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Autore: rosie__posie    15/11/2013    10 recensioni
John, orfano zoppo. Sherlock, giovane lord. Un amore impossibile in un'epoca in cui la sodomia era punita con la morte.
Lord Sherlock non aggiunse altro. Si limitò a fissarmi con quel suo sguardo enigmatico e indagatore, mentre io mi sentivo paralizzato, quasi incapace di respirare o addirittura pensare. Tuttavia, avrei giurato di sentire di nuovo quella sorta di connessione tra noi, come un invisibile filo di lana che qualcuno nel Cielo, magari un angelo dalle ali soffici e maestose, stava pian piano tessendo per unire la mia anima alla sua.
Note: AU!Medieval, hurt/comfort, amore proibito, accenni a stregoneria
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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ATTO X. UNA NOTTE D’AMORE
 
I giorni che seguirono la festa di mezza estate furono tra i più gelidi che io ricordi. La vita trascorreva nella normalità tra la gente accanto a me, mentre io rimanevo indietro, a osservare con apatia e disinteresse quanto avveniva attorno a me.
 
Non provavo nulla, non mi interessava nulla.
 
Nulla mi faceva piangere e nulla mi divertiva.
 
Tutto ciò che riusciva a scuotermi era l’immensa rabbia che provavo nei confronti di me stesso.
 
Avrei voluto fustigarmi, ferire la mia pelle fino a far uscire sangue. Ripetermi quanto fossi stato stolto sino a quando non fossi più riuscito a muovere la lingua.
 
Avevo fatto del male al mio principe, era lampante come il sole.
 
 
 
§§§
 
 
 
“Mrs. Hudson farà tessere dalla sua sarta personale un abito appositamente per me! Ti rendi conto, John? Te ne rendi conto?”
 
Harriet decantava tutta la sua immensa gioia per essere stata invitata al ricevimento di nozze tra il visconte Mycroft e lady BlackBerry. Le sue parole potevano avere la stessa musicalità del cinguettio di un passerotto, i movimenti del suo corpo nel cortile della residenza di sir Hudson la stessa leggiadria di un cerbiatto. Eppure suscitavano in me solo indifferenza.
 
“Rivedrò lady Clara, fratellino!” gongolò a un certo punto, sedendosi accanto a me sotto l’albero. Mi limitai a pronunciare un Mhm gutturale che sapevo l’avrebbe fatta arrabbiare ma mi fu impossibile essere più gentile di così.
 
Lei sbuffò. “So bene che tu non ci potrai venire al ricevimento, ma potresti anche sforzarti d’essere un filo contento per me, fratellino!” borbottò. “Harry, questo tipo di amori non sfociano da nessuna parte. È meglio che tu te ne renda conto subito” tagliai corto io, la voce piena di veleno.
 
Me ne pentii immediatamente e mormorai un Mi dispiace forzato.
 
“Cos’è successo, John?” mi esortò mia sorella , sfiorandomi il braccio. “Ho fatto una cosa...” iniziai incerto, senza incrociare il suo sguardo. Mi morsicai il labbro con insistenza. “E non posso disfarla.” [1]
 
Harry si chinò verso di me, pendendo dalle mie labbra. “L’ho baciato...” Un accenno di sorriso comparve sulle sue labbra: lo smorzai subito. “E da allora Sherlock non ha più voluto incontrarmi.”
 
“Oh...” mormorò mia sorella confusa. “È successo alla festa di mezza estate e poi... Più nulla” sospirai, guardando le aiuole fiorite nel cortile. “Ma forse c’è una spiegazione, John. Vedrai che sir Sebastian...”
 
“Sir Sebastian non c’è più” la interruppi di nuovo. Harriet mi guardò sempre più smarrita. “Da allora, sono andato ogni giorno alla locanda, tutti i giorni. Nella speranza di vederlo e consegnargli il mio messaggio di scuse per lord Sherlock. Ma messer Moran non s’è più visto...” sospirai, mentre la malinconia prendeva di nuovo possesso della mia anima.
 
La mia mente andò rapida al giorno del nostro solito appuntamento agli olmi gemelli e il mio cuore s’avvizzì al ricordo di tutte quelle ore trascorse invano attendendo l’arrivo del giovane Holmes.
 
 
 
“Ma magari è soltanto una coincidenza, John. Magari è soltanto...” Alzai una mano per porre fin anche alla sua ultima speranza. “Sir Moran vive in simbiosi con il Cross Keys: non credo ci sia altra spiegazione oltre a quella che Sherlock gli abbia ordinato di non venire più. Per non farsi contattare da me.”
 
Parlai senza intonazione alcuna: ero troppo rassegnato e arrabbiato con me stesso per essere triste. “Sono desolata, fratellino, non riesco a esprimere quanto...” In un attimo, mi sentii soffocare dal suo amorevole abbraccio. Affondai il viso nella sua spalla e spalancai la bocca in una disperata ricerca d’ossigeno.
 
“Io ero l’unico, per lui. Il suo unico amico, l’unica persona desiderosa d’ascoltarlo. E con il mio comportamento insensato e scellerato l’ho privato di tutto questo” dissi a denti stretti.
 
Allorché, Harry si staccò da me e mi guardò con severità negli occhi. “John Watson, tu sei l’unico a questo mondo che viene mollato e che si sente ugualmente colpevole!” mi rimproverò.
 
“Ma Harry, sono colpevole d’averlo baciato! D’aver buttato alle ortiche il nostro rapporto!” gridai nella disperazione. “Tu sei colpevole soltanto d’amarlo, John...” urlò lei più forte. E poi ci ritrovammo di nuovo abbracciati.
 
“Dici... Dici che sia rimasto spaventato dalla minaccia del rogo?” bisbigliò contro il mio collo. “Onestamente non lo penso, Harry... Credo invece che proprio non vedesse il nostro rapporto sotto quell’aspetto” risposi, stringendo disperatamente mia sorella a me.
 
“Sono invitata al ricevimento, lunedì, come ti ho detto. Forse potrei...” “No!” la interruppi alzando la voce. “Questa volta assolutamente no. Sherlock deve essere libero e io accetterò ogni sua decisione...”
 
La sentii piangere sommessamente contro la mia pelle. Io ero così paralizzato dal dolore da non riuscire a fare altrettanto.
 
 
 
§§§
 
 
 
Il via vai nel mercato di Grimpen, quel sabato mattina, era più intenso del normale.
 
Era evidente che le nozze imminenti avessero attirato gente da ogni angolo della contea e mi ritrovai a pensare a come ogni scusa fosse buona, per molte persone, per alzare il gomito e finire ubriachi negli angoli più sporchi dei vicoli più bui.
 
