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Autore: EliCF    10/11/2013    2 recensioni
"Ho imparato a riconoscere e tradurre in emozione ogni tutta occhiata, ogni tuo movimento. Immaginavo una folla che guardava adorante il tuo lavoro incompiuto sul cavalletto, distratta solo dai quadri già completati.
Stavo per addormentarmi (se ci fossi riuscito sono certo che avrei sognato te) quando mi ricordai di non aver preso la mia dose di azt. Saltai giù dal divano e rovistai nel cassetto in cui tenevo gli spartiti, alla ricerca del mio barattolino arancione.
Tengo lì le mie pillole perché so che non metteresti mai le mani tra i miei spartiti. Ho fatto leva su un tuo punto debole, Kurt… e mi dispiace. Ma davvero non potevo permettermi che le trovassi. Mi hai parlato spesso del tuo Glee Club e di quanto ami la musica e di quanto sia rimasto deluso quando non sei stato ammesso a quella scuola. Sono sicuro che il ripiego sulla pittura sia stato, appunto, solo un ripiego. Per questo non avresti mai sopportato la vista di un altro spartito, un’altra nota, il simbolo di un altro diesis o un accordo.
La tua malattia era il posto perfetto per nascondere la mia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio, Rachel Berry, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2                                                              

Le semplici medicazioni di Kurt si rivelarono efficaci e Blaine iniziò subito a sentirsi meglio.
 
Le ferite che prima bruciavano ora erano solo graffi, mentre per i lividi –entrambi lo sapevano bene- non ci sarebbe stato rimedio se non il passare del tempo.
Sarebbero diventati verdi, neri e infine giallastri, prima di scomparire.

Blaine iniziò a chiedersi come mai i suoi aggressori fossero fuggiti via con l’arrivo di Kurt: avrebbero potuto stenderlo all’istante, esattamente come avevano fatto con lui. Sembrava persino più fragile, con quel corpo esile e i muscoli non troppo gonfi.
Kurt non avrebbe spaventato nemmeno un insetto. Perché scappare?

Quando Blaine diede voce ai suoi pensieri, Kurt gli stava fasciando il primo ginocchio.

La domanda sembrò essere di suo gradimento, perché spostò lo sguardo sul suo viso e, prima di tornare a concentrarsi nuovamente sulla fasciatura, gli sorrise divertito.

”Dovrei raccontarti di quando ho strappato le  borse della spesa di una vecchietta dalle grinfie degli stessi aggressori,” disse, con un adorabile sorriso dipinto sul volto, “e non so se troveresti divertente la parte in cui ho preso per i capelli uno di quelli e l’ho sbattuto contro il muro talmente forte da fargli perdere conoscenza.”

L’espressione di Blaine boccheggiò tra il divertito e lo sconcertato. L’orgoglio di Kurt crebbe fino ad esplodere in una risata piena e cristallina.

”Non preoccuparti, i suoi amici sono scappati subito e io l’ho accompagnato all’ospedale per fare una tac.”

”E come stava?”

Kurt fece spallucce con disinvoltura. “Trauma cranico.”

Risero di gusto fino a che non esaurì la sua scorta di bende.

 
*

”Hai tutta l’aria di essere uno che si è trasferito a New York da poco.”

Blaine stava scoprendo l’assurdo potere che permetteva a Kurt di intuire molte, troppe cose su di lui. E Blaine non era mai stato in grado di scoprirsi del tutto, non con le persone.

Non lo aveva fatto con la sua famiglia, non lo aveva fatto con  il suo ex fidanzato, non lo aveva fatto con nessuna delle persone che aveva incontrato in tutta la sua vita e di certo non avrebbe iniziato quel giorno. Non avrebbe mostrato le sue debolezze e non avrebbe svelato i suoi segreti; soprattutto non l’avrebbe fatto davanti a quello sconosciuto dalla faccia d’angelo che diceva di chiamarsi Kurt.

Se ne sarebbe vergognato infinitamente.

Per questo tenne lo sguardo basso quando Kurt si sedette accanto a lui ed iniziò a raccontargli del suo lavoro con espressione serena. Doveva essere un pittore o qualcosa del genere, perché continuava a dire di dover trovare un modo per racimolare gli ultimi spiccioli e comprare colori nuovi per ultimare i nuovi disegni.

”Il problema è che se non ho i colori non posso finire i disegni,” piagnucolò in maniera teatrale, ”e se non posso finire i disegni non posso venderli!”

Blaine annuiva incastonando la testa tra le spalle e sforzandosi di non guardarlo, per evitare di perdersi di nuovo nell’azzurro di quegli occhi. Quell’uomo doveva aver venduto l’anima al diavolo.

