Campi di Girasoli

Lo scoprì.
Campi di girasoli. Eterni. Gialli.
“So”
“Sai?”
“Con moderazione”
“E’ una fine senza maree”
Correva. Bisognava correre. Perché si accorse che stare immobili bruciava di più la gola e le vene, e il sangue nelle tempie. Perché era molto più difficile non provarci, buttarsi nei fiori, e irrigare col suo pianto campi come il mare, di tulipani neri.
“I miei baci non sono giocattoli”
“Ma li abbiamo messi nella cesta dei giochi più belli. Lo abbiamo fatto insieme”
“Già. I giochi più belli. Giochi per bambini”
 
 
Quand’è stato? Quand’è che divenni il tuo giocattolino? Ti ho salvato in mezzo al mare ed eri tu la boa e io il naufrago. Ti ho portato via dall’inferno e le mie mani hanno preso fuoco. Ed eri tu, in ogni luogo. Ero io, ad essere salvata.
Lo sappiamo entrambi.
 
 
Campi di girasoli. Si attraversano correndo.
“I fiori sono facili e impossibili”
“Ogni petalo piange le foglie più in basso”
E si corre.
Era più facile correre. Con un grido in gola. Col pianto che si asciuga negli occhi.
Invece di guardare le spalle girate, come ad un’esecuzione, senza fucili e senza fiori, solo pianto.
“Non era un gioco. Almeno, io non mi sono divertita”
“Qualunque cosa fosse, è finita la partita, e non possiamo farci niente”
“Non possiamo guardarci indietro”
“Li ha bruciati. Il sole”
“I fiori?”
“I tuoi baci”
 
Sarebbe caduto tutto dal sole.
Aspettava con le mani aperte, gli occhi di luce e acqua.
Fiori. Solo l’odore. Solo nell’aria.