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Autore: aelfgifu    07/11/2013    6 recensioni
Come è nata la strana amicizia tra Stefan Levin e una giovane scrittrice tedesca?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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Ritratto estivo di ragazzo svedese

 

7. Questi siamo noi

 

E al termine di una settimana lavorativa d’inferno, la Aelfgifu Productions vi dà il benvenuto al settimo e penultimo capitolo di Ritratto estivo di ragazzo svedese. Pronti, partenza... via!

 

***

 

[…] But taking thought,

I’d tell to myself, ʻYou need not hurry. This

is the firm good earth. All roads lie free before you’.

But my bad spirit would sneer, ʻNo, do not hurry.

No need to hurry. Haste and delay are equal

in this one world, for there’s no exit, none,

no place to come to, and you’ll end where you are,

deep in the centre of the endless maze’ […]

Edwin Muir, The Labyrinth

 

IL BAYERN MONACO SI AGGIUDICA LA CHAMPIONS LEAGUE

La squadra tedesca sconfigge il Barcellona 3-2

 

dal nostro corrispondente B.I.

 

La finale della corrente edizione di Champions League, giocata ieri sera presso l’Estadio da Luz di Lisbona, ha visto contendersi il titolo due tra le squadre più blasonate del mondo. Il Bayern arrivava dalla semifinale col Manchester Utd, col risultato di 3-1 all’andata e 2-2 al ritorno, mentre la squadra catalana proveniva da una qualificazione molto sofferta col Milan. Pronostico ancipite, date le prestazioni notevoli di entrambe le squadre durante tutta la stagione; il fattore emozione dava forse lievemente avvantaggiato il Barcellona, a causa della presenza di una tifoseria più numerosa.

Tutti gli uomini-chiave di entrambe le compagini erano presenti all’appello, non c’è stata nessuna defezione importante per motivi di salute o disciplinari. Van Saal e Frank Schneider hanno schierato le solite formazioni ormai consolidate dalla pratica e dai successi ottenuti.

Ha aperto le marcature il Barcellona, con un gol su punizione di Tsubasa Ozora al 24’ minuto; i tedeschi hanno recuperato quasi immediatamente con Karl-Heinz Schneider e uno dei suoi classici Fire shot da fuori area. Sull’1-1 la partita si è fatta più concentrata e cattiva, con il Barcellona che ha adottato una tattica difensiva fino alla fine del primo tempo e numerosi falli da entrambe le parti (da segnalare quello di Gonzales su Sho e quello del nigeriano del Bayern, Minba, su Alberto, costretto a bordocampo per dieci minuti). Poco prima dello scadere del primo tempo, raddoppio del Barcellona col solito Ozora. Il Bayern ha sofferto e lottato per gran parte della ripresa, a causa della definitiva chiusura in difesa degli avversari, nonostante le giocate in avanti sempre magnifiche e generose di Ozora, nei confronti del quale la difesa bavarese si è comportata egregiamente, con un paio di salvataggi magistrali del portiere monacese Drener. Nell’ultimo quarto d’ora, il Bayern viene fuori in maniera spettacolare mostrando gioco e orgoglio e concretizzando al 73' (Sho, su ribattuta) e uno splendido gol di testa del solito Schneider su corner alto da manuale battuto da Stefan Levin all’85'. Nell’ultima azione Schneider è ricaduto a terra sulla mano sinistra e il suo marcatore Almieja gli è rovinato addosso, provocandogli la frattura del polso. Vittoria meritatissima dei tedeschi che ci hanno creduto fino in fondo e si sono imposti anche grazie all’irriducibile ostinazione di Schneider, capace di trascinarsi dietro tutto il reparto d’attacco del Bayern; qualche rimpianto per i blaugrana che non sono riusciti a mantenere il vantaggio iniziale, nonostante la performance impeccabile di Ozora e una difesa che ha meritato i più entusiastici applausi per almeno metà della partita.

Al goleador del Bayern vanno le nostre congratulazioni e i nostri sinceri auguri di una pronta guarigione.

A pag. 3 il riepilogo dei dati tecnici e la pagella delle squadre. A pag. 4 le interviste.

 

***

 

I passeggeri del volo LHS-44557 diretto a Monaco di Baviera delle ore 10.55 sono pregati di recarsi al gate 15 per limbarco – I passeggeri del volo LHS-44557 diretto a Monaco di Baviera delle ore 10.55 sono pregati di recarsi al gate 15 per limbarco...