Riflettevo su questo mentre, con la tascapane a tracolla, mi incamminavo verso il pozzo per consumare rapidamente la mia meritata pausa pranzo. Riflettevo su quanto fosse diffusa l’ipocrisia in quei tempi, spennellata ovunque sul volto dell’essere umano.
 
Estrassi una fetta di pane dalla mia borsa, l’addentai e, mentre mi stavo guardando intorno con aria distratta, qualcosa ebbe il potere di paralizzarmi dov’ero. Corsi rapido verso il pozzo e mi accucciai. Boccheggiai in cerca d’ossigeno, quindi, con fare guardingo e molto, molto lentamente, appoggiai una mano alle fredde pietre e feci capolino da un lato, rivolgendo gli occhi a ciò che aveva catturato il mio interesse, al di là della piccola piazza.
 
Sir Moran aveva appena messo piede fuori dal Cross Keys e stava montando in groppa al suo destriero.
 
Il cuore mi balzò in gola in un attimo, rendendo assai difficile la ricerca d’aria. Tentai d’alzarmi, ma poi tornai a raggomitolarmi dov’ero. C’era una parte di me che avrebbe voluto avvicinarsi a lui per domandare spiegazioni, un’altra che aveva un timore folle di ciò che avrei potuto ricevere in risposta.
 
Chiusi gli occhi, scossi la testa e serrai i pugni: no, non avrei importunato messer Sebastian. Mi consideravo un soldato e un vero guerriero sa quando giunge il momento di arrendersi. Avrei smesso di combattere, rispettando sino in fondo le volontà del mio principe. Se Sherlock non desiderava più avere contatti con me, era più che giusto che...
 
“Da quale male ci stiamo nascondendo, piccolo Watson?” giunse una voce al mio orecchio.
 
Trasalii e mi voltai di scatto: Sebastian era alle mie spalle, in piedi, e teneva il suo destriero per le briglie. Mi osservava con fare curioso, come se trovasse bizzarro il mio comportamento.
 
“Io... Da voi, suppongo” risposi, deponendo le armi. Moran mi guardò ancora più perplesso prima di sedersi accanto a me, appoggiandosi anche lui al pozzo.
 
“E da quando io sarei tuo nemico?” Non risposi, limitandomi a serrare e aprire spasmodicamente i pugni. “Che cosa è accaduto, di grazia?” mi sollecitò ancora. C’era tensione nella sua voce e lo apprezzai.
 
“Questo credo dobbiate dirmelo voi!” dissi. Mi fu chiaro che non mi seguiva. “Se avete ricevuto ordine di stare lontano dalla locanda e conseguentemente da me, vi pregherei di dirmelo, sire” dichiarai, sfoderando gli ultimi brandelli di coraggio che mi erano rimasti. Tirai in fuori il petto: ero pronto.
 
Sir Moran mi osservò con una strana espressione dipinta sul volto. E poi scoppiò a ridere. “Ho avuto ordine di accompagnare lady Violet e il molto onorevole lord Sherlock a Baskerville Hall, per prendere lord Henry e lady Clara. Siamo tornati stanotte. Non so se la notizia ti sia giunta all’orecchio, ma si terrà un matrimonio, dopodomani...”
 
“Ah...” farfugliai io. Affondai le unghie nei palmi. “Dunque lord Sherlock non vi ha ordinato di non mettervi più in contatto con il sottoscritto?” volli sapere. Provai un indicibile sollievo, a quelle parole.
 
“Ullallà, vedo che abbiamo litigato!” scherzò, divaricando le gambe e appoggiando i polsi alle ginocchia. “Beh, non proprio...” iniziai.
 
Moran scivolò di qualche centimetro sulla nuda terra, arrivando a sfiorare il mio fianco. Era il suo modo per dire Ti ascolto.
 
“Ecco, io... L’ho baciato” rivelai semplicemente. Il mio cavaliere oscuro rimase in silenzio per un attimo, prima di scoppiare in una fragorosa risata. “Orbene, ecco dunque spiegato il motivo per cui il mio protetto è stato ancora più intrattabile del solito, in questi giorni!”
 
Mi sentii girare la testa: il sollievo che avevo conosciuto mi aveva già abbandonato. “Intrattabile?” sussurrai. “Così tanto da aggiudicarsi l’ira della contessa. Non credo metterà il naso fuori dalla sua stanza, prima del ricevimento. Fatto salvo forse per la funzione domenicale...”
 
“Così lord Sherlock è adirato con me...” sospirai smarrito, mentre facevo cadere lo sguardo sui miei calzari. Poi sentii la mano del cavaliere scivolare sulla mia coscia, tentando di darmi conforto.
 
“Ascoltami bene, piccolo Watson. Se lo conosco come lo conosco, lord Sherlock non è adirato, ma soltanto spaventato” iniziò. Riportai gli occhi su di lui: i suoi erano pieni d’affetto.
 
“Già, per via di quello che la Chiesa fa a chi ama di un amore impuro...” mormorai. “No, no, no, no, no! Non sarebbe cambiato proprio nulla se tu fossi stato una donna. Sherlock non ha paura della Chiesa: ciò che lo terrorizza sono i sentimenti.”
 
“È stato cresciuto all’oscuro dall’amore. Educato al suo rigetto. Un bacio è per lui qualcosa di completamente ignoto. E ora forse se ne starà là a studiare che cosa mai significhi... A capire se debba avere davvero paura, di quei sentimenti, oppure se siano al contrario la cosa più bella del mondo. Nessuno lo ha mai veramente amato ed è per questo che l’amore lo terrorizza a questo punto.”
 
Io sospirai e mi sforzai di guardare altrove: mi sarei volentieri preso la testa a pugni se avessi potuto.
 
Come avevo osato destabilizzarlo in quel modo? Come avevo osato portar scompiglio nella sua vita già provata? Se da una parte era vero che non aveva allontanato messer Moran da me, era indubbio che il mio gesto lo aveva sconvolto: era partito per Baskerville Hall senza avvisarmi, consapevole che avrebbe saltato il nostro consueto appuntamento nel bosco, gettandomi nell’ansia.
 
Lord Sherlock aveva bisogno d’amore, nonostante il suo rifiuto, ma il modo migliore per donarglielo non avrebbe dovuto essere un bacio non richiesto imposto nel cuore nella notte, quanto piuttosto la mia sola e genuina amicizia.
 
“Forse dovrei porgergli le mie scuse più sentite” mormorai con un fil di voce.
 
Continuai a sentirmi colpevole.
 
Poi sentii la mano di Sebastian stringermi ancora affettuosamente la coscia.
 
“Non preoccupati, piccolo Watson. Il giovane lord tornerà da te non appena avrà risolto il suo rompicapo” disse. Il cavaliere oscuro prese commiato da me con un’affettuosa e fraterna carezza sui miei capelli e, mentre lo vedevo montare in groppa al suo destriero e scivolare via da me, ebbi la sensazione che Sherlock non sarebbe mai venuto a patti con quel rompicapo.
 
