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Autore: CathLan    10/11/2013    7 recensioni
Captain Pan; Modern!AU
Killian è un operatore di call center per un'agenzia che studia i disturbi del sonno. Durante il suo turno risponde ad una chiamata che inizia con: «Non riesco a dormire».
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Killian, Jones/Capitan, Uncino, Pan
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ti penso raramente.

Ti chiamo non perché ho bisogno,
non perché ti penso,
ma perché ti manco.

 
Quella notte il cielo sopra Londra era di un plumbeo elettrico e non prometteva niente di buono. Le nuvole scure si spostavano lentamente da un palazzo all’altro, mentre nell’aria si poteva benissimo sentire il malinconico odore che anticipa la pioggia.
Killian, operatore di call center per un’agenzia che studia i disturbi del sonno, si allontanò dalla finestra spalancata sorseggiando il caffè nero dalla terza – o quarta? Proprio non ne aveva idea – tazza fumante di quella sera.
Aveva iniziato il turno a mezzanotte in punto, quando il cielo era di un bel blu scuro e adesso, a quanto diceva l’orologio della sala ristoro, erano le quattro di mattina. Le telefonate erano state più o meno sempre uguali e si erano susseguite facendo volare velocemente il tempo.
Le chiacchierate più memorabili erano avvenute in questa successione: la prima con una signora anziana così preoccupata dal ritardo della nipote che non aveva fatto altro che blaterare per tutto il tempo qualcosa riguardo ad un cappotto rosso e il freddo di novembre, la seconda con un ragazzino disperato perché convinto che la madre adottiva fosse in realtà la Strega cattiva di Biancaneve. La quinta con uno psicologo che proprio non era riuscito a digerire il licenziamento e si era dunque messo ad auto analizzarsi e la sesta con un padre depresso che aveva deciso di renderlo partecipe dello smaltimento della sua sbronza colossale informandolo che stava vomitando all’interno di un cilindro.
Niente di insolito, insomma. Cose di quel genere capitavano ogni notte e ormai Killian si era abituato a dover avere a che fare con problemi di ogni sorta. Perfino ascoltare i rigurgiti di qualcuno per ben venticinque minuti di fila non era così assurdo come poteva sembrare.
Erano tre anni che lavorava in quel posto – più o meno da una settimana dopo che aveva lasciato Los Angeles per ri-trasferirsi nella capitale inglese – e non c’era mai stato niente di particolarmente interessante a cui prestare attenzione, o qualcuno che si fosse fatto sentire più di un paio di volte.
Nella maggior parte dei casi il suo compito si concludeva con una chiamata; la gente che chiedeva ascolto e aiuto non era mai la stessa della notte prima.
O almeno, non con lui.
David, soprannominato Charming a causa dei suoi occhioni blu e dell’atteggiamento da uomo dell’ottocento, nonché suo grande – e unico – amico, aveva un’affezionata. La tizia in questione si chiamava Mary Margaret. Era una maestra delle elementari, single e indipendente la cui insonnia si era presentata successivamente alla prematura dipartita del padre, ovvero ben diciotto anni prima. Solo la voce calda e misurata di Charming, a quanto pareva, era riuscita a far breccia nelle insicurezze e nel cuore della donna. Per questo motivo – e molti altri che David si ostinava a smentire – i due si sentivano ogni volta che era possibile.
Naturalmente, checché ne dicesse David, a Killian non era affatto sfuggito come l’uomo, che aveva da poco compiuto i trentadue anni, passava il tempo in ufficio a mordersi nervosamente le unghie e fissare lo schermo del computer impaziente che il nome di Mary Margaret ci comparisse sopra. O come il sorriso gli si allargava smisuratamente rischiando di aprirgli in due la faccia non appena il tono soave della donna gli arrivava all’orecchio.
Killian comunque trovava che non ci fosse niente di male in tutto ciò. L’importante, ripeteva all’amico, era tenere a mente che lavoro e amore quando si mescolano non portano mai a niente di buono. E soprattutto che se solo Trenty, il capo, ne fosse venuto a conoscenza, ci sarebbero stati problemi per tutti. Le regole le conoscevano bene. Il fatto che fosse proibito dare il proprio numero personale, o stabilire una qualche sorta di amicizia o relazione affettiva con i “clienti” non era una novità. Che poi la regola fosse più o meno condivisa, era di tutt’altro conto. Ma per tenersi il posto la si doveva rispettare.
