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Autore: scandros    22/04/2008    7 recensioni
...E se chiuderai gli occhi, sentirai i miei passi, la mia risata, la mia evanescenza. Tutto di me, sibilerà intorno a te come una dolce carezza...
Spint off 1 di Tradimento d'Amore
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Natsuko Ohzora/Maggie Atton, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordava da quanto tempo era lì: forse qualche istante, o qualche interminabile ora

 

I giardini che nessuno sa

 

Ti darei gli occhi miei
per vedere ciò che non vedi.
L'energia, l'allegria,
per strapparti ancora sorrisi.
Dirti sì, sempre sì,
e riuscire a farti volare,
dove vuoi, dove sai,
senza più quel peso sul cuore.
Nasconderti le nuvole
e quell'inverno che ti fa male.(*)

 

 

 

Non ricordava da quanto tempo era lì: forse qualche istante o qualche interminabile ora.

No, non lo sapeva.

Ricordava, tuttavia, i tenui colori, quasi sibilati, di un’alba che aveva visto lentamente sfumare nel malva e nel pervinca e poi d’improvviso divenire d’azzurro, mentre la stella dorata, dalla linea dell’orizzonte adagio risaliva la sua volta fino a splendere ardente.

Adesso, quello che vedeva, era quell’astro che silente calava oltre la linea. Il sole si stemperava nella magnificenza di un meriggio che intingeva con assoluta maestria le sue pennellate, prima nell’oro e poi nel cremisi.

L’effetto finale era un mirabolante caleidoscopio di tonalità che digradavano l’uno nell’altra in una perfetta e abbagliante iridescenza.

Ma lei pareva inerme allo spettacolo che ancora una volta, quel sole riusciva a rimandare.

 

Instancabili, i suoi occhi sembravano seguire le fasi alterne di un giorno che aveva inizio all’aurora e terminava nel crepuscolo.

Una lacrima ricadde giù per la gota fluendo su un percorso non più sconosciuto. Lambì le labbra serrate in una smorfia di quieto dolore. Non si incresparono al tocco salino, ne si smossero per assaporarne tutta l’acre sofferenza che portavano con se.

Era lì, figura inerme, stancamente accomodata sui gradini del portico, col capo inclinato su una colonna che ben poco avrebbe potuto sostenere del suo incontenibile patimento.

Lo sguardo perduto chissà dove, oltre le nuvole intarsiate dai raggi del sole, trascinato via dall’irriverente e profumata brezza di una primavera ancora troppo gelida per il suo cuore.

Guardava altrove, chissà dove, in cerca di chissà cosa.

 

L’infinito sembrava così distante, così irraggiungibile eppure così vicino.

Abbassò per un attimo le palpebre. Un movimento lieve ma che le sembrò decisamente pesante.

La brezza parve frinire tra le ciglia scure, quasi a serrarle sulla rima inferiore, come un sigillo di tanti segreti.

L’eco dei ricordi, degli sguardi, delle immagini parve prendere il soprassalto e rivendicare il suo posto nelle iridi spente.

Riaprì gli occhi a quelle pozze velatamente ambrate sature di una nebbia che impediva di scorgere altro.

Le figure dei ricordi, dei rimorsi, dell’ira e della rabbia che ancora albeggiavano dentro di lei, riaffiorarono e con esse, le inenarrabili lacrime continuamente versate da un cuore infranto.

L’una accanto all’altra, legati da un invisibile filo che non voleva assolutamente spezzarsi e far diradare la nebbia, le foto di un passato non troppo lontano, iniziarono a muoversi in una danza confusa.

Anni che si rincorrevano fino a quell’ultima scena.

Ogni qual volta i suoi occhi ritrovavano il ristoro di Morfeo, il primo raggio di luce, al risveglio, era accompagnato dalla landa bianca e dalla figura riversa.

 

Rabbrividì.

 

Come sempre.