 
 
§§§
 
 
 
Il giorno seguente, la cattedrale era così gremita di gente da rendere praticamente impossibile ottenere anche un solo sfuggevole scorcio del vescovo Milverton mentre officiava. Volti vecchi e nuovi riempivano i banchi e gremivano le navate.
 
Io me ne rimasi schiacciato in fondo alla navata laterale destra per gran parte della funzione, immerso non tanto nella preghiera quanto nelle mie preoccupazioni.
 
Fino a quando non lo vidi.
 
Scese dall’altare dopo aver preso la comunione, lo sguardo ostinatamente incollato al suolo. Ogni cosa mi parve chiara in quel gesto. Chiara e insopportabile. Poiché a quel punto lord Sherlock era solito rivolgere sempre un’occhiata di sfida al mio indirizzo, cercare sempre i miei occhi tra la gente. E questo suo evitarmi aveva davanti a me un significato e uno soltanto.
 
Non appena la funzione giunse al termine, scappai fuori dalla cattedrale, incurante di aspettare i membri della famiglia Stamford. Mi allontanai il più possibile verso il carro, tenendo lo sguardo fisso sui miei calzari. Ignoravo da dove sarebbero usciti gli Holmes, se dall’ingresso principale o da una delle porte laterali, ma in ogni caso volevo fare il possibile per non incontrare Sherlock e nemmeno vederlo.
 
Sarebbe stato meglio per tutti.
 
Il carro del mastro era in vista quando mi fermai, la schiena ostinatamente rivolta alla gente che mi passava accanto.
 
Sì, avevo preso la decisione più saggia, convenni, e con il passare del tempo il dolore e la rabbia sarebbero presto (o tardi) scomparsi. A questo pensavo, quando qualcuno mi urtò.
 
E mi ritrovai inspiegabilmente con una chiave tra le mani.
 
Durò tutto non più di qualche secondo. Io che osservavo stranito quella pesante chiave di ferro che era comparsa come per magia nel mio palmo, una voce che sussurrava strane parole al mio orecchio.
 
La sua voce.
 
“Domani sera. Piano secondo. Stanza ventuno. Chiedi a Moran.”
 
Il respiro di Sherlock mi solleticò una guancia, increspando la pelle. Mi voltai giusto il tempo per lasciare che i miei occhi si cibassero di una fugace visione di Sherlock che calava sulla fronte il cappuccio del suo mantello nero, facendomi l’occhiolino prima di mescolarsi tra la folla.
 
Non fui in grado di spiccicare parola. Anche respirare fu davvero un’impresa. Per un attimo ritenni d’essermi immaginato tutto, ma il peso della chiave nella mia mano mi rammentò che non era così.
 
Poi qualcun altro mi urtò e mi ritrovai a essere trascinato via, una mano stretta al mio braccio destro.
 
“Nel caso te lo stessi chiedendo, sì, sei stato appena invitato al castello durante il ricevimento di nozze, piccolo Watson.” Sir Sebastian, anch’egli apparso dal nulla come per incanto. Lo guardai con la bocca spalancata come il più perfetto degli idioti.
 
“E bada bene che ho detto durante il ricevimento, non per il ricevimento.” Il mio cavaliere oscuro si guardava attorno con fare sospettoso, la mano che non era impegnata a trascinarmi via stretta attorno all’elsa della spada. Eravamo arrivati al carro del mastro.
 
“Ma io... Io non posso mettere piede al castello” farfugliai. “Dunque devo dire al mio padrone che rifiuti il suo premuroso invito?” domandò, con un sorriso di scherno dipinto sul bel viso maturo. “No no, ovviamente no” mi affrettai a rettificare.
 
“Lo sospettavo. Vengo a prenderti al fienile domani sera, al tramonto. Porterò un cavallo anche per te” e con un cenno del capo Moran si dileguò.
 
“Sei qui, John!” Sobbalzai. Erano il mastro e la sua famiglia che mi osservavano con aria interrogativa. “Ti stavamo cercando dappertutto...”
 
“Vogliate perdonarmi, mi ero allontanato giusto un poco.” Montai sul carro assieme ai piccoli e rimasi concentrato sui miei pensieri sino a casa, lo sguardo di madonna Molly perennemente incollato alla mia nuca.
 
 
 
§§§
 
 
 
Stavo rassettando il fienile, quel pomeriggio, quando la signora Stamford mi raggiunse con una scusa.
 
La guardai.
 
Lei mi guardò.
 
Ormai io la capivo.
 
Soprattutto, lei capiva me.
 
“Hai voglia di parlarmi?” mi domandò. Sì che ne avevo, tantissima. “Lord Sherlock mi ha invitato domani sera al castello” dissi, andando dritto al sodo. Lei strabuzzò gli occhi. “Cioè, non al ricevimento, ma nelle sue stanze.”
 
La madonna strabuzzò ancora di più gli occhi, cosa avrei pensato non fosse umanamente possibile. Arrossii. “No, no, nessun convegno amoroso! È solamente in punizione e non può uscire dai suoi alloggi!” mi affrettai a chiarire, passandomi nervosamente la scopa da una mano all’altra.
 
“Ma è una cosa meravigliosa!” commentò lei, le labbra plasmate in un sorriso radioso. “Già... Ma io ovviamente non ci andrò” dissi, alzando il capo con aria fiera. “E perché mai, di grazia?” volle sapere lei, appoggiandosi alla pertica per le mie vesti.
 
“Andando al castello metterei a rischio la vostra incolumità. Non potrei mai farlo” proferii con decisione, rimettendomi al lavoro. “Sei uno stupido, John Watson” commentò lei con tutta la calma di questo mondo.
 
La guardai a bocca aperta. “Uno stupido a rinunciare al tuo destino per noi” sentenziò, puntandomi l’indice contro. Non l’avevo mai vista così risoluta, sembrava quasi un’altra persona. “Tu domani sera andrai al castello, che tu lo voglia o no. Ora continua a fare il tuo dovere e io vado a fare il mio!” proferì elettrizzata, uscendo dal fienile. “Il vostro dovere?” balbettai, inseguendola per un attimo sin fuori al portone. “Esatto, devo cucire!” spiegò, prima di sparire in casa.
 
Capii ciò che madonna Molly intendesse solo rincasando quella stessa sera, il sole che si era già tuffato nel suo comodo giaciglio al di là delle montagne del Dartmoor.
 
La trovai china sul tavolo, intenta a cucire con fervore una stoffa preziosa dal colore dell’oro.
 
“Un nuovo abito per il mastro?” chiesi, pulendomi le mani e la fronte con un panno a sua volta non molto pulito. “No, mio caro John, questo è l’abito per te, domani sera.”
 