Solo quando ebbe concluso il caffè tornò a sedersi alla sua postazione. Si accomodò sulla sedia girevole e posò la tazza nera sulla scrivania. L’oggetto in questione era leggermente allungato ai lati e piuttosto schiacciato in altezza, e al posto del consueto manico c’era una sottospecie di uncino da pirata color argento. Era un vecchio regalo – il capo glielo aveva fatto trovare sulla scrivania il suo primo giorno di lavoro –, ma ad essere del tutto sinceri non ci si era ancora abituato. Perfino ricordare cosa c’era scritto sul post-it giallo attaccato alla ceramica corvina lo faceva ridere come un pazzo: “ti sarà d’aiuto”. Un presente simile, aveva scoperto poi Killian, era stato fatto ad ogni dipendente.
Tremotino non era poi tanto spaventoso, ma aveva un senso dell’umorismo non convenzionale che gli faceva venire la pelle d’oca.
A David, tanto per citarne uno, aveva regalato una tazza azzurra moderna e normale che riportava su un lato “I’ll be” e sull’altro “your prince”. L’uomo la teneva sempre sulla scrivania e la riempiva solo ed esclusivamente di tè verde. Quasi come a non voler smentirsi, sorseggiava tenendo il mignolino alzato, cosa che faceva piegare in due Mulan.
Curioso di vedere cosa stesse combinando l’amico, gli lanciò una rapida occhiata. Come avrebbe dovuto aspettarsi, David era tutto preso a parlare con Mary Margaret. Sorrideva e gesticolava, dondolando sulla sedia come un adolescente in piena crisi ormonale.
Killian a quella scena sospirò arrendevole. Era quasi sul punto di alzarsi e andare a versarsi l’ennesimo giro di caffè nero, ma il suo auricolare lo avvisò che stava ricevendo una chiamata e allora rimase dov’era.
Pigiò il tasto sul piccolo aggeggio che portava costantemente all’orecchio e attese. Si aspettava di dover stare a sentire per almeno una mezz’ora buona il tono lamentoso di qualche ragazzo abbattuto per un tradimento, ma ciò che seguì fu soltanto un lungo ed estatico silenzio.
Dopodiché un sospiro e poi ancora un altro, molto più profondo.  
A fare da sottofondo, il rumore della pioggia che sbatacchiava sul vetro. Il vetro di cosa?  
«Non riesco a dormire» spense la quiete lo sconosciuto, così a bassa voce che era stato un miracolo perfino sentirlo. «Cristo, che stronzata».
Quando Killian si rese conto che la linea era caduta non poté far altro che sbattere le ciglia sugli occhi di vetro e aggrottare le sopracciglia folte in una muta domanda.
Mai, in quei millenovantacinque giorni, qualcuno aveva cominciato la telefonata in quel modo e poi aveva messo giù senza prima vomitare almeno un fiotto di parole lamentose e insensate.
Confuso ed incuriosito provò a rintracciare il numero di telefono dell’ultima chiamata ricevuta, ma probabilmente lo sconosciuto aveva chiamato da una cabina telefonica, perché fu tutto inutile.
Ciò che aveva a disposizione erano un accento inglese marcato e un tono seccato che ben poco si addiceva alla clientela che solitamente si rivolgeva al loro servizio. Niente di sufficiente, comunque.
Sbuffò, contrariato, e si disse che aveva ben poca importanza. Se lo sconosciuto aveva davvero bisogno d’aiuto avrebbe sicuramente richiamato.
Quando alzò lo sguardo trovò quello di David concentrato sulla sua figura. «Tutto okay, amico?» gli domandò quello, indicandolo pure col mento, come per fargli capire che ce l’aveva proprio con lui. E non magari con Belle, alle sue spalle, intenta a raccontare via telefono la favola della buonanotte ad un ragazzino di nome Baelfire.
La chiamava ogni notte, sempre alla stessa ora.
«Probabilmente è soltanto caduta la linea» buttò lì. Non sapeva precisamente come spiegare ciò che era successo perché non lo sapeva davvero, quindi tanto valeva accantonare del tutto la faccenda senza dargli conto. «Tu, con Mary?»
David si illuminò e prese a ciarlare di qualcosa, come se non aspettasse altro che quello. Ma lui non lo sentiva, stava ancora pensando al tono disperato di quel giovane ragazzo inglese che non aveva avuto abbastanza coraggio per ammettere apertamente di aver bisogno d’aiuto.

