Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
La storia è scritta senza fini di lucro.
A MogliaH
E alle mie Massoni ~
We Both
Knew It
«Mi parli ancora della voce che dice di aver sentito…»
A Steve il tono dell’uomo non piace.
Lo trova fastidioso, accondiscendente alla maniera che si usa coi malati di
mente, e come si fa coi malati di mente gli rivolge un sorrisetto saputo,
nascosto a metà dai baffi spioventi, un’occhiata saccente da dietro le lenti
ovali, cerchiate di corno e filo d’oro. Dovrebbe essere lì per aiutarlo a
superare la rabbia, la furia, l’ira collerica che gli fa ribollire il sangue
nelle vene e lo porta al punto di non ritorno, a contenere il desiderio
implacabile, inconfessabile di tirare
un pugno al muro in un canto gorgogliante di calce che esplode, pelle che si
lacera, nocche che si disintegrano. Dovrebbe essere lì per calmarlo, ma tutto ciò
che l’uomo riesce a fare è renderlo ancora più arrabbiato, ancora più furioso,
ancora più irato e collerico.
Dice
di aver sentito.
Come se non fosse vero. Come se fosse
un’invenzione, una burla. Niente più che un’allucinazione.
Ma no, Steve lo sa, la voce è vera, lui l’ha sentita. Soffice,
soffocata, un soffio appena, un’unica
parola, eppure gli è penetrata nelle ossa, gli ha dato uno scossone, l’ha
scrollato, lo ha convinto ad aprire gli occhi quando il resto del mondo era una
gabbia, coltre infrangibile di ghiaccio e buio.
Se non ci fosse stata quella voce,
molto probabilmente avrebbe continuato a riposare di un sogno senza sonno, a
metà tra presente e passato, punto fisso in equilibrio tra tempo e gelo. Però è
arrivaao e i secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni gli sono rovinati addosso e Steve
ha annaspato, boccheggiato nella marea crescente, montante, senza nulla cui
aggrapparsi se non l’impronta di un nome marchiato a fuoco dietro le palpebre,
entro l’orbita, nella memoria.
Però nessuno gli crede. Tutti gli
sono superiori.
Pare una caratteristica del nuovo
millennio, quella di conoscerlo senza averlo mai conosciuto davvero. Sanno ogni
cosa di lui, lo osservano e sono convinti di non aver bisogno di parole, né di
storie o spiegazioni. Hanno la presunzione di capirlo e capire ciò che ha
vissuto, ciò che ha perso, pur non avendo vissuto mai, per non avendo mai perso
nulla.
Quando si chiude la porta alle
spalle, il gemito dei cardini copre la protesta allibita dello psicologo. Il
Capitano lo ignora come ignora la realtà che lo circonda, il corridoio imbastito
di metallo e di luci rettangolari agganciate al soffitto, di tubicini filiformi,
palpitanti, allungati pigramente sulle pareti a spandere soffusi pigmenti azzurrini
all’intorno. C’è chi lo chiama, chi cerca di fermarlo, chi chiede una
spiegazione o solo un motivo per rivolgergli la parola, ma Steve scansa,
svicola, fugge, e il cassone di lamiere che gli hanno detto essere una Macchinetta del caffè rimbalza alla
vista più o meno come un’epifania divina.
Non collabora, però, l’aggeggio
infernale, coi suoi pigolii e la richiesta di monete, o forse è lui, il
Capitano, a non collaborare affatto con gli altri –Glielo hanno detto in molti,
invitandolo caldamente a non cadere nel
baratro della sociopatia. Sociopatia. Che
termine altisonante, che definizione a loro dire così azzeccata. Peccato che lui
non sia sociopatico, nemmeno è sua intenzione diventarlo: non hanno compreso
che le uniche persone con cui vorrebbe tornare a vivere molto probabilmente non
vivono più da anni.
«Ma guarda cosa ci ha portato la
marea.»
Il commento lo colpisce nell’esatto
momento in cui Steve è sul punto di colpire la macchinetta perché gli dia l’espresso
richiesto –O era un cappuccino? O un caffè macchiato? Latte? Importa davvero
cercare la scusante per un semplice pretesto? Perché non è altro che un
pretesto, quello, per far rimbombare di suoni il vuoto che lo sta divorando da
dentro.
