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Autore: BlueFood    16/11/2013    0 recensioni
- Hey Chiara, che fai questo pomeriggio? -
-Alle due in punto ho gli allenamenti. Se farò anche solo un minuto di ritardo oggi e il mio allenatore mi mangerà. -
-Non sai quanto è vero...-
-Come?-
-Ah... emh... beh...-
-Ti si è incastrata la mascella?-
-NO! No no io volevo solo dirti che...-
-Devo andare Ben. Ci si sente.-
Questa è una storia basata su quella di Percy, con una protagonista che ho personalmente inventato.
mi sembrava un'idea carina e avevo voglia di scriverla. Leggete e commentate. Spero vi piaccia!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto correndo, sotto la pioggia, in un bosco disperso nel  nulla. Non, non nel nulla,  sento lontani i rumori della città che si sveglia. Non so perché corro ma continuo, un senso di pericolo che mi fa battere il cuore a mille. Davanti a me il vuoto, solo alti arbusti sempreverdi, che con la loro imponenza mi fanno sentire piccola piccola. E, tanto per migliorare la situazione, sembra che il sentiero che sto percorrendo non abbia fine. Un senso d’affanno mi toglie il totale controllo del mio corpo. Sto per crollare. Le gambe cedono, rallento, fino a trovarmi a terra, ansimante. Mi volto: un ombra enorme si sta avvicinando, la vedo dietro di me. Cerco di  rialzarmi ma il terreno è bagnato e fangoso. Mi accorgo di star piangendo. Io non piango da quando avevo cinque anni. La vista mi si appanna mentre l’ombra oscura si fa sempre più vicina, i sui passi pesanti sempre più udibili.
“ Questo qui deve pesare cento chili” penso, tra me e me e sorrido, riconoscendomi il merito di essere riuscita a scherzare davanti alla morte.

<< Chiara, Chiara!>> Mia madre mi chiama dal piano di sotto.
Apro gli occhi. Era solo un sogno. Un incubo. Subito noto il muro della mia cameretta, bianco con chiazze di tutti i colori, dal girono del nostro trasloco. Mi ricordo, per me è stato un trauma. Per tirarmi su il morale mia mamma mi aveva regalato le tempere e beh, si, ecco, io... non sapevo dovessero essere usate sui fogli. Il muro era liscio e bianco e avevo pensato fosse perfetto per quel nuovo passatempo. Sorrido, il mio sorriso di sempre, con quel nonsoché di sfacciataggine che aveva il solo risultato di farmi odiare da quasi tutti gli adulti. Mi volto verso il soffitto e faccio un lungo respiro. Avevo cinque anni quando mia mamma, la mia adorata mamma, aveva deciso di riformare una famiglia con Robert “Bob” Smith . Ah, che tipo quello. Non è che sia cattivo o antipatico. Ma a me non va giù. Per colpa sua sono stata catapultata in un paese straniero, dall’altra parte del mondo, con persone che parlano una lingua aliena e mangiano solo schifezze. Non fraintendete, mia madre ha vissuto da ragazza in questo posto, ci ha conosciuto mio padre, ma quando mi ha avuta, è tornata in Italia, il suo paese natale. Io ho fatto i miei primi anni li. Mi ero ambientata,avevo degli amichetti, stavo meglio che in America. Avevamo un rapporto madre e figlia diverso. Eravamo più unite. Io avevo solo lei e lei aveva solo me. Poi quella faccia paffuta di “Bob” è venuto in visita, nella nostra città. E te guarda chi è che doveva pescare se non mia madre. Mah, al diavolo. Abbiamo imparato a sopportarci.
Sospiro, ancora un po’ scossa da quello strano sogno, e mi butto giù dal letto. Guardo il calendario, alla sinistra della porta. Sorrido a trentadue denti, perché oggi è l’ultimo giorno in quella stupida scuola. Ah, quanto odio quella scuola, quanto odio questa vita! Scendo a fare colazione e il sorriso si spegne. Bob con il suo pigiama, la tazza dell caffè nella sinistra, il giornale nella destra e una faccia da ebete ( quello è normale,  ma questa mattina lo sembra ancora di più). Accanto a lui il suo pargoletto, Joshua, che urla e sgignazza con l’altro pargoletto, Lucas.
<< Buongiorno Chicchirichì! >> Un senso di sollievo mi invade e mi scalda al solo suono della voce di mia mamma, in una giornata che è proprio partita con il piede sbagliato.
Subito dice : << Sei eccitata? Oggi è il tuo ultimo giorno di scuola. Quando tornerai troverai una bella sorpresa!>> e << Joshua non incollare i cereali ai capelli di tuo fratello!>>.
<< Anche quest’anno ceneremo al ristorante giapponese? Evviva... >> chiedo subito, anche se già so la risposta. << Ma no tesoro! Vedrai, ti farà impazzire di felicità. Ma ora vai a prepararti, è tardi.>>
Detto fatto, salgo in camera e indosso i soliti shorts e la solita maglietta. Prendo lo zaino, metto le cuffie ed esco.
La scuola, beh, è sempre stata un punto delicato per me.  Mi piace studiare, anche con le mie difficoltà, ma non riesco mai a chiudere questa boccaccia che mi ritrovo.
Comunque, quella mattinata era, in fondo, come tutte le altre. C’era più febbricitazione nell’aria, ma a parte questo, il preside aveva decretato che non si sarebbe fatta alcuna festa, solo pura lezione. Inizia l’ora di latino e... rosa, rosae,rosae,ros... zzzzzzzz. Per fortuna nell’ora di scienze, il professor Williams ha pietà di noi poveri “ bambini” o “puffi”, come ci chiama lui, (anche se abbiamo quindici anni) e ci porta in giardino, a cercare esemplari di  Leucantheum Vulgare ( anche dette “margherite”).
Dato che non ho intenzione di partecipare a questa interessantissima lezione, mi siedo sotto un albero. Non passano cinque minuti che il mio unico amico a scuola, Benjamin, si siede accanto a me.
È un tipo a posto, con qualche strano problema ai muscoli degli arti anferiori, ma per me è O.K.
La mattinata passa abbastanza velocemente. Al suono della campanella che segna la fine della giornata, Ben mi si avvicina.
<< Hey Chiara, che fai questo pomeriggio? >>
<< Alle due in punto ho gli allenamenti. Se farò anche solo un minuto di ritardo oggi il mio allenatore mi mangerà. >>
<< Non sai quanto è vero... >>
<< Come? >>
<< Ah... emh... beh... >>
<< Ti si è incastrata la mascella? >>
<< NO! No no io volevo solo dirti che... >>
<< Devo andare Ben. Ci si sente. >>
Ogni tanto quel ragazzo è proprio strano. Mi segue ovunque io vada. Nei giorni che devo andare agli allenamenti, mi chiama una quindicina di volte. Mah. E poi oggi, quella frase... Che aveva detto? Non sai quanto è vero? Cosa? Che il mio allenatore mi mangi?
Comunque, lascio che questi strani pensieri mi scorrano addosso, non ci penso così da dimenticarmene.
Metto le cuffie, faccio partire la canzone e mi perdo nel mio mondo.

 
  
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