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Autore: clif    14/11/2013    0 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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11.
 
Ustioni di terzo grado? Quello non descriveva neanche lontanamente le condizioni di Alessa. Perfino Leon, quando l’aveva vista, aveva dovuto controllare la cartella clinica per convincersi che era proprio lei. Lì per lì rimase sconvolto (addirittura più di prima), poi tentò di parlare con lei. La bambina poteva solo guardarlo, con quegli occhi rossi e spalancati, tentando di descrivergli la sua situazione. Lui stava accanto a lei, le parlava e le sorrideva, cercando costantemente di frenare le lacrime e di sopprimere l’odio che provava per quelle persone.

Aveva scoperto che a ridurla in quel modo erano state proprio le persone che le avevano promesso aiuto: tra cui sua zia. Alessa era del tutto irriconoscibile: il suo corpo era annerito, tranne alcune chiazze di rosa dove fuoriusciva sangue e pus; nonostante l’intervento l’avesse salvata dalla morte immediata, le aveva allungato la vita solo di un altro po’.

Dahlia era in cura da uno psichiatra, anche se si vedeva lontano un miglio che c’era ben poco da fare: lo shock le aveva dato il colpo di grazia e lei ormai diceva frasi che avevano un che di mistico, di trascendentale. La sua voce si era arrochita e raffreddata. I primi giorni non fece che chiedere di Alessa, delle sue condizioni e se si sarebbe salvata.

 
Ma sapeva perfettamente che non si poteva fare nulla se non imbottirla di antidolorifici per evitarle un inferno. Il giorno dopo Leon andò a trovarla (dopo essere passato da Alessa), ma fu costretto a parlare con lei da una certa distanza: aveva già aggredito due persone, pensando che fossero i colpevoli della sorte di Alessa. Quando il ragazzo provò a parlarle lei non reagì minimamente; probabilmente non lo aveva neanche riconosciuto, al secondo richiamo del giovane, la donna lo guardò intensamente negli occhi e gli consegnò un foglio che teneva in una delle sue tasche “me lo ha affidato Alessa: tieni!” il ragazzo vagamente incuriosito e impaurito prese il foglio e rimase stupito del contenuto.


Vuoi essere il mio fidanzato?
[_] SI
[_] NO



(allora era questo che Alessa stava scrivendo quel giorno) probabilmente era l’unica buona notizia degli ultimi giorni. Dopo essere uscito dalla Casa di cura “Cedar Grove” salì in macchina e si rifece accompagnare da Coleman all’ospedale: seduto sul sedile posteriore, Leon era intento a guardare il foglietto consegnatogli da Dahlia; non era sicuro che contasse qualcosa per lei, ormai, ma in ogni caso per lui contava e lei meritava una risposta.
“Ciao Alessa: scusa il ritardo” la bambina non rispondeva, ma Leon lo sapeva benissimo, il padre gli aveva riferito che aveva perso l’uso della parola, come molte altre cose. Leon iniziò a parlarle del più e del meno cercando di distrarla dalla sua situazione.

“A proposito, ho una cosa da darti” disse improvvisamente. “Avrei dovuto dartelo prima, ma a quanto sembra, l’importante è che ti arrivi, no? E non te la prendere se ci ho messo tanto: ci ho messo parecchio anche a riceverlo”. Leon si alzò e fece una cosa che mai nessuno aveva mai osato fare: scostò la tendina e si affacciò. Alessa lo guardò: non c’era nessuna barriera tra i due. Dalla piccola fessura aperta dal corpo di Leon entrò una sottile aria fresca, che accarezzò le piaghe della bambina. A Leon parve di notare che l’amica era sollevata da questa sua azione, lo guardava con uno sguardo pieno di gratitudine (o almeno così sembrava).

