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Autore: Alchbel    11/11/2013    4 recensioni
Happy Thadastian Week!
Day 1: Cliché. Sebastian odiava i cliché. Per lui erano la cosa più stupida che si potesse fare, quella scontata per antonomasia.
Day 2: Parigi. In realtà, vedeva appena quello che lo circondava: le persone che lo affiancavano, le voci che disturbavano il silenzio contemplativo, il movimento, tutto era filtrato ai suoi occhi dal ricordo dell'ultima volta che era stato lì, mesi prima.
Day 3: In un'altra vita. La foresta era sbattuta da soffi gelidi, le piante arrancavano sotto il peso delle grosse gocce di pioggia, ma ciò che atterrì l’animo di Sebastian fu la vista di una grande quercia spaccata a metà e con la chioma in fiamme.
Day 4: Lezioni noiose. Nulla aveva mai fatto nascere tanta noia in Thad Harwood come le lezioni di Geografia il mercoledì mattina.
Day 5: cucina. «Non ci credo».«È uno stereotipo vecchio e superato, Thad».«Non è uno stereotipo, è più… una tradizione».«No, è un cliché che andrebbe eliminato. Non tutti i francesi sanno cucinare»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Then I see your face, I know I'm finally yours.

 

Day 1: Cliché.

 

You're the silence in between what I thought and what I said.

 

Sebastian odiava i cliché. Per lui erano la cosa più stupida che si potesse fare, quella scontata per antonomasia. E se c’era qualcosa che lui non era, quella era essere scontato.

Eppure ora si guardava intorno, fissando le pareti di quella stanza che sembravano trattenere le eco delle loro parole, dei loro gesti, delle grida e dei pianti, delle risate e delle attese, e si rendeva conto che non c’era altro da fare.

Anche se sarebbe stato uno stupido cliché.

 

Thad odiava i cliché. Checché se ne potesse dire, di quanto romanticismo lo si potesse accusare, i cliché erano una delle poche cose che non avrebbe mai mandato giù. Sapevano di scontato e patetico, come l’ultima carta giocata prima di arrendersi.

Eppure mentre camminava con fare impettito e passo sicuro, si stava lentamente rendendo conto che non desiderava altro che vedere quegli occhi che lo avevano fatto capitolare dalla prima volta che li aveva incrociati; non desiderava altro che sentire la sua voce, da lontano e il suo respiro affannato.

Anche se sarebbe stato uno stupido cliché.

 

~

 

Sebastian non aveva mai corso tanto in vita sua. E dire che c’era stato quel periodo, poco dopo il liceo, in cui aveva deciso di provare l’atletica leggera – ovviamente aveva lasciato perdere subito perché non faceva per lui. Eppure neanche allora aveva corso come in quel momento.

Per l’ennesima volta urtò – travolse qualcuno di non ben identificato che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulla sua traiettoria e gridò uno “scusi” mezzo strozzato dalla poca aria che aveva nei polmoni, senza curarsi più di tanto del fatto che probabilmente il malcapitato non l’avesse neanche sentito o che sicuramente gli stesse a sua volta gridando qualcosa di sconveniente da ripetere.

Non aveva tempo. Doveva fare in fretta.

Aveva parcheggiato la macchina Dio solo sapeva come, probabilmente bloccando l’uscita ad almeno altre tre veicoli e quasi certamente non l’aveva chiusa prima di cominciare a correre, ma tutte quelle cose avevano improvvisamente perso di significato. Mentre correva, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che avrebbe avuto una possibilità solo se avesse fatto in fretta, solo che avesse fatto in tempo a dire tutto quello che aveva sempre taciuto.

Lo vide. Thad era in cima alle scale mobili e in attimo era di nuovo scomparso tra la gente. Sebastian si fermò, sfinito: stava per fare il check-in, in pochi istanti avrebbe superato lo sportello e si sarebbe imbarcato. E poi...?

Poi ebbe così pausa di quello che sarebbe stato che riprese a correre. Non aveva alcun biglietto da mostrare, ma avrebbe sempre potuto gridare.

«Harwood!», chiamò, prima ancora di fare gli ultimi gradini. «Harwood!».

Lo vide fermarsi. Esitare. Fu tutto quello di cui ebbe bisogno.

«Sono un idiota. Sono un idiota e tu non fai che ricordarmelo». Thad non si era ancora voltato, ma non stava neanche andando avanti; Sebastian volle credere che fosse un incoraggiamento a proseguire.

«Sbaglio in continuazione, sbaglio così tante volte che ormai le mie scuse  varranno meno dei soldi del Monopoly ai grandi magazzini... ma stavolta non posso sbagliare. Non farmi sbagliare.»

Thad non poteva credere a quello che stava ascoltando: non si era voltato ancora solo per paura che fosse una sua fantasia, che quella voce sarebbe sparita e lui sarebbe rimasto solo.