La vidi arrossire lievemente sulle gote. “Un abito? Non... Non capisco” mormorai, avvicinandomi a lei con riverenza. Quando le fui accanto, Molly si tirò da parte, per farmi guardare – ammirare – il suo lavoro. Era una splendida tunica di raso color oro, impreziosita sulle maniche da inserti smeraldo. Mi rammentava molto le vesti di lord Sherlock e la cosa mi gettò nel panico assoluto.
 
“Che dici? Devo stringere ancora di più lo scollo?”
 
“Io...io...”
 
“Beh, ora che sei qui, direi di prenderti un po’ di misure. Voltati, ragazzo!”
 
Madonna Molly fece forza sul mio avambraccio, poiché io non volevo proprio saperne di muovermi. “Non credo dobbiate darvi così tanto disturbo per me, madama Stamford...” sussurrai.
 
“Oh, io credo proprio che sia il caso! Allunga una mano, ecco così.” Obbedii. “D’altra parte, converrai con me” continuò, “che un bel giovane in vesti eleganti passerà più inosservato di un garzone nei suoi abiti da lavoro. Non credi?”
 
Potevo sentire che stesse sorridendo, nonostante le dessi ancora alle spalle. “E poi devi essere bellissimo agli occhi del molto onorevole Sherlock” aggiunse, soffiando contro la mia guancia.
 
Deglutii, il labbro incastrato vergognosamente tra i denti. Mi sarei accontentato di apparire anche solo come un amico, ai suoi occhi.
 
“Bene, adesso che è imbastita, perché non ti spogli e la provi?” mi incitò, riscuotendomi dai miei pensieri. “Non ti guardo, prometto!” cinguettò, mentre mi metteva in mano la tunica e si voltava verso il muro.
 
In tutta fretta, mi privai della mia vecchia tunica di cotone e, lentamente, infilai quella nuova. Era così leggera che quasi non mi pareva d’averla addosso. Leggera e delicata come un soffio contro la pelle umida.
 
“Sei bellissimo, John. Bellissimo e perfetto” disse madonna Molly, squadrandomi dalla testa ai piedi. Mi detti anche io una rapida occhiata: convenni con lei, non ero male. Sorrisi, ma poi notai un’ombra di tristezza nei suoi occhi e mi feci d’improvviso serio.
 
“Che cosa avete, madonna Molly? Se siete preoccupata, non andrò” decretai con decisione. “Oh, non è questo, mio caro. È che, vederti agghindato così, mi viene da pensare a quanto saresti meraviglioso con un’armatura da cavaliere indosso..”
 
Un’inspiegabile misto di tristezza e orgoglio mi invase, mentre esprimevo a madonna Molly tutto il mio affetto con un sorriso e un inchino.
 
 
 
§§§
 
 
 
L’indomani, la signora Stamford insistette per farmi un bagno caldo e tagliarmi i capelli. Non ero abituato a tutte quelle attenzioni, a tutta quella importanza. Ero un semplice garzone orfano. Non dovevo contare agli occhi del mondo.
 
E man mano che i minuti si trasformavano in ore, il tramonto si avvicinava e le gioiose campane della cattedrale di Grimpen decretavano l’unione tra il visconte Mycroft e lady Anthea, l’ansia si faceva strada in me. Che cosa avrei detto a Sherlock, quando lo avrei rivisto? Avrei dovuto porgergli le mie più sincere scuse o avrei fatto meglio a far finta di nulla? E che dire del mio amico? Come mi avrebbe trattato? Sarebbe andato lui sull’argomento o l’avrebbe forse ignorato del tutto?
 
Me ne stavo nel fienile, in piedi contro la pertica per evitare di sporcare le vesti nuove, quando udii tre brevi colpi bussati lentamente al portone.
 
Sobbalzai.
 
Era arrivato messer Moran.
 
Il mio cavaliere oscuro mi accolse masticando tabacco e salutandomi con un cenno del mento. Io farfugliai uno stentato Buonasera. “La tua carrozza per stasera” disse, ironico come sempre, indicando un cavallo grigio impegnato a brucare a terra poco più in là.
 
Mi avvicinai guardingo al cavallo. Lo contemplai per un tempo indefinito, aprendo e chiudendo nervosamente i pugni. “È un cavallo, qualora non ne avessi mai visto uno in vita tua...” continuò Moran, che evidentemente teneva a dare il massimo per aumentare il mio nervosismo.
 
Cercai di montare in sella, ma il mio movimento dovette spaventarlo, poiché si scostò e nitrì. “Non voglio farti del male, piccolino” sussurrai, carezzandogli il muso.
 
Udii sir Sebastian sbuffare alle mie spalle. “Devi fare all’amore anche con un quadrupede, stasera?” sentenziò, giusto mentre stavo tentando di montare in groppa, tant’è che il mio piede scivolò dalla staffa e persi l’equilibrio.
 
“Non... Non devo fare all’amore con nessuno” farfugliai, sentendomi alquanto stupido. Dovevo solo fare pace con il mio migliore amico evitando al tempo stesso di non far finire la famiglia Stamford in mezzo a una strada.
 
Finalmente fui in groppa al mio destriero. “Sono pronto” avvisai la mia scorta. “Ottimo. Ancora un po’ e arrivavamo al castello a ricevimento già terminato” si lagnò Moran, strattonando il suo cavallo e partendo al trotto. Io feci altrettanto.
 
“Vedo che ci siamo fatti belli!” lo sentii commentare a voce alta, la piacevole aria della sera che ci colpiva in pieno volto. “È soltanto una mimetizzazione” tagliai corto io.
 
Ben presto giungemmo davanti al portone d’ingresso del castello. L’atmosfera era surreale e piacevole. Ovunque c’erano piccole torce che rischiaravano le tenebre che stavano calando sul Dartmoor e in lontananza si udivano le musiche che stavano rallegrando gli invitati al banchetto.
 
Strinsi forte fin quasi a sentir male la chiave nel mio palmo. Il fante all’ingresso salutò messer Moran con un inchino e ci fece passare senza chiedere nulla. In un attimo, eravamo dentro.
 
Non mi pareva vero. Da quanto tempo non mettevo piede in quel luogo magico? Da quanto tempo non percepivo l’eccitazione nel mio corpo? Ricordi dolci-amari iniziarono ad affiorare alla mia mente, mentre il sangue scorreva nelle mie vene con un’intensità tale da atterrarmi.
 
Pensai ci dirigessimo all’ingresso della servitù, invece entrammo da un altro laterale che non conoscevo, probabilmente destinato ai cavalieri del conte.
 
Ci ritrovammo in un’ampia sala circolare, con un grande camino d’angolo in cui scoppiettava allegro un bel fuoco. Al centro, si trovava una tavola lunga e stretta, imbandita con frutta e carni d’ogni tipo.
 
