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Autore: nicky__    10/11/2013    0 recensioni
Mi sono innamorata di lui al primo sguardo, per i suoi magnifici occhi azzurri.
Furono loro la causa delle mie lacrime.
Sempre.
Anche adesso, dopo più di dieci anni, sto piangendo per quei suoi magnifici occhi azzurri.
Mi sono bastati pochi attimi per rendermi conto che, nonostante tutto, non mi ero mai dimenticata di lui.
Mi sono bastati pochi attimi per rendermi conto che, nonostante tutto, lo amavo ancora, incondizionatamente.
***
Feci un profondo respiro, alzai la mano chiusa a pugno e bussai.
Avevo la testa vuota, non riuscivo a pensare a nulla.
Sentii la maniglia della porta muoversi.
Ancora pochi attimi e la porta si aprì.
E io lo vidi.
Di nuovo mi persi nei suoi occhi azzurri e di nuovo le lacrime cominciarono a scorrere, senza freni.

***
-Mine, io me ne vado. Per sempre.
Quelle parole furono le cose più dolorose che avevo mai provato in vita mia.
Mi girai e lo guardai negli occhi. Non servivano parole, il dolore che trasmettevano bastava.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nobody Else
 
“Jasmine!” mi sentii chiamare.
Erano passati undici anni da quando, per l’ultima volta, qualcuno mi aveva chiamata così.
Era impossibile che fossi io quella persona, lo sapevo. Per tutti ormai, io ero Jess. In quel momento, però, era come se fossi tornata ad essere Jasmine.
Mi voltai.
“Mamma, che c’è?” mi chiese Rose, tirandomi per la manica.
Ma io non ascoltavo.
Era là.
Lui era là.
Mi salirono le lacrime agli occhi e mi ci volle uno sforzo disumano per non farle scendere.
Mi fece un cenno con la mano destra che poi nascose in tasca. Alzai lo sguardo sul suo viso. Aveva le labbra piegate in un mesto mezzo sorriso.
Gli occhi.
Quegli occhi, azzurri come il cielo d’estate.
Furono loro la causa delle mie lacrime.
Sempre.
Anche questa volta, le gocce cominciarono a scendere, senza singhiozzi, senza scosse, solo lacrime silenziose che mi solcavano le guance rosate.
“Jess? Tutto bene?- qualcun altro mi chiese nuovamente –Jess?” insistette quell’uomo.
Mi resi conto che dovevo rispondergli: era mio marito.
“S-si. Tutto bene” dissi, non troppo convinta, mentre cercavo con tutte le mie forze di fermare le lacrime.
Ci riuscii.
Alzai le mani sul viso e mi asciugai le guance.
Girai la testa verso mio marito, cercando di sfornargli un sorriso rassicurante.
A quanto pare funzionò.
“Mark? Possiamo tornare a casa? Sono stanca e oggi pomeriggio devo tornare al lavoro” chiesi; le lacrime che incombevano pericolosamente.
Si accigliò, perplesso, ma mi lasciò fare.
“Sì, va bene” mi sorrise.
Girai nuovamente la testa, ma lui non c’era più. Se n’era andato.
 
Erano le due. Cavolo…! Avrei fatto tardi al lavoro.
Mi vestii in fretta e mi truccai altrettanto velocemente. Non avevo tempo.
Diedi un casto e veloce bacio a Mark e uno altrettanto veloce a Rose, poi uscii di casa e mi infilai in macchina diretta verso l’ufficio.
Il viaggio in auto mi diede il tempo di pensare.
Perché era tornato?
Quando era tornato?
Era tornato per me?
Forse sì. Forse si era ricordato di quella promessa.
“…ti aspetterò, Jasmine…”
No, non era possibile. Era passato troppo tempo.
Speravo davvero che non fosse tornato per quello. Gliel’avevo fatta anche io quella promessa e non l’avevo mantenuta. 
“…ti aspetterò anch’io, Matt. Per sempre…”
E se invece fosse stata un’allucinazione? Capita, a volte, quando fa tanto caldo…
No, non era un’allucinazione. Lui era là. Matt era là.
Quindi… era tornato per me?
Ma come aveva fatto a trovarmi? Infondo, erano passati tanti anni…
 
