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Autore: Vals Fanwriter    11/11/2013    8 recensioni
La casa alla quale è diretto non è molto distante, è sempre la stessa, ma è da molto tempo che non ci va e avverte una strana sensazione al petto, come di nostalgia, mentre percorre il marciapiede e il vialetto di pietrisco che conduce alla veranda. L’ha tenuta d’occhio per un sacco di tempo, aspettando movimenti e ritorni, ma nulla. È rimasta vuota per anni, fino a quel momento.
Thadastian Week 2013 | Romantico, Sentimentale, Fluff | Mini-Long, Cliché, AU
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Understanding what we’ve grown to be.
Capitoli: 1/7.
Iniziativa: Thadastian Week 2013.
Prompt: Cliché.
Pairing: Thadastian (Thad/Sebastian).
Genere: Romantico, Sentimentale, Fluff.
Avvertimenti: Mini-Long, Cliché, AU.
Rating: Verde.
Note d’Autore: Alla fine.

 
grown 

1.
 




Quando il piccolo Thad esce di casa, sa perfettamente di stare per affrontare una missione più grande di lui. Lo sa perché, nonostante casa sua non disti eccessivamente da quella alla quale si sta dirigendo, il grande contenitore per torte che regge tra le esili braccine è veramente pesante da portare per lui e gli impedisce di muoversi come vorrebbe. Ma voleva fare qualcosa per sua madre e vederla rivolgergli uno dei suoi sorrisi orgogliosi, così le ha detto che si sarebbe occupato lui di quella piccola consegna. Gliel’ha detto con lo sguardo sicuro di un adulto e ha annuito vigorosamente, aggiungendo che si sarebbe fermato a giocare con il figlio dei vicini.

Così sua madre adesso sta aspettando, sull’uscio di casa, che Thad si incammini per il vialetto e che raggiunga la casa accanto. Thad, un passo avanti all’altro, lo sguardo puntato sul marciapiede, avanza e borbotta che ce la fa, che non ha bisogno di aiuto, e si convince del fatto che quelle parole abbiano rassicurato definitivamente sua madre e che, a metà del suo percorso, lei sia rientrata.


Non gli ci vuole molto per scalare i due gradini della veranda dei vicini – lo fa con passo un po’ traballante ma con occhi attenti per non rischiare di fare un capitombolo – e una volta giunto a destinazione, un sostanziale problema gli si pone dinanzi agli occhi. Guarda la torta che regge tra le mani e poi il pulsante del campanello, installato un po’ troppo in alto sul muro, e si ritrova ad aggrottare la fronte, indispettito per quel piccolo impedimento. Gonfia leggermente le guance, ma solo un attimo, perché il sorriso di sua madre è una ricompensa che gli fa troppa gola. Dunque si concentra: sposta il braccio sinistro un po’ più al centro del vassoio, per essere sicuro di riuscire a reggerlo con una mano sola, poi si accosta al muro, si alza sulle punte e riesce a pigiare il pulsante e a suonare il campanello.

La Signora Anne gli apre la porta quando lui ha già assicurato nuovamente il contenitore ad entrambe le mani – iniziava a pesare tantissimo – e la sua espressione raggiante scalda il cuore di Thad come solo un nuovo modellino di automobile riesce a fare. Thad sorride di rimando, un po’ emozionato, perché la torta di sua madre è arrivata sana e salva a destinazione solo grazie a lui, e tende le piccole braccia in avanti.

‹‹La mamma ti manda questa, Signora Anne. È al pistacchio.››

La donna provvede a togliergli quel peso dalle braccia, non senza prima schiudere le labbra per la sorpresa. Lei lo regge facilmente il vassoio con una mano, mentre con l’altra gli accarezza i capelli scuri dolcemente e con fare materno.

‹‹Tua madre è sempre così gentile›› dice, guardandolo con tenerezza.

‹‹L’ho portata da solo, hai visto?››

Thad gonfia il petto con orgoglio e Anne si ritrova a mordersi le labbra per non farsi sfuggire una risata di fronte a quell’espressione buffa e convinta. Annuisce e prende un bel respiro per rilassare il tono di voce.