Quando Leon si ritrasse e la richiuse, lo sguardo della bambina tornò serio e spento come se a darle quel piccolo di gioia fosse stata la fessura che aveva aperto Leon, e richiudendola l’avesse riportata con se. Alzò lo sguardo e notò che Leon aveva messo qualcosa sulla tenda alta. Strizzò gli occhi e riuscì a metterlo a fuoco.

 
 
 
Vuoi essere il mio fidanzato?
[√] SI
[_] NO
 
 

Alla vista di quel bigliettino sembrò rimanere colpita. Probabilmente si sarebbe volentieri voltata verso di lui, ma non poteva muoversi.
 
“Certo che ce ne hai messo di tempo” borbottò la voce di Leon da fuori. Era terribilmente imbarazzato, anche lui aveva pensato di chiederglielo, ma non aveva mai trovato ne il modo ne il coraggio di farlo. “Comunque nessun problema; se ti servisse qualcosa…qualunque cosa…conta pure su di me” sapeva che di li a pochi giorni sarebbe partito per Portland, e non glielo aveva neanche detto, ma sarebbe rimasto fino alla fine accanto a lei: almeno questo se lo meritava.

Il giorno dopo leon si diresse a casa Gillespie: voleva prendere qualche disegno e portarlo ad Alessa per distrarla un po’; il giorno prima “dell’incidente” di Alessa, aveva visto sua madre prendere le chiavi di casa da sotto lo zerbino. La casa era rimasta uguale alla prima volta che l’aveva vista; dato che non era entrato più nessuno, a Leon parve normale. Si diresse in camera di Alessa e aprì il cassetto (spero che non ti arrabbierai: prendo solo un disegno e poi vado via) il primo intento però scomparve subito. Nel cassetto vi erano alcuni disegni che il bambino non aveva mai visto.

Il primo era il disegno che Alessa gli aveva promesso. A Leon parve stupendo, gli sembrava che il mare fosse veramente da lui, e vedere lui ed Alessa tenersi per mano vicino alle onde lo pervase di innumerevoli emozioni.
Il secondo era di un paesaggio, vi era un prato verde con al centro Alessa, in alto a sinistra il piccolo notò una scritta

Incompleto

A Leon parve strano: Alessa non lasciava mai dei disegni a metà. Appena vide il terzo, al piccolo scappò una lacrima: il disegno raffigurava i due seduti sul tappeto nella stanza B151, la stanza dove i due avevano giocato insieme per la prima volta, la stessa stanza dove adesso Alessa stava passando l’inferno.
Non fare vedere a Leon: morirei di vergogna

Leggendo quelle scritte al pianto del bambino si mischiò una piccola risata. Ripose i piccoli capolavori dell’amica e prese un disegno strano: non aveva mai visto neanche questo; solitamente Alessa disegnava paesaggi ma questo sembrava rappresentasse un mostro con un enorme elmo in testa. Prima di uscire, Leon pensò che sarebbe stato carino lasciare qualcosa di suo, in cambio del disegno preso: guardò nel marsupio e prese la lettera che aveva scritto a Brahams; in seguito a ciò che le era successo gli parve come deriderla se gliel’avesse consegnata.

La poggiò nel cassetto, nel punto esatto dove prima stava il disegno e poi uscì.
Arrivò l’ultimo giorno per Leon: quella sera lui e il padre, sarebbero partiti per Portland.  Il comportamento di Alessa era sempre più strano, i suoi occhi avevano uno sguardo che il piccolo non le aveva mai visto: uno sguardo carico d’odio; un’altra cosa strana era stato il comportamento di Lisa, Leon l’aveva vista uscire quasi spaventata dalla stanza.


Il biglietto e il disegno erano stati riposti sul comodino: Probabilmente da Lisa; mentre Leon parlava sentì come dell’aria fredda soffiargli sul collo, si voltò e vide la porta leggermente aperta, era strano, ricordava benissimo di averla chiusa. Non fece in tempo a dire niente che lo sgabello su cui poggiava scomparve da sotto i suoi piedi; per evitare di cadere provò a reggersi al comodino, con l’unico risultato di far cadere anche quello, riversando per terra tutto ciò che c’era appoggiato.