Le mie orecchie vennero solleticate da una musica vivace che arrivava di lontano. Arpe, flauti, dulcimer...[2] Mi guardai perplesso attorno e mi resi conto che la musica proveniva dal salone che si apriva in fondo al corridoio alla mia destra. Il grande salone delle feste.
 
I miei occhi rubarono una visione fugace di dame in vesti dalle lunghe code che danzavano in cerchio prendendo per mano i loro eleganti messeri, abbandonandosi al piacere della farandole [3]. Li guardai rapito fermarsi, cantare un ritornello, battere le mani e riprendere a danzare. Fino a quando messer Moran non mi prese per un braccio, ricordandomi il motivo per cui mi trovavo lì.
 
“Imbocca quella scala” mi ordinò sibillina la sua voce, “e cerca di non farti notare.” Annuii, aggrappato alla chiave come un’ancora di salvezza. Imboccai il corridoio a sinistra e salii le scale con risolutezza.
 
Secondo piano, camera ventuno [4].
 
Salii gli scalini a due a due e, arrivato in cima, mi ritrovai immerso nel buio quasi totale creato dall’alto soffitto e dagli scuri applicati alle feritoie. Deglutii. Ventuno stanze erano tante e forse ce n’erano pure di più. Nessuno era in vista e la cosa mi riempì di serenità. Iniziai a contare osservando le porte, prima a destra e poi a sinistra, il cuore che graffiava il petto con sempre maggior intensità man mano che muovevo un passo dopo l’altro.
 
Giunto a metà corridoio avevo dimenticato il numero a cui ero arrivato a contare. Mi detti dello stupido, scossi il capo e tornai indietro. Ricominciai, serrando i pugni. Diciassette, diciotto, diciannove, venti...
 
Ed eccola là, la porta numero ventuno, l’ultima a sinistra. In basso filtrava una flebile luce tremolante, probabilmente frutto d’una candela. Deglutii più forte. Il mio principe era al di là di quella porta di legno massiccio. E, soprattutto, stava aspettando me. Alzai piano la mano per bussare; la sentii tremare per l’emozione e mi bloccai.
 
“Se rimarrai ancora un po’ fuori nel corridoio, prima o poi qualche guardia ti noterà, John.”
 
Sobbalzai. Sherlock mi aveva notato. “Sì, sì” farfugliai, cercando di abbassare la maniglia. Ovviamente, quella non si aprì. “Se fosse stata aperta, non ti avrei dato la chiave, non ti sembra?” lo sentii borbottare dall’altra parte.
 
“Già, certo...” Ottimo, iniziavamo davvero bene la nostra riappacificazione. Infilai la chiave nella toppa, girai ed entrai. Sgusciai dentro rapidamente e, con altrettanta rapidità, aderii con la schiena alla porta. Annaspai in cerca d’aria.
 
Capii che ne avevo ancora più bisogno quando vidi lord Sherlock sdraiato sul suo letto a baldacchino. La mia pelle quasi doleva per l’emozione.
 
“Pensavo non arrivassi più” continuò lui, il naso affondato in un taccuino.
 
“Dunque non vedevi l’ora che fossi qui” lo provocai, sorprendendomi di me stesso.
 
“Non l’ho detto.”
 
“Ma lo hai pensato!” mi sorpresi ancora. Lui mi scoccò un’occhiata di disappunto. Fu un vero colpo al cuore incontrare nuovamente i suoi occhi chiari; avevo temuto che non li avrei più rivisti. Parevano quasi grigi, nella penombra della sera e rischiarati da una consumata candela. Mi parvero belli come non mai.
 
“Se lo dici tu...” commentò, arricciando lievemente le labbra in uno strano sorriso e tornando a guardare il suo taccuino.
 
“Eri chiuso dentro” iniziai, raccogliendo il mio coraggio e avvicinandomi al baldacchino. “Acuta osservazione, amico mio” disse, scribacchiando con vigore sulle pagine.  ”Ma poteva essere pericoloso! Dare a me la chiave solo a me! Se fosse accaduto qualcosa...” Sherlock mi interruppe alzando una mano. “È per questo che l’ho data alla persona di cui mi fido di più” tagliò corto.
 
Per un attimo, il mio respiro prese congedo da me ed ebbi timore che non dovesse più tornare. “Va bene, d’accordo…” mormorai, sedendomi con riluttanza sul bordo del letto. Per precauzione, tenni un piede ben ancorato a terra, nel caso il mio amico s’indispettisse e mi scacciasse via, ma lui sembrò non farci molto caso. Lo osservai per un po’, la mano che annotava sul quaderno con la massima velocità.
 
Valutai se non fosse il caso di scusarmi per il mio comportamento la notte di mezza estate, ma poi decisi che forse l’avevo scosso abbastanza e che rivivere l’avvenimento avrebbe potuto essere controproducente per Sherlock. Perciò, non dissi nulla e decisi di fare del mio meglio per dimenticare. Era per il suo bene, ne ero convinto.
 
“Cosa stai scrivendo?” chiesi poi, rubando occhiate a ciò che stava scarabocchiando. “Oh, John, un piccolo studio sulle larve delle api!” rispose, tornando a guardarmi con una strana luce negli occhi. Alla parola larve rabbrividii e storsi il naso. “Che cos’è tutto questo disgusto? Ti posso assicurare che le larve delle api possono essere utilizzate anche nell’alimentazione umana” ribatté, inarcando un sopracciglio. Io arricciai ancor di più le labbra in disgusto. “Se lo dici tu…” fu tutto ciò che dissi.
 
Lo vidi scuotere il capo e tornare a scrivere con più fervore. Non potei fare a meno di pensare che, tutto sommato, con quella punizione lady Violet gli aveva fatto un piacere, più che infliggergli una penitenza. Starsene da solo in una stanza illuminata dal chiaro di una candela tremula, ad annotare appunti su insetti; ecco cosa piaceva a lord Sherlock Holmes. Di certo non danzare in cerchio al fianco di dame sontuosamente agghindate.
 
Sorrisi, mentre mi allungavo meglio sul letto.
 
E allora commisi l’errore di sfiorare con il ginocchio la sua coscia. Mi irrigidii all’istante.
 
Mi resi conto che desideravo abbracciarlo, più d’ogni altra cosa. Stringerlo a me, tenerlo al caldo delle mie braccia sino alle prime luci dell’alba; dormire l’uno accanto all’altro e risvegliarci con le dita dei piedi che ancora si sfioravano le une con le altre. Strinsi i pugni. Non avrei più dovuto cercare di baciarlo, o cingerlo a me. Nemmeno sfiorarlo.
 
Era ciò che desiderava il mio principe, ripetei a me stesso con decisione.
 