 

Un fremito che dalla fievole linfa, scoteva il corpo già percosso d’un dolore illimitato, fonte strana di inesauribili lacrime.

E l’immagine della superficie immacolata, della pozza scarlatta che l’intingeva quasi come un fiore prezioso in mezzo a tanta consuetudine, tornava a diradare la foschia negli occhi.

Era sempre lì.

Il profilo rimirava verso un orizzonte offuscato dagli alti alberi, ma era certa che quegli occhi scuri, riuscissero a guardare ben oltre. Scorse una lacrima, l’ultima, scender giù di lato dall’angolo dell’iride. Le labbra, leggermente schiuse, accennavano ad un sorriso.

Era strano dirlo, ma quella figura supina, sembrava in pace con se stessa.

 

La sua ultima espressione era dipinta sul profilo mentre una lieve brezza innalzava impalpabili cristalli di neve. L’atmosfera era stranamente ovattata e si beava degli ultimi raggi del crepuscolo.

Il manto era intinto in polle d’oro e giochi di ombre si alternavano trascinati dal vento.

Sentì ancora le lacrime.

Più calde, più amare, scendere dagli zigomi fino al mento, inesorabili, melanconiche, avvilenti, insaziabili.

E sentì il cuore.

Straziato.

Avvertiva il sangue fluire da quella ferita che le lacerava il petto. Così indelebile. Così irreparabilmente insanabile.

E alle lacrime, al cuore che avrebbe voluto balzar fuori dal petto per urlare il dolore, si aggiunse un mugolio quasi sussurrato, una lenta voce che sibilava una nenia a quel corpo riverso, quasi a volerlo consolare, quasi a voler convincere se stessa, di poter ancora cantare.

 

Raccolse le ginocchia e le serrò tra le braccia, in un moto quasi irreale, di resistenza a quello struggimento così immane.

 

Il cigolio del cancelletto parve distrarla e le fece innalzare lo sguardo verso la figura che continuava ad osservarla da qualche minuto.

- Sta bene, signora? – le chiese l’uomo abbigliato con la divisa di un corriere espresso.

Non gli rispose ma timidamente, drizzò in piedi andandogli incontro.

L’uomo chinò leggermente la visiera sul capo, evidentemente a disagio per la situazione.

Gli occhi arrossati dalle lacrime, il volto stretto nella morsa del patema, levò una mano piano in sua direzione raccogliendo la busta che le stava consegnando.

Senza proferire, il messo le porse un foglio su una cartelletta ed una penna. Doveva firmare la ricevuta di consegna del plico.

Solo quando il rombo del motore fu abbastanza distante da essere oramai impercettibile, voltò le spalle al cancello e tornò alla quiete del suo portico.

Sedette ancora sui gradini di legno e con fare meccanico si guardò intorno con circospezione.

 

Non si era mai accorta di quanto le sue mani potessero tremare. Le rughe ne avevano coperto una parte ma erano ancora lunghe e flessuose.

Sollevò il lembo della busta di cartone usata dal corriere per l’inoltro ed estrasse dal suo interno una busta da lettera dal colore giallo paglierino.

Il cuore le si fermò per un attimo e le parve di morire.

Un fischio assordante prese ad ululare con rabbia e a farle perdere la percezione del momento.

Avvertì la vista oscurarsi credendo che il cuore avrebbe cessato di palpitare in quel preciso istante.

Sbatté più volte le palpebre come fossero le ali di un airone e lentamente si riprese dallo stato di forte inquietudine.

Le dita brandivano la lettera ma parevano incapaci di rivelarne il contenuto.

Una sensazione acuta, indefinita, si impossessò di lei.

Subitaneamente, fiotti di lacrime presero a scenderle copiosamente, certe di cosa avrebbero letto i suoi occhi.

 

 

 

E’ buio…o forse no…forse, sono solo i miei occhi che intrepidi attendono un’alba che non c’é.