”Se non vendo gli ultimi disegni, non potrò comprare i colori. Ma se non compro i colori non potrò mai finirli!”

Era terribilmente adorabile.
 
Blaine si spaventò di quanto stesse silenziosamente venerando un perfetto sconosciuto.
Lo aveva sottratto allo svolgimento di una delle tante risse in cui era stato coinvolto, certo, ma questo non faceva di lui il suo nuovo idolo. O, almeno, le cose sarebbero dovute andare così.

Il cielo si era ingrigito e nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato.
Kurt continuava a chiacchierare e Blaine si torceva le mani quando gocce di pioggia tiepida iniziarono a picchiettare entrambi.

Kurt arricciò il naso, sospirò con impazienza e disse qualcosa a proposito di un ombrello che doveva aver rubato il giorno prima in un negozio di abiti usati.

Blaine non lo ascoltò, concentrato sulle sue ginocchia fasciate. Aveva zoppicato fin lì grazie all’aiuto di Kurt e non sarebbe riuscito a replicare l’impresa da solo. In più, nelle sue condizioni, sarebbe stato prudente evitare di inzupparsi in pieno inverno.

A New York il freddo uccideva.

Prima che potesse valutare le possibilità di salvarsi, Kurt gli fu di fronte e… sembrava brillare.

Ammiccò impercettibilmente, si chinò su di lui e, approfittando della distrazione che lo possedeva sin da quando si erano incontrati, una mano sulla schiena e l’altra sotto la piegatura delle ginocchia, lo sollevò ed iniziò ad avanzare lungo la prima rampa.

”Ku- Kurt!” Blaine si oppose debolmente, a disagio nella sua stretta. Notò la mascella serrata nello sforzo di trasportarlo e una vena che fece capolino, doppia, sul suo collo. Era vicinissimo e Blaine si sentì come un bambino tra le braccia del padre. Ebbe l’istinto di toccarlo, chiedendosi perché non fosse così bello e perfetto anche lui. Sulla schiena premeva uno dei bicipiti di Kurt, un po’ tremolante ma abbastanza stabile da farlo sentire terribilmente vulnerabile.

Un bellissimo sconosciuto che comprometteva il suo autocontrollo psicofisico lo stava accogliendo in casa sua perché è la vigilia di Natale! e lui non poteva fare altro che rimanere inerme tra le sue braccia mentre lo trasportava su per una rampa di scale.

La porta del loft era socchiusa e Kurt riuscì ad aprirla spingendola con la punta della scarpa. Non appena furono dentro, furono colpiti dall’odore di carta bruciata.
Notifiche di sfratto erano attaccate tutt’attorno alle pareti.

Blaine venne calato sul tavolo al centro dell’appartamento con estrema delicatezza. Rimase lì a guardarsi attorno, mentre Kurt estraeva dei fiammiferi dalla tasca della giacca e dava fuoco ad uno dei bidoni di latta pieni di carta straccia. Lo spinse nei pressi del tavolo e prese posto al fianco di Blaine, sporgendo le mani verso la fiamma.

”Allora, Blaine,” miagolò pronunciando il suo nome, “cosa ne dici di parlarmi un po’ di te?”

Era la peggiore domanda nell’intera scala delle peggiori domande che avrebbe potuto farsi venire in mente.

Parlargli un po’ di sé. E come si faceva?


Non era per niente abituato a parlare di sé a qualcuno. Il suo ex fidanzato era stato il suo migliore amico fin dall’asilo e non c’era mai stato bisogno di parlare e di conoscersi.
Quando l’aveva lasciato, due anni prima , l’aveva fatto perché aveva ritenuto prioritario sposare una donna giovane e ricca e Blaine era rimasto a vivere da solo in quel loft immenso e senza nessuna possibilità lavorativa.

Suonava la chitarra. In ogni piazza, nei pressi di ogni strada, lungo ogni marciapiede.
In ogni giorno, ogni mese, ogni stagione dell’anno. Era un po’ il suo modo di misurare lo scorrere del tempo e gli piaceva. Era la sua vita.

Aveva vissuto fino a quel momento alla ricerca di una canzone, alla ricerca della gloria. Qualcosa da lasciare dietro di sé, un segno in quello schifo di città che chiamavano città dei sogni.

Quelli di Blaine Anderson erano stati infranti. Calpestati. Resi irrecuperabili. Resi miseri da quella stessa città, irrimediabilmente corrotta dalla fame.

Cosa ne dici di parlarmi un po’ di te?


”Sono un musicista.”