‹‹Sei stato bravo.››

Gli lascia un’ultima carezza tra i capelli e poi allontana la sua mano, proprio mentre Thad si sporge leggermente in avanti per sbirciare all’interno della casa, come se fosse alla ricerca di qualcuno. Anne lo nota e sa perfettamente chi stia cercando, così si scosta dalla soglia per invitarlo ad entrare.

‹‹È in camera sua. Puoi raggiungerlo se vuoi.››

E Thad solleva lo sguardo su di lei, a quelle parole, e si mordicchia il labbro, indeciso su cosa fare. Ma aveva già in programma di rimanere un po’ di tempo lì, a giocare con il figlio di Anne, perciò alla fine sorride bendisposto e la supera, ringraziandola con parole che, dette da un bambino di sette anni, sono divertenti da sentire proprio perché piene di rispetto e mature.

Il figlio di Anne ha due anni più di lui, si chiama Sebastian e Thad ci gioca spesso, quando a lui va, o meglio, quando Sebastian decide che Thad non sia troppo piccolo per avere a che fare con lui. Ma a Thad sta simpatico, perché gli sembra molto forte e capace, soprattutto quando si ritrovano a giocare con le carte dei Pokémon, o con le costruzioni. L’ultima volta ha costruito un piccolo ponte di Brooklyn davanti agli occhi di Thad – “Non toccare niente e sta’ fermo” gli aveva detto – e quest’ultimo ancora non si spiega come abbia fatto a farlo stare in piedi per le due ore successive, facendoci camminare mostri e ranger. Thad è rimasto affascinato da quel piccolo capolavoro e si è ripromesso di chiedergli di insegnargli a costruirlo, la volta successiva che avrebbero giocato insieme – sua madre era venuta a prenderlo sul più bello. Perciò mentre sale le scale per raggiungere la cameretta di Sebastian, Thad ha un grande sorriso in volto, perché sa che faticherà soltanto un pochino a convincere l’altro bambino a fargli quel favore. Sebastian borbotterà un po’, ma alla fine si sentirà lusingato dalle attenzioni che Thad ha regalato al suo lavoro e gli consentirà di imparare con lui.

Thad, però, si dimentica completamente dei suoi buoni propositi nel momento in cui entra nella stanza e vede Sebastian seduto sul tappeto, con la schiena contro il letto e le gambe incrociate, intento ad armeggiare con i pulsanti di un Game Boy, lo sguardo concentrato. Si avvicina a lui con passo felpato, perché lo sa che Sebastian odia essere interrotto durante le sue partite a Prince of Persia. Ci mette il massimo dell’impegno quando si immerge in quel gioco, perché gli piacciono i tranelli e gli piace evitarli e ostentare la sua vittoria. Così Thad si siede accanto a lui, in silenzio, aspettando che finisca il livello e osservando la velocità con cui Sebastian pigia i tasti. A lui fa un po’ paura quel gioco, soprattutto quando il protagonista cade sugli spuntoni appuntiti.

Sebastian si è accorto di lui. Gli ha gettato solo uno sguardo veloce prima di tornare a fissare il display, ma a Thad sembra di buon umore quando lo sente dire:

‹‹Aspetta un attimo, ho quasi finito.››

Il bambino annuisce, allora, e si mordicchia il labbro, per trattenere un sorriso che potrebbe diventare troppo grande, rannicchia le ginocchia al petto, le circonda con le braccia e vi poggia sopra la guancia, mettendosi ad osservare i salti da maestro del personaggio che sta comandando Sebastian.

Gli sfugge un “Stai attento” ogni tanto, ma lo fa sottovoce per non disturbare. Alla fine, Sebastian esulta con fare contenuto ma con un sorriso felice sulle labbra per la vittoria. Salva la partita e spegne il giocattolo, allunga un braccio per riporlo sul letto e poi si volta a guardare Thad con un sorrisino. E Thad sa perfettamente cosa si aspetta da lui, perciò non ci mette molto ad accontentarlo.

‹‹Sei bravissimo con quel gioco›› gli dice, e lo pensa davvero, non ha bisogno di mentirgli.