 

Un folto gruppo di uomini muove compatto verso il gate, saranno una cinquantina di persone, alcuni portano la tuta di rappresentanza, altri sono in giacca e cravatta. Gruppi di tifosi si avvicinano, chiedono autografi, foto, si cerca di accontentarli meglio che si può, ma ovviamente non si può bloccare l’aeroporto né tantomeno si può far ritardare un volo di linea, quindi all’orario dell’imbarco sono tutti puntualmente al gate.

Karl è dietro a tutti, con l’avambraccio ingessato, l’espressione esausta, gli occhi profondamente cerchiati e i lineamenti tirati di chi nelle ultime dodici ore ha preso varie dosi di antidolorifici. Non indossa cravatta, porta la giacca ripiegata sul braccio destro, e viene avanti parlando animatamente col presidente e con suo padre.

Quando salgono sull’aereo vengono accolti dall’applauso dell’equipaggio schierato, perfino il comandante è in piedi in cima alla scaletta e saluta tutto lo staff con grandi strette di mano. Ovviamente il personale di bordo si fa in quattro per il campione ferito: “Signor Schneider, ha bisogno di un cuscino?”, “Glielo appoggio dietro la schiena?”, “Ne vuole un altro per il braccio?”, “Ha bisogno di qualcosa di speciale?” fanno a gara hostess e steward, mangiandosi con gli occhi, chi più chi meno, quel bellissimo giovane uomo dall’aspetto provato e la mano chiusa nel gesso.

Con gli auguri del comandante Bergmann viene stappato perfino lo spumante, che ovviamente il personale di volo non può bere, ma i ragazzi se ne servono più che volentieri. E mentre una delle assistenti, una biondina dal viso anonimo e dal fisico niente male, si avvicina a Schneider porgendogli il bicchiere, col musino atteggiato a un’espressione a metà strada tra compassionevole e arrapata, Sho non resiste e deve dirne una delle sue:

“Non lo guardi come se stesse per morire, sorella, lui è il più fortunato di tutti! Eroe della partita e si farà un mese di vacanze supplementari!...”

“Cretino” commenta Karl digrignando i denti per celare una risata.

La hostess guarda storto il cinesone del Bayern, che a sua volta le strizza l’occhio.

Se non ci fosse Sho, bisognerebbe inventarlo.

Alla fine il volo riesce a partire relativamente in orario, con arrivo all’aeroporto Franz Josef Strauss previsto qualche minuto prima delle quattordici.

Nel giro di dieci minuti, il chiasso viene meno. Mentre l’aereo sorvola la penisola iberica, ognuno comincia a dedicarsi ai fatti suoi. Chi si mette ad ascoltare musica, chi commenta a bassa voce col vicino di posto i giornali sportivi di stamattina, chi si addormenta come un sasso perché stanotte, tra interviste, festeggiamenti, varie ed eventuali, il massimo che si sono potuti concedere sono state due o tre ore di sonno.

Volare è così noioso, pensa Stefan con il viso appoggiato sul palmo della mano, mentre guarda dall’oblò il solito paesaggio – nuvole, nuvole, nuvole, azzurro, azzurro, azzurro, e la terra solo una macchia marrone-verdastra indistinta sotto di loro. Fosse per lui, avrebbe preso un treno o un bus, a costo di arrivare a Monaco in due giorni.

Schneider gli è seduto accanto, nel sedile centrale; hanno lasciato vuoto il posto di corridoio appositamente per lui, semmai avesse bisogno di più spazio per stendersi o per mettere più comodo il braccio leso.

Non hanno parlato da ieri sera, da quando Schneider è comparso ai festeggiamenti con il viso esangue e stanco, sorridendo debolmente agli “hurrà” dei compagni e scusandosi per non poter essere della brigata.

“Tutto bene?” gli ha chiesto Levin col suo solito fare sintetico.

“La prognosi è di quaranta giorni” ha risposto Schneider, col suo solito fare concreto.

“Beh, ora vai e cerca di dormire” ha detto Levin.

“Sì, ora vado e cercherò di dormire”.

E siccome sembra loro che si siano già detti tutto il necessario ieri sera, oggi non si dicono nulla. Karl si sistema in modo che il suo braccio sinistro stia nella posizione migliore possibile, Levin tira fuori un libro e si mette a leggere, fino a che la stanchezza non prende possesso anche di lui che reclina la testa contro lo schienale, assopendosi. Il libretto gli rimane aperto tra le mani, ma al primo scossone dovuto a turbolenza ruzzola a terra.

Karl, fulmineo, si piega a raccoglierlo.

 

***

 

Questo, dunque, è quello che scrive l’amica di Levin, questo è quello che scrive lei... Julia.

