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Autore: Alexiel Mihawk    23/04/2008    1 recensioni
Parole vuote che rimbombano in una stanza vuota.
Vuota la stanza perché noi, figli, siamo stanchi di sentire sempre le stesse cose, tanto che ora non ascoltiamo più.
Vuote le parole, perché sono state ripetute così tante volte che non sembrano più avere un senso.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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originals

Senseless Words

Parlano, parlano, parlano ma in realtà non dicono niente.

Nulla di nulla.

E’ aria.

Parole vuote che rimbombano in una stanza vuota.

Vuota la stanza perché noi, figli, siamo stanchi di sentire sempre le stesse cose, tanto che ora non ascoltiamo più.

Vuote le parole, perché sono state ripetute così tante volte che non sembrano più avere un senso.

Guarda.

Ripetono ogni volta.

Già ma cosa devo guardare?

L’abilità di mio fratello nello sport?

I voti eccellenti di mia sorella a scuola?

Bello. Grazie Mamma.

Era questo di cui avevo bisogno.

Era questo che volevo sentirmi dire.

Sono stupida, è dunque questo che pensi?

Sono andata a scuola a cinque anni perché volevi che la tua figlia perfetta si distinguesse dagli altri.

Nessun problema, non saranno certo quei ventun giorni di differenza tra i cinque e i sei anni a cambiarmi la vita.

Non sarà nemmeno quella scuola privata tanto prestigiosa dove hai insistito per mandarmi affinché ricevessi una preparazione perfetta.

Forse sarà quel liceo classico al quale mi hai costretta ad iscrivermi perché potessi seguire le tue orme.

E’ quello?

Ah, mamma.

Inutile che ti lamenti se vado male.

Odio questa scuola.

Odio il greco, con quell’alfabeto così diverso dal nostro.

Odio il latino, è una lingua morta non vedo l’utilità nel tradurlo.

Oh ma certo, lui aveva tutti 8, mia sorella tutti 10 addirittura.

E tu, tu eri come lei, e io, che in comune con vuoi non ho nulla se non un gruppo di geni, io che odio questa scuola fino allo spasmo, io devo essere come voi.

Perché tu l’hai deciso, perché tu lo vuoi.

Vuoi sapere una cosa mamma?

N o n è c o s ì.

Io non sono te, né Lucrezia, né Giorgio.

Io sono io!

I miei gusti sono differenti dai vostri.

Io non amo la medicina, né la giurisprudenza o l’economia.

Non passerò dieci anni a studiare come avete fatto tu e papà, ne mi arrovellerò con la statistica come ha fatto Giorgio, o con la legge come Lucrezia.

I miei interessi sono altri.

E se non riesci a capirlo, bè mi dispiace dovrai farlo.

Non ho intenzione di seguire una facoltà che non mi interessa per tuo piacere personale.

Non arriverò a quarant’anni piangendo, con la schiena rotta e gli occhi gonfi per colpa di un lavoro che non sopporto.

Ho già dato.

Il liceo, questo liceo classico che mi hai costretto a frequentare è stata la mia tomba.

Con esso una parte di me è morta.

E’ morta la parte gentile, affettuosa e servizievole.

Non esiste più l’Irene di un tempo.

E’ morta in quella classe angusta e soffocante, calda d’estate e fredda d’inverno.

L’allegria le è stata succhiata via insieme con la gioia e l’ottimismo.

-Perché sei così acida?-

Non sono acida mamma.

Questo è realismo.

Sono stata abituata alla vita vera tutto d’un colpo.

Mi hai gettato in pasto ai leoni senza darmi nessun preavviso, nessun aiuto.

H.S.L.

Hic Sun Leones.

La ci sono I leoni.

Vero, peccato che nessuno me lo avesse detto prima.

Cresciuta nella bambagia della mia famiglia e della scuola privata fino ai tredici anni e poi gettata senza alcun problema tra la gente normale.

Quella vera.

Quella che soffre.

Quella che non arriva a fine mese.

Che manifesta per le proprie idee.

Addio confortante intimità della scuola privata dove tutti conoscevano tutti.

Addio vestiti firmati e auto di lusso.

Addio ragazzi figli di ricchi, che non faticheranno mai nella vita.

Si è aperto un nuovo mondo.

Ostile.

Ingannatore.

Fatto di verità e menzogne.

Eppure dovresti essere abituata a ll’ipocrisia.

Ci hai vissuto per anni.

Non lo ero.

Ho odiato i compagni.

Ho odiato i professori.

Sono stata male cinque fottutissimo anni.

I cinque anni che sarebbero dovuti essere i migliori della mia vita io li ho passati a piangere.

Buttati nel cesso.

-Non esci mai-

-Non hai amici-

Lo so papà.

Lo so mamma.

Fatemi pesare anche questo.

Fatemi pesare tutte le mie scelte.

E poi ancora.

Lei. Lei. Lei.

Lucrezia, Giorgio, Giorgio, Lucrezia.

Basta!!

Io sono io.

Mi chiamo Irene.

Sono così perché le conseguenze delle vostre azioni mi hanno portato ad esserlo.

Il cinismo è nato dalle botte che ho preso cadendo, dai calci nel sedere ricevuti, dalle delusioni subite.

E no, mamma, non ti chiederò scusa per essere così.

Se non mi accetti come sono, bè tanti saluti.

Ho tentato di compiacerti in tutti i modi.

Ho tentato di essere la figlia perfetta che volevi.

Mi dispiace.

Non ci sono riuscita.

Ci ho provato.

Ma la verità è una sola.

Nessuno è perfetto.

Ne tu.

Né Giorgio.

Né Lucrezia.

Né Papà.

E io non posso essere la figlia perfetta.

Non posso esserlo senza uccidere prima il mio io.

Senza smettere di essere Irene.

Perdonami mamma.

Ma da adesso in poi la mia vita la decido io.

Non più lei.

Io.

E se questo non ti sta bene, bè mi dispiace.

Sono maggiorenne e sono abbastanza matura da poter decidere della mia vita da sola.

Si, perché questa è la mia vita, non la tua.

Non è l’ennesimo riflesso di ciò che saresti potuta essere.

Non ti sono bastati Lucrezia e Giorgio?

No mamma non farò medicina.

E nemmeno giurisprudenza o economia.

Farò lingue orientali.

E’ la mia vita.

E tu non puoi fare più niente per rovinarla ulteriormente.

   
 
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