‹‹Lo so›› risponde Sebastian, senza alcun accenno di modestia, ma Thad non riesce a trovarlo fastidioso neanche in quel momento. Lo conosce troppo bene e da troppo tempo, e ormai è abituato al suo carattere sicuro e orgoglioso. ‹‹Oggi sono arrivato al quarto livello›› continua a vantarsi, con un finto vocione.

‹‹Sembrava difficile.››

‹‹Oh, se lo era.››

Si alza da terra, Sebastian, compiaciuto di quello che ha ottenuto, delle parole del suo compagno di giochi. Chissà perché, quando Thad lo guarda affascinato e si complimenta con lui, non è più tanto contrariato dallo stare in sua compagnia. Gli piace avere una sorta di braccio destro che lo idolatra, gli piace primeggiare e gli piace essere seguito, nonostante la sua tenera età. Thad infatti segue il suo esempio e gli va vicino, come aspettando un suo gesto o una delle sue idee brillanti per mettere in pratica un gioco divertente; poi improvvisamente si ricorda di un dettaglio particolare, del motivo per cui si trova lì, a casa sua.

‹‹Lo sai che ho portato la torta al pistacchio? L’ha fatta la mia mamma›› dice a quel punto, schiudendo le labbra in un sorriso sdentato ma adorabile e aspettandosi la stessa reazione da parte di Sebastian. Ma quest’ultimo arriccia il naso e storce la bocca con fare scettico e diffidente.

‹‹Non mi piace il pistacchio›› replica, e tutto l’entusiasmo di Thad si smorza all’improvviso. La sua espressione si fa delusa, il suo sorriso si spegne e il suo sguardo si abbassa sul pavimento, quasi mortificato da quella scoperta.

‹‹Oh, pensavo che- che ti piaceva.››

Non lo guarda più adesso e Sebastian probabilmente si sente un po’ in colpa per quello che ha detto, perché è evidente che Thad ha portato quella torta per farla mangiare anche a lui. Oltretutto non vuole che il bambino si metta a piangere – le sue labbra hanno iniziato a tremare appena – e che sua madre lo sgridi per averlo trattato male, per questo, anche se gli costa tanto tornare sui suoi passi, Sebastian lo fa. Si avvicina a lui e gli prende la mano con la sua.

‹‹Magari con lo zucchero è buono, però›› si corregge, senza sbilanciarsi troppo, e vede distintamente lo sguardo di Thad illuminarsi nuovamente, mentre lo solleva su di lui. Gli angoli della sua bocca tornano ad incurvarsi fino a formare un sorriso speranzoso e Sebastian è certo di aver già messo tutto a posto, ma aggiunge comunque, per rassicurarlo ulteriormente: ‹‹Magari vedo com’è, che dici?››

Thad annuisce vigorosamente, a quelle parole, e inizia a farsi strada verso la porta della cameretta, stringendo forte la mano di Sebastian e tirandoselo dietro, alla volta della cucina.

‹‹Ti piacerà sicuramente›› gli assicura. ‹‹La mia mamma la fa buonissima.››

Sebastian sospira di sollievo e si lascia trascinare da Thad al di fuori della stanza, e anche se non lo dà a vedere, è felice che quest’ultimo non abbia pianto e che a salvare la situazione sia stato lui stesso.

‹‹Sono sicuro di sì.››
 
 
 
 





 
~ Dieci anni dopo.
 

Quando Thad esce di casa, alle nove e un quarto del mattino, una folata di vento gelido lo coglie alla sprovvista e lo fa rabbrividire fin dentro le ossa. Si stringe le braccia al petto di riflesso, dopo aver chiuso la porta di casa, e affonda il mento e le labbra nella sua sciarpa per proteggersi dal freddo. La casa alla quale è diretto non è molto distante, è sempre la stessa, ma è da molto tempo che non ci va e avverte una strana sensazione al petto, come di nostalgia, mentre percorre il marciapiede e il vialetto di pietrisco che conduce alla veranda. L’ha tenuta d’occhio per un sacco di tempo, aspettando movimenti e ritorni, ma nulla. È rimasta vuota per anni, fino a quel momento.

