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Autore: Mikaeru    16/11/2013    2 recensioni
In cui Makoto sta via due giorni e Haruka non può sopravvivere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“… starai bene?”
C’è una nota di esitazione nella sua voce che non gli piace. Come se già la domanda in sé non fosse abbastanza irritante, sembra quasi che Makoto abbia paura a chiederglielo. Lo sta guardando, lo sta osservando come se stesse cercando di leggergli dentro una risposta che neppure Haruka sa, diversa da quella che pronuncia.
“Certo che starò bene, vai via per il week end, stare da solo un paio di giorni non mi ammazzerà. E poi lo fai per i bambini.”
Makoto sospira per l’ennesima volta, come se non fosse in grado di fare altro. Guarda per terra, a destra, a sinistra, ma mai negli occhi. Haruka segue ogni respiro, involontariamente lo registra a fuoco; c’è una parte di lui che sta già pensando a quando dovrà proiettare pezzi di Makoto per tenersi compagnia.
“Sono solo due notti. Partiamo domattina e domenica sera siamo di nuovo qua. Sono anni che i bambini vogliono andare a Disneyland, e tra poco è il loro compleanno…”
“Lo so, è la quarta volta che me lo ripeti.”
“Volevo essere sicuro.”
“Di cosa? Del mio udito? Se non ti fidi lasciami un post-it sul frigo.”
Makoto sorride senza replicare, e beve un sorso di the ormai tiepido. Guarda Haruka da sotto le ciglia mentre lui non lo guarda, una visione frastagliata di un corpo elettrico che non riesce a stare seduto. Come ispirato da lui, Haruka butta giù tutto di un sorso, con fare indispettito, il suo bicchiere di the, tenendosi appoggiato alla cucina, con una mano sul lavello.
“Poi abbiamo comunque il cellulare.”, riprende Makoto, rigirandosi la tazza tra le dita, guardando sezioni di se stesso nel riflesso. Ha paura che se alzasse gli occhi verso Haruka rimarrebbe incastrato in quel luogo, in quel momento, nella polvere sospesa tra loro.
“Non mi servirà, non ti trasferisci mica, tu.”
Distintamente, come l’alta marea,  Makoto si sente catapultato in un territorio di cui ben conosce i pericoli, dentro il quale non vuole rimanere un secondo di più.
“Non è solo che non ti ricordi già più come si usa?”
“Certo che mi ricordo, non ho cinque anni.”
Makoto beve un altro sorso di the. Sente forte il desiderio di alzarsi ed abbracciare quell’elettricità statica che circonda Haruka, berla tutta fino all’ultimo sorso per liberarlo e lasciarlo tranquillo. Gli appare rigido come se fosse fatto di legno, e vorrebbe stringerlo fino a scaldarlo così tanto da intagliarlo con il solo tocco.
“Hai bisogno di una mano coi bagagli dei bambini?”, gli domanda senza guardarlo negli occhi, scorrendo il bordo del bicchiere vuoto con un dito. Makoto si apre in un sorriso enorme che, se lo guardasse, lo avrebbe illuminato.
“Sarebbero contentissimi di farli con te, se ti va.”
“Se non mi andasse non mi sarei di certo offerto.”
Svuota la tazza, si lecca le labbra che ora sono aperte in un sorriso più lieve, ma ugualmente felice.
“Allora andiamo.”
 
Sembra tutto uguale agli altri giorni, tutto normale fino a quando non si ritrova seduto sul pavimento senza respiro.
Si è svegliato a metà mattinata, e accanto a lui sedeva la consapevolezza che iniziava il periodo più lungo in cui era mai stato separato da Makoto. Scocciato – verso qualcosa, qualcuno o se stesso, non era importante – si è alzato buttando le coperte da un lato (sperando di soffocare lo sgradito ospite) e si è fatto il bagno, rimanendo in acqua fino a quando la pelle delle dita si è raggrinzita. Ha pensato di rimanerci fino a sciogliersi e inglobarsi con l’acqua, un pensiero che per un attimo lo ha sollevato, un pensiero migliore del rimanere per tre giorni senza Makoto, ma poi pensa che Makoto non si merita tutte quelle attenzioni. C’è la parte di lui che è arrabbiata perché si sente abbandonata che si sforza di mettere a tacere, perché in fondo Makoto lo ha fatto per i bambini.
Mentre si cucinava il pranzo ha fatto un elenco di attività che avrebbe potuto compiere per tenersi occupato, ma non gli sembra che ci sia nessuno di interessante. Allora ha pensato che sarebbe potuto andare a nuotare, ma subito dopo ha pensato di non averne davvero voglia, e allora qualcosa gli si è bloccato in gola e le gambe hanno ceduto ed è scivolato lungo i mobili della cucina, senza fiato e senza forze, come se gli avessero tolto tutte le ossa assieme in un soffio, con un risucchio violento.
Si stringe le ginocchia al petto, cerca di calmare il cuore; vorrebbe strizzare gli occhi (l’illusione di poterli poi aprire e trovare il mondo cambiato, o almeno quella porzione che gli è fondamentale per sopravvivere) ma le palpebre rimangono serrate, come se volesse punirlo. Si guarda attorno sperando che Makoto sia nascosto in un qualche angolo, che sia tutto uno stupido scherzo per metterlo alla prova. Non c’è neppure il suo fantasma.
Si impone lunghi respiri profondi, deve deve deve respirare, mentre si accartoccia di più su se stesso. Sente il cellulare suonare e, fino a quando non raggiunge i trenta secondi di suoneria, non crede che sia vero ma solo un’allucinazione. Raccoglie le forze per alzarsi e andare in camera sua con passi incerti.
“Haru?”