Cercò di rialzarsi, nonostante gli facesse male la testa, e guardò nella direzione dello sgabello per scoprire la causa della sua caduta: davanti a lui c’era una bambina, era stata lei a prendergli lo sgabello e ora vi si trovava in piedi. A sorprendere Leon, però, fu l’aspetto della bambina: aveva un vestito viola come il grembiule della Midwich school con un paio di stivali di gomma, abbinati; i suoi capelli neri e leggermente mossi le ricadevano fin dietro la schiena, mentre due profondi occhi blu scrutavano oltre la tenda bianca che divideva il lettino dal resto della stanza; insomma, a parte la cenere che le ricopriva il viso e quelle inquietanti vene viola che le partivano dagli occhi, era la copia identica di Alessa

“Povera bambina…” cominciò. Aveva la sua voce, solo molto più fredda. “Sei messa veramente male. Chi ti ha fatto una cosa simile?”. Alessa rantolò. “Non c’è bisogno che ti sforzi di rispondermi: so tutto. La mia era solo una domanda retorica. La vera domanda è: adesso cosa vuoi fare?
 
“So che è frustrante dover stare tutto il tempo sdraiata dentro un affare del genere. Ti viene da pensare. E se pensi le cose giuste, finisce che scopri delle verità che prima avresti negato, ad esempio il fatto che tu sei in grado di odiare qualcuno. Sono qui per vedere fino a che punto odi tua zia”. Non era chiaro chi o cosa fosse, però doveva assolutamente intervenire, ma sentì dentro la sua testa come un messaggio telepatico (pensi davvero di avere il diritto di dirle qualcosa, dopo che non hai mantenuto la tua promessa?) Leon rimase paralizzato (le avevi promesso che l’avresti protetta da qualunque cosa ed ora ti senti in diritto di suggerirle cosa scegliere?) Leon non riusciva più a dire niente.

“Mettiamola così: ti sto proponendo una scelta” continuò la bambina. “Preferisci restare qui inerme a vegetare per i pochi giorni che ti restano, pensando e odiando il mondo esterno? In questo caso, io qui non ho nulla da fare: così come sono venuto me ne vado.
 
“Ma puoi rendere loro pan per focaccia; con il mio aiuto, possiamo far capire loro cos’hanno fatto e farli pentire. Tu hai sofferto abbastanza: adesso tocca a loro, non credi?”. Appoggiò una mano sulla tenda. “Ti prometto che tutti sprofonderanno nel tuo incubo”.

“Alessa” esclamò Leon. La bambina si riscosse e lo guardò. Anche l’altra bambina si volse verso di lui.
 
“Volevi dirle qualcosa?” chiese, gelida, conscia del fatto che il piccolo non si sarebbe intromesso in nessun modo. Lui annuì.
 
“Non ho ben capito da dove sei sbucata fuori, ma se puoi farla star meglio ti lascio carta bianca. Alessa, ricordati cosa ti ho detto: per qualunque cosa, conta pure su di me”.
“Non aspettavo altro” disse l’altra bambina, con un espressione da gelare il sangue nelle vene. Guardò verso le cose cadute dal comodino ed esclamò “credo che possa andare” dalla sua gola uscì uno strano verso come un conato di vomito, lo strano verso ne seguì altri, finchè dalla bocca della bambina uscì uno strano liquido nero insieme ad un oggetto d’orato.

Sembrava un talismano, vi era un triangolo incastonato in un cerchio e, per quanto sembrasse assurdo, emanava un energia malvagia “con le tue attuali sembianze non puoi esserci di aiuto, ma se vuoi veramente renderti utile, prendi questo.” Leon allungò la mano per prendere l’oggetto ma appena lo toccò, intorno a lui si fece il buio.