Era piccolo quando era successo, ma tuttora si ricorda benissimo quanto ha pianto mentre sua madre se lo stringeva forte al petto e gli ripeteva continuamente, per farlo calmare e far acquietare i suoi singhiozzi, “Vedrai che torna, Sebastian ci verrà sicuramente a trovare”. E lui continuava a ripetere con voce spezzata “Non voglio che se ne va”, pensando di averlo fatto arrabbiare rompendogli quel giocattolo che gli piaceva tanto. Credeva che fosse quello il motivo per il quale Sebastian se ne stava andando. Lo ha capito solo col tempo, crescendo, che non era colpa sua, che c’erano cose più importanti di un giocattolo e che lui non avrebbe potuto comunque farci niente.

Sebastian non è mai tornato a casa, in tutto quel tempo. Thad ne ha sentito la mancanza, durante quel periodo lunghissimo, e adesso dire che è emozionato all’idea di rivedere il suo amico di infanzia è alquanto riduttivo. Mentre si avvicina alla veranda, avverte il cuore tamburellare dentro al petto. Ha paura di vederlo troppo cambiato, ha paura che non lo riconosca, che non si ricordi dei loro pomeriggi insieme, ma da bravo vicino di casa è pronto a fare il suo dovere e a dargli il suo bentornato.

Raggiunge la porta d’ingresso, quindi, e si prende un lungo momento per respirare profondamente e darsi una calmata. Non è il caso di fare il sentimentale, soprattutto in un contesto del genere, ma non riesce ad impedire alle sue mani di tremare appena – ed è sicuro che non sia a causa del freddo.

‹‹Avanti, Thad, avanti›› mormora tra sé e, dopo aver racimolato abbastanza coraggio, finalmente suona il campanello.

E aspetta, avvertendo l’ansia crescere ad ogni minuto che passa e ad ogni rumore di passi che non arriva alle sue orecchie.

Fa che ci sia, fa che ci sia, si ritrova a pensare, senza riuscire ad impedire al suo cervello di lavorare veloce. Il suo sguardo si fa man mano più deluso, fino a che non percepisce una voce maschile, all’interno della casa, che prontamente blocca l’arrivo imminente di cattivi pensieri.

‹‹Un attimo, sto arrivando.››

Non è la voce del padre di Sebastian. È una voce da ragazzo, è un nuovo dettaglio per ricostruire l’immagine del suo amico di infanzia, un punto di partenza.

La porta si apre dopo pochi secondi, quasi cogliendo Thad alla sprovvista. Non è affatto pronto a ritrovarsi davanti ad un ragazzo come Sebastian e infatti, non appena lo inquadra completamente, schiude le labbra e boccheggia, rimanendo quasi incantato, perché quello che gli sta davanti ha solo qualche piccolo tratto riconoscitivo del bambino che conosceva. Sebastian – è lui, di questo ne è certo – è completamente diverso da come ricorda. È alto, tanto alto, e ha un viso sottile, non più paffuto come quello di un bambino, e ha i capelli liscissimi e artisticamente spettinati, non più quel caschetto terribile che soleva portare. Ed è incredibilmente bello, è impossibile non pensarlo.

‹‹Ciao, posso aiutarti?›› La sua voce è lenta, bassa e strascicata, pronuncia quelle parole come se le stesse assaporando una ad una. È proprio una bella voce, pensa Thad, una voce che riesce a metterlo addirittura in soggezione. O forse è quello sguardo che gli sta rivolgendo: profondo, intenso e pieno di significati nascosti. Sta abbracciando la sua figura adesso, con quegli occhi color verde palude in cui potresti perdertici, se ti ci soffermassi troppo. E Thad infatti ci si perde nel momento in cui gli occhi di Sebastian lasciano il suo petto e le sue braccia per poter contemplare il suo viso, ma prova comunque a mettere insieme una risposta sensata, perché il ragazzo sta aspettando. Il suo sopracciglio sinistro si è inarcato e il suo sorriso è diventato un ghigno compiaciuto.

‹‹Io sono- Abito nella casa accanto e-›› farfuglia Thad, sconclusionatamente, agitando nervosamente le mani, e poi si morde la lingua per zittirsi. Non poteva fare una figura peggiore di quella.