«Mi dispiace» e quelle parole ormai non costavano più come un tempo, perché Smythe ne aveva compreso a pieno il significato «Mi dispiace per quello che ho detto, per quello che non ho detto, ma... mi hai spaventato. Eri serio, eri sicuro quando mi hai chiesto di restare, di restare per sempre ed io ho avuto paura. La tua sicurezza mi ha sempre fatto paura, Thad, perché io non lo sono mai stato, con te. Perché per quanto lo voglia, ho sempre il timore che qualcosa vada storto, che faccia una stupidata e ti perda per sempre – e alla fine faccio di peggio».

Se non sei sicuro, allora perché sei qui?, si chiese Harwood, cominciando a ricredersi sulla sua bella fantasia.

«Ma ora lo so. Lo so, Thad. L'ho capito nell'istante in cui te ne sei andato, che non avrei potuto più fare a meno di te. In un attimo, ti sei portato via tutto e il mio appartamento era così vuoto, così estraneo che mi sono chiesto che cosa ci facessi lì. Se non ci sei, nulla di ciò che mi circonda ha più senso e questa è un'altra cosa che mi fa dannatamente paura. Il modo in cui... mi condizioni, il modo in cui mi sia praticamente impossibile farcela senza di te... Dovevo rischiare di perderti per rendermene conto».

Le parole di Sebastian, nella mente di Thad, si sovrapponevano alla lite che avevano avuto appena un'ora prima, quando gli aveva chiesto di restare, di vivere insieme ed avere una famiglia e tutto quello che Smythe aveva saputo fare era restare in silenzio e guardarlo shoccato, come se gli avesse chiesto di buttarsi da un burrone.

Ora, invece, era lì e stava gridando tutte quelle cose di fronte a chissà quanta gente, ma soprattutto di fronte a lui. Gli stava dicendo cose che non avrebbe mai pensato sarebbero uscite dalle sue labbra. E nonostante tutto, lui restava fermo, non aveva la forza di muoversi.

Ora era lui ad avere paura.

«Ti prego, Thad, guardami...».

Si voltò, sostanzialmente perché Sebastian non pregava mai.

«Come faccio a sapere che non lo rifarai? Che se ti lascio entrare di nuovo non soffrirò ancora?». Poteva sembrare stupido, ma il silenzio con cui il ragazzo aveva risposto alla sua proposta era stato peggiore di qualsiasi parola, lo aveva fatto male come pochissime altre cose, gli aveva tolto ogni speranza.

Sebastian poteva vedere, anche da quella distanza, gli occhi arrossati di Thad. Aveva preso un taxi per arrivare all'aeroporto e doveva aver pianto durante il tragitto. Aveva pianto per causa sua. Eppure poteva capirlo, poteva capire la sua domanda, ma non sapeva cosa rispondergli. Ancora una volta il silenzio attraversò lo spazio fra di loro. E di nuovo, a Thad fece male.

«Vorrei che tu potessi leggermi dentro e sentire quello che provo», sussurrò Smythe, mentre l'altro stava di nuovo per voltarsi. «Non posso essere certo che non succederà di nuovo – non puoi esserne certo neanche tu... Ma dammi una possibilità di farti capire quanto dannatamente voglia provarci».

«Provare a fare cosa?».

«A restare con te per sempre».

Thad avrebbe detto che c'era una vocina nella sua testa che gli stava suggerendo di stare attento, perché avrebbe potuto stare di nuovo così male o di più, ma la verità era che non esisteva nulla del genere, perché era sempre stato sicuro di Sebastian, molto tempo prima che le cose diventassero così serie fra loro, forse da sempre. Aveva solo dovuto aspettare.

Gli si lanciò fra le braccia, lasciando cadere la borsa che aveva e stringendolo forte, respirando il suo odore: gli era mancato – era stato uno stupido anche solo a pensare che sarebbe riuscito a vivere senza di lui.

«Ti rendi conto che mi hai inseguito e raggiunto prima che mi imbarcarsi per poi farmi un discorso smielato davanti a decine di persone?», gli sussurrò, senza avere voglia di lasciarlo andare.

«Lo so, un tremendo cliché. Ma era per farti capire che sarei disposto a fare di tutto per te, Thad. Di tutto».

 

 

 

 

 

 

 

______________________


Ebbene sì, Alch ha deciso che stavolta non poteva lasciarsi scappare un evento come la Thadastian Week e nonostante i salti mortali per scrivere, eccovi il Day: 1.

Un paio di precisazioni: il titolo della shot è tratto da Pieces dei Red; quello della shot, invece, è tratto da “No Light, No Light” dei Florence + The Machine – sì, facciamo finta che senta la musica in modo sano.

Detto questo… vi rimando a domani per il Day 2: Parigi!

 

Un bacio.

Alch

   
 
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