30 anni dopo

Sharon Da Silva si guardò intorno un po’ spaesata, si trovava in quella stanza da ormai qualche ora, eppure non aveva avuto il coraggio di toccare nulla; quella donna strana ed anziana l’aveva trovata a vagare per le strade di Silent Hill, poco dopo l’incidente, forse avrebbe fatto meglio ad aspettare che la mamma si svegliasse. La donna le aveva detto, prima di uscire, di fare come se fosse a casa sua; pensò, così, di curiosare nei cassetti della stanza.

All’interno vi erano dei disegni; quello che colpì di più la piccola Sharon era il disegno con la scritta
Incompleto

“Certo che manca qualcosa mia cara Alessa (il nome era scritto sull’album)” prese uno dei pastelli sulla scrivania e aggiunse un particolare al disegno, aveva disegnato un bambino con i capelli bianchi che teneva la mano ad Alessa (nessuna cosa può essere completa se non hai qualcuno con cui condividerla) pensò. Stava per riporre il foglio nel cassetto, quando ne vide un altro ricoperto dalla polvere. A prima vista gli parve un altro disegno, ma prendendolo in mano notò che era una lettera: la madre le aveva insegnato che non era educato curiosare tra le cose altrui, ma non riuscì a trattenersi
 
Ciao Alessa, non so perché ti sto scrivendo questa lettera
Ne so se la leggerai, ma non mi importa io voglio scrivertela lo stesso.
Proprio oggi ho parlato con il mio amico Tom (è un bravo ragazzo,
gli ho promesso che un giorno vi presenterò) e ho saputo che i suoi
hanno divorziato, ciò mi ha fatto pensare a ciò che è successo ai nostri
genitori e mi ha fatto riflettere su noi due; non ho mai preso
in considerazione l’eventualità di una nostra divisione e spero di non doverlo
mai fare: proprio per questo spero che non leggerai mai questa lettera. Ma
potrebbe succedere, forse non ora, ma tra dieci anni o tra venti, chissà…
ciò che mi preme di dirti è che, anche se ci perderemo di vista per molti anni
e il nostro aspetto sarà del tutto diverso, non sarà affatto un problema: perché
quando ti rivedrò, riuscirò a vedere nel profondo della tua anima, la bambina dolce
e timida che eri e che sarai per sempre, la stessa cui ho voluto bene e che
continuerò ad averne fino alla fine. Sto cominciando ad allungarmi troppo,
ricordati solo questo: qualunque scelta seguirai, qualunque cosa farai, qualunque
cosa diventerai… io ci starò sempre , in un modo o nell’altro.

Senza un apparente motivo, alla piccola cadde una calda lacrima lungo il viso, non credeva di commuoversi a tal punto, dato che questa Alessa non la conosceva neanche, lei era una bambina molto sensibile però…
A interrompere questi suoi pensieri fu un lontano stridio metallico, come se qualcuno stesse trascinando un pesante oggetto di ferro sul pavimento; Sharon guardò fuori dalla finestra e vide nuovamente quello strano essere: la stava seguendo da quando era giunta in città, sembrava non sapere con precisione dove fosse, ma continuava a vagare per la strada come se fosse l’istinto a guidarlo; si muoveva con fatica a causa dell’enorme arma e del pesante elmo che portava, mentre strani versi uscivano dalla sua bocca, alla piccola sembrò, per un attimo, di sentire un nome in mezzo a quei suoni distorti, sembrava assurdo ma aveva pronunciato il nome di quella bambina… Alessa.


eccoci giunti alla fine della storia: scusate se ci ho messo così tanto ad aggiornare. ringrazio tutti coloro che hanno seguito la mia storia, in particolar modo ringrazio Leonhard, teschietta e Memi_Payne. il primo per avermi dato l'autorizzazione a scrivere questa storia, mentre le altre per le frequenti recensioni. Vi saluto. Bye-Bye

 
  
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