 
§§§

Era passata precisamente una settimana da quella telefonata enigmatica, quando l’auricolare trillò ancora e nessun numero apparve sullo schermo del portatile.
Killian in quegli ultimi sette giorni aveva decisamente perso le speranze, ma le riacquistò subito e ravvivato accettò la chiamata senza nemmeno preoccuparsi di avere ancora la bocca piena di caffè.
«Come si iniziano queste stupide chiamate?» domandò la voce che non se n’era mai andata dalla sua mente, seppur avesse provato in tutti i modi a scacciarla. Accento inglese marcato, tono sibillino e una lieve nota di accidia a condire il tutto. «Continuo a credere sia una stronzata».
E Killian era così preoccupato di poter perdere ancora una volta la linea senza aver avuto la possibilità di aprire bocca che ingoiò tutto in una volta e quasi si soffocò. Tossì un paio di volte, non facendo altro che richiamare su di sé le attenzioni di tutto l’ufficio, e grugnì. Per poco il caffè non gli era uscito dalle narici, diamine. «Tanto per cominciare puoi dirmi il tuo nome» disse, roco, massaggiandosi la trachea.
«Questa cosa non è anonima?» rispose repentino il ragazzo.
Quella risposta non lo stupì affatto. Erano in molti a voler tenere l’anonimato, seppur il più delle volte il recapito telefonico permettesse di risalire a un nominativo. «Dipende. Comunque io sono Killian».
«Quando?»
«Quando cosa?»
«Te l’ho chiesto».
Anche l’indolenza e l’aggressività facevano parte del pacchetto. La privazione del sonno porta molta gente ad avere i nervi a fior di pelle e poca pazienza. «Non riesci a dormire?» provò a cambiare discorso, accondiscendente. 
«E questo da cosa l’hai dedotto, Sherlock?» ribatté la voce dall’altra parte, acida.
Killian non poté fare a meno che alzare gli occhi al cielo. David, due postazioni davanti alla sua, lo stava fissando con insistenza. Lui si strinse nelle spalle come a dire che merda, questo tizio era impossibile, e l’amico azzurro scrollò il capo ridacchiando.
«Ti capita spesso di non dormire?» chiese dopo un istante di troppo, aprendo sulla schermata del computer una nuova scheda da compilare.
Per un momento pensò che il ragazzo gli avesse sbattuto il telefono in faccia, ma quando lo sentì sospirare comprese che probabilmente stava solo soppesando la risposta da dare. «Sì».
Nominò la scheda “nasty little boy” e poi si diede mentalmente del coglione. «E quando riesci a dormire, quante ore dormi?»
Un'altra pausa. «Dipende, a volte due ore. A volte venti minuti».
Lo segnò. «E da quanto non dormi?»
«E’ un interrogatorio?» sibilò il ragazzo. Dopodiché sospirò forte e si schiarì la voce. «Non lo so, da due giorni credo».
«D’accordo, basta domande» lo rabbonì lui. Le informazioni di base le aveva, più o meno. «Se mi vuoi parlare di qualc-» non riuscì a completare la frase che il “tu-tu”che avvisava quando la chiamata veniva interrotta gli rimbombò nella scatola cranica come una eco.
Rimase con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, mentre David alzava un sopracciglio. «Ma è ancora quello dell’altra volta?» gli domandò, curioso.
«Mi ha messo giù» si lamentò, non sapendo se dovesse sentirsi più offeso o arrabbiato.
«Magari non gli stai simpatico».
Killian rise perché, andiamo, lui era piacevole ed era impossibile odiarlo. Sul serio, non lo diceva per vantarsene. Era così e basta. «Richiamerà, vedrai».
David sorrise, ma non disse nulla.