Sfoglia il volumetto, tenendolo fermo con la mano ingessata e voltando le pagine con la destra.

Sulla prima pagina è scritta una dedica a mano, in una grafia tondeggiante che può appartenere solo a una donna:

 

Al “vero” ragazzo svedese

Prendi laccetta e spacca il ghiaccio – buona fortuna!

J.G.

 

È una bella dedica, riflette Karl, si addice a quella specie di orso del Circolo Polare Artico che, nonostante il suo aspetto angelico (guardalo lì, addormentato com’è somiglia davvero a un angioletto), dentro è peggio di un blocco di marmo, difficile anche solo scalfirlo. Chissà se ci è riuscita lei? Quando è venuta alla partita, Stefan l’ha presa per mano, cosa che non gli ha mai visto fare con nessuno... o meglio nessuna.

Senza volere, Karl incomincia a leggere. Lo stile non è noioso, e le storie... le storie sono strane. Il racconto più lungo parla di uno studente svedese, un tipo dalla vita interiore complicatissima. A margine è scritto qualcosa a matita, non è la stessa grafia della dedica; si direbbero appunti in svedese, sicuramente di mano di Levin. Accanto alle frasi sottolineate, Karl trova: Fångar. L. är ensam. Att minnas. Infine, più volte, e scritto con maggiore pressione della matita: Det är jag, det är jag.

“Chissà che vuol dire...”

“Che vuol dire cosa?...” sente chiedere accanto a lui.

Levin tiene ancora gli occhi chiusi e ha la voce impastata di sonno, ma evidentemente è ben sveglio, tanto da averlo sentito parlare a sé stesso.

Karl chiude immediatamente il libretto e lo tende al compagno:

“Ti è caduto questo...”

“Questo cosa?” Levin spalanca improvvisamente gli occhi.

“Questo” Schneider gli tende il volumetto.

“Ah... grazie” mormora lo svedese confuso, afferrando il libretto e sistemandoselo accanto. Poi riappoggia la testa sullo schienale e chiude gli occhi.

Karl esita. Per due volte apre la bocca e non riesce a parlare. Poi si decide:

“Comunque... scrive bene la tua ragazza...”

“Hmmm” risponde Levin dal mondo dei sogni. “Julia non è la mia ragazza”

Silenzio.

Come non è la tua ragazza? E allora perché tutte quelle manfrine, il posto prenotato per la partita, il fatto che mi hai mandato a farle da scorta perché ti dispiaceva che fosse sola in un ambiente sconosciuto, il fatto che dopo lhai presa per mano, cribbio Levin, lhai presa per mano!, il fatto che ti porti dietro i suoi racconti perfino nella trasferta per la finale di Champions... come sarebbe a dire che non è la tua ragazza?

“Stavolta sei cascato davvero male, Karl” conclude Levin raggomitolandosi sul sedile e prendendo definitivamente sonno.

 

***

 

Nella cucinetta illuminata dalla plafoniera al neon, due persone sono sedute a tavola e consumano la loro cena: la giovane donna dai capelli corti e il bambino dagli occhi chiari e curiosi che scucchiaia di malavoglia nella minestra di verdure.

“Robert, non fare a quel modo” dice la giovane donna.

Il bambino alza la testa dal suo piatto:

“Ma a me la minestra di verdure non mi va!...” protesta.

“Se facciamo a metà riesci a finire la tua parte?”

“...” il ragazzino mette su un’aria perplessa. Sua madre dentro di sé sorride, pensa che il suo piccolo è veramente irresistibile quando inalbera quell’espressione tra sfiduciata e scettica tutte le volte che lei non gliela dà vinta.

“Coraggio” Julia prende il piatto di suo figlio e trasferisce parte della minestra nel suo “ora testa sotto, cucchiaio alla mano e finiamo le verdure”.

“Va bene” risponde Robert abbassando il musetto. Afferra saldamente il cucchiaio a metà dell’impugnatura e lentamente, un po’ alla volta, finisce la minestra.

Terminata la cena, mentre lava i piatti, Julia permette a Robert di accendere la televisione; sono le otto e il telegiornale sta iniziando, dopo verranno trasmessi i cartoni animati.

“Sport” dice il conduttore “storica vittoria del Bayern Monaco nella Champions League. Ieri sera, a Lisbona, la squadra bavarese ha sconfitto il Barcellona per 3-2 dopo uno scontro combattutissimo fino all’ultimo secondo. Grande prova di Karl-Heinz Schneider: l’attaccante si è fratturato il polso nell’azione che ha portato al gol della vittoria... sentiamo ora le interviste in diretta di Jochen Stumm...”