Arrivai al lavoro con mezz’ora di ritardo, ma non m’importava. Quel giorno non m’importava di nulla. Ripensandoci, tra me e una macchina non vi era alcuna differenza quel pomeriggio, poiché non pensavo a quello che stavo facendo, la mente era altrove. Era rimasta in strada, quella mattina, nei suoi occhi.
Cominciai a riprendere in mano la possibilità dell’allucinazione; alla fin fine, mi aveva solo salutato e poi se n’era andato.
Era questo che non capivo. Se era qui per me, perché se n’era andavo via, all’improvviso, senza dire e fare nulla?
Ripensai al suo cenno con la mano.
Mio Dio…! Le sue mani…! Quante volte le ho sognate mentre mi stringevano…!
No, ero certa che non fosse un’allucinazione.
 
“Mark? Ciao, sono io, Jess” lo chiamai al telefono.
“Dimmi? C’è qualche problema?” mi rispose preoccupato: io non lo chiamo mai al telefono, se non per avvisarlo in casi di emergenza.
“Ehm… sì. Questa notte mi devo fermare qui. Ho avuto un problema in ufficio e… lo posso risolvere solo alla notte, quando non c’è nessuno” dissi, spiegandogli brevemente.
“Ah… si, okay, tranquilla” non sospettò nulla: non era la prima volta che mi capitava di dovermi fermare in ufficio di notte.
“Okay. Buona Notte”
“’notte. Ti Amo” rispose.
“…anch’io…” chiusi la telefonata.
Quanto avrei voluto che fosse vero…!
Per quanto mi sforzassi, non sono mai riuscita ad amarlo fino in fondo. Si, certo, ci tenevo a lui, ma quel sentimento non si poteva chiamare amore, no di certo.
Gettai il telefono sul sedile del passeggero. Impugnai il volante con la mano sinistra e premetti sull’acceleratore, diretta verso quell’hotel.
Sapevo perfettamente che era una follia, ma dovevo almeno tentare. Se non l’avessi fatto, sono sicura che l’avrei rimpianto per tutta la vita.
Ero in macchina da cinque minuti, me ne mancavano altri quindici e già non riuscivo più a sopportare il silenzio che si era formato. Mi sembrava di poter percepire solamente il battito del mio cuore scalpitante.
Accesi la radio solo per poter avere un sottofondo.
Mi è sempre piaciuto fare dei viaggi solitari in macchina, ma quella sera mi sentivo incredibilmente sola nell’abitacolo della mia Golf e il silenzio mi stava oramai soffocando.
Quindici minuti non sono tanti, ma a me parevano infiniti.
La strada sembrava non finire mai, come se qualcuno l’avesse allungata per farmi un dispetto.
Pensavo.
Pensavo a cosa gli avrei detto, una volta arrivata lì.
Pensavo a cosa avrei fatto, una volta arrivata lì.
Pensavo a cosa sarebbe cambiato, una volta essermene andata da lì.
Pensavo a come mi sarei sentita, una volta essermene andata da lì.
Molto probabilmente non sarebbe cambiato nulla. O farse, invece, sarebbe cambiato tutto.
Ogni secondo in più, passato a pensare a questo, mi riportava indietro, a quando, undici anni prima, se ne era andato.
 
“Mine, io me ne vado. Per sempre.”
Quelle parole furono le cose più dolorose che avevo mai provato in vita mia.
Mi girai e lo guardai negli occhi. Non servivano parole, mi fissò e rispose alla mia domanda inespressa.
“I miei si vogliono trasferire in Germania.”
Cominciai a piangere, senza sosta.
Non ricordo un giorno, in cui io non abbia più versato una lacrima per lui.
“Matt… Io come faccio senza di te? Non posso vivere sapendo che non ci sarai mai      più, Matt. Io Ti Amo.”
“Ti Amo anche io, Mine”
Passò un’altra settimana, l’ultima volta che lo vidi fu mentre saliva sull’aereo, poi mai più, per undici anni.
Si stava per imbarcare, mentre io non riuscivo a smettere di piangere, tra le sue braccia.
“Mine, non piangere, ti prego”
“Matt, io no ce la faccio. Ti prego, rimani qui… per favore…”
“Non posso. Ti aspetterò, Jasmine”
“Ti aspetterò anche io, Matt. Per sempre”
Poi, Addio.
Ho sempre pensato a lui, gli anni successivi, e in ogni momento il dolore si insinuava sempre più in profondità nel mio cuore, distruggendolo. Non riuscivo a pensare ad altro, oltre che a quelle sue tre parole.
“…ti aspetterò, Jasmine…”
Sapevo che lo avrei aspettato anche io, ma non capivo quanto ancora il mio cuore potesse sopportare quel dolore infernale.
 