Era tutto quello che poteva lasciar trapelare di sé. Non c’era davvero nient’altro che contasse.
 
Non valeva la pena scoprire nient’altro su di lui: né della sua storia andata a rotoli, né di tutti i sacrifici che aveva fatto per guadagnarsi un posto nel campo della musica e che, arrivato a New York, non erano serviti a nulla. Non avrebbe detto altro semplicemente perché non ci sarebbe stato nient’altro da dire.


”Oh, un musicista!” esultò Kurt e il suo volto si illuminò come se fosse giorno.
 
Le fiamme gli creavano un gioco di luci e ombre sul viso che permise a Blaine di scoprirlo in maniera più approfondita: la radice del naso era stretta, lo sguardo era reso più profondo da un paio di occhiaie lievi, il taglio delle labbra semplicemente perfetto, il modo in cui i capelli cercavano di ricadergli sulla fronte senza mai riuscirci… adorabile.
 
Inghiottì l’immane quantità di saliva che gli si era riversata in bocca e si protese anche lui verso il fuoco.


Kurt intuì che non si sarebbe lasciato sfuggire una parola in più e decise di non insistere.
 
Non ancora, almeno.
 
*

Blaine ringraziò Kurt non appena smise di piovere, intenzionato a tornare a casa prima che ricominciasse.

”Non vorrai arrivare fin lì da solo?”

Stava sistemando distrattamente una pila di disegni che Blaine, dal tavolo, non poteva vedere. Non gli diede il tempo di rispondere.


”Ti riaccompagno io. Niente storie,” gli rivolse uno sguardo divertito, “non puoi nemmeno minacciare di prendermi a calci.”


Blaine fu costretto ad arrendersi. Ovviamente Kurt non l’avrebbe sollevato di nuovo - aveva come l’impressione che nemmeno morisse dalla voglia di farlo - e si sarebbe sforzato di tornare a casa zoppicando. Si sentiva meglio: avrebbe persino tentato l’impresa di salire i gradini fino all’ultimo piano tutto da solo.
 
Guardò Kurt riempire una ciotola d’acqua e riversarla sul fuoco, inzuppando irrimediabilmente la carta che ancora doveva bruciare. Blaine rimase un po’ stranito: il fuoco era prezioso. C’erano giorni in cui rimaneva del tutto al buio e lui poteva addirittura permettersi di spegnerne uno? Cosa gli passava per la testa?

”Non preoccuparti, Blaine. Con tutte le notifiche di sfratto che mi lasciano ogni giorno, il fuoco non mancherà mai in questa casa,” sorrise Kurt, leggendo la sua espressione, “per non parlare del numero di copioni che riesce a rifilarmi ogni giorno la mia coinquilina!”

Quando Kurt si avvicinò ed issò un suo braccio sulla spalla, Blaine sperò che non avesse percepito il brivido che lo scosse con così tanta forza da fargli tremare le ginocchia.


”Copioni?”


Se la sua coinquilina avesse potuto permettersi la retta di una qualsiasi scuola di recitazione, di certo non abiterebbe lì. Allora perché?


”Pensa che io voglia ancora fare l’attore,” alzò gli occhi al cielo, “li brucio quando non se ne accorge.”

 
*
 
Come si fa a scrivere una canzone che rispecchi la vita vera, se la vita stessa è sempre più simile alla finzione? Come trovare gli accordi giusti quando già prima di essere suonati sembrano essere tutti sbagliati? Come si può sperare di generare arte quando non si riesce a stare sulle proprie gambe e la vita intera sembra essere uno scherzo di cattivo gusto? Come si può contare sul tempo quando poveri, ricchi ed amanti sono traditi dalle cellule del loro stesso sangue? 

Come pagherò l’affitto dell’anno passato?

Blaine era congelato e affamato a causa della vita che aveva scelto.

Era stato costretto a bruciare anche la manica del cappotto che gli avevano strappato il giorno prima per alimentare il fuoco che gli aveva fatto compagnia durante la notte.
Come avrebbe fatto ad accendere il fuoco quando non sarebbero rimaste da bruciare neanche le notifiche di sfratto? Come si accende un fuoco quando non si ha più nulla da bruciare?


Lo sguardo guizzò verso i suoi spartiti.


Come pagherò l’affitto di quest’anno?


Fece picchiettare la matita un paio di volte sulla carta pentagrammata, pensieroso. Chiedeva molto? Chiedeva troppo?


Una canzone. La gloria. Una sola canzone, prima di andarsene. Una dannata canzone da lasciare dietro di sé. Una canzone per far sì che qualcuno lo ricordasse. Una fiammata di gloria, un ultimo ritornello prima che la malattia prendesse piede.


