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Autore: Bradamantee    10/11/2013    0 recensioni
Alexandra, chiamata da tutti Alex, è una ragazza di 20 anni che abita nella meravigliosa New York.
Divide il suo tempo fra amiche, università e lavoro. Per pagarsi la retta universitaria fa la cameriera, insieme con la sua migliore amica Judie, in un caffetteria del centro: il Paradise Cafè.
Un giovedì mattina però, la sua vita viene scombussolata dall'incontro con un ragazzo che fa scattare, per la povera sventurata, una sere di sfortunati eventi.
Ma chissà che da queste numerose sfortune non possa venir fuori qualcosa di bello, che possa cambiare la sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO UNO
 

New York,
 concrete jungle where dreams are made of,
there’s nothing you can’t do,
now you’re in New York 
 
 


7.20
Ancora non mi sono abituata al frastuono che mi riserva la mia sveglia ogni santa mattina.
Controvoglia, tiro fuori un braccio da sotto il cuscino e lo allungo verso il comodino per interrompere quel fastidioso rumore che mi impedisce di continuare a sognare.
E dire che era un così bel sogno: stavo affogando in un mare di cioccolata! Se fosse veramente così, la morte avrebbe un dolce sapore.
Risvegliandomi dalle mie malsane voglie suicida-ipocaloriche, vado in bagno a sciacquarmi la faccia e a tentare di dare una certa forma, obiettivo quasi impossibile, a quel nido nero di corvi che mi ritrovo tra i capelli.
Davvero ottima l’idea di andare a dormire con i capelli bagnati; adesso il cespuglio e il mal di collo non me li toglie nessuno.
Vado in cucina e mi preparo la mia “leggera” colazione: caffè, cornetto alla crema e una fetta di pane con abbondante razione di Nutella! Sia ringraziato il signor Ferrero per questa sua grande invenzione che ha dato un senso alle tristi mattine di noi poveri studenti.
E a proposito di scuola, conviene che mi sbrighi se non voglio arrivare un’altra volta in ritardo alla lezione della McCall la quale già non stravede per me, figuriamoci poi se ogni giovedì mattina entro in ritardo nel bel mezzo della sua spiegazione.
Corro in camera e mi vesto in fretta e furia coi vestiti che, saggiamente e previdentemente, avevo preparato la sera prima.
Mi lavo i denti, un’ultima occhiata allo specchio per vedere se i capelli non mostrano i segni di una dura lotta, vinta a fatica dalla sottoscritta e mi precipito fuori casa.
Mi fiondo come una furia in ascensore, senza prestare attenzione alle imprecazioni che mi rivolge il mio adorato vicino Michelle. Che razza di nome è poi Michelle per un uomo?!
Se poi, per giunta, l’uomo in considerazione è alto come un Watusso e largo quanto un armadio a doppia anta, direi che questo tenero nome non gli si addica proprio.
Ma non devo soffermarmi su tali quesiti, devo pensare solamente a sbrigarmi per non arrivare in ritardo.
“Taxi!” urlo, nella speranza che una di quelle tanto note macchine gialle si fermi.  Nulla da fare.
Sono otto minuti buoni che continuo a chiamare un maledetto taxi ma nessuno pare intenzionato ad ascoltare le mie grida.
A un certo punto, ormai rimasta senza voce, metto due dita in bocca e fischio con tutto il fiato che ho in gola.
Miracolo, un taxi inchioda e io, con le mani alzate al cielo a ringraziare e le lacrime agli occhi dalla felicità, mi avvio verso il mezzo tanto agognato.
Non faccio in tempo ad aprire la portiera che un ragazzo mi si para di fronte approfittando del mezzo libero.
“Ehi!” gli dico cercando di fargli capire che quel taxi è mio, ma lui pare non sentire o meglio, fregarsene.
“Grazie per il fischio, dolcezza”  e sale sul mio, ribadisco, taxi.
Rimango senza parole. E ha avuto pure la sfacciataggine di ringraziarmi il tipo! Ma chi si crede di essere quel cafone! Non faccio in tempo a sputargli in faccia quello che penso che ha già richiuso la portiera e l’auto si è mimetizzata con il giallo della strada.
Guardo l’orologio: cinque minuti all’inizio della lezione.
Non mi resta che un’unica possibilità per non perdermi del tutto l’ora: percorrere nove isolati a piedi, e di corsa anche.
 



