolo - “una donna mi ha mandato una foto di un’isola meravigliosa, chiedendomi di raggiungerla e ora sono qui!”. Non ci crederà. Che cavolo gli hai detto? Non ci crederà. Non può crederci per quanto sia ingenuo, per quanto sia un bambino. Eppure non è cosi lontano dalla realtà. Se fosse una donna capirebbe che non stai mentendo. Loro e il loro sesto senso. Capiscono sempre prima, sempre tutto.

“Ah ho capito” - ti dice con l’aria di chi non riesce a capire - “La troverai, lo sento, ne sono sicuro. Ciao Andrea e buona fortuna”. E con il sorriso più bello che potesse regalarti, ritorna a correre e a giocare con i suoi amici. Se ne va e tu resti ancora seduto sullo sedia di questo bar. “Come fai a saperlo? Vorrei avere la tua stessa sicurezza” - sussurri mentre ti volti verso il bicchiere quasi finito. Mezzo pieno, mezzo vuoto. Il solito bicchiere.

Un ultimo sorso ti dà il coraggio di staccarti dal bancone, di scendere dalla nave. Non sai se la troverai ma ormai hai cominciato il viaggio e sarebbe un peccato non finirlo. Non sai dove ti porterà, se la troverai ma non puoi non concluderlo, sarebbe da perdenti. Il destino ti ha lasciato un segno sulla pelle, anche quel “figlio senza nome” un giorno sarà grande per vederlo, per capirlo, per conoscere l’amore.

Scendi dalla nave. Il viaggio da adesso in poi proseguirà a piedi. Arrivato sulla spiaggia decidi di costruire la tua barca. Ci vorrà qualche giorno, ci vorrà fatica ma sai che è qualcosa che puoi fare. Sai che per raggiungere quell’isola dovrai metterci tutte le forze possibili. L’energia ti verrà da sola quando ripenserai a lei, alla sua voce che ti chiama. Lei ha bisogno di te. Ti sta aspettando.

Il destino ci ha concesso un’unica donna. Ogni uomo dovrebbe saperlo e prima o poi lo capisce da solo. E’ una legge non scritta, è qualcosa che comprendiamo con il tempo, dopo il primo bacio, dopo il primo abbraccio, dopo aver avuto tutte quelle donne, dopo averle regalato un orgasmo nel vascello di un letto, dopo aver sofferto per storie non concluse, da cui sei scappato, da quelle che non hai capito, da quelle non concluse per paure non tue. Dopo aver fissato un’ultima volta negli occhi quelle donne, dicendo loro la solita frase “Scusami, non volevo”. Ma perché scusarsi se in quel letto ti sei spogliato nudo alle tue emozioni, non è un peccato lasciarsi andare, non è una colpa. Perché tutti proviamo emozioni. Anche gli animali. La differenza è che noi umani possiamo scegliere, capire, distinguere il sesso dall’amore, il piacere dal bisogno, l’emozione dall’amore.
La tua barchetta è quasi finita. Alzi gli occhi al cielo.

“..pieno di una smorfia senza velo
e diretto inconsciamente con lo sguardo verso il cielo,
sono fermo a costruire il mio ricordo più vero”
 

Senza tela, senza pennelli, senza colori, disegni con la punta delle dita ciò che ricordi del suo volto chiedendo perdono al cielo mentre lo utilizzi per costruire il tuo ricordo e renderlo più vero.

“E’ tempo di partire” - esclamo mentre guardo con soddisfazione la mia opera che già affronta le prime onde del mare che vorrebbero scacciarla di nuovo a riva.

Inizia il vero viaggio. La vera difficoltà della ricerca dell’amore. Sai già che allontanandoti dalla sabbia che ora è sotto i tuoi piedi, lascerai il tuo passato alle spalle. Affronterai notti e giorni in mare, in balia delle onde, delle tempeste insomma delle difficoltà del mare, con il poco cibo che prenderai ogni volta che ti concederai delle soste lungo il cammino, che gestirai con cura per fartele bastare mentre ti concederai ai piaceri delle isole che troverai lungo il tragitto, quando ti concederai alla curiosità di conoscerle, di visitarle.

E’ questa la ricerca dell’amore, è quella barchetta che ogni uomo butta in mare per cercare la donna che gli è stata assegnata dal destino, affrontando le mille difficoltà di un viaggio.

La forza la troverai ogni volta che penserai a quell’isola, quella che ti è stata regalata dal destino, ogni volta che penserai a lei mentre il vento non smette mai di soffiare..mai. Mentre butti alle tue spalle il passato, il tuo ieri. E quando il tuo ieri sarà distante, aprirai la vela in mezzo al mare. Affrontando l’ennesima onda, ancora un’altra tempesta, invierai al cielo le tue parole mentre rivolgi la tua mano aperta all’orizzonte, verso la tua destinazione quasi a chiedere di allungare la mano, la sua mano. Le mani si cercano. Le mani chiamano altre mani. Invierai le tue parole come gabbiani di carta per non farla sentire sola, per annunciarle il tuo arrivo, per non farla scoraggiare. Deve tener duro, stringendo i denti come te. Pensandoti lo farà. Ti sta aspettando. E’ la tua convinzione.

“E come vedi è importante..
ogni mia voglia di arrivare a te!”

 
   
 
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