Non riuscivo a togliermi dalla testa quei momenti, mentre i miei occhi si inumidivano sempre di più. Ogni volta che ci ripensavo stavo ancora peggio.
Arrivai.
Mi ricomposi, scesi dall’auto e con gambe tremanti entrai nell’hotel dove mi aveva rivelato la sua fuga.
Erano cambiate molte cose, dall’ultima volta che c’ero stata, ma riuscivo ancora a scorgere la forma della stanza.
Alle pareti, i quadri erano rimasti invariati. Il vetro rovinato dal tempo.
Le scale e gli ascensori si trovavano alla mia sinistra, mentre il banco della reception era stato spostato in fondo alla hall.
I colori principali erano rimasti gli stessi: rosso e oro, a ricordare molto l’Oriente.
La parete di destra era ancora interamente coperta dallo stesso specchio di dieci anni fa. Buttai lo sguardo sul bordo, dove toccava il pavimento: una grossa crepa lunga più o meno quindici centimetri segnava il vetro. L’avevo fatta io, quella crepa, dieci anni prima ed era ancora là.
Mi diressi verso l’ascensore. Lo chiamai e salii fino al quinto piano. Uscii dalla cabina, camminai fino alla fine del corridoio e mi trovai davanti alla camera n° 563.
Feci un profondo respiro, alzai la mano chiusa a pugno e bussai.
Avevo la testa vuota, non riuscivo a pensare a nulla.
Sentii la maniglia della porta muoversi.
Ancora pochi attimi e la porta si aprì.
E io lo vidi.
Di nuovo mi persi nei suoi occhi azzurri e di nuovo le lacrime cominciarono a scorrere, senza freni.
Si avvicinò e mi abbracciò, senza dire una parola: le sue braccia intorno a me erano più che sufficienti.
Alzai la testa, lo guardai negli occhi e lo baciai.
Dio…! Quanto mi erano mancate le sue labbra…! Mi mise le mani sulla testa, poi si staccò.
Aprii gli occhi e lo abbracciai di nuovo.
Passammo così ancora qualche secondo, poi cominciai a parlare.
“Perché sei tornato?”
“Per te”“E perché adesso?”
“Perché adesso potevo”
Inspirai ed espirai lentamente.
“Ti Amo, Mine”
“Ti Amo anche io, Matt”
Mi diede un bacio sulla tempia.
“Era tua figlia quella bambina?”
“Sì. Si chiama Rose”
Passò qualche istante.
“…come mia madre…”
Non risposi.
“Quanti anni ha?”
“Il mese prossimo compirà undici anni”
Non rispose.
Passò qualche altro istante.
“E’ mia figlia?”
“Si, Matt.”
Trattenni il respiro, in attesa della sua reazione.
“Lei lo sa?”
“No”
“Crede che lo sia… lui?”
“No, ci siamo sposati quando lei aveva sette anni”
“Non ti ha mai chiesto chi fosse suo padre?”
“Sì, lo ha fatto e io le ho detto che era un persona che prima o poi sarebbe tornata”
Restammo di nuovo così, abbracciati.
“Lui lo sa che sei qui?”
“No”
“E hai intenzione di dirglielo?”
“Dipende”
“Da cosa?”
“Da cosa succederà stanotte”
Mi diede un altro bacio, più prolungato del necessario. Un bacio carico di passione, malinconia e felicità.
Facemmo l’amore con calma, senza fretta. Non ce n’era bisogno.
Era passata da poco mezzanotte, quando Matt riprese il discorso lasciato in sospeso.
“Glielo dirai, allora?”
“Dovrei farlo?”
Non rispose.
“Io sono qui per due settimane, Mine.”
“Anche se l’idea mi alletta, non posso stare fuori tutte le notti, Matt.”
“Lo so, intendevo dire che quando vuoi io sono qua”
“E dopo queste due settimane cosa succederà? Tu tornerai in Germania e non ci rivedremo più per altri undici anni?”
“No”
“E allora cosa farò? Quando te ne sei andato ho passato i peggiori anni della mia vita e tu ora mi stai chiedendo di riviverli?”
“Non ti sto chiedendo questo”
Sentii di nuovo le lacrime incombere sui miei occhi.
“Vieni via con me”
Trattenni il respiro.
“La mia vita è qui”
“Porta anche Rose”
Trattenni nuovamente il fiato.
“E Mark?”
“Lo Ami?”
“…no. Io Amo te”
“Allora scappa con me”
Non risposi, ma lo baciai.
Facemmo l’amore una seconda volta, poi mi rannicchiai tra le sue braccia.
Per tutti questi anni avevo desiderato solo di poter rimanere in questa posizione per il resto della mia vita.
“Se non lo ami, perché lo hai sposato?”
“Perché non riuscivo più a condizionare la mia vita in base ad un ricordo. Non sapevo se e quando tu saresti tornato, ma te lo giuro, io ti ho aspettato e ti sto aspettando ancora adesso che sei qui, davanti a me.”
Passarono altri minuti in silenzio.
Avevo la testa appoggiata sul suo cuore, ad ascoltarne il battito regolare.
“Sì”
“Sì, cosa?”
“Sì, scapperò con te”
“…e Rose?”
“Farà quello che si sente”
“Saresti disposta a lasciarla qui, per me?”
“No, ma saprei che rimarrebbe con Mark, al sicuro”
Mi diede un bacio sulla fronte.
 