Julia sente una voce nota irrompere nella sua cucina dallo schermo, una voce maschile giovane e vibrante:

“Grazie, sto bene... la prognosi è di quaranta giorni. Fortunatamente sono riuscito a finire la partita; mi dispiace soltanto di non poter giocare nella finale di Coppa di Germania...”

Julia si gira verso il televisore, le mani ancora gocciolanti d’acqua, giusto in tempo per vedere in primo piano sullo schermo uno Schneider dall’aspetto esausto che parla ai microfoni dei giornalisti.

Mamma mia come è pallido.

I giornalisti continuano a porre domande, a fare complimenti a cui il giovane risponde con serietà e cortesia.

Nicht allein mich zu ergötzen...

Julia agita una mano davanti alla faccia come per scacciare una mosca molesta.

Beh, non sono affari miei. Il guerriero acciaccato reduce dalla battaglia avrà un sacco di gente pronta a consolarlo, oltre allo staff medico che si prenderà cura di lui: perciò non ha bisogno che io mi preoccupi perché è pallido.

Intanto al telegiornale passano le riprese dell’arrivo della squadra all’aeroporto di Monaco, questo pomeriggio, con relativo assalto dei tifosi e della stampa. Uno zoom inquadra Levin, il quale, afferma la cronista prima di andargli incontro per fargli delle domande, “nonostante il marasma qui all’aeroporto, mantiene sempre il suo elegante aplomb!”

Julia fissa il televisore stupefatta, è mai possibile che quel ragazzo dall’aspetto così aristocratico e imperturbabile, che risponde ai giornalisti senza sprecare troppe parole, sia la stessa persona che ha voluto con tanta determinazione conoscerla per amore di un racconto?

Ed è possibile che laltro, il ragazzo dal portamento leonino e dalla faccia stanca che hanno intervistato prima, sia la stessa persona con cui ha guardato una partita quindici giorni fa, ridendo e scherzando?

Dal cellulare posato sul ripiano della credenza arriva il segnale dei messaggi ricevuti. Julia si asciuga le mani e fa per prendere il telefono.

“Mamma, comincia!” strilla Robert dal divano.

“Arrivo” risponde Julia. Mentre si accomoda sul divano, stringendosi istintivamente suo figlio contro il fianco, lancia un’occhiata al cellulare.

Risponderò più tardi, pensa. Poi sposta lo sguardo sul profilo simpatico e arguto del suo bambino, e di lì allo schermo del televisore, su cui incominciano a comparire cantando e ballando i protagonisti della storia animata preferita di Robby.

 

***

 

Note dell’autore. Da brava schneideriana, quando si incontrano Karl e Tsubasa devo far vincere Karl, ma espressioni come “le giocate in avanti sempre magnifiche e generose di Ozora” rendono onore al giapponese, segno che non sono poi tanto anti-tsubasiana come si potrebbe immaginare! Il “gol di Sho, su ribattuta” è un omaggio al mitico handou shu soku jin hou di Shunko, personaggio che adoro. Il secondo gol di Schneider su “corner da manuale” di Levin è invece decisamente una citazione da Road to 2002, anime & manga! Avete visto, ho fatto rompere il polso a Karlchen, in modo che nessuno dica che nelle mie fanfiction è un raccomandato... e il personale di volo che se lo magna con gli occhi perché bello è bello, e poi così ingessato fa pure tenerezza?... giù le mani da Karl, viziosi!

Levin intanto fa il sornione... diavolo di un Levin.

 

Nota al testo. 1) Ho scoperto che la finale di Champions League 2013-2014 si terrà presso l’Estadio da Luz di Lisbona e il nome di questa struttura (“Stadio della luce”) mi è piaciuto talmente tanto che ci ho voluto ambientare anche la finale di Champions League della mia storia... e non poteva essere che Barcellona-Bayern! 2) LHS è il codice della Lufthansa, la compagnia di bandiera tedesca (ecco perché il comandante stringe la mano a tutti e offre lo spumante...) 3) Fångar. L. är ensam. Att minnas. Det är jag: Prigioniero. L. è solo. Ricordare. Questo sono io, in svedese. 4) “Stavolta sei cascato davvero male...” Qui il diabolico Stefan dice una frase a doppio senso, che ovviamente Karlchen capisce benissimo *sogghigna mefistofelicamente*.

 

Disclaimer. Tutti i personaggi qui rappresentati appartengono al maestro Yoichi Takahashi, eccetto Julia, Robert e il “ragazzo svedese” del racconto, che sono miei.

  
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