I miei occhi così spenti, così oscuri.

Non sento neppure la mia voce, la sua eco indistinta trova dimora chissà dove, lontana da me.

Vedo le mie braccia, le mie gambe, inermi, a qualsiasi movimento.

Giorno per giorno, le immagini si ripetono alla mia vista, ma io non le vedo.

Tento di distinguerne i contorni, ma vedo solo lei.

Cosa c’è oltre le mie iridi mamma?

Cosa posso vedere fuori da questi miei occhi?

Nulla.

E sento un peso enorme, ingombrante, immane, sul mio cuore. Mi lacera l’anima mamma, non riesco a respirare, a sospirare, a sibilare.

Sono qui, fuori dal mondo con i miei dolori, i miei peccati. Saturo d’un presente buio, privo di ogni sole, di una luce che possa brillare per me, per noi…

Dov’è lei, mamma?

E’ forse oltre quel mondo privo di sofferenza e peccato?

E’ forse laggiù? Oltre l’irraggiungibile?

Vedo le tue mani mamma. Tese, che mi cercano, ansiose di guidarmi verso un cammino che non è il mio, per impedirmi di cadere.

Ma io sono già caduto mamma, in questa vita che un fardello troppo pesane mi ha addossato. E non riesco ad alzarmi, mamma.

Non riesco a raggiungere le tue mani.

La mia mente tenta invano di difendersi dal cuore adirato, dal mio sangue che fluisce in una piena torrenziale che scorre via portando con se ogni mio desiderio di vita.

Mi travolge, ed io ansimo.

 

Perché ci sono mamma?

Perché respiro ancora?

Cosa faccio ancora qui?

Perché cammino in un mondo che non voglio?

Alzo il capo al cielo.

E’ bianco, mamma. Scende la neve.

Com’è bella la neve.

La sento. E’ qui, sulla mia mano. Soffice, candida, bianca, pulita. Gelida. E’ forse questo il gelo che copre il mio cuore, mamma?

 

Mi dispiace mamma.

Cado e non riesco ad alzarmi, non ho la forza di raggiungere le tue mani.

Mi dispiace.

Mi dispiace.

Mi dispiace.

Vorrei tanto poter reagire mamma, ma non ce la faccio.

Vorrei tanto trovare il modo di rialzare il capo, le mie stanche membra…ma è tutto così strano intorno a me.

Lei sta andando via mamma, ed io non posso lasciare che vada senza di me.

Non questa volta.

Non ce la farei.

Mamma, ti ricordi di quand’ero campione?

Non liberartene mai, non buttare mai quei ricordi mamma, lascia che possano respirare sulla tua pelle, che possano vivere dentro di te.

A volte sai, quei ricordi, i miei sogni, le mie emozioni, potranno consolarti mamma…un giorno che non potrò raccontarteli, che non potrai leggere di me, quel giorno non molto lontano, mamma, permetti a quelle immagini di sfiorare la tua mente e di vivere di me.

Lasciali vivere li, dentro di te. 

Conservali nello scrigno del tuo cuore e rendili orgoglio di una vita spezzata, luce di un domani che potrà ancora esserci sul tuo cammino.

Saranno brevi, forse lunghi, intensi, caldi, freddi, luminosi o bui, saranno i miei pensieri mamma, e li ritroverai ogni volta che nei tuoi occhi vedrai il mio sorriso.

E se chiuderai gli occhi, sentirai i miei passi, la mia risata, la mia evanescenza.

Tutto di me, sibilerà intorno a te come una dolce carezza.

Sarò io mamma, e sarò accanto a te.

 

Perdonami mamma.

Se stai leggendo questa lettera, è perché è già accaduto.

Ti vedo mamma.

Sei riversa su di me, incredula e inerme. Non sai cosa fare.

Nemmeno io lo so mamma, sono solo un piccolo uomo che sta compiendo un atto d’amore.