La voce di Makoto è un balsamo, si scivola addosso e lo riempie in ogni angolo e curva. Si rende conto che ha ripreso a respirare naturalmente.
“Haru, ci sei? Tutto bene? Perché non parli? Ho chiamato perché volevo--”
Chiude la telefonata, improvvisamente irritato dal suo tono così preoccupato, come se avesse già messo in conto che non sarebbe sopravvissuto senza di lui. (il che è vero, Haruka se ne rende perfettamente conto, o almeno la parte meno ostinata di lui, ma non gli va che Makoto lo sappia così scoperto, non vuole che sia certo di quel suo potere così grande e spaventoso, vuole che non se ne renda conto e vuole che non sia mai sicuro, così che continui a cercarlo e continui a tentare di conoscerlo davvero, fino in fondo, ogni sua fibra e ogni battito del cuore, ma senza riuscirci mai perché Haruka vuole continuare a ritirarsi come la marea, toccare appena la spiaggia ma poi tornare indietro, bagnando appena i piedi di Makoto. Non sa se vuole scappare, ma sa per certo di voler essere inseguito tutta la vita, accogliendolo ogni tanto ma senza fermarsi davvero, non vuole che Makoto si annoi, che lo dia per scontato, che smetta di cercare di costruirgli attorno il migliore dei mondi possibili.)
Scivola di nuovo a terra, ma ora qualche osso sembra tornato al suo posto. Si appoggia appena al letto, tiene il cellulare tra le mani giunte che sfiorano appena il pavimento.
Si domanda perché Makoto non abbia già richiamato.
Alza il cellulare e comincia a guardare lo schermo. Lo sblocca per guardare insistentemente l’orario. Continua a toccarlo perché non si blocchi di nuovo, e i minuti passano, sembrano così pesanti.
Ne sono passati ben cinque e ancora Makoto non chiama. Allora non gli interessava sapere come stava, voleva solo essere certo di aver vinto e di aver lasciato Haruka incapace di prendersi cura di se stesso?
Più arrabbiato di prima, è lui a chiamarlo questa volta. Di sottofondo c’è un chiasso che prima non c’era.
“Haru! Allora stai bene –”
“Perché non mi hai richiamato?”
“… cosa?”
“Quando ho messo giù. Avresti dovuto richiamare subito.”
“Scusami, Haru, credevo non volessi –”
“Credevi male.”
C’è una breve e leggera risata di Makoto, dall’altro capo del telefono, che (naturalmente) riesce a distinguere da tutto il resto dei suoni.
“Scusami davvero, Haru, ma sembrava non avessi voglia di sentirmi. Ti avevo chiamato per dirti che siamo arrivati, stiamo facendo la fila per i biglietti. I bambini volevano salutarti, te li passo?”
È come se fosse lì accanto, Makoto, e questo pensiero lo tranquillizza, lo accarezza dolcemente.
“Sì, ma non dare il cellulare in mano a nessuno dei due, o litigheranno. Tienilo a uguale distanza da entrambi.”, gli ordina, e lo sente ridacchiare di nuovo.
“Certo.”
Haruka ascolta i bambini cercare di descrivere il viaggio assieme, e capisce la metà del loro discorso, ma intuisce che si siano divertiti, che per loro un viaggio in macchina così lungo è estremamente divertente, perché hanno chiacchierato tanto e si sono fatti coccolare dal loro meraviglioso fratello maggiore e hanno dormito un po’ in braccio a lui e poi quando si sono fermato Makoto ha comprato loro un pacco di caramelle alla frutta con lo zucchero sopra che ha diviso fra loro tre e ha detto che era un segreto perché mamma e papà non sapevano che Makoto aveva comprato le caramelle, e poi qualcos’altro che non è riuscito a comprendere ma che suppone sia sempre sulla stessa linea.
“Sono davvero contento che stia andando tutto bene, bambini.”, riesce a dire quando gli lasciano il tempo di parlare.
“Ti ripassiamo il fratellone!”, annunciano ad alta voce.
“Mi hanno detto che vogliono comprare a me le orecchie di Mickey Mouse e a te quelle di Minnie.”
Haruka accoglie l’annuncio in silenzio. “Quando tornate?”
“Domenica sera.”
Si morde il labbro. “Al pomeriggio voglio andare a nuotare.”
“Se vedo che domenica mattina si sta facendo tardi compro un biglietto del treno e torno prima. I bambini saranno così stanchi che dormiranno per tutto il viaggio e non si accorgeranno di certo della mia assenza.”
“Okay.”
“Ti chiamo prima di cena, d’accordo? E prima di andare a letto.”
“Non ce n’è bisogno.”
“Me l’hanno chiesto i bambini.”
“Allora va bene.”
“È ora di pranzo, ti stavi preparando da mangiare?”
“Sì.”
Sente chiaramente l’odore di bruciato provenire dalla cucina, (ma non glielo confesserà mai) ma pensa che andrà a mangiare fuori. Sente che le ossa sono tutte tornate al loro posto, per cui potrà camminare senza bastone, almeno per qualche chilometro.
“Allora ti lascio mangiare. Stiamo quasi per entrare. Ricordati di controllare il telefono, ogni tanto, e metterlo a caricare se necessario.”
“Lo so come funziona il telefono.”
Ride di nuovo, appena. “Lo so, ma sai come sono fatto.”
“Lo so più che bene.”
“Allora a dopo, Haru. Buona giornata.”
“Okay.”
È lui a chiudere la chiamata, come deve essere sempre. Riesce ad alzarsi, recupera il caricatore del telefono e lo mette in tasca. Sente il cellulare come incollato alla mano, e pensa che sarà difficile separarsene per il resto del weekend.
 
  
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