Correndo il rischio
Capitolo I
Jake
si guarda intorno ansioso.
L’agitazione,
sempre più forte e pressante attimo dopo attimo, con una lentezza atroce
ed angosciante, gli annebbia il cervello e gli stringe lo stomaco in una morsa
assurda, mentre il profumo stucchevole dei fiori d’arancio che adornano
l’altare quasi gli dà il volta stomaco, contribuendo così a
completare il senso di malessere e di inquietudine che
da quasi mezz’ora -da tanto è fisso in piedi a torcersi le mani-
lo sta torturando senza pietà, come nel tentativo di togliergli anche
l’ultimo barlume di autocontrollo e di sangue freddo.
Per
l’ennesima volta, poi, si volta indietro, per dare un’occhiata,
e non volendo incrocia gli sguardi di quelli che da un paio di anni a questa
parte sono diventati i suoi nuovi colleghi: c’è Mike, lo
scassinatore, un ragazzetto di appena diciotto anni che, anche solo con un filo
d’erba sarebbe in grado di aprire una cintura di castità
medievale; accanto a lui, sbracato sulla scomoda panca di legno della piccola
chiesa designata per le nozze, se ne sta George,
l’esperto di esplosivi più in gamba -ancor più di certi
poliziotti!- di tutta Las Vegas, un energumeno alto, centimetro più,
centimetro meno, circa un paio di metri. Vicino alla strana coppia -così
li chiamano, giacché dove fallisce il primo, con le sue forcine ed i
suoi cacciaviti, subentra subito il secondo, con i suoi pacchetti di tritolo ed
i suoi cilindretti di dinamite- avvolta in un vestito rosso fuoco che lascia
scoperta un’abbondante e soda scollatura, Sasha
è intenta a rimirarsi le lunghe unghie laccate di scarlatto e le dita
sottili e perfette, da pianista, avvezze sin dalla più tenera età
a maneggiare polvere e denaro sporco come fossero le
cose più legali di questo mondo. Due panche più addietro, con in mano i loro fedeli ed inseparabili palmari di ultima
generazione, litigano i gemelli Anton,
rispettivamente Matt e Karl, ovvero due tra i pirati
informatici più bravi di Las Vegas, ai quali basterebbe anche solo un clic
dei loro mouse per mandare in palla la NASA, o almeno così dicono sempre
loro. Oltre a quelle cinque persone e al capo, che ancora non ha fatto la sua
comparsa, Jake non ha mai visto prima di persona tutti
gli altri, ma molto spesso su delle foto segnaletiche, cosicché
l’unica navata che forma la chiesetta è occupata da persone di cui
deve far finta di non conoscere né i nomi né, tantomeno, i volti
e questo perché quelle persone
altri non sono che alcuni tra i maggiori esponenti del crimine organizzato che
vessa l’intero stato del Nevada.
Contraccambia
con un cenno il saluto fattogli dai gemelli e riporta quindi la propria attenzione
sull’altare davanti a sé, sbuffando.
Jake è stanco.
E’
stanco di dover sempre fingere per non ritrovarsi con il cervello spalmato per
terra, di dover vivere una vita che, fondamentalmente, non è la sua, ma
soprattutto Jake è stanco di dover essere Jake.
Da quanto
tempo nessuno lo chiama più con il suo vero nome?
Da
quanto tempo Greg Sanders è
misteriosamente sparito dalla circolazione per riapparirvi con il nome di Jake Anderson?
Si sarebbe
potuto porre altri miliardi e miliardi di domande simili a quelle -domande a
lui ormai ben note, ma ancora senza una risposta precisa- ma il suono cupo e
greve dell’organo lo riporta alla realtà,
zittendo per un attimo non solo i suoi pensieri, ma anche tutti i presenti.
Trasale,
visibilmente emozionato, e si volta di scatto per una seconda volta, mentre il
prete prende posto davanti a lui.
Bellissima
nell’abito da sposa di seta nivea, con il capo coperto da un velo
semitrasparente, preso il braccio offertole da John, mente nonché
capo della sua banda, Sofia Curtis, o se preferite Kimberly McLandy -questo era il nome che
le avevano dato due anni prima- marcia lentamente fino a lui, affiancandolo
sorridente.
[Circa
due anni prima]
“Furti, rapine, spaccio
di qualsiasi sostanza illegale, riciclaggio di denaro
sporco, omicidi e chi più ne ha più ne metta...” riassunse Nick esausto “Questi tipi sono dei veri e
propri tutto fare! Vi giuro che non ho mai visto nulla di simile!” tutti
i presenti annuirono sconfortati. Una cosa del genere
non si era davvero mai vista, né a Las Vegas né altrove.