§§§

Difatti, la notte dopo, il ragazzo richiamò. Sempre dalla stessa linea, sempre cominciando la chiamata in modo assurdo.
«Come sei finito a fare questo lavoro? Non trovi sia imbarazzante?» domandò, senza neanche premurarsi di dire “hey, ciao, sono sempre io. Il rompi coglioni dell’altro giorno, esatto”.
Killian pensò molto attentamente a cosa dire, ma alla fine gli sembrò giusto rispondere con la nuda e cruda verità. «Avevo bisogno di lavorare e questo è il primo posto che mi sia stato offerto qui a Londra. La paga non era malaccio e così ho accettato. E poi non è tanto male come può sembrare».
Certo, aveva appositamente evitato di parlare dell’incidente sulla barca Jolly Roger che gli aveva fatto perdere suo fratello e gran parte dell’amore che nutriva per il mare, ma in fin dei conti era più un’omissione che una bugia
«Prima dove stavi?»
«Los Angeles».
Il ragazzo sbuffò una risata aspra. «E da quanto tempo sei qui?»
«Tre anni, ma qui ci sono nato e c’ho passato l’adolescenza» rispose, senza rifletterci. Non aveva minimamente capito dove l’altro volesse andare a parare.
«Dunque tu torni nella tua città natale e il lavoro migliore che trovi è stare sveglio la notte a tenere compagnia ai disadattati sociali?»
Killian rimase in silenzio a lungo, conscio di essere stato colpito sul vivo da un cazzo di sconosciuto che poteva avere sì e no diciassette anni. Rimase zitto finché la linea non cadde ed ebbe la certezza di non doversi giustificare per le sue scelte. Sbagliate o giuste che fossero.
Quella sera andò a bere con David e si fece una biondina trovata al locale, l’Enchated Forest  in fondo alla strada. Una con la volontà di un muratore, Emma qualcosa, non ricordava neanche bene.

§§§

Lo stronzetto si fece risentire anche il giorno dopo.
Erano le cinque e un quarto e il turno di Killian si sarebbe concluso alle sei in punto.
«Non dormo per due ore filate da un mese» si annunciò il ragazzo, una volta che lui ebbe confermato la chiamata.
«Hai provato a chiudere gli occhi e rilassarti?»
Dall’altra parte ci fu una pausa estenuante. «Se questo è il livello del tuo intelletto mi è molto più semplice capire perché tu sia ancora chiuso in quel posto».
A Killian la risposta fece sorridere, perché l’aveva sentita chiaramente l’imprecazione sommessa del ragazzo, sebbene quest’ultimo si fosse premurato di mascherarla allontanandosi dalla cornetta.
«C’è un motivo preciso per cui non riesci a dormire?» chiese infine, tastando il terreno come se potesse nascondere mine pronte a staccargli arti e pezzi di carne.
«Incubi» soffiò l’altro, facendo traspirare tutta la sua stanchezza in quell’unica parola.
Killian poté figurarsi un ragazzino magro, con gli occhi chiari segnati dall’insonnia e dalla solitudine di fronte e l’immagine gli strinse il cuore in una morsa dolorosa. Anche se il ragazzo era un rompi coglioni superbo e strafottente, era pur sempre un adolescente con seri problemi e non era affatto piacevole non poter essere d’aiuto.
«Hai provato a bere una tisana? O magari ad ascoltare musica rilassante prima di andare a dormire?» mentre diceva quelle parole si sentì un gemello malriuscito di David principe azzurro Nolan. Solo lui se ne sarebbe potuto uscire con una risposta del genere.
La risata che scoppiò nel petto del ragazzo contagiò pure lui, perché cazzo, si era trasformato nella brutta copia di Charming. Altro che incubo!
«Killian, lascia perdere queste cose e limitati alle domande di base. Abbiamo già constatato che il tuo QI non è elevato come vuoi far credere, è inutile peggiorare la situazione» biascicò canzonatorio, eppure serissimo il ragazzo.
Non riuscì neanche a prendersela, perché quelle erano più o meno le stesse parole che dentro di sé si stava ripetendo. E poi il modo in cui l’altro aveva pronunciato il suo nome gli aveva piegato come un origami lo stomaco, smorzando sul colpo tutta la sua ilarità.
David, ignaro di tutto, lo guardava con occhio scettico trangugiando il suo tanto amato tè verde. Quella sera lo avrebbe bombardato di domande, poco ma sicuro. Poteva leggerne già qualcuna sul fondo di quello sguardo azzurro acceso.
Quasi impaurito si voltò dall’altra parte ruotando la sedia. «D’accordo, mi limiterò a chiederti da quanto non dormi e perché, ma niente più consigli spassionati».
«Meno male».
Killian se lo sentiva che di lì a poco la chiamata si sarebbe conclusa, per questo sputò fuori alla velocità della luce l’ultima domanda che si sarebbe mai aspettato di potergli chiedere quella notte. «Il tuo nome?»
«Peter, Peter Pan».
“Tu-tu”.
 