“Che cosa c’è, John?” giunse al mio orecchio la sua voce profonda. Trasalii. “Ecco, nulla…” iniziai. Ma non ero bravo a mentire e lui lo sapeva benissimo. “Sono solo lievemente in tensione” mentii, “dopotutto non dovrei essere qui.”
 
“Se non volevi venire…” sentenziò Sherlock, gli occhi insolitamente spenti. “No, no! Non desideravo altro che venire da te!” mi affrettai a correggerlo, “e lo rifarei domani, il giorno dopo ancora e altre mille volte! Stavo semplicemente riflettendo su quanto fosse rischioso…”
 
E non mi riferivo solamente alle minacce di sir Anderson, ma anche al fatto di aver vicino la persona che amavo e non poterla avere.
 
“Ma tu ami il rischio, mi pare di ricordare” disse lui.
 
“Oh, sì!” ammisi.
 
“Bene, anche io!” ribatté il giovane Holmes, con una strana luce nello sguardo. “Vuoi rischiare di più?” propose, chiudendo il taccuino e liberandosene.
 
“Che cos’hai in mente?” mi informai, non senza una nota di preoccupazione nella voce.
 
“Lo vedrai!” Con un balzo, fu giù dal baldacchino, poi mi prese per mano invitandomi a seguirlo.
 
“Vuoi andare di sotto?” dissi in preda al panico.
 
“Esatto.”
 
“Tu sei pazzo…”
 
“Esatto anche questo!” gorgogliò il mio amico con gioia, la mano sulla maniglia della porta.
 
“Tutta quella gente… la tua famiglia… Ci scopriranno!” farfugliai, ritrovandomi a un dito dal legno massiccio.
 
“Non voglio andare a danzare con te, se è questo che ti preoccupa” mi rivelò Sherlock, appoggiando il viso al muro e sorridendomi. Aveva un bel sorriso, il più bello che avessi mai visto.
 
“No?”
 
“No davvero, John. Puoi riprendere a respirare, ora.”
 
“E dove vuoi portarmi, allora?” sussurrai. C’era qualcosa nell’aria, assieme a noi; qualcosa che ancora non sapevo descrivere. La luce tremula della candela ormai prossima a spegnersi giocava a proiettare buffe ombre sul suo bel viso affilato.
 
“Desidero mostrarti il luogo di questo castello che amo di più” disse, stringendo la sua mano attorno alla mia.
 
Tremai.
 
 
 
§§§
 
 
 
Sherlock mi fece scendere per primo le scale. Disse che un cavaliere avrebbe dovuto proteggere il suo signore e, poiché avevo sempre sostenuto d’essere il suo cavaliere, ora avrei dovuto dimostrarlo camminando davanti a lui. Sospettai che fosse solo un’abile scusa per prendermi in giro, ma acconsentii più che volentieri.
 
Giunti sull’ultimo gradino, ci raggiunse la piacevole musica dei clavicembali. Per un attimo, mi voltai verso il salone delle feste, ma subito il mio amico mi esortò a lasciar perdere e a prendere il corridoio di sinistra. Lo imboccai sentendo il sangue che pompava gagliardo nelle mie vene. E quando svoltammo l’angolo mi ritrovai di fronte mia sorella.
 
Mi bloccai così di colpo che Sherlock mi urtò e borbottò qualcosa circa la mia stupidità. Io guardai Harriet con la bocca aperta. Anche lei mi guardò con la bocca aperta. Solo dopo un po’ mi resi conto che era assieme a un’altra persona, una donna. Per un attimo la scambiai per Mary, vista la corporatura simile e i capelli morbidi e biondi, ma poi mi resi conto che la mano di mia sorella era stretta a quella della sconosciuta, così supposi si trattasse di lady Clara da Baskerville.
 
“Fratello” bisbigliò lei, in preda allo stupore.
 
“Harry…”
 
“Cugino!”
 
Uno sbuffo. “Di secondo grado, prego.”
 
Presi mia sorella da parte, poiché sapevo che da un secondo con l’altro sarebbe scoppiata in un mare di rimproveri.
 
“Sei al ricevimento! Sei venuto al ricevimento e non mi hai detto…” iniziò a protestare. Le intimai di zittirsi, mettendole un dito sulle labbra carnose; per un attimo, la cosa funzionò, ma poi si rese conto che ero assieme a Sherlock e non fu più possibile tenerla. Prese a parlare come un fiume in piena, asserendo quanto fossimo perfetti assieme e quanto fosse felice che fossimo di nuovo assieme. Io arrossii, Sherlock incrociò le braccia al petto e alzò gli occhi al soffitto.
 
“John, dobbiamo proprio” mi sollecitò poi. Mi fu lampante che ci avrebbe volentieri tutti sottoposti a un qualche supplizio di sorta, dunque mi affrettai a prendere congedo da mia sorella e dalla sua accompagnatrice. “Lady Clara” dissi, inchinandomi e baciandole la mano. Ma la sorella dell’arciduca Henry s’affettò ad agguantare la mia mano, la voltò e, con il suo indice destro, prese a percorrere le linee sul mio palmo e a studiarne ogni aspetto e proporzioni.
 
“Vedo che avete avuto un passato davvero travagliato, sir John” decretò lady Clara, portando la mia mano a un dito dal suo naso e iniziando ad annusarla con ardore. “Non… non sono cavaliere” la contraddissi, con un fil di voce, ma la madonna non sembrò curarsene.
 
“Oh, bene, diamo a tutti una bella dimostrazione di stregoneria” udii poi Sherlock borbottare alle mie spalle. Immediatamente, Harriet si accostò a noi, con aria molto interessata. “Molto travagliato, lady Clara. È cresciuto nella casa della morte!” convenne mia sorella, bisbigliando all’orecchio della sua compagna.
 
“Ma avete un animo nobile e un cuore sincero. Siete fedele e innamorato” continuò lady Clara. A quel punto, il mio nobile amico si unì al nostro terzetto e io arrossii. “Credo che, ben presto, i vostri due più grandi desideri si avvereranno, sir John…”
 
Stabilii che quella donna era pazza. “E uno già stasera, se prima di coricarvi annuserete un fiore di pervinca [5]” concluse, abbandonando di colpo la mia mano e facendomi sbilanciare. Sì, Harry si era decisamente innamorata di una pazza.
 
“Mi raccomando, sir John, abbiate sempre cura di Shearlock” aggiunse con foga e l’aria di chi s’era appena rammentata di qualcosa di importante.
 
“Sherlock, vorrete dire” la corressi io. Lei mi azzittì con un dito.
 
“Shearlock, la vostra spada.”
 
Strabuzzai gli occhi. “Io non ho una spada, lady Clara...”
 
“Non ancora, sir John.”
 
Poi, senza più pronunciar una sola parola, salutò entrambi con un inchino e prese commiato da noi, con mia sorella che le trotterellava fedelmente al fianco e ci lanciava occhiate curiose.
 