Sebastian non scoppia a ridere però. Lascia che anche l’altro sopracciglio si inarchi, fino a formare un’espressione consapevole, e si appoggia con una spalla allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto con quel fare da vicino sexy che si vede soltanto nei film.

‹‹Oh, sei il figlio dei vicini›› dice a voce, ma intanto il suo sguardo comunica ben altro e Thad avverte lo stomaco stringersi piacevolmente e un brivido accarezzargli la nuca, in risposta a quell’occhiata.

‹‹Sì, sono-››

‹‹È un vero piacere conoscerti.›› Sebastian allunga la mano destra verso di lui, per farsela stringere probabilmente, e dice il suo nome come a volersi presentare. Ma l’unica cosa che fa Thad, in seguito alle sue parole, è fissare la sua mano con sguardo assorto e un po’ spento. Il suo cuore ha smesso di battere per un attimo e poi ha ripreso a palpitare velocemente e all’improvviso, come un tamburo.

Sebastian non si ricorda di lui. Sebastian ha detto “È un vero piacere conoscerti”, non rivederti. E Thad non si aspettava che ci sarebbe rimasto così male, pensava che ci avrebbe riso su e gli avrebbe dato dell’idiota, prima di dirgli che lui è Thad e che loro si conoscono eccome. Però non lo fa, si limita ad abbassare lo sguardo per nascondere la delusione e ad annuire lentamente.

‹‹Thad, il mio nome è Thad›› risponde, ma non stringe la sua mano. Serra le braccia intorno alla vita, come per proteggersi, pur di non stringerla.

Avverte lo sguardo di Sebastian insistere su di lui, così lo osserva di sottecchi e ne è certo, si sta comportando in maniera patetica e l’altro ragazzo di sicuro non sa cosa pensare di lui.

‹‹Tutto bene?›› domanda quello con fare disinteressato e Thad vorrebbe andarsene via all’istante, perché non solo non si ricorda di lui ma Sebastian è anche tanto diverso, nei suoi modi di porsi, oltre che nell’aspetto esteriore. Thad si ritrova di fronte ad un estraneo.

‹‹Sì, sto bene e- Devo andare.›› Fa un passo indietro, cercando una possibile via di fuga e tentando di troncare quel discorso. ‹‹Se hai bisogno di qualcosa vieni pure a bussare.››

Sta per voltarsi e fare dietro front senza neanche badare al fatto che Sebastian non gli abbia ancora dato una risposta, ma quest’ultimo lo precede, fa un passo avanti e lo ferma, chiudendo le dita della stessa mano, che stava ancora tendendo verso di lui, attorno al suo polso.

‹‹Ti va di entrare?››

È troppo vicino. Thad percepisce il suo respiro farsi più veloce, di fronte a quegli occhi. Sebastian è un estraneo, ma non ci vuole un genio per carpire il significato di quello sguardo penetrante. L’amarezza che prova Thad si acuisce maggiormente dinanzi a quell’ulteriore dettaglio della personalità del suo amico d’infanzia. La sua superficialità lo delude con la velocità di un proiettile che ti si conficca nel petto.

‹‹No, grazie›› risponde Thad e, per la prima volta da quando lo ha rivisto, lo fa con fermezza. Tira via il polso dalla sua presa, aggrotta la fronte e gli rivolge uno sguardo duro che sta a significare “Non mi aspettavo che fossi diventato così, complimenti”. Ma non lo dice a parole, perché sa che sarebbe fiato sprecato. Si limita semplicemente a ripetere: ‹‹Devo andare.››

E finalmente riesce a voltarsi e a scendere i gradini della veranda. L’espressione di Sebastian non è mutata, la sua faccia da schiaffi non ha lasciato il suo viso, anzi, se possibile, è diventata un po’ più derisoria. Tuttavia, Thad non si volta indietro per accertarsi che quella smorfia odiosa sia ancora lì. Continua a camminare, fino a che non finisce di percorrere il vialetto e la voce di Sebastian, a quel punto, lo blocca.

‹‹Mi aspetto che tua madre mi mandi un’altra torta al pistacchio›› gli grida da lontano. ‹‹Ne ho un bel ricordo.››

Ed è in quel momento che Thad vorrebbe girarsi e andare a prenderlo a schiaffi, perché quel maledetto si ricordava di lui fin dall’inizio e ha fatto finta di niente, ma avverte distintamente i suoi passi, mentre percorre il pietrisco che poco prima ha percorso anche lui, e quindi non si muove, aspetta che sia Sebastian a raggiungerlo.