§§§

Un mese prima non aveva alcun affezionato, e adesso si ritrovava ogni notte a spendere una ventina di minuti in compagnia di un ragazzino con problemi d’insonnia e accenni di misantropia.
Certo, le telefonate duravano poco e non concludevano praticamente niente, ma erano come appuntamenti prefissati e lui non aveva potuto fare a meno di rendersi conto – purtroppo e con malavoglia – che gli capitava sempre più spesso di fissare con insistenza lo schermo del computer in attesa di qualcosa. O meglio, di qualcuno.
David, deciso a rigirare il dito nella piaga, non si era fatto mancare qualche battutina e qualche risatina idiota, che lui aveva bellamente ignorato. Non ci dava alcun peso. Quell’uomo era un idiota.
Alla fin fine Peter lo stava usando per passare del tempo e quello era il suo dannatissimo lavoro. Veniva pagato appunto per parlare con sconosciuti e quindi era inutile vedere cose dove non c’era assolutamente niente di niente da vedere.
«Ma mi stai ascoltando?» lo riprese David, in piedi di fronte a lui.
Diamine, neanche l’avevo visto avvicinarsi.
Annuì, mentendo neanche tanto bene e David sbuffò tutto il suo disappunto. «Ti ho chiesto se ha chiamato mentre ero in bagno» ripeté, incrociando le braccia sul petto largo.
«No, stanotte non ha chiamato» si ritrovò a rispondere lui, mordendosi subito dopo la lingua per il tono quasi dispiaciuto che aveva usato.
Il sorriso di David brillò di luce propria. «Sembra che a qualcuno manchi qualcuno» canticchiò, facendo ridacchiare Belle.
«Sei un cazzone, azzurro».
«Magari è riuscito ad addormentarsi» teorizzò imperterrito l’amico, passando sopra all’epiteto poco carino che aveva usato con charme e nonchalance.
Killian fece spallucce, ma non rispose niente.
Una parte di lui lo sperava con tutto se stesso, alla fine non era per niente sano che quel ragazzo passasse le notti a fissare il mondo attraverso il vetro di una cabina telefonica, ma il resto di lui protestò.
Non che gli mancassero – Dio, no! – gli insulti e le frasi acide con il quale il ragazzo lo punzecchiava sempre, ma qualche volta aveva sinceramente sperato di poter divenire lui con la sua voce e la sua risata l’unico mezzo in grado di fare addormentare Peter e adesso era un po’ deluso. Solo un po’, davvero.
Per ventotto notti il ragazzo si era fatto sentire e adesso era semplicemente scomparso.
Peter Pan, chi sei davvero? si chiese mentalmente, alzandosi per andare a prendere dell’altro caffè nero.
Non arrivò nessunissima risposta.

§§§

Prima che Peter tornasse a riempirgli la mente con il suo accento sprezzante, ci vollero quattro giorni.
«Immagino di esserti mancato molto» annunciò, senza una particolare intonazione nella voce. La stanchezza era visibile come un velo pesante e scuro, comprimeva ogni parola facendogliela strascicare.
Killian si sistemò l’auricolare e cercò di scacciare il calore salitogli alle orecchie sventolandosi una rivista davanti al viso. David alzò gli occhi verso le lampade al neon e tornò alla sua telefonata con Mary Margaret. A quanto pareva si erano scambiati il numero di telefono personale – cosa assolutamente vietata – per sentirsi sette giorni su sette. Cinque giorni non bastavano più.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» rimarcò il ragazzo, sprezzante.
«Mi chiedevo dove fossi finito» rispose soltanto lui. Non era nemmeno una domanda, solo una costatazione. Se l’era chiesto ogni notte, e poi ogni mattina. Sempre.
Peter si era infilato nella sua vita e nella sua quotidianità come un’edera rampicante e aveva fatto radici un po’ ovunque. Era quasi soffocante.
«Ho avuto da fare coi bimbi sperduti».
«Chi?»
Si rese conto troppo tardi che Peter non c’era più.
E lui si domandò se almeno quella notte sarebbe riuscito ad addormentarsi, dopo aver sentito la sua voce ed il suo respiro anche solo per pochi minuti.
Voleva sapere di poter essere importante e necessario per qualcuno.
Non qualcuno, per Peter.