Il Capitano solleva la testa e per un
istante la vista sfoca, rimbalza tra ieri e oggi, ed è un po’ Howard e un po’ un’altra
persona, un po’ seppia, un po’ a colori, Anni Quaranta e Ventunesimo Secolo. Ma
non è Howard, alla fine lo nota, l’uomo che gli si è avvicinato baldanzoso, un
sorriso irriverente di trasverso sulla bocca sogghignante: ha il volto più
squadrato, per iniziare, le orecchie più piccole, il taglio degli occhi meno
allungato; porta la barba in modo diverso, il pizzetto risale ridacchiando dal
mento a circondare gli angoli delle labbra, per poi ricongiungersi alle due ali
sottili proprio sotto le narici. Le iridi, però, sono le stesse –Forse quelle
dell’uomo sono più maliziose, forse più testarde, forse più…sole-, così come le sopracciglia
spigolose, il gusto nel vestire, il taglio ricercato dei capelli e l’indolenza
dell’andatura.
«Dubito che un pugno sia il modo più
indicato per blandire questa mostruosità, Capitano.» e l’uomo che non è Howard,
tlong tlong, picchietta l’indice
contro il fianco dell’affare. Un ghigno insolente e gli tende la mano, il polso
bianco fa capolino dalla manica nera del completo «Anthony Stark –Tony» specifica «Credo che lei abbia
avuto un paio di occasioni per fare comunella con mio padre.»
Steve ricambia la stretta, ma non
dice nulla, perché Tony lo fissa e gli parla in modo totalmente diverso da come
il resto dello S.H.I.E.L.D. abbia anche solo mai osato fare. E’ un piacere conoscerla, sono così onorata,
sa, mio nonno mi ha parlato così tanto di lei, lei è il mio idolo, la mia fonte
di ispirazione---Non c’è traccia di ossequio nel tono di Stark, gli si
rivolge come se l’avesse già conosciuto, lo guarda come se l’avesse già visto. Il
ritrovamento di Capitan America, il suo risveglio, Rogers lo sa, è stata una
sorpresa per il mondo, ma non sembra esserlo poi così tanto per il figlio di
Howard.
«Siamo di poche parole, vedo.» Tony
schiocca la lingua contro il palato, tentennando tra soddisfazione e presa in
giro. Si prende ancora un attimo per squadrarlo da capo a piedi e Steve, che
non è mai indietreggiato, nemmeno davanti all’HYDRA, prova l’impulso
irrefrenabile improvviso di allontanarsi –E al contempo di rimanere, di farsi
osservare, di instaurare un dialogo, un contatto.
Il che ha dello strabiliante: da quando si è risvegliato, il dialogo ed il
contatto gli sono sempre stati imposti, una sorta di terapia di recupero o una
cura, arrivando al punto di dargli la nausea. Ora, invece, li brama, li anela,
perché davanti a sé non c’è un ammiratore, un lezioso fanatico pronto a
pendergli dalle labbra, uno psicologo che forte dei suoi studi ritiene poco
produttivo o professionale tenere il grande, ma malato Capitan America sullo
stesso piano dei comuni mortali. Tony Stark lo sta sfidando mentre lo mette
alla pari di chiunque altro lì dentro, cerca di metterlo alla prova, in
silenzio lo invita a dimostrargli qualcosa.
E anche se Steve non sa esattamente cosa,
è convinto che adoperarsi per trovare la risposta non sia un’idea così malvagia.
Stark fa scivolare indietro il
polsino e lancia un’occhiata all’orologio con uno scrollare noncurante delle
spalle.
«Oh, bhè. Sarà meglio che vada, avevo
un appuntamento un’ora fa e la ramanzina di Mace
Windu tende a diventare più cospicua
ed insopportabile ogni minuto che passa.»
Rogers annuisce e ancora sta in
silenzio –Che dire, poi? Gli sovviene allora il pensiero che, forse, salutare
potrebbe essere un gesto educato, umano,
ma il figlio di Howard è già lontano, un braccio sollevato e le dita che s’agitano
al vento.
«Ci vediamo, Steve.»
Il Capitano spalanca gli occhi. Il
cuore singhiozza tra le costole.
Tony è ora soltanto un’eco di passi.
Note
Sto cercando di superare il blocco
dello scrittore, già.
Scusate se non ha né capo né coda.
Il titolo viene da questo stupendo
video:
http://www.youtube.com/watch?v=Lsyz0gTujM4