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Autore: _eco    08/11/2013    7 recensioni
[Primrose Everdeen] [death!fic]
Perché se un corpo mutilato, sciolto dal calore, increspato di piaghe ovunque, può ancora permettersi di sperare, posso farlo anche io, che sono sana, intera, identificabile con un nome, senza bisogno che qualcuno me lo chieda.
Primrose Everdeen. Femmina. Quattordici anni appena. Nata nel distretto 12 – nel Giacimento, per la precisione.
Guaritrice.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Primrose Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Speranze di un corpo che è polvere e niente più.
[PrimroseEverdeen;death!fic]

Un paio di bende, antidolorifici, pillole per la febbre e qualche siringa di anestetici. È tutto quello che ho. Mi chiedo se basterà. Spero di sì.
Ma quando mi guardo intorno, quando vedo il fumo, e il sangue, e i corpicini gementi e mutilati che mi circondano, mi piomba addosso l’amara certezza che le mie scorte non sarebbero sufficienti nemmeno moltiplicate per dieci.
C’è troppa puzza di carne bruciata, troppe vesciche e pustole su pelle irrimediabilmente ustionata. Troppe palpebre serrate. Troppi visi che nemmeno le hanno, le palpebre.
Senza labbra, senza naso, senza un braccio o una gamba. Alcuni respirano a fatica. La maggior parte giace riversa sulla terra polverosa e bruciata, nelle posizioni più innaturali e scomposte, incapace di accogliere nei polmoni quel filo d’aria che potrebbe tenerla in vita.
Studia bene la situazione, Prim. Potrebbe esserci di tutto, laggiù. Non cercare di ricomporre corpi a cui sono saltate per aria parti vitali, mi hai capito? Sarebbe inutile, ora come ora. Guardati bene intorno, individua un soggetto che ritieni di poter mantenere in vita quanto basta per portarlo altrove, mi hai capito?
Le parole di mia madre mi risuonano in testa.
Li scruto ad uno ad uno per quella che mi sembra un’eternità straziante. So che la decisione che sto per prendere richiede uno sforzo immane.
Freddezza d’animo, razionalità, capacità di osservazione, ragionamento lucido e incondizionato. Aggiungo questi ingredienti alle mie scorte di bende e pillole.
C’è qualcuno, qui in mezzo, che può essere tenuto in vita. C’è qualcuno per cui le mie risorse sarebbero bastevoli.
Devo solo trovarlo. E, mentre fatico a riconoscermi nella gelida macchina che analizza le reali possibilità di sopravvivenza di chiunque mi circondi, scorgo qualcosa, a pochi passi da me, tra il fumo, il sangue e i pezzi di arti deformati e sparsi a caso ai miei piedi. Un flebile luccichio turchino, in mezzo al grigio della cenere: un occhio aperto, cosciente, un po’ perso, un po’ iniettato di sangue, ora che mi ci avvicino e lo guardo meglio.
Ma so che ho più possibilità di guarire lui e il suo proprietario, che di curare molti altri corpi esanimi, ansimanti, deformati dal fuoco.
Alcuni finiranno nelle mani dei Guaritori che sono venuti insieme a me – e questo mi consola. Altri saranno abbandonati al loro destino, perché nessuno rischierà di perder tempo tentando l’impossibile – e questo mi devasta.
L’occhio appartiene ad un ragazzino smilzo e gracile, senza gamba destra. Ma ha ancora la bocca – mi pare – e il naso. La testa è coperta di peli radi e bruciacchiati. Non conoscerò mai il colore naturale dei suoi capelli. Il fuoco trasforma tutto in un mondo nero. Il viso, le mani, le braccia e tutta la pelle rimasta scoperta sono cosparsi di vesciche, squarciati in crateri di derma abbrustolito. La carne, sotto, è rosso vivo.
Però respira, a fatica, ma respira.
Apro lo zainetto, vi frugo dentro, e scopro con grande sollievo di avere una pomata idratante e disinfettante.
Tutto ciò che posso fare è spalmarla sulle ustioni, più delicatamente che posso. Poi fascerò le bruciature più gravi ed estese, perché non ho bende sufficienti a coprire tutto il corpo. E cercherò di fargli inalare abbastanza aria da ritenerlo ancora salvabile, una volta portato in ospedale.