Avrebbe trovato quella canzone nella vita di qualcun altro? Che fosse nella vita del suo ex ragazzo, ormai sposato e ricco, o nella sua, ghiacciata come i vetri di casa, non importava. C’era, doveva essere lì. Bastava solo che la trovasse.


Trova la gloria, Blaine, trova la gloria!


Nelle lampadine colorate che luccicano nell’appartamento di fronte? Nel ragazzo chino su una chitarra che ti guarda dallo specchio?


Avrebbe trovato la gloria in una canzone che suonasse vera, una fiamma eterna. Una canzone sull’amore, per riscattare la sua vita sfuggente. Avrebbe fatto in tempo?


Come pagherò l’affitto del prossimo anno?


”Blaine?” una voce elettronica proveniente dal telefono dell’appartamento lo informò del fatto che qualcuno stesse lasciando un messaggio nella segreteria.


”Blaine, tesoro. Buon Natale da me e papà, ti vogliamo bene. Ci dispiace che tu non sia qui con noi. Chiamaci appena ti svegli e-” la donna indugiò solo un attimo, “non dimenticare di prendere l’azt.”
 
*

Doveva essersi appisolato sulla sua stessa chitarra, perché quando la porta scorrevole cigolò per rivelare la presenza di un ospite, Blaine sobbalzò e dovette asciugarsi il sottile strato di saliva che gli bagnava il mento.

”Kurt, cosa-“


Kurt gli aveva promesso che sarebbe tornato per portargli un paio di fiammiferi in più e per augurargli buon Natale. L’aveva salutato con una stretta di mano fin troppo formale per i gusti di entrambi e gli aveva fatto l’occhiolino prima di uscire.
Blaine non credeva sarebbe arrivato così presto.


Il ragazzo varcò la soglia aprendo le braccia ed esultando in un divertito: ”Buon Natale, mi amigo!” 


Un fastidioso rumore di tacchi accompagnò la sua entrata. Il capelli castani pettinati all’indietro e i tratti del viso erano morbidi come li ricordava, la camicia azzurra, seminascosta dalla giacca blu notte, richiamava vagamente il colore dei suoi occhi; le scarpe lucide continuavano a fare rumore ad ogni impatto col pavimento.

Blaine non poteva crederci: lui era lì, tirato a lucido come non mai.


 

Si svegliò di soprassalto tra le coperte tiepide e si rese conto di aver appena avuto un incubo. Sentì il sudore asciutto sulla fronte e sulla schiena tirargli la pelle quando si stiracchiò e si voltò, strizzando gli occhi per cancellare il velo che gli rendeva lo sguardo appannato.

Una chioma di capelli castani giaceva sul lato opposto, la schiena, completamente coperta dalle lenzuola, che si alzava e abbassava regolarmente. Blaine si mise a sedere, chinandosi nella sua direzione e lasciandogli un bacio sui capelli scompigliati.

”Buon Natale, amore.”

Il ragazzo grugnì in risposta, rotolando nella sua direzione. Tirò la coperta per coprirsi fin sulla radice del naso, gli occhi spalancati che indugiavano su di lui.

”Buon Natale, gran bel pezzo di-“ Blaine lo interruppe ridendo.

”Risparmiati i tuo non-proprio-adorabili appellativi almeno il giorno di Natale, Sebastian.”

Il ragazzo calciò via le lenzuola, scoprendo entrambi e rivelando due corpi nudi ed infreddoliti. Blaine rabbrividì, ma non obiettò.

”Hai freddo, dolcezza?”

Sebastian si avvicinò e gli posò una mano tiepida sul petto liscio e, senza aspettare che rispondesse, lo spinse di nuovo giù tra i cuscini.

”Posso insegnarti io un nuovo modo per scaldarsi.”
 
 



“Che cosa ci fai qui?”
”Hei, tesoro,” Sebastian aggrottò le sopracciglia e si fermò di fronte il tavolo su cui Blaine stava lavorando, “sono qui in segno di pace!”

Blaine si accorse di avere ancora la matita stretta tra le dita solo quando la lasciò rotolare a terra nel tentativo di saltare giù dal tavolo. Poggiò con delicatezza la chitarra sul ripiano, in un gesto che parve quasi fuori luogo vista la tensione che aleggiava su entrambi.
 
Sebastian teneva ancora le braccia spalancate, come ad aspettare che Blaine si avvicinasse e facesse lo stesso, per poi stringersi in un abbraccio caloroso e forte, come fossero vecchi amici.
 