§§§

Accadde verso metà dicembre, proprio quando meno se l’aspettava.
La luna era piena e brillava come una caramella al miele al centro del cielo stellato. Sui rami secchi e spogli degli alberi c’erano chili di neve congelata e lui si immaginava Peter avvolto in una sciarpa in lana grossa, rossa. Quel pensiero lo faceva sorridere come un ebete.
«Durante le vacanze di Natale come farai senza di me e i poveri disadattati in cerca di attenzioni?» aveva cominciato il ragazzo, prima ancora che lui potesse tirare un sospiro di sollievo.
Non chiamava più ogni notte, ma con una cadenza settimanale imprevedibile.
«Durante le vacanze solitam-», Cristo, non ci aveva pensato. «E tu come farai?»
«Come ho sempre fatto, idiota».
Killian sospirò e annuì all’occhiata curiosa di David che, appena uscito dalla sala ristoro, andò a sedersi alla sua postazione tutto allegro e gongolante.  
Lui non ci trovò un bel niente da sorridere.
«Mi sto facendo dare dell’idiota da un moccioso?»
«Prova a ripeterlo» lo sfidò.
«Cosa?»
Peter inspirò forte, nervoso. «Se io a diciotto anni sono un moccioso, tu a trentadue anni cosa sei?»
«Come puoi dire con certezza che ho trentadue anni?»
«Sono seriamente tentato di mettere giù» minacciò Peter, ma non lo fece.
«Non dirmi che sei uno stalker» scherzò lui, sbuffando pure una risatina.
David all’udire quelle parole si voltò a fissarlo scandalizzato. Mimò con le labbra “stai flirtando” e poi si voltò senza neanche attendere una risposta. Vide le sue spalle tremare e comprese che stava trattenendosi dal ridere sguaiatamente.
Per Dio, sì, stava flirtando con un ragazzino.  
«Sinceramente mi aspettavo molto altro da uno come te».
«Dovrei esserne onorato?»
«Ovvio».
«Non hai ancora risposto alla mia domanda» ricordò, giocherellando con la tazza mezza piena.
Adolescente, quella parola gli rimbalzava per le pareti del cervello come una pallina del flipper.
Una risata ovattata gli perforò il timpano, affittandogli a tempo indeterminato la testa. «Non ho mai chiamato al giovedì, o alla domenica. Né mai prima di mezzanotte».
Killian stava per dire “e quindi?”, quando gli si accese una lampadina. «Conosci i miei turni» soffiò, colto da un’improvvisa voglia di sapere di più. Tipo tutto.
«Ho sempre creduto che il tuo QI fosse molto al di sotto della media nazionale».
“Tu-tu
.

§§§

Da quella notte di dicembre Killian si era fatto prendere da così tanti dubbi che neanche le infinite – e assurde – teorie di David erano riuscite a tranquillizzarlo.
«Magari lo conosci» aveva provato di nuovo l’amico, quel pomeriggio al bar.
Mancavano all’incirca sei giorni alla Vigilia e la città era addobbata e festosa.
Lui alzò un sopracciglio. «E come? Non conosco alcun ragazzino di diciotto anni, te lo assicuro».
«Il figlio della vicina di casa?»
«Abito in un palazzo e-» stava per aggiungere qualcosa del tipo che se lo sarebbe sicuramente ricordato un cognome assurdo come Pan, quando tutto sembrò prendere finalmente un significato preciso.
In realtà, molto tempo prima, quando ancora non era andato a Los Angeles con suo fratello, aveva conosciuto questo ragazzino che abitava nella casa di fronte a quella della sua prima ragazza. Ricordava ancora quegli occhi grandi e quegli arti magri aggirarsi per il giardino seguiti come un’ombra dal fratello della sua ex ragazza, Trilli.
Il bimbo, di appena sei anni, sembrava divertirsi molto in compagnia del vicino, Peter. Poi però un giorno era successa una tragedia ed il ragazzino biondo era scomparso. 
Nel vicinato si era parlato di rapimento, ma i genitori non avevano mai né smentito, né confermato le voci e qualche mese dopo si erano semplicemente trasferiti lasciando un alone di mistero attorno a tutta la questione. 
Dopodiché a suo fratello era stato offerto un posto di lavoro nella città degli Angeli e lui aveva deciso di seguirlo mollando tutto.
Soltanto parecchi anni dopo aveva trovato il coraggio di tornare a Londra, la sua città natale.
Narrò tutta la storia a David e quest’ultimo ad ogni parola sembrava diventare sempre più serio.
«Non si è mai dimenticato di te» commentò alla fine.
«Mi è appena venuto in mente che mio fratello una volta ha avuto uno dei suoi attacchi ed è stato Peter a chiamare l’ambulanza» biascicò cercando di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Era difficile, sul serio.
«E come può averti rintracciato?» domandò David, sovrappensiero.
Killian si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea».
«E se non fosse stato lui a tornare da te, ma tu da lui?»
Il discorso si concluse così, perché poi David ricevette una telefonata della sua amata e non ebbe più tempo per altro.
Quel dubbio lo accompagnò per tutto il giorno – e la notte – e quando Peter non chiamò, Killian si sentì abbattere come un albero a cui hanno tagliato il tronco a metà.
Si sarebbe potuto dire che a qualcuno mancava qualcuno.