Vorrei poter trovare le parole per spiegarti, ma non è facile.

Non riesco neanche a spiegarlo a me stesso.

Un giorno non molto lontano, qualcuno ha oscurato il mio sole ed io, non riesco a farne a meno.

Non posso.

Il suo respiro, mamma, lo sento sul mio, come la sua pelle, le carezze, i baci che mi sfiorano.

Mi manca tutto di lei. Il suo profumo, la sua vita che è anche la mia.

E allora mamma, se lei sta andando, devo seguirla.

So che non mi comprenderai.

Non c’è spiegazione, versi, sguardi, nulla che possano giustificare, ma non c’è niente neppure per lenire il mio dolore mamma, il mio insaziabile desiderio di lei.


Mamma, quando sarò terra dei ricordi, sfiorami con la tua mano gentile, accarezza il mio cuore e senti la mia essenza, l’amore e la passione consumata bagnata dal sole della gioventù, danzante sulla brezza dell’inverno.

 

Perdonami mamma, per la tua sofferenza, per quella di papà e di mio fratello.

Perdonami…ma se l’ho fatto, è stato perché non avevo scelta, nella piena consapevolezza mamma, che rinascerò ancora, con lei accanto, nell’amore che da sempre ci ha legato e che indelebile resterà nel tempo.

 

Mamma, quando ti sentirai sola, leggimi in queste righe.

Trovami tra i versi di questa lettera che ti ho lasciato quale simbolo del mio incommensurabile affetto.

Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto.

Nulla potrà mai cambiare l’affetto che nutro per te, mamma.

Non piangere mamma, io sarò sempre con te.

Ovunque tu mi cercherai, io ci sarò.

Sarò il primo raggio di luce mamma, al risveglio al mattino, e l’ultima stella che brillerà in cielo prima che la notte ti culli nella sua quiete.

Sarò il sorriso di mio fratello mamma, e quando lui ti accarezzerà, sentirai la mia mano sfiorare la tua gota.

Quando i suoi occhi brilleranno, vedrai rifulgere i miei.

Non temere mamma, non andrò via per sempre.

Sarò sempre qui, al tuo fianco.

Con lei, mamma.

 

 

Lascia, mamma, che io viva nell’Eternità.

 

 

 

Se la brezza fosse divenuta una folata impetuosa, non avrebbe avuto modo di accorgersene.

Era lì, immobile e indefinita tra le parole di quella lettera.

Fu un gesto compulso il suo.

Strinse i fogli tra le mani e drizzò in piedi correndo via oltre il cancello.

Non capiva, non sentiva, non cercava. Sapeva solo che le sue gambe correvano chissà dove, verso un luogo che evidentemente sapevano cercare.

Quasi un magnetismo, ad attirarla.

 

Correva. A perdifiato, senza fermarsi.

Solo il tramonto la seguiva, nei suoi intarsi d’oro sparsi qua e là in una volta intinta nell’arancio.

 

Poi, arrestò il passo. Non aveva bisogno di andare avanti.

Era arrivata alla sua destinazione.

Rimase immobile di fronte la pietra bianca. Una stele che si innalzava nel prato verde e riportava due date troppo vicine tra loro.

Il fiato le usciva a fiotti ed affannato ma poco a poco, si equilibrò.

Strinse gli occhi in esili fessure, quasi impercettibili iridi volte a guardare con iracondia quella tavoletta di pietra bianca.

 

-         Come hai potuto? COMEEEEEEE???????? – urlò con tutto il fiato che aveva.

-         E adesso cosa me ne faccio di questa lettera? COSAAAAAAAAAAAAAAAAAAA? Tu non ci sei, te ne sei andato, MALEDIZIONE! Non ci sei più ed io non ce la faccio…senza di te! – sibilò dopo le urla, lasciandosi cadere sulle ginocchia.

Erano l’uno di fronte all’altra.