Ma, un attimo dopo, lady Clara si bloccò e si voltò, tornando a osservarmi con uno sguardo perso via in una realtà tutta sua. Evidentemente non aveva ancora finito con me. “Siate sereno, sir John. Tre anni passeranno in fretta.” Un secondo dopo erano sparite dietro uno dei mille corridoi.
 
Rimasi per un attimo a fissare imbambolato il punto oltre il quale le due donne erano sparite, la mia testa che era divenuta improvvisamente leggera, poi Sherlock mi afferrò per un polso, strattonandomi via: “Andiamo, John! Abbiamo già perso troppo tempo, con queste sciocchezze.”
 
“Tua cugina di secondo grado è pazza…” mormorai.
 
“Come un cavallo!” convenne gioioso il mio amico, ora che eravamo tornati in due.
 
Giunti alla fine del corridoio, ci trovammo di fronte una piccola porta di legno, alta e stretta con un semicerchio in alto. “Siamo arrivati” mi comunicò Sherlock, abbassando la maniglia. Fummo inghiottiti dal buio più fitto; io rimasi prudentemente incollato alla parete, muovendo solo un paio di passi all’interno, mentre il mio amico si muoveva rapido e sicuro nella stanza, con una facilità da far invidia a un gatto.
 
Lo sentii armeggiare con qualcosa e poi soffiare, infine accese la luce di una candela che rischiarò un angolo di quel luogo misterioso. Fu allora che capii che ci trovavamo in una biblioteca. Era piccola e raccolta, ma ugualmente uno spettacolo. “Dunque è questo il tuo posto preferito…” commentai io, il naso in aria. “Già” disse lui, accendendo un’altra candela.
 
Il soffitto era basso e i mattoni a vista; c’erano un paio di armadia [6] di legno carichi di manoscritti e alcuni volumi spuntavano addirittura da qualche capsa [7] appoggiate alla parete. Ma ciò che mi attirò – ammaliò –fu lo scriptoria [8] al centro della stanza.
 
Mi immaginai il corpo lungo e magro di lord Sherlock chino su di esso, intento a scribacchiare con la penna d’oca o divorare nuove nozioni da un volume aperto a un palmo di naso dai suoi occhi.
 
Non stentavo a credere che la biblioteca fosse il suo personale angolo di Paradiso. Presi a muovermi nella piccola stanza, gli occhi che si cibavano con avidità di ogni dettaglio. “Buon Cielo! Quanti libri…” sussurrai in una sorta di timore reverenziale. Mi avvicinai a un armadia e, con un po’ di indecisione, accostai l’indice al dorso di un volume, le labbra appena dischiuse dalla meraviglia.
 
“Questa è ben poca cosa, se vedessi la nostra residenza di Fulworth…” disse Sherlock poco distante dalle mie spalle. “Fulworth?” ripetei. “Nel Sussex. Conquistata… Anzi, depredata. Da mio nonno e i suoi cavalieri.” Notai ben più d’una nota di disapprovazione nella sua voce. “Un tempo è stata un florido monastero. Ora è prossima alla decadenza invece.”
 
“Un gran peccato” sussurrai, carezzando i volumi per un’ultima volta. E poi mi voltai, la mente ancora persa via in quelle bellezze. Fu così che urtai un vaso di fiori su un tavolinetto di legno accanto all’armadia, che fino a quel momento era passato inosservato alla mia vista. I miei riflessi furono sufficientemente rapidi e sufficientemente poco goffi per impedire a esso di cadere e infrangersi al suolo, rovinando quegli splendidi e profumati fiori color… pervinca.
 
Feci un balzo indietro, nemmeno fossi stato appena morso da un animale velenoso. L’immagine di lady Clara aleggiava pazzamente davanti ai miei occhi. Sentii Sherlock ridacchiare e sedersi allo scriptoria.
 
“La pervinca è il fiore preferito di mia madre. Non ci vogliono grandi abilità di predizione per utilizzarlo in una profezia. Qui al castello lo puoi trovare ovunque” spiegò, accavallando le lunghe gambe. “Beh, mi ha terrorizzato ugualmente” ribattei, indicando il mazzo, come se fosse prossimo a mordermi da un attimo con l’altro. Rimanemmo entrambi in silenzio, a osservare quei fiori profumati. Poi Sherlock si alzò e, con passi lenti e misurati, mi fu accanto.
 
“Ritengo anche io che lady Clara sia soltanto una pazza. Tuttavia, per amore della conoscenza, suggerirei di provare che ha torto”. La sua voce era calda e suadente, mentre, con un cenno del mento, mi invitava chiaramente ad annusare le pervinche.
 
Il mio cuore balzò in gola in un attimo, chiedendole asilo. “Io non so… io non credo…” farfugliai imbarazzato. “Non ci perdi nulla” continuava a esortarmi Sherlock. Era una tortura, una vera e propria tortura quella che cercava di infliggermi. Desideravo lui – il suo corpo e la sua anima – e non potevo averli.
 
Mi avvicinai piano al vaso e annusai i fiori molto velocemente, quindi mi ritrassi subito. Il mio amico sbuffò. “Non ti sei impegnato molto.” “Tanto non funziona” dissi stizzito. Le sue labbra si arricciarono appena all’insù; mi chiesi se avesse idea del supplizio a cui mi stava sottoponendo. Magari invece credeva che il mio unico desiderio fosse quello di diventare cavaliere. Sbuffai.
 
“D’accordo. Cosa dovrei fare, secondo te?” chiesi, rassegnato. “Chiudi gli occhi e annusa con più decisione.” Scossi il capo, tuttavia lo assecondai. Abbassai le palpebre, mi avvicinai nuovamente ai fiori e li annusai. Una, due volte. Avevano davvero un profumo magnifico.
 
“Bene, e adesso? Soddisfatto?” bofonchiai. “Credo dovresti provare a immaginare come sarebbe, se il tuo desiderio si avverasse” furono le parole che udii. Ebbene, non era per nulla difficile, questo. I miei denti scesero a stringere con vigore il mio labbro inferiore. Volevo provare dolore, poiché era questo che il mio cuore sentiva, in quel momento.
 
Volevo provare dolore per non poter stringere Sherlock tra le mie braccia, carezzare le sue labbra con le mie, sussurrare al suo orecchio quanto lui facesse parte di me, addormentarmi con lui al suo fianco.
 
“Com’è ciò che stai vedendo?” domandò lui, con voce attenta e indagatrice. “Oh, bello, molto bello…” La mia voce, invece, tradiva solamente tristezza. “Solo che non lo posso avere…”
 
“Perché?”
 
“Perché non s’ha da fare. Ed è rischioso, molto rischioso.”
 