‹‹Ciao, marmocchio›› sussurra, posando una mano sulla sua spalla, e Thad non ha bisogno di venire forzato per accogliere quel gesto come un invito a voltarsi. Lo fa, senza esitare. ‹‹Non sei cambiato per niente, devo sempre stare attento a non farti piangere.››
Thad avrebbe voglia di piangere davvero, in quel momento – la nostalgia che prova è forte come non lo è mai stata ma, allo stesso tempo, è compensata dalla sua presenza – si mordicchia il labbro inferiore per trattenersi e prende un respiro profondo.

‹‹Pensavo davvero che-››

‹‹Che mi fossi dimenticato di te, o che volessi invitarti in casa mia per una sveltina?››

Il sorriso di Sebastian è di nuovo diabolico e divertito, ma adesso ha una scintilla di tenerezza e premura negli occhi, quella stessa premura che soleva riservargli quando erano piccoli. Thad arrossisce, sia per quell’allusione ben poco velata, sia per la sua dolcezza appena accennata.

‹‹Entrambe le cose›› ammette, e Sebastian scuote la testa e trattiene a stento una risata tra i denti.

‹‹Vedo che la tua fervida immaginazione è rimasta com’era.›› Ammicca e poi ritira la mano dalla sua spalla, infilandola nella tasca dei pantaloni della tuta che indossa.  ‹‹Quindi, adesso hai abbastanza fiducia in me da accettare di venire dentro per bere un caffè?››

Il suo sguardo è così trasparente adesso che Thad riesce a leggerci dentro tutto quello che prova, la voglia di chiacchierare con lui, di stare un po’ in sua compagnia, di scoprire cos’è successo in tutti quegli anni nella sua vita, e Thad avverte quei pensieri come fossero anche i suoi, perché era quello che desiderava fin dall’inizio. Così annuisce e gli rivolge uno di quei sorrisi ammirati che Sebastian non riceveva da lui da fin troppo tempo.

‹‹Abbastanza, sì. Ma devi ancora lavorarci un po’ su›› dice con strana e improvvisa complicità, e poi lo supera, incamminandosi nuovamente verso la veranda con la certezza di avere lo sguardo di Sebastian attaccato alla sua schiena, alle sue spalle e alla sua nuca.

‹‹E direi che ne abbiamo di tempo per farlo.››
 
 



 
 
Questo stress da prima-Thadastian-Week-in-assoluto-cosa-sto-scrivendo non è normale. O forse sì, dato che mi sono resa conto di tenerci tantissimo alla riuscita di questa mini-long che è stata davvero un’idea improvvisa che mi ha scombussolato tutti i piani. Ma mi piaceva troppo il contesto dei “Thadastian!amici d’infanzia” per non approfittarne e scrivere di loro, quindi eccomi qui.

Buon primo giorno a tutti!

Ho soltanto una cosa da dire, riguardo questa storia – in realtà due. La meno importante è che non so se la completerò durante questa settimana, ma la buona volontà c’è e i prossimi due capitoli pure, quindi ci provo. L’altra cosa riguarda la struttura che utilizzerò per ogni capitolo. In ognuno, infatti, ci sarà sempre un primo paragrafo in cui Sebastian e Thad sono bambini – e questo semplicemente perché sono troppo coccoli e io mi diverto troppo a scrivere di loro; nel secondo ci sarà lo sviluppo del loro rapporto da ragazzi e quindi il modo in cui si conoscono di nuovo dopo i dieci anni che hanno trascorso lontani.

I flash back saranno in ordine sparso, mentre gli avvenimenti del presente saranno in ordine cronologico, com’è giusto che sia.

Lo so, mi sto incasinando io e sto incasinando anche voi, ma spero che il risultato di questa “pazzia” vi piaccia.

This is my cliché, guys. \o/

E la smetto di straparlare. Grazie a tutti coloro che leggeranno. ♥
 

Vals


 
   
 
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