“Non è comunque il caso di darsi per vinti!” disse Grissom
che, come al solito, era sempre l’ultimo ad arrendersi “Abbiamo
ancora una possibilità, possiamo ancora farcela! Abbiamo arrestato un componente di questa nuova e fantomatica associazione
criminale, ricordate? Ebbene, il capitano Brass, con
un lungo interrogatorio, alla fine è riuscito a strappargli un sacco
d’informazioni utili...” e detto questo distribuì le copie della trascrizione
dell’interrogatorio.
“Queste informazioni
ci avvicinano alla verità, certo, ma in tribunale, di fronte ad un
giudice e a dei giurati, non reggerebbero sicuramente...”
gli fece notare Sarah e Grissom le sorrise
compiaciuto.
“Sapevo che
l’avresti detto; è vero, ci servono altre prove per sbattere al fresco questi delinquenti, ed è per questo che io
e Jim avevamo pensato ad una cosa...” spiegò loro per poi interrompersi proprio sul
più bello, ma non tanto per rendere la suspense, quanto più
perche quello che stava per dire, e lo sapeva benissimo, avrebbe generato non
poco meraviglia tra i suoi colleghi e sottoposti.
“Sarebbe?”
chiese Warrick sbrigativo come suo solito e Grissom si decise infine a vuotare
il sacco:
“Qualcuno di noi dovrebbe
entrare a far parte di questa banda di criminali
sottocopertura per raccogliere altri indizi e altre prove...” a quelle parole i volti dei presenti assunsero tutti
un’espressione differente l’una dall’altra: Katherine era
decisamente sbalordita dalla scelta, da parte di un tipo calmo come Grissom, di
una soluzione tanto drastica e pericolosa; Sarah non si smentì e subito
dette ragione al suo capo; Nick corrugò la fronte preoccupato, mentre
Warrick si era acceso dalla felicità, pensando che ogni tanto un
po’ di adrenalina non poteva che fargli bene.
Gli unici che non assunsero
espressioni facciali degne di nota, anche perché piuttosto
disinteressati, furono, per l’appunto Greg e Sofia, in quanto mai e poi
mai avrebbero potuto immaginare che la responsabilità di un affare tanto
grande ed importante avrebbe potuto riversarsi interamente su di loro.
Ma a quanto pare si sbagliavano, e di grosso anche.
Grissom, oltre ad essere
troppo vecchio era anche sin troppo famoso, sia come entomologo che come poliziotto, da potersi spacciare per un novello
criminale alla ricerca di un branco del quale far parte; Katherine aveva una
figlia e non poteva certo abbandonarla, con il pericolo costante, per di
più, di poterci lasciarci la pelle, per andare ad arrestare degli idioti
che non avevano nient’altro di meglio da fare che andare in giro ad
infrangere la legge; Sarah, in quanto cocca e fidanzata del capo, era stata
scartata a priori dal poter assolvere ad un compito tanto ponderoso; Nick, con
tutta la storia del rapimento, aveva ricevuto sin troppa pubblicità,
mentre Warrick era praticamente nato e cresciuto a Las Vegas, dove molti
sapevano che dopo una giovinezza sregolata fatta di gioco d’azzardo e di
scommesse il ragazzo aveva messo la testa a posto, diventando uno sbirro del
dna.
L’attenzione dei
lì presenti si focalizzò allora tutta su Greg e Sofia.
Erano delle vittime perfette
per un sacrificio del genere, carne fresca da mettere al fuoco.
I due si guardarono
leggermente impauriti, mentre nei loro animi increduli si faceva
strada un brutto, bruttissimo presentimento, assieme alla consapevolezza di
essere entrambi abbastanza anonimi e sconosciuti da poter diventare le cavie di
quel pericolosissimo, ma inevitabile esperimento.
Due giorni dopo Greg Sanders
e Sofia Curtis non esistevano
già più: al loro posto c’erano un ragazzo di nome Jake Anderson ed una donna i cui documenti, tutti rigorosamente
veri, la presentavano con il nome di Kimberly McLandy.
I giochi erano già
stati fatti, volente o nolente ormai erano in ballo e dovettero
ballare.
Considerando la confusione
che, complice ovviamente la polizia, crearono in
città non ci misero molto a farsi notare dalla criminalità locale
ed un giorno, all’uscio della topaia in cui, in quanto criminali, si
erano rifugiati, comparì un uomo sulla quarantina, ben vestito, alto e
snello con i capelli neri, corti e
due occhi di un azzurro sorprendente.