§§§

Inutile dire che cominciò a fare alcune ricerche. Okay, molte ricerche. Okay, digitò ovunque potesse “Peter Pan” e non trovò niente.
Non c’era assolutamente nulla che riconducesse a lui se non un orfanotrofio chiamato l’Isola che non c’è. Ma non c’erano indirizzo o notizie in merito. Solo un nome, insufficiente.
Alla fine si arrese e attese semplicemente che Peter telefonasse, cosa che avvenne soltanto tre giorni dopo.
Rispose alla chiamata con un peso sul petto e aspettò trepidante che il ragazzino iniziasse la conversazione in qualche modo, ma non accadde nulla.
C’erano il suo respiro profondo, il sottofondo del temporale, la pioggia che scivolava sul vetro della cabina telefonica e nient’altro.
«Non tornerò al lavoro fino al due di gennaio» lo avvisò dunque, rompendo il silenzio, anche se non era del tutto certo che al ragazzo potesse interessare.
Peter non rispose, Killian sapeva che era ancora lì solo per il suono soave dei suoi respiri.
«Prendi una biro» disse a bassa voce, stupendo perfino se stesso. Quello che avvenne dopo non avrebbe saputo spiegarlo neanche a David, perché lui le conosceva le regole ed era totalmente intenzionato a seguirle, eppure il suo numero personale lo citò comunque. Numero per numero, finché al decimo non cadde la linea.
Non ne fu affatto sorpreso. Si levò l’auricolare e inspirò a fondo. Solo in quel momento si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
«Hook, accompagnami a prendere del caffè» gli disse David, come se sapesse già tutto sebbene lui avesse parlato a voce talmente bassa che alla fine non ricordava nemmeno cosa avesse detto.  
Si alzò in piedi e annuì. D’altronde erano sempre stati abbastanza bravi a tenere per loro i segreti.

 
§§§

Passare il ventiquattro e il venticinque dicembre da soli è la cosa più schifosa che ci possa essere al mondo, dopo non avere praticamente nessuno al proprio funerale. Anche se in effetti quando si è morti si è morti e quindi non si può veramente sapere quante persone sono presenti al proprio funerale e.. okay, stava tergiversando.
Ed era leggermente ubriaco.
Il problema che l’aveva portato a bersi due o tre birre di troppo era che Peter non aveva chiamato. Mai.
Sbuffò scocciato e si infossò meglio sul divano. Alla tivù non c’era niente di interessante e non poteva rompere le scatole a David perché era uscito a cena con Mary Margaret e gli aveva proibito di chiamarlo.
Illuminò lo schermo del suo iPhone e si mordicchiò il labbro inferiore.
Ancora dieci minuti e poi sarebbe stato Natale. Un Natale di merda, davvero.
A volte non avere nessun’altro che se stessi è una vera pena. Certo, ci sono alcune volte in cui la solitudine è appagante, è liberta, ma nella maggior parte dei casi fa soltanto schifo.
Chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro intenzionato ad addormentarsi prima dello scoccare della mezzanotte. Era già più di là che di qua quando il cellulare prese a vibrare e il cuore gli si rivoltò come un calzino.
Strinse le palpebre e rispose, senza neanche preoccuparsi di leggere le cifre apparse sullo schermo.
«Pronto?»
«Quindi sei un trentenne alcolizzato che fa un lavoro idiota» sibilò la voce strafottente dall’altra parte.
Killian sapeva che non avrebbe affatto dovuto sorridere, ma le labbra gli si piegarono da sole. «Fai quasi paura».
«Sei prevedibile».
«Ah sì? Da cosa hai dedotto che ho bevuto?»
«A Natale, da solo, cos’altro potresti fare?»
«E chi te lo dice che non sono fuori a cena?»
Peter rise. «Perché sono fuori casa tua».
Per un istante dubitò che quello fosse uno scherzo, ma poi si diede del coglione da solo e scrollò il capo. «Okay, sono prevedibile» convenne infine.
«Lo sei» ripeté convinto il ragazzo. «Però ora apri la porta».
Per recepire il messaggio e rendersi conto di cosa gli avesse appena chiesto – ordinato – dovette respirare profondamente un paio di volte. Poi si alzò, sempre tenendo all’orecchio il cellulare, e andò ad aprire.
Sull’uscio, con un sorriso spavaldo e vittorioso stampato sul viso piccolo, c’era un ragazzino.
E diamine, era come se non ci fosse niente di sbagliato in tutto quello.
Nulla di strano in quei grandi occhi verdi o in quelle orecchie a sventola nascoste dai capelli biondi. Nulla di strano nella differenza d’età o nelle stupide regole infrante. 
Era pronto a farsi da parte e lasciare entrare il ragazzo quando quello, senza tante cerimonie, lo afferrò per il colletto della camicia e lo spintonò all’indietro, attaccandogli le labbra in modo famelico.
Killian reagì in ritardo e non si capacitò minimamente di come fosse finito con le spalle premute sul legno scuro della porta chiusa, il volto rivolto al salotto e un ginocchio di Peter tra le gambe piegate e aperte.
Era in balia di un diciottenne, per Dio, e la cosa gli stava stravolgendo le interiora.
Sospirò inquieto, mentre Peter tracciava la linea della sua giugulare con la punta del naso e ingoiò un’imprecazione quando salì a mordergli il lobo dell’orecchio.
«Come sei venuto qui?» trovò la forza di chiedere.
«Hai mai sentito parlare di queste cose con quattro ruote ed un volante?»
E Killian era sul punto di rispondergli qualcosa di insensato e confuso, ma poi le gelide dita di Peter scivolarono agili ad aprirgli la patta dei jeans e non gli uscì nient’altro che un singulto.
«Okay, le chiacchiere a più tardi» soffiò, trascinando Peter verso la camera da letto.