Blaine si sentì disgustato al solo pensiero.

”Avanti, dolcezza. Sono io, non il Cristo Redentore di Rio de Janeiro.”
 
Blaine lo ignorò e si diresse verso il contatore elettrico, spinse verso l’alto un paio di levette e delle lampadine si illuminarono fiocamente.

”Lo vedi? Ti ho persino ripristinato la corrente elettrica!”

Rinunciò ufficialmente all’abbraccio quando lasciò ricadere le braccia lungo il corpo sottile, guardandosi attorno con aria divertita e riconoscendo ogni angolo della casa: il tavolo di fronte il piano cottura ingiallito dal gas, il frigorifero grigio, il letto – il loro letto - lungo il lato opposto del perfetto rettangolo che disegnava il perimetro del loft.
Blaine lo aveva coperto con lenzuola azzurre, disfatte solo su uno dei due lati. Sull’altro erano lisce e ripiegate su loro stesse, come se avesse intenzionalmente evitato di dormire in quella porzione di letto.

”Cosa sei venuto a fare, Sebastian? Cos’altro vuoi?” sibilò, intercettando il suo sguardo senza riuscire ancora a cogliere il motivo della sua visita.

Cos’altro? Cosa ti ho preso fino ad ora, dolcezza?”

Sfoggiò il sorriso sghembo che era solito rifilargli ogni volta che sapeva di stare mentendo spudoratamente. Blaine boccheggiò, come colpito materialmente dall’ingenuità che il suo ex era riuscito a fingere ogni volta che avevano avuto occasione di rivedersi.
 
 


”La tua fidanzata sa che frequenti la metà dei bar gay di New York?!”

Sebastian rise, gli posò una mano sulla spalla e avvicinò il viso al suo come se stesse per rivelagli un segreto che avrebbe segnato il resto della sua vita.

”La mia fidanzata” sussurrò con dolcezza malata, “è così stupida da credermi vergine.”

Blaine cercò di ricacciare indietro le lacrime che bruciavano come fossero fuoco vivo, inspirò profondamente ed espirò in maniera lenta. Chiuse gli occhi e sentì fiamme scorrergli lungo le guance contratte in una smorfia.
”Mi hai ingannato per una vita intera.”

 
Lo guardò intensamente, sentì gli occhi muoversi convulsamente lungo i suoi lineamenti alla ricerca di un movimento, una ruga, una piega sulla sua pelle che tradisse il dolore che in realtà stava provando.
 
Ma no, Sebastian non provava dolore: sembrava essere diventato immune ai sentimenti, imbastardito dalla fame e dal freddo.

”Mi hai lasciato per una donna che non ami solo perché è la figlia del proprietario dell’intero quartiere! Mi hai lasciato dopo avermi promesso che saresti rimasto! Mi hai lasciato, e dopo avermi staccato la corrente hai il coraggio di venirmi e chiedere come sto? Che cosa hai fatto al ragazzo di cui mi sono innamorato al liceo?”

Aveva ruggito le sue accuse ad una spanna dal suo viso. Anche in quel momento, seppur guardandolo con disprezzo, dovette trattenersi dal lasciare che lo sguardo indugiasse sulle sue labbra, in quel momento dischiuse nello stesso ghigno con cui lo aveva conquistato anni prima.

”Mettiamola in questo modo, amore: per farmi perdonare posso prometterti che non verrò mai a riscuotere il tuo affitto.”


 
 

Niente più affitto, eppure la casa era tappezzata da notifiche di sfratto. Avrebbe dovuto smettere di credere alle promesse di Sebastian già da un po’.

Aprì e richiuse la bocca un paio di volte prima di scuotere la testa, sperando che cogliesse il suo silenzioso ma esasperato lasciami in pace.

”Qualcosa mi dice che non hai ancora scritto quella stupida canzone.” disse, avvicinandosi agli spartiti che giacevano sul tavolo di fianco alla chitarra. Blaine si affrettò nella sua direzione e gli strappò di mano i fogli che stava esaminando, sentendo la rabbia farsi largo nel suo petto.

”Si può sapere cosa diavolo vuoi, Sebastian?” la lingua schioccò rumorosamente quando pronunciò il suo nome e spense il sorriso che, a quel punto, sembrava deformargli il volto in una smorfia.

”L’affitto.”





velocissime Note di regia:
Non so come ringraziarmi per la fiducia che avete già riposto in questa long! Sono felice. Grazie a coloro che hanno recensito, inserito nelle seguite/ricordate/addirittura preferite, o semplicemente (che poi di semplice non c’è proprio niente) letto! Alla prossima settimana! 
   
 
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