Mi rendo conto di non avergli nemmeno detto una parola, mentre i suoi occhi mi fissano, esigenti, carichi di aspettative, e anche di qualcos’altro che mi provoca uno strano calore al petto, per niente collegabile al fumo soffocante che mi aleggia intorno.
- Come ti chiami? – chiedo, sfiorando la carne rossa e ardente con i polpastrelli, intrisi di pomata.
- Te…ss. –
Sussulto: è una bambina. Il fuoco l’ha privata della sua identità, dei suoi lineamenti delicati, femminili, adesso ridotti in un impasto di pelle scura e vesciche.
- Prim. Sono Prim – sussurro.
- Prim – ripete lei, in un soffio, schiudendo due lembi di pelle sottile, che poco fa ho riconosciuto come le sue labbra: un po’ per la posizione occupata nel volto deforme, un po’ per via del colore, ancora più scuro del resto.
Vorrei dirle che l’aiuterò, che la porterò in salvo, che sto cercando di farle meno male che posso, ma evidentemente, a giudicare dal suo volto sofferente, non ci sto riuscendo, e mi dispiace, mi dispiace così tanto. Però so che lei si sentirebbe in dovere di replicare qualcosa, così decido di non darle più motivo di sprecar fiato, e rimango in silenzio.
Deve vivere. Devo salvarla.
Il suo sguardo segue ogni mio movimento, ma Tess è stanca, e capisco che non è abbastanza attiva da cogliere le mie movenze rapide e furtive.
I suoi occhi azzurri, così evidenti in mezzo al rosso del suo viso, divorato dal fuoco, mandano ancora scariche di calore al mio petto. Speranza: Tess mi guarda con speranza. Di sopravvivere? Di morire e farla finita con questa atroce sofferenza? Non lo so.
So solo che, adesso, sono ancora più determinata a salvarla.
Perché se un corpo mutilato, sciolto dal calore, increspato di piaghe ovunque, può ancora permettersi di sperare, posso farlo anche io, che sono sana, intera, identificabile con un nome, senza bisogno che qualcuno me lo chieda.
Primrose Everdeen. Femmina. Quattordici anni appena. Nata nel distretto 12 – nel Giacimento, per la precisione.
Guaritrice.
Ma bastano un secondo, un frangente, un boato, una nuova, inaspettata esplosione, perché io, Primrose Everdeen, mi trasformi in una sagoma informe, ustionata, ardente.
Tra me e Tess non c’è poi tanta differenza, ora.
Gli occhi li ho ancora, vedo sfocato, mi pizzicano, ma li sento. Le palpe
bre anche, però il respiro è affannato, mozzato.
Ho il tempo di scorgere lo sguardo di Katniss, su di me – o forse lo immagino soltanto.
Ma la sua voce, quella la sento per davvero.
Spero che mi riconosca, spero di poter tenere gli occhi aperti abbastanza a lungo perché lei li identifichi.
Spero che faccia presto.
Perché non lo so, non lo so davvero, quanto ancora le mie speranze sopravvivranno all’ammasso di carne bruciata e polvere in cui mi sono – hanno – trasformata.

 
Angolo autrice:
Questa storia l'ho scritta un bel po' di tempo fa. Sicuramente prima di Luglio, ed era indirizzata a una giudiciA, che è sparita dalla circolazione. Ho deciso di postarla ugualmente, visto che le probablità di ricevere i risultati del concorso sono molto, molto poche. 
Ho messo un rating arancione perché credo che le tematiche trattate  - quale la presenza costante di sangue, carne bruciata, corpi mutilati, specialmente corpi di bambini - siano abbastanza forti. Poi tutto dipende dalla soggettività di ognuno. 

Ritorno dopo un periodo di pausa totale. Tutt'ora non scrivo quasi più. Ho scritto di recente due o tre pagine di Word, ma più che altro per sfogarmi. È un periodo strano, particolare, e personalmente lo sto odiando con tutta me stessa. 
A ogni modo, credo - e spero  - che sarò più attiva nel fandom e in generale nella mia vita virtuale - che al momento mi sembra anche meglio di quella reale - più di prima. 

Fatemi sapere cosa ve ne pare di questa storia. Consigli, critiche, tutto, ovviamente in termini moderati, si capisce.
Vi mando un bacio.
S.
  
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