 
§§§

Quella mattina il sole splendeva alto tra le nuvole bianchissime. La neve si era sciolta ed era scivolata sul terriccio umido di pioggia. Era una bellissima giornata natalizia e per una volta Killian non avrebbe dovuto passarla in completa solitudine.
Sorrise felice, mentre con un avambraccio si schermava gli occhi blu dai raggi solari.
«Posso sapere perché hai aperto la finestra?» gracchiò dopo un po’, rotolando su un fianco. Si appoggiò alla schiena pallida e nuda del ragazzo abbandonato al suo fianco e se lo strinse addosso possessivamente.
Si gelava, cazzo. Il piumone non teneva abbastanza caldo. Pure l’erezione mattutina gli si era smorzata.  
Peter grugnì e gli diede una gomitata nel fianco come ad intimargli di stare fermo. «C’era odore di sesso e il tuo alito fa schifo» biascicò acido, con la faccia mezza affondata nel cuscino.
Killian rise e aprì gli occhi, con il quale seguì il profilo di Peter. Il ragazzo aveva i capelli sconvolti e un’espressione corrucciata, ma riposata. «Dormi?» chiese, posandogli un bacio sulla nuca.
«Immagino che da piccolo tu sia caduto dal seggiolone sbattendo molto forte la testa, perché altrimenti la tua stupidità non me la so proprio spiegare».
E Killian rise, di nuovo, perché un conto è sentirsi insultare attraverso una cornetta e un altro è farsi dare dell’idiota dal vivo, abbracciati sotto le coperte.




Note: Hola gente (●′ω`●) 
Questa è la mia seconda fan fiction nel fandom di OUAT e non so, all’inizio doveva essere una Roe/Babe, poi si è trasformata in una Arthur/Eames e alla fine è diventata una difficilissima Captain Pan, quindi non so, ho sicuramente qualche problema mentale, perché scrivere di Modern!Peter in modo che non sia completamente OOC è uno sforzo fisico, sul serio. Non scherzo.
Anyway. Ringrazio la gentilissima dio_niso che ha ideato il prompt fantastico e me l’ha lasciato usare, la mia beta FINNtastic che è sempre awwosa e Fiby_Elle che mi ha supportata nonostante gli sbalzi d’ormone (..)
Per ultima, ma non meno importante, dico grazie a valigie per restare che si è offerta di creare il banner e ha saputo fare – come sempre – un lavoro eccezionale.
P.s. ci tengo a dare i diritti per “Trenty” e il nome del locale “Enchated Forest” a Frà, perché è semplicemente geniale.
Disclaimer: Purtroppo per me e per fortuna per loro Peter e Hook non mi appartengono, non ci guadagno nulla e sono pazza, dunque è tutto frutto della mia mente.
  
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