Erano le sei del mattino, quando uscii da quella camera d’albergo.
“Ti Amo, Mine”
“Ti Amo anche io, Matt”
Furono le ultime parole che gli dissi e le ultime che mi sentii dire.
Stavo attraversando la strada, diretta verso la macchina, quando un pick-up rosso sbiadito mi investì.
Crollai a terra. La testa era in una pozza di sangue. Le gambe erano piegate all’indietro, in una posizione tutt’altro che naturale. Avevo un braccio flesso appoggiato sull’asfalto      - la mano semi chiusa a pugno - mentre l’altro era piegato su sé stesso, con la mano vicina al viso.
Ero Morta.
Stavo Sorridendo.
Stavo pensando a Matt, in quel momento, e al futuro che avremmo avuto assieme io, lui e Rose.
Poche persone hanno la fortuna di morire felici.
A volte perché è una cosa improvvisa, a volte perché hanno vissuto una vita piena e bella, a volte perché sanno che raggiungeranno qualcuno, a volte perché i loro ultimi momenti li hanno passati con la loro famiglia.
Eppure, la maggior parte delle volte, le persone sono spaventate e tristi, all’idea dell’aldilà.
A volte perché è una cosa improvvisa, a volte perché sembra di non aver vissuto una vita piena e bella, a volte perché sanno che non raggiungeranno nessuno, a volte perché i loro ultimi momenti non li hanno passati con la loro famiglia.
Io sono stata fortunata.
Ero felice.
Ero Morta dopo essere rimasta con Matt, il padre di mia figlia.
Io Amavo Lui.
Lui Amava Me.
E a me, questo Bastava.

Fine.


**spazio autrice**
Devo ammettere che non sono particolarmente fiera di questo lavoro... L'ho composto solamente in un giorno e mezzo, perciò non ci ho messo moltissimo impegno. Ho pianto quando ho finito di scriverla, perchè davvero, non riuscivo più a separarmi da quei due. Il mio istinto superiore era quello di andare avanti e di non smettere più di scrivere, tanta era la mia tristezza in quel momento.
L'ho scritta perchè mi sono ispirata ad una storia vera -okay, questa frase fa troppo film hollywoodiano...- che è successa tra il mio migliore amico e la sua ragazza, perciò volevo rendergli un po' di omaggi e beh.. Scusarmi lo scempio che ho scritto.
Con questi miei problemi esistenziali vi lascio e vi invito a recensire.
Bacio, Nicky <3
  
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