Quello era
John Roswald, Johnny per gli amici e per gli alleati
e morte certa per i nemici ed i traditori: un mafioso vero e proprio che da
giovane, non avendo soldi, si era fatto strada nel mondo della
criminalità -diventandone poi un pezzo da novanta- truffando, spacciando
e, se necessario, uccidendo anche. Tante persone -persone che avevano visto o
che sapevano più del dovuto- erano state sotterrate, alle volte anche
ancora vive nel bel mezzo del deserto del Nevada, e
non solo perchè la terra fosse resa alla terra e la polvere alla
polvere.
“Ho molto sentito
parlare di voi in giro...” disse
loro John una volta che l’ebbero fatto accomodare “siete bravi,
indubbiamente, ma dovete stare attenti a non sconfinare nei territori altrui,
altrimenti potreste trovare qualche difficoltà nel continuare a
respirare...” le parole audaci del boss non
impaurirono, almeno non in apparenza, i due, che ben sapevano quale fosse il
suo scopo ultimo.
“Mi faccia capire,
signor Roswald...” fece Greg ironico
accendendosi una sigaretta e respirandone una ben poco salutare boccata
“Lei, una delle parsone più importanti di Las Vegas, si è
preso la briga di venire qui di persona solo per dirci che il nostro lavoro
comporta dei rischi?” il ragazzo scosse il capo mentre dalle sue narici e
dalla sua bocca dischiusa si disperdeva il fumo del tabacco bruciato.
“Molti comincerebbero
a pregare per la salvezza delle loro putride anime dopo un discorso del genere,
voi invece non avete fatto una grinza e...” la risata divertita di Sofia lo interruppe costringendolo a
volgersi verso di lei.
“Francamente, signor
Roswald, io non credo che le sia tipo da far minacce vane, ma se avesse davvero
voluto elimarci non credo che sarebbe venuto fin qui
di persona e da solo per giunta, se davvero ci avesse voluti
morti a questo punto io e Jake staremmo già bruciando tra le fiamme
dell’inferno, non ho forse ragione?” chiese lei retorica lasciando
che Greg completasse quella semispecie di interrogatorio con l’ultima e
più importante domanda:
“Che cosa vuole
davvero da noi?” a quelle parole John sorrise crogiolandosi, per un
attimo, nell’idea di aver scelto, per completare la sua banda, le persone
decisamente più adatte.
“Davvero
sorprendente...” commentò per poi
spiegare loro il vero motivo della sua, per così dire, inaspettata
venuta “Se voi entrate a far parte del mio clan, se accettate di lavorare
per me io vi proteggerò da tutti gli altri e vi darò il modo di
farvi fare un bel po’ di strada in questo mondo...guadagnerete bene,
posso assicurarvelo.”
“Sfortunatamente,
signor Roswald, il nostro non è un problema di compenso o di guadagno...” gli disse Greg stupendolo
non poco “Può vedere benissimo da solo che io e Kimberly sappiamo
accontentarci di poco e questo perché il discorso è un altro: noi
siamo sempre stati come degli uccelli di bosco, abituati ad una certa
libertà d’azione...ci assicura che sotto la sua protezione, come
la chiama lei, non finiremo per diventare degli uccelli di gabbia?” John
sorrise di nuovo e si disse che quei due, oltre ad essere degli esperti nel
loro lavoro erano anche piuttosto divertenti e dotati di una faccia tosta di
certo non molto comune.
Doveva approfittarne subito,
due tipi del genere non gli sarebbero più capitati, lo sapeva fin troppo
bene, ed eliminarli sarebbe stato, indubbiamente, un
inutile spreco.
“Gli uccelli di bosco
rischiano grosso quando si apre la stagione della
caccia...” ironizzò il boss “ma non
avete niente di cui dovervi preoccupare...pur stando al mio servizio avrete, se
non tutta, almeno la maggior parte della libertà della libertà
che desiderate.” assicurò loro per poi
alzarsi e dirigersi verso la porta del monolocale “pensateci bene, ragazzi...sarebbe
un vero peccato sprecare il vostro talento, il vostro ingegno, io posso farvi
diventare grandi...avete due giorni per rifletterci, fate pure con
comodo...” e detto questo se ne andò
com’era arrivato.
I due erano rimasti assai
colpiti dalla facilità con cui John li aveva rintracciati e soprattutto
dall’interesse che aveva dimostrato nei loro confronti,
ma tanto meglio così in fondo: le prime due fasi del piano erano
andate in porto più che bene, davvero meglio di quanto entrambi
avrebbero potuto prevedere, ma non era certo il caso di cantar vittoria, non
ancora almeno.