“Ma tu ami il rischio…”
 
Mi abbandonai a una risata malinconica. Era tutto così vero, ma anche tutto così inclemente. Non faticavo a immaginarmi lord Sherlock con un sopracciglio inarcato, intento a studiarmi per amore della conoscenza.
 
“Già, lo amo” ammisi.
 
“Anche io lo amo…”
 
La sua voce si affievolì sino a divenire un sussurro. Il sussurro si assottigliò così tanto da trasformarsi in un tutt’uno col suo respiro. Infine, il suo respiro morì sulle mie labbra, quando vi appoggiò le sue. Il nostro secondo bacio. Mi parve di morire e di rinascere. E di morire ancora. Sherlock appoggiò goffamente una mano sul mio fianco, esattamente dove l’avevo appoggiata io, quella sera. Io tremavo e tremava anche lui.
 
Poi disse arrivederci alle mie labbra, urtando sgraziatamente nel mentre una guancia con il suo naso. Accostò la sua bocca al mio orecchio e disse: “Perdona queste mie labbra impudenti per aver trovato diletto in un luogo così proibito.”
 
La sua voce tremava più del suo corpo. “Te lo ricordi ancora…” dissi io a fatica. Mi sorpresi a ridere. Sherlock si staccò da me, osservandomi con un broncio adorabile che non fu capace di tenere per più d’un attimo. “Non sono passati anni, John. Ovvio che me lo ricordo” borbottò, quasi offeso. Allora presi il suo viso tra le mani e lo attirai piano a me. Donai un bacio a ciascuno dei suoi occhi, al suo naso e infine alle sue morbide labbra.
 
Poi la sua mano scivolò sulla mia, stringendola forte. “Andiamo” ordinò il mio principe, trascinandomi via. Lo seguii fedelmente nei corridoi e su per le scale. Con il cuore in gola, correvamo pregando segretamente che nessuno ci sorprendesse, poiché ci avrebbe inevitabilmente letto in volto tutta la nostra felicità e tutta la nostra colpevolezza per ciò che stavamo facendo.
 
Varcammo la ventunesima porta come fuggiaschi nel cuore della notte. Ansimavo mentre Sherlock chiudeva rapido la porta alle nostre spalle e mi guardava, con una mano appoggiata alla parete e le labbra appena dischiuse. Nei suoi occhi saettavano lampi di luce e il suo petto s’alzava e s’abbassava rapidamente. “Sono… sono terrorizzato” furono le parole che sgusciarono, infine, dalla sua bocca. “Lo sono anch’io” bisbigliai. Allungai piano una mano e sfiorai la sua; m’aspettavo di trovarla glaciale come al solito e invece era bollente.
 
“Non mi sono mai donato completamente a qualcuno” continuò, aggrappandosi alla mia mano come se avesse timore che qualcuno, o qualcosa, dovesse strapparlo via da me da un attimo con l’altro. Scossi il capo e gli sorrisi, mentre lo attiravo dolcemente tra le mie braccia. “In un certo senso, nemmeno io…” sospirai al suo orecchio.
 
Lo feci sedere sul suo imponente letto a baldacchino. I miei occhi erano costantemente incollati ai suoi, tant’è che io mancai la mira e rischiai di scivolare a terra. Sherlock si chinò in avanti catturando la mia bocca con la sua, aiutandomi così a rimanere dov’ero.
 
“Spogliami” ordinò soffiando sulla mia pelle. Alzai lentamente le mani e le appoggiai a palmi aperti contro il suo petto. Potevo sentire il suo cuore battere sotto il tessuto. Batteva intensamente, sincero. Batteva per me.
 
Slacciai a fatica la sua veste, le dita che incespicavano tra loro. Rimasi a contemplare il suo corpo candido e magro come se fosse il più magnifico dei dipinti, come possedesse tutta la bellezza d’un fiume dalle acque cristalline che corre impetuoso sino a valle. D’improvviso, Sherlock si chinò nuovamente verso di me, rubando rapido e goffo un altro bacio.
 
Potevo udire le melodie di arpe e chitarre provenienti dal salone delle feste avvolgerci con la loro vivacità, ma forse era soltanto la suggestione del momento. Feci per iniziare a spogliarmi a mia volta e togliere la tunica, ma il mio principe mi bloccò afferrandomi per i polsi. “Lo faccio io” decretò.
 
Mi liberò dalle mie vesti con mano ferma, molto più della mia, la goffaggine di prima scomparsa come per magia. Per un attimo, dubitai che fosse la sua prima volta. “Ti posso assicurare che lo è. Desidero solo non sprecare tempo inutilmente” disse con autorità, rispondendo ai miei pensieri. Sorrisi.
 
Ci ritrovammo nudi l’uno di fronte all’altro. Provai un caldo insopportabile, poi freddo e poi di nuovo caldo. Mi sentivo felice, spaventato, insicuro, invincibile, euforico, completo. Mille emozioni attraversavano la mia anima e, dalla luce che balenava negli occhi di Sherlock, capii che le stava provando anche lui.
 
“John...” sussurrò il mio principe a fior di labbra.
 
“Sì?”
 
“Amami.”
 
Ricordo che tremavo mentre lo stringevo a me, scostavo le coperte e, con le labbra affondate nel suo collo e la mano tra i suoi capelli, ci sdraiavamo intrecciando i corpi.
 
Ci amammo come se fossimo una cosa sola. Come il Cielo ama la sua Terra, come la spada ama il suo cavaliere.
 
Come se avessimo timore che sarebbe stata l’ultima volta.
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:  voglio ringraziare tutte coloro che stanno amando questa storia come la amo io <3. E la cara SAranel che mi aiuta sempre. Credo che tra un paio di capitoli, purtroppo, dovrò lasciare andare il mio orfanello e il suo principe...
[1] Citazione da Thelma & Louise. [2] vari strumenti musicali utilizzati nel Medioevo. [3] tipo di danza medievale. [4] non ho idea se ci possano essere così tante stanze in un solo piano di un castello, ma volevo ricreare l'idea che gli appartamenti di Sherlock fossero al 221. [5] la pervinca è una delle tante altre piante associate alle streghe nel Medioevo. Veniva utilizzata per produrre filtri d'amore e altri incantesimi. [6] [7] [8] ciò che si poteva trovare nelle biblioteche medievali. Gli scriptoria sono gli scrittoi utilizzati dai monaci (non so quanto fossero presenti nei castelli della nobiltà, ma ho voluto prendermi una licenza). Gli armadia erano gli scaffali, ma era la capsa a essere più frequente nelle dimore dei nobili, in quanto erano sacche in cui venivano riposti i libri e dunque più pratiche da trasportare quando ci si spostava.
La fanart è presa da questo sito: http://31.media.tumblr.com/36cf61f7f803343e67f2d9dee0ba010a/tumblr_mu3orqLxQn1s0bdono1_500.png
   
 
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