-         Perché l’hai fatto? Perché sei andato via? Perché sei morto e mi hai lasciato in quest’oblio? – sussurrò mentre i singulti prendevano il posto delle parole.

-         Perché non posso più accarezzarti? – domandò alla piccola lapide sfiorandola con il palmo.

-         PERCHEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE???? – urlò colpendo il rettangolo di pietra con i pugni.

-         Mamma… -.

La sua voce la raggiunse nell’immediato. Come il melodioso suono di un flauto dolce, ne avvertì scorrere le note e raggiungere il cuore.

Fremiti cominciarono a percorrerle il cuore. Alzò il capo e con gli occhi arrossati dal pianto, cercò con smania la figura.

Si voltò quindi e rimase accecata dal sole.

L’astro, nella sua immensità, troneggiava imponente nel cielo e dinanzi a lui, come un umile suddito, una sagoma dai colori appena percettibili alla penombra del crepuscolo.

Tremanti, le labbra erano incapaci di unirsi in una smorfia o semplicemente di  sibilare qualche parola.

Il cuore era fermo lì, in gola, a serrarle i suoni del cuore.

Levò adagio un braccio verso quell’ombra, con le gambe ancora ripiegate su se stesse.

-         Tu…-

-         Mamma…non piangere! Io sono qui. – le disse chinandosi all’altezza. - Mi dispiace, mamma. Sono io fonte della tua disperazione, e me ne dolgo, mamma. Mai avrei voluto darti tanta angoscia. Perdonami, se puoi. Comprendimi se puoi. –

-         Io…-

-         Ssst….non temere: io sono qui, per te…solo per te. – le sussurrò ancora regalandole un sorriso disarmante.

Continuava a guardare la sagoma dai contorni indistinti, a tremolare sotto i suoi occhi, con la mente in preda ad un turbinio di pensieri.

L’arancio si stava scaldando in un acceso carminio mentre il sole, lentamente, si spegneva dietro l’orizzonte. 

-         Cercami mamma…ovunque tu vorrai, io sarò, accanto a te. Non mi hai perduto mamma, non accadrà mai perché io vivrò nei tuoi occhi. Non scordarlo mai. –

-         Come faccio, senza di te? –

-         Devi andare avanti mamma, per papà, per mio fratello, per te…e per me. Devi preservare il mio ricordo, viverlo nel sorriso e nell’affetto.  Io ci sarò sempre, mamma. – le disse sorridendole con un volto ricolmo di quiete.

 

Continuò a scrutarne gli occhi chiusi e comprese che era in pace con se stesso. Oltre quelle onici brillanti, non c’era inquietudine, rabbia, solo serenità, la pace interiore di un amore ritrovato.

Allungò morbidamente una mano fino a che la guancia non fu chiusa nel suo palmo.

E lei provò subito un immenso calore, un’indistinta sensazione di quiete. Era di fronte a lei, e le sorrideva.

Chinò le palpebre quasi a voler trattenere quell’indicibile dolcezza, quel contatto etereo eppure così reale.

Poi, allungò la mano sulla sua, fino ad intrecciare le dita.

Riaprì gli occhi e la sua immagine era ancora lì, affievolita dall’incalzante notturno.

Il porpora stava cedendo il passo all’indaco.

-         Ti voglio bene, mamma. –

Le lacrime sgorgavano copiose, incancellabili.

-         Anche io. Per sempre! – esclamò con un sorriso appena accennato sul volto.

-         Ciao mamma. –

-         Ciao…Holly! -.

 

 

 

 

(*) da ”I giardini che nessuno sa” di Renato Zero

 

 

 

In attesa della pubblicazione del nuovo capitolo di Orchidea Selvaggia (in lavorazione), ho deciso di pubblicare una One Shot – Spin Off di Tradimento d’Amore scritta l’anno scorso.

 

Buona lettura a chiunque vorrà leggermi.

Grazie

  
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