Inutile dire che arrivo tardi alla lezione di ben ventisette minuti e che la faccia della signora McCall non assomiglia di certo a quella di un angelo, casomai il contrario. Se poi all’insieme si aggiungono il suo piccolo paio di occhiali che le assottigliano ancor di più gli occhi, da farli sembrare quasi due puntini, e i baffetti, che sempre più si intravedono ogni giorno che passa, il tutto accompagnato da una scarsa chioma rossa, l’aspetto totale non può essere che il protagonista dei miei peggiori incubi.
Inizio a rimpiangere il mare di cioccolata di stamattina.
“Signorina Parks” inizia con la sua vocina squillante “noto con piacere che ha avuto il tempo di degnarci delle sua presenza. La prossima volta può anche evitare di presentarsi se deve piombare nel bel mezzo della mia spiegazione e interrompere il mio discorso. Sa,” continua imperterrita con uno sguardo assassino fisso nei miei occhi “ci  sono molte persone che danno più importanza a un sonno di bellezza e per questo la mattina fanno fatica ad arrivare in orario ai propri impegni, vedo che lei non è da meno, anche se ottiene scarsi risultati” dicendo questo la classe comincia a ridere e la professoressa mostra un sorriso di vittoria sul volto.
Alex, stai calma, respira, è inutile inimicarsi ancor di più la prof, vai al tuo posto e fai come se nulla fosse successo.
Al diavolo, non gliela voglio lasciar vinta alla carogna.
“Scusi prof, non accadrà più. Comunque per il mio sonno di bellezza volevo proprio chiederle un consiglio visto che, da quanto è informata, deve esserne un esperta”.
Sulla classe cala il silenzio totale e gli occhi della McCall si infossano ancor di più.
“Meglio che vada a sedersi, signorina Parks. Ho deciso di ignorare questo suo commento perché devo proseguire con la spiegazione. Si sieda e presti attenzione”.
Parks-McCall 1-0 e mi dirigo al mio posto con un’espressione di vittoria sul volto seguita dallo sguardo di stupore degli altri alunni.
Per fortuna il resto delle lezioni prosegue veloce e senza intoppi, così mi avvio verso la mensa dove mi attente Judie, la mia migliore amica.
Appena mi vede alza la mano per salutarmi.
Voglio un bene dell’anima a quella ragazza: ci conosciamo dai tempi delle superiori, da quando entrambe, per sfuggire alla cavallina del professor Torp, ci siamo nascoste nel sottoscala a mangiare le merendine del distributore. Da quel momento diventammo inseparabili.
E adesso frequentiamo la stessa università anche se seguiamo facoltà diverse: io biotecnologie e lei veterinaria.
“Hola chica!” mi saluta avvolgendomi nella sua morsa d’acciaio. A vedere quelle braccine esili non si direbbe, ma Judie nasconde davvero una forza sovraumana in quegli arti che viene fuori quando ti stritola nei suoi abbracci.
“Come stai?” mi chiede senza mai mollare la presa.
“Al momento mi sento un po’ a corto di aria nei polmoni” e subito, accorgendosi che mi teneva ancora stretta, molla la presa e mi tira un buffo sulla spalla.
“Ehi cosa ho detto di male?” dico ridendo: Judie non sopporta quando critico il suo modo di abbracciare le persone ed esagera sempre nel giustificarsi.
“Uffi, sai che io abbraccio con una presa un po’ più salda rispetto agli altri ma solo per far vedere alla persona che stringo fra le mie braccia che le voglio bene e voglio trasmetterle parte della mia energia positiva perché sì, cara la mia bella morettina, so della scenata della megera di stamattina e non voglio che ti abbatta. È solamente invidiosa del fatto che tu sei giovane e bella e che hai ancora una lunga vita piena di felicità ad attenderti non come la sua che è triste e monotona, da perfetta zitella” e alla fine del suo discorso scoppio a ridere e la abbraccio a mia volta.
“Grazie Jud, sei la migliore! Comunque è stata una soddisfazione rispondere a pari tono a quella vecchia rachitica. Se lo meritava. E poi questa volta non è colpa mia se sono arrivata tardi”
Judie sorride. “Ah no? E, sentiamo, qual è la scusa per questo tuo ritardo involontario?”
Le faccio la linguaccia perché non mi prende sul serio e lei ride di rimando.
Le racconto di quanto accaduto quella mattina, di come i miei capelli non trovavano una piega decente in questo mondo, della gentilezza nei toni del mio vicino e del piacevole episodio di farsi rubare il proprio taxi da sotto il proprio naso da uno individuo che non conosce le buone maniere.
Appena finisco di raccontare, Judie inizia a fantasticare su questo misterioso uomo e già mi vede come in quei film tipici con Sandra Bullock o Kate Hutson in cui, da scene del genere, nasce una storia d’amore tormentata fra i protagonisti della commedia.
Mi piace ascoltare le storie che inventa anche se a volte la sua fantasia un po’ contorta mi fa paura.
Riguardo alle sue idee su quell’essere, le stronco già sul nascere e spero con tutto il cuore di non ritrovarmelo davanti per il suo bene: potrei non rispondere delle mie azioni.

 
 
 
These streets will make you feel brand new,
the lights will inspire you,
let’s hear it for New